Il titolo esecutivo va valutato al momento dell’emissione

In sede di incidente di esecuzione, l'indagine affidata al giudice è limitata al controllo dell'esistenza di un titolo esecutivo e della legittimità della sua emissione a tal fine il giudice dell'esecuzione non può attribuire rilievo alle nullità eventualmente verificatesi nel corso del processo di cognizione in epoca precedente a quella del passaggio in giudicato della decisione, ma deve limitare il proprio accertamento alla regolarità formale e sostanziale del titolo su cui si fonda l'intrapresa esecuzione.

Lo ha confermato la prima sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 28079/20, depositata l’8 ottobre. La disciplina dell’esecuzione penale Preliminarmente, occorre ricordare che Il momento finale del procedimento penale è rappresentato dall’esecuzione. Il punto di partenza è l’individuazione dell’ oggetto dell’esecuzione si tratta cioè di verificare quali provvedimenti abbiano l’attitudine ad essere eseguiti ed in quale momento assumano tale caratteristica. Quando nel processo penale un provvedimento ha acquisito l’idoneità ad essere eseguito, si dice che costituisce titolo esecutivo. Si denomina forza esecutiva quella caratteristica di un provvedimento che impone come giuridicamente necessaria la sua attuazione. La forza esecutiva, nel processo penale, appartiene ad ogni atto emesso dal giudice e dal PM. La regola generale è che tutti i provvedimenti emessi dall’autorità giudiziaria nel processo devono essere attuati esclusivamente in forza della loro avvenuta emissione. Le sentenze e i decreti penali costituiscono un’eccezione, perché divengono esecutivi, ai sensi del 650, solo quando sono divenuti irrevocabili. Ai sensi dell’art. 648 c.p.p., le sentenze pronunciate in giudizio divengono irrevocabili quando non sono più sottoponibili ad un’impugnazione ordinaria perché sono stati già esperiti tutti i mezzi di impugnazione o perché nessuna delle parti ha presentato impugnazione entro i termini i decreti penali diventano irrevocabili allorché sia decorso inutilmente il termine per proporre opposizione o quello per impugnare l’ordinanza che ne dichiara l’inammissibilità. L’art. 650, comma 2, c.p.p. precisa altresì che le sentenze di non luogo a procedere hanno forza esecutiva quando non sono più soggette a impugnazione. Si può quindi parlare di esecuzione penale con riferimento alla necessità di dare attuazione alle sentenze ed ai decreti penali divenuti irrevocabili. e l’applicazione del principio tempus regit actum . La sentenza in commento si rifà all’orientamento giurisprudenziale secondo cui, in virtù del principio tempus regit actum , il provvedimento di sospensione dell'esecuzione della pena, legittimamente emesso ai sensi dell'art. 656 c.p.p., non può essere revocato per effetto del sopravvenire di una legge nel caso di specie, la l. 9 gennaio 2019, n. 3 che ampli il catalogo dei reati ostativi alla sospensione di cui all'art. 4-bis della l. 26 luglio 1975, n. 354, anche se il condannato al momento dell'entrata in vigore della legge in questione non aveva ancora avanzato richiesta di misura alternativa. In altre parole, il provvedimento di sospensione dell'esecuzione della pena, legittimamente emesso ai sensi dell'art. 656 c.p.p., non può essere revocato per effetto di una nuova normativa che ampli il catalogo dei reati ostativi, anche nel caso che quest'ultima intervenga nella pendenza del termine di 30 giorni per la richiesta di misure alternative alla detenzione. Peraltro, per completezza va specificato che il provvedimento con il quale il pubblico ministero rigetta la richiesta di sospensione dell'esecuzione dell'ordine di carcerazione, proposta in pendenza del termine per chiedere eventuali misure alternative alla detenzione, pur non ricorribile per cassazione, può essere sottoposto al controllo del giudice dell'esecuzione , mediante l'attivazione della procedura prevista in sede esecutiva dall'art. 670 c.p.p. Per converso, in sede di esecuzione non possono dedursi questioni concernenti la fase di cognizione, proponibili soltanto attraverso i normali mezzi di impugnazione ordinaria e straordinaria, dovendo le richieste da far valere nel procedimento di esecuzione riguardare esclusivamente l'esistenza del giudicato e la validità formale del titolo che legittima l'esecuzione penale.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 8 settembre – 8 ottobre 2020, n. 28079 Presidente Iasillo – Relatore Rocchi Ritenuto in fatto 1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Napoli, Sezione Minori, in accoglimento dell’istanza di P.A. , disponeva nei suoi confronti il ripristino degli arresti domiciliari, cui era sottoposto alla data del 14/11/2018, in attesa delle determinazioni del Tribunale di Sorveglianza sulle istanze relative a misure alternative alla detenzione. Nei confronti di P. , posto agli arresti domiciliari ai sensi dell’art. 656 c.p.p., comma 10, alla data di irrevocabilità della sentenza di condanna della Corte d’appello di Napoli del 19/7/2016, era stato successivamente emesso un provvedimento di esecuzione di pene concorrenti per complessivi anni dieci e mesi quattro di reclusione quando era divenuta definitiva altra condanna della Corte di appello di Napoli del 22/2/2018 poiché la pena residua da scontare era superiore ad anni quattro di reclusione, il Procuratore generale aveva revocato la sospensione dell’esecuzione ex art. 656 c.p.p., comma 10 infine, con ordinanza del 20/6/2019, il giudice dell’esecuzione aveva riconosciuto il vincolo della continuazione tra i reati oggetto delle due condanne e aveva rideterminato in misura inferiore la pena complessiva. La Corte territoriale rilevava che, alla data del provvedimento di esecuzione di pene concorrenti, la pena residua era inferiore a quattro anni di reclusione se si fosse tenuto conto della successiva rideterminazione della pena complessiva, della custodia cautelare subita e della liberazione anticipata concessa dal Magistrato di Sorveglianza. A fronte del rigetto da parte del Procuratore generale dell’istanza di ripristino degli arresti domiciliari, la Corte territoriale ribadiva la necessità di una valutazione ora per allora la formale legittimità del provvedimento di cumulo all’epoca in cui era stato emesso non impediva il riesame della questione alla luce della successiva rideterminazione della pena. La soluzione opposta avrebbe legittimato una ingiustificata sperequazione tra il caso in cui il reato continuato sia oggetto di un unico processo e quello di applicazione della continuazione soltanto in sede esecutiva. 2. Ricorre per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Napoli, deducendo violazione degli artt. 656 e 671 c.p.p Al momento dell’emissione del provvedimento di esecuzione di pene concorrenti 14/11/2018 , la pena residua da espiare era superiore a quattro anni di reclusione, cosicché legittimamente era stata disposta la carcerazione del condannato il successivo riconoscimento della continuazione non poteva avere influenza sull’ordine di esecuzione, essendo l’istituto della continuazione soggetto a valutazione discrezionale del giudice dell’esecuzione sia con riferimento alla sussistenza dei presupposti che per la misura della pena complessiva a seguito del riconoscimento della continuazione, la Procura generale aveva emesso nuovo ordine di esecuzione di pene concorrenti ma in quella data il condannato era detenuto, nè lo status cautelare poteva essere fatto rivivere retroattivamente, ripristinando il regime degli arresti domiciliari nei confronti di un soggetto che si trovava in espiazione di pena. 3. Il Procuratore generale presso questa Corte, Dott. Giovanni Di Leo, nella requisitoria scritta, conclude per l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata la Corte d’appello di Napoli, quale giudice dell’esecuzione, non era competente a decidere, spettando la decisione al Tribunale di Sorveglianza. 4. Il difensore di P.A. ha fatto pervenire memoria con la quale deduce l’inammissibilità del ricorso per violazione degli artt. 582, 583 e 585 c.p.p. dagli atti non si poteva evincere la data di deposito del ricorso del Procuratore generale nella cancelleria della Corte di appello di Napoli. Nel merito, il difensore sostiene la legittimità del provvedimento impugnato sulla base di una lettura costituzionalmente orientata degli artt. 656 e 671 c.p.p. L’ordinanza aveva adottato una soluzione che operava un effettivo contemperamento degli interessi in gioco in effetti, la posizione di P. era particolare, perché le due condanne per i reati successivamente riconosciuti riuniti per continuazione erano la conseguenza di una separazione nell’ambito di un procedimento sostanzialmente unico, separazione operata per la minore età dell’imputato all’epoca della consumazione di alcuni di essi. La valutazione ora per allora operata dalla Corte d’appello di Napoli evitava una sperequazione ingiustificata conseguente esclusivamente alla età del condannato la soluzione opposta avrebbe determinato, come conseguenza del riconoscimento del vincolo della continuazione, una conseguenza negativa per il condannato, trattato in modo deteriore rispetto ai coimputati. In via subordinata, il difensore chiede alla Corte di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 671 c.p.p. e art. 565 c.p.p., comma 10 nella parte in cui non permettono una valutazione ora per allora . Considerato in diritto 1. L’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dal difensore di P. nella memoria di cui si è riferito, è infondata. La visione del fascicolo ha permesso alla Corte di verificare che il ricorso per cassazione è stato depositato presso la cancelleria della Corte di appello di Napoli l’11/2/2020, circostanza attestata dal Cancelliere. 2. Sussisteva la competenza a provvedere sull’istanza del condannato del giudice dell’esecuzione - nel caso di specie della Corte d’appello di Napoli - e non del Tribunale di Sorveglianza. Nel caso di specie, in effetti, si verte sull’applicazione al condannato della previsione dell’art. 656 c.p.p., comma 10, in base al quale, quando diviene irrevocabile una sentenza di condanna e la pena detentiva residua calcolata in base al disposto dell’art. 656 c.p.p., comma 5 non è superiore a determinati limiti di pena nel caso che interessa quattro anni di reclusione e, inoltre, il condannato si trova agli arresti domiciliari per il fatto oggetto della condanna da eseguire, il pubblico ministero sospende l’esecuzione dell’ordine di carcerazione e trasmette gli atti al Tribunale di Sorveglianza perché provveda alla eventuale applicazione di una delle misure alternative alla detenzione. La norma indica con chiarezza la ripartizione della competenza tra giudice dell’esecuzione e Tribunale di Sorveglianza, disponendo che fino alla decisione del Tribunale di sorveglianza, il condannato permane nello stato detentivo nel quale si trova e il tempo corrispondente è considerato come pena espiata a tutti gli effetti . Quindi, è il giudice dell’esecuzione a dover valutare il provvedimento del Pubblico Ministero che dà inizio all’esecuzione, al fine di verificare, nell’ambito del procedimento di cui all’art. 670 c.p.p., se il titolo è esecutivo e se l’ordine di carcerazione è stato emesso in presenza dei presupposti di legge, mentre il Tribunale di Sorveglianza interviene successivamente sul regime detentivo del condannato dopo aver valutato l’applicabilità di una delle misure alternative alla detenzione previste dall’ordinamento penitenziario. Si è affermato, quindi, che il provvedimento con il quale il P.M. rigetta la richiesta di sospensione dell’esecuzione dell’ordine di carcerazione proposta in pendenza del termine per chiedere eventuali misure alternative alla detenzione, pur non ricorribile per cassazione, può essere sottoposto al controllo del giudice dell’esecuzione, mediante l’attivazione della procedura prevista in sede esecutiva dall’art. 670 c.p.p. Sez. 1, n. 36007 del 17/06/2011 - dep. 04/10/2011, De Caro, Rv. 250786 il principio è valido anche per il provvedimento del P.M. che, ritenendo insussistenti i presupposti previsti dall’art. 656 c.p.p., comma 10 per la prosecuzione della detenzione in regime di arresti domiciliari, emette ordine di carcerazione nei confronti del condannato senza sospenderlo anche in questo caso, il giudice dell’esecuzione deve verificare se, al contrario, l’ordine di carcerazione avrebbe dovuto essere sospeso e, di conseguenza, il condannato avrebbe dovuto restare agli arresti domiciliari fino alla decisione della magistratura di sorveglianza. 3. Affrontando il merito del ricorso, si deve rilevare che, provvedendo ora per allora , la Corte territoriale ha preteso di valutare il provvedimento di esecuzione di pene concorrenti emesso dal Pubblico Ministero il 14/11/2018 - che determinava la pena complessiva in anni dieci, mesi quattro di reclusione e quella residua in anni dieci, mesi due e giorni 28 di reclusione, disponendo la carcerazione del condannato - alla luce della successiva ordinanza della stessa Corte territoriale che, riconoscendo la continuazione tra i reati oggetto delle diverse sentenze di condanna, aveva rideterminato la pena complessiva in anni otto e mesi otto di reclusione. Si deve ricordare che, a seguito di quell’ordinanza, il Pubblico Ministero aveva emesso un nuovo provvedimento di esecuzione di pene concorrenti, rideterminando la data di espiazione della pena, senza, peraltro, disporre la remissione del condannato agli arresti domiciliari, nè sospendendo l’esecuzione, ricorrendo l’ipotesi prevista dall’art. 656 c.p.p., comma 9 condannato detenuto al momento dell’emissione dell’ordine di carcerazione . 4. Il ricorso è fondato e determina l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata. L’art. 670 c.p.p. affida al giudice dell’esecuzione il compito di verificare se il provvedimento manca o non è divenuto definitivo e di sospendere in questo caso l’esecuzione. Come è stato costantemente ribadito da questa Corte, l’indagine affidata al giudice è limitata al controllo dell’esistenza di un titolo esecutivo e della legittimità della sua emissione a tal fine il giudice dell’esecuzione non può attribuire rilievo alle nullità eventualmente verificatesi nel corso del processo di cognizione in epoca precedente a quella del passaggio in giudicato della decisione, ma deve limitare il proprio accertamento alla regolarità formale e sostanziale del titolo su cui si fonda l’intrapresa esecuzione Sez. 1, n. 19134 del 26/05/2006 - dep. 31/05/2006, Santarelli, Rv. 234224 . Le ripetute pronunce pongono l’accento sull’irrilevanza di eventuali nullità verificatesi prima della formazione del titolo esecutivo, ma il principio è valido anche per quanto avvenuto successivamente l’esecuzione della pena detentiva avviene con l’emissione dell’ordine di carcerazione del pubblico ministero art. 656 c.p.p. e la regolarità formale e sostanziale del titolo deve essere accertata con riferimento ad esso. Una valutazione ora per allora del giudice dell’esecuzione è possibile - se non si è formata una preclusione derivante da un precedente provvedimento - soltanto se il provvedimento del pubblico ministero risulti - seppur tardivamente - errato ovvero se si fondi su una norma successivamente dichiarata illegittima costituzionalmente. Recentemente, questa Corte ha statuito che, in virtù del principio tempus regit actum, il provvedimento di sospensione dell’esecuzione della pena, legittimamente emesso ai sensi dell’art. 656 c.p.p., non può essere revocato per effetto del sopravvenire di una legge nel caso di specie, la L. 9 gennaio 2019, n. 3 che ampli il catalogo dei reati ostativi alla sospensione di cui alla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 4-bis anche se il condannato al momento dell’entrata in vigore della legge in questione non aveva ancora avanzato richiesta di misura alternativa Sez. 1, n. 39609 del 19/07/2019 - dep. 26/09/2019, Coci, Rv. 276946 orientamento che presuppone, appunto, che la legittimità del provvedimento del pubblico ministero debba essere valutata con riferimento alla situazione esistente nel momento in cui lo stesso veniva emesso. 5. Nel caso di specie, è pacifico che, nel momento in cui il Pubblico Ministero emise l’ordine di carcerazione a seguito del passaggio in giudicato dell’ulteriore sentenza di condanna, il titolo esisteva, era divenuto esecutivo e, soprattutto, la pena residua era superiore ad anni quattro di reclusione quindi il provvedimento era corretto e non poteva essere implicitamente annullato dal giudice dell’esecuzione sulla base di un provvedimento emesso successivamente. In effetti, la motivazione adottata nell’ordinanza impugnata - secondo cui la soluzione opposta provocherebbe una diversità di trattamento rispetto al caso in cui i delitti fossero stati giudicati in un unico processo - prova troppo la situazione derivante dalla celebrazione di un unico processo è differente rispetto a quella che consegue alla celebrazione di diversi processi, con successivo riconoscimento della continuazione da parte del giudice dell’esecuzione nel primo caso, il titolo esecutivo è unico, mentre nel secondo i provvedimenti da mettere in esecuzione sono tre la prima sentenza di condanna, la seconda sentenza di condanna, l’ordinanza del giudice dell’esecuzione che riconosce la continuazione e tra essi decorre un non indifferente lasso temporale. Anche la questione di legittimità costituzionale sollevata dal difensore di P. non tiene conto di questa differenza e, per di più, sembra ignorare la funzione della sospensione dell’esecuzione prevista dall’art. 656 c.p.p. e, in forma particolare, dal comma 10 della norma evitare l’ingresso in carcere di soggetti condannati a pene detentive brevi tale funzione giustifica l’eccezione prevista dal comma 9, in base al quale il pubblico ministero non deve sospendere l’esecuzione quando il condannato è detenuto al momento dell’emissione dell’ordine di esecuzione. Una successiva scarcerazione o remissione agli arresti domiciliari in forza di un provvedimento successivo, per di più pienamente discrezionale, del giudice dell’esecuzione sarebbe del tutto sganciata da tale funzione, in quanto il condannato sarebbe entrato legittimamente in carcere e, quindi, avrebbe subito quell’esperienza che il legislatore vorrebbe, in determinati casi, evitargli ovviamente differente è il caso di una scarcerazione derivante dall’accertamento dell’illegittimità dell’ordine di carcerazione o dalla sopravvenuta illegittimità costituzionale della norma che ha determinato l’ordine di carcerazione . P.Q.M. Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata. Si avvisi il Procuratore generale presso la Corte di appello per quanto di sua competenza. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.