Per i Giudici non vi sono dubbi sulla responsabilità penale della dirigente per il reato di peculato d’uso. Evidente l’abuso compiuto ai danni dell’azienda. Poco plausibile la tesi difensiva, secondo cui il telefono di servizio sarebbe stato scambiato con quello del coniuge.
Risibile l’ipotesi di un involontario scambio di telefoni cellulari col marito. Condannata la dirigente che ha permesso che il coniuge utilizzasse per quattro mesi l’apparecchio fornitole dall’azienda, con una spesa – illegittima – pari a quasi 4mila euro. Evidente per i Giudici il reato di peculato d’uso Cassazione, sez. VI Penale, sentenza numero 27742, depositata oggi . Sotto accusa una dirigente d’azienda. A farla finire sul banco degli imputati è l’anomalo utilizzo del cellulare a lei affidato dalla società per ragioni di lavoro in pochi mesi sono state registrate telefonate internazionali a ripetizione con una spesa complessiva pari a quasi 4mila euro. Inevitabile la segnalazione da parte dell’azienda, a fronte dell’anomalo impiego del telefono. Successive indagini consentono di accertare che il cellulare è finito in quei mesi nelle mani del marito della dirigente l’uomo lo ha utilizzato con grande libertà, chiamando dal Marocco, ove lui si trovava mentre la moglie era di base in Italia. Logica, secondo i Giudici di merito, la condanna della dirigente per peculato d’uso, con pena fissata in 8 mesi di reclusione. Poco plausibile la ricostruzione difensiva, secondo cui la dirigente ha inavvertitamente scambiato in Italia il proprio telefono con quello del marito, che poi è partito per il Marocco. Nel contesto della Cassazione la dirigente ribadisce la propria buona fede, spiegando, ancora una volta, di «non essersi accorta dello scambio del cellulare di servizio con l’altro cellulare del proprio coniuge nel periodo in cui quest’ultimo risiedeva in Marocco», e ponendo in evidenza il fatto che «i telefoni oggetto dello scambio erano identici». In aggiunta, poi, la stessa spiega anche che «il telefono di servizio veniva da lei utilizzato solo per effettuare chiamate e non per riceverle». Questa versione è ritenuta però poco plausibile anche dai Giudici del Palazzaccio. In particolare, viene condivisa la valutazione compiuta in Appello, laddove si è definita «non verosimile» l’ipotesi di uno «scambio inconsapevole tra il telefono di ufficio» della dirigente e «quello privato del marito, che lo ha poi utilizzato dal Marocco per effettuare chiamate internazionali mentre la moglie si trovava in Italia». E a questo proposito è stato valorizzato correttamente, osservano i magistrati, «il dato temporale dei quattro mesi di utilizzo indebito del cellulare “scambiato” da parte del coniuge senza che la dirigente se ne avvedesse», abbinato alla «interruzione dell’uso abusivo intervenuta solo dopo la denuncia» da parte dell’azienda, per «escludere la possibilità di un errore, reso ancora meno plausibile dalla peculiarità del bene scambiato, in ragione della differente numerazione telefonica e delle ulteriori implicazioni che ne derivano». Di conseguenza, la responsabilità penale della dirigente è basata su un «dato certo e obiettivo», cioè «l’utilizzo del telefono» della dirigente «da parte del coniuge che viveva in Marocco».
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 15 settembre – 6 ottobre 2020, numero 27742 Presidente Bricchetti – Relatore Amoroso Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d'appello di Roma ha confermato la sentenza emessa in data 18/11/2014 dal Tribunale di Roma con cui Ge. Vi. è stata condannata alla pena di mesi otto di reclusione per il reato di cui all'articolo 314 comma 2, cod. pen, così riqualificata l'originaria imputazione, perché in qualità di dirigente Rai, avendo la disponibilità di una utenza telefonica mobile per motivi di servizio, consentiva ad altri di farne indebito utilizzo per l'importo fatturato globale di 3.978,00 Euro dal mese di dicembre 2011 al mese di marzo del 2012. 2. Tramite il proprio difensore di fiducia, Ge. Vi. ha proposto ricorso, articolando i motivi di seguito indicati. 2.1. Con il primo motivo si deduce vizio della motivazione in ordine alla integrazione dell'elemento soggettivo del reato di peculato d'uso, per essersi la Corte di appello basata su mere presunzioni circa l'inverosimiglianza della giustificazione addotta dall'imputata di non essersi accorta dello scambio del cellulare di servizio con altro cellulare del proprio coniuge nel periodo in cui quest'ultimo risiedeva in Marocco. Si censura la illogicità delle conclusioni cui è pervenuta la sentenza impugnata sebbene fosse stato dimostrato che i telefoni oggetto dello scambio erano identici e che il telefono di servizio veniva utilizzato dall'imputata solo per effettuare chiamate e non per riceverle. 2.2. Con il secondo motivo si deduce vizio della motivazione in merito alla mancata concessione della circostanza attenuante di cui all'articolo 62, co.1, numero 6 cod. pen dell'integrale risarcimento del danno avendo l'imputata provveduto a rimborsare l'intero importo delle telefonate abusive alla Rai prima del giudizio. 2.3 Con il terzo motivo si deduce vizio di motivazione in merito al trattamento sanzionatorio non essendo stato applicato il minimo della pena e conseguentemente non essendo stata accolta la richiesta di applicare la pena pecuniaria sostitutiva ex articolo 53 della L. 689/1981. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. La ricorrente, pur adducendo i vizi di illogicità e contraddittorietà della motivazione, ha in realtà riproposto dinanzi a questa Corte le medesime doglianze già fatte oggetto dei motivi di appello, censurando le argomentazioni della Corte territoriale fornendo soltanto una diversa chiave di lettura delle risultanze processuali, ma senza riuscire ad evidenziare concreti vizi logici della motivazione, finendo così con il sollecitare da parte di questa Corte una non consentita rivalutazione del merito in un senso ritenuto più plausibile di quello prescelto dai Giudici di merito. Nella motivazione della sentenza di primo e secondo grado si rende ragione con argomenti logici ineccepibili della ritenuta non verosimiglianza della versione difensiva dello scambio inconsapevole tra il proprio telefono di ufficio e quello privato del coniuge che lo ha poi utilizzato dal Marocco per effettuare chiamate internazionali mentre l'imputata si trovava in Italia. I giudici di merito hanno valorizzato il dato temporale dei quattro mesi di utilizzo indebito del cellulare scambiato da parte del coniuge senza che la imputata se ne avvedesse, insieme alla interruzione dell'uso abusivo intervenuta solo dopo la denuncia dell'Amministrazione Rai per escludere la possibilità di un errore, reso ancora meno plausibile dalla peculiarità del bene scambiato, in ragione della differente numerazione telefonica e delle ulteriori implicazioni che ne derivano. Contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente l'affermazione di responsabilità non è stata basata su un mero giudizio di verosimiglianza, ma all'opposto sul dato certo ed obiettivo dell'utilizzo del telefono da parte del coniuge che viveva in Marocco e sull'inverosimiglianza della giustificazione addotta perché ritenuta non credibile. La motivazione del provvedimento impugnato, valutato insieme all'impianto motivazionale della sentenza di primo grado, trattandosi di doppia conforme, non presenta profili di illogicità o contraddittorietà, ma fornisce una spiegazione coerente delle risultanze processuali rispetto alle conclusioni cui si perviene nell'affermazione di responsabilità, apparendo piuttosto labili le censure articolate nei motivi di ricorso perché reiterative di quelle di mero fatto già affrontate adeguatamente dalla Corte di appello con motivazione esaustiva e priva di contraddizioni, sulla base di valutazioni non meramente congetturali ma sorrette da dati obiettivi, che la difesa ha vanamente cercato di ridimensionare con ricostruzione alternative destituite di fondamento. 2. Anche gli altri motivi sulla pena e sul mancato riconoscimento della circostanza attenuante del risarcimento integrale del danno sono ugualmente inammissibili. Quanto alla mancata applicazione dell'attenuante dell'articolo 62, numero 6 cod. pen si deve rilevare che né nei motivi di appello e né in sede di discussione nel giudizio di appello risulta che sia stata avanzata una specifica richiesta in tal senso dalla ricorrente. Per costante giurisprudenza di questa Corte il mancato esercizio del potere-dovere del giudice di appello di applicare d'ufficio una o più circostanze attenuanti, non accompagnato da alcuna motivazione, non può costituire motivo di ricorso in cassazione per violazione di legge o difetto di motivazione, qualora l'imputato, nell'atto di appello o almeno in sede di conclusioni del giudizio di appello, non abbia formulato una richiesta specifica, con preciso riferimento a dati di fatto astrattamente idonei all'accoglimento della stessa, rispetto alla quale il giudice debba confrontarsi con la redazione di una puntuale motivazione. In sede di appello risulta che la ricorrente si è limitata ad invocare l'applicazione del minimo della pena, mentre nessuna richiesta è stata avanzata con riguardo al mancato riconoscimento della circostanza attenuante prevista dall'articolo 62, numero 6 cod. penumero Pertanto la relativa doglianza non può essere dedotta per la prima volta davanti alla Corte di Cassazione, trattandosi di una violazione di legge in cui è incorso il giudice di primo grado ma che non è stata dedotta, come era possibile, nei motivi di appello e che deve pertanto ritenersi tardivamente dedotta in sede di legittimità Sez. 3, numero 10085 del 21/11/2019, Rv. 279063 . 3. Quanto al terzo motivo sulla pena, contrariamente a quanto dedotto, il giudice dell'appello ha fornito adeguata risposta al censurato diniego del minimo edittale, avendo valorizzato nel rispetto dei criteri di cui all'articolo 133 cod. penumero , oltre alla intensità del dolo, la gravità oggettiva del fatto desunta dalla durata dell'abuso del telefono protrattosi per quattro mesi e dai costi delle telefonate internazionali. Del resto deve essere qui ribadito che «La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli articolo 132 e 133 cod. penumero ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione» Sez. 5, numero 5582 del 30/09/2013, Ferrano, Rv. 259142 , requisiti evidentemente rispettati nel caso in esame. 4. In relazione alla richiesta di declaratoria della prescrizione avanzata dalla difesa in sede di discussione si deve rilevare che l'inammissibilità del ricorso per cassazione nella specie, per l'aspecificità delle deduzioni preclude la possibilità sia di far valere sia di rilevare di ufficio, ex articolo 129 cod. proc. penumero , l'estinzione del reato per prescrizione maturata nelle more del giudizio di legittimità e che anche la manifesta infondatezza rientra fra le cause di inammissibilità intrinseche al ricorso che producono una mera apparenza dell'atto di impugnazione, per cui un ricorso manifestamente infondato non può consentire una dichiarazione di non punibilità derivante dal decorso del tempo Sez. U, numero 23428 del 22/03/2005, Bracale, Rv. 231164 . 5. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell'articolo 616 cod. proc. penumero , la condanna della ricorrente, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene congruo determinare in tremila Euro. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.