Restrizioni COVID-19: l’avvocato deve dimostrare di non aver potuto accedere alla Cancelleria per ottenere un rinvio dell’udienza

In riferimento ai provvedimenti restrittivi adottati dal Primo Presidente della Corte di Cassazione durante l’emergenza sanitaria da COVID-19 e relativi alle restrizioni per l’accesso alle Cancellerie della Suprema Corte, la richiesta di rinvio dell’udienza per incolpevole impedimento assoluto al tempestivo rispetto dei termini processuali deve essere rigettata se priva della dimostrazione di un’oggettiva impossibilità di accedere alle Cancellerie.

Sul tema si è pronunciata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 27437/20 depositata il 2 ottobre. La Corte d’Appello di Roma confermava il decreto di prime cure con cui era stata rigettata la richiesta di misura di prevenzione personale nei confronti di un imputato ed era stata disposta la confisca di alcuni beni immobili e di un conto corrente. Il difensore di fiducia ha proposto ricorso per cassazione. In data 10 luglio 2020, e dunque in piena emergenza COVID-19 , il medesimo difensore ha presentato istanza di rinvio dell’udienza camerale fissata per il 14 luglio precisando l’impossibilità di accedere liberamente alle Cancellerie a seguito delle disposizioni introdotte per far fronte all’emergenza sanitaria e di presentare tempestiva memoria di replica. L’avvocato aveva infatti inviato a mezzo PEC la richiesta di presa visione della requisitoria della Procura Generale, ricevendo la fissazione di un appuntamento per il ritiro dell’atto, appuntamento al quale però non aveva potuto presentarsi con conseguente incolpevole impedimento assoluto per la difesa al tempestivo rispetto del termine per il deposito della memoria di replica . Il Collegio ha rigettato la richiesta di differimento dell’udienza camerale evidenziando che la difesa si era attivata tardivamente per la richiesta di presa visione della requisitoria della Procura Generale, depositata in Cancelleria il 25 marzo 2020. Rileva inoltre la Corte che, pur in presenza delle restrizioni in ordine all’accesso presso le Cancellerie della Cassazione legate ai provvedimenti firmati dal Presidente a scopi di prevenzione sanitaria, il difensore non ha dimostrato l’ oggettiva impossibilità di accedere alle Cancellerie . Le deduzioni difensive sul punto si dimostrano generiche con conseguente impossibilità di configurare un incolpevole impedimento della difesa ad esercitare i propri diritti. In conclusione, ritenendo nel merito inammissibili le censure proposte, la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 14 luglio – 2 ottobre 2020, n. 27437 Presidente Rago – Relatore Di Pisa Ritenuto in fatto 1. Con decreto in data 18 Giugno 2019 la Corte di appello di Roma confermava il decreto pronunciato il 25 Settembre 2018 dal Tribunale di Roma con il quale era stata rigettata la richiesta di misura di prevenzione personale dei confronti di B.M. ed era stata disposta la confisca di alcuni beni immobili, tutti riferibili ai proposti B.M. e D.F.R. , formalmente intestati, in quote uguali, ai figli B.M.R. , G.M.D. e B.V.F.F. terzi interessati nonché del c/c omissis Deustche Bank, intestato al predetto proposto. 2. Contro detto provvedimento, tramite il comune difensore di fiducia e con un unico atto, hanno presentato ricorsi per cassazione B.M. e D.F.R. denunciando, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b , violazione del D.Lgs. n. 159 del 2011, artt. 27 e 10 nonché art. 111 Cost., comma 6. Hanno lamentato che la motivazione sulla provenienza illecita del patrimonio immobiliare confiscato era meramente apparente in quanto non era stato esplicitato il percorso argomentativo idoneo a far comprendere le ragioni della conclusione secondo cui la res sarebbe stata il frutto o il reimpiego di attività illecite. Hanno dedotto che i giudici di merito non avevano valutato l’incontestata circostanza della assenza di indizi o di indici della pericolosità della D. , originaria acquirente del compendio immobiliare, fra il 1993 e l’anno 2003, decennio nel corso del quale non risultava contestata alcuna condotta di reato alla predetta. Hanno rilevato che non era stato rispettato il criterio della ragionevolezza temporale in quanto gli unici fatti contestati alla D. di cui ai proc. penali RG. 17849/2005 e 47618/2005 riguardavano condotte comprese fra il 1991 ed il 1993 ovvero risalenti ad un periodo di gran lunga antecedente all’acquisto intercorso nell’anno 2001 mentre dai certificati penali in atti non si evinceva che alcuna condotta illecita produttiva di accumulazioni patrimoniali era stata posta in essere dalla D. , con o senza il coniuge B.M. , in epoca antecedente o coeva all’acquisto, non risultando nessuna correlazione temporale fra la pericolosità del proposto e la acquisizione dei beni oggetto del provvedimento ablativo. È stato, infine, evidenziato che, parimenti, quanto al c/c omissis Deutsche Bank dell’importo di Euro 2.639,68 intestato B. , la motivazione era da ritenere meramente apparente in quanto, anche con riferimento a tale cespite, mancava ogni argomentazione in ordine alla connessione temporale fra la pericolosità del proposto e l’acquisizione delle somme in questione, atteso che lo stesso non risultava coinvolto in procedimenti successivi al 2010 e, per altro verso, emergeva dagli atti che il ricorrente beneficiava di propri redditi leciti. 3. La Procura Generale, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. Giuseppina Casella, con articolata requisitoria depositata in data 25/03/2020, richiamati i principi giurisprudenziali di cui alla nota pronunzia SS.UU. Spinelli, RV 262604 e 262605 nonché i limiti di impugnabilità in cassazione del provvedimento in materia di misure di prevenzione ha evidenziato come il decreto impugnato risultava adeguatamente motivato sotto il profilo della pericolosità dei ricorrenti, in punto di sproporzione patrimoniale e quanto alla corretta perimetrazione della pericolosità sociale dei proposti, chiedendo la conferma della confisca dei beni immobili formalmente intestati a terzi. Ha chiesto, per contro, annullarsi il decreto della corte di appello quanto al c/c omissis Deutsche Bank ritenendo la motivazione sul punto meramente apparente, avendo i giudici di merito escluso la pericolosità attuale del suddetto ricorrente. 4. Il difensore di fiducia di B.M. e D.F. ha depositato, in data 10 Luglio 2020, istanza di rinvio dell’udienza camerale fissata per la data odierna al fine di poter depositare memoria di replica, precisando che stante l’impossibilità di accedere liberamente alle Cancellerie , a seguito dei numerosi provvedimenti presidenziali per fronteggiare l’emergenza sanitaria da COVID-19, in data 2 Luglio 2020 aveva inviato, a mezzo PEC, richiesta alla cancelleria per prendere visione della requisitoria della Procura Generale, ricevendo la comunicazione della fissazione di un appuntamento per il ritiro di tale atto per il giorno 10 Luglio, con conseguente incolpevole impedimento assoluto per la difesa al tempestivo rispetto del termine per il deposito della memoria di replica . Considerato in diritto 1. Osserva, in primo luogo, il collegio che non può trovare accoglimento la richiesta di differimento dell’odierna udienza camerale formulata dai ricorrenti. Va, invero, evidenziato che a fronte di una requisitoria della Procura Generale depositata in data 25 Marzo 2020 e della comunicazione da parte della cancelleria della fissazione dell’udienza camerale odierna il giorno 21 Maggio 2020, la difesa si è attivata tardivamente solamente agli inizi di luglio, dovendosi, per altro verso, rilevare che, pur a fronte delle restrizioni in ordine all’accesso presso le cancelleria della Suprema Corte legate ai provvedimenti adottati dal Primo Presidente per fronteggiare l’emergenza sanitaria da COVID-19, il difensore non ha in alcun modo comprovato la oggettiva l’impossibilità di accedere liberamente alle Cancellerie nel periodo compreso fra il 21 maggio data di comunicazione del provvedimento di fissazione dell’udienza camerale e le successive settimane, solo genericamente prospettata, con conseguente impossibilità di configurare nella specie un incolpevole impedimento della difesa ad esercitare i propri diritti. 2. Ciò posto va rilevato che i ricorsi sono inammissibili in quanto le censure devono ritenersi proposte per motivi non consentiti e, comunque, manifestamente infondati. 2.1. Deve essere premesso che il ricorso per cassazione in materia di misure di prevenzione può essere proposto, esclusivamente, per violazione di legge . Ne consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e , potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dalla L. n. 1423 del 1956, predetto art. 4, comma 9 il caso di motivazione inesistente o meramente apparente. In motivazione la Corte ha ribadito che non può essere proposta come vizio di motivazione mancante o apparente la deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtà, siano stati presi in considerazione dal giudice o comunque risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato Cass. Sez. U, sent. n. 33451 del 29/05/2014, dep. 29/07/2014, Rv. 260246 . In sostanza, come sopra chiarito nella nozione di violazione di legge rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e Cass. Sez. un., sent. n. 5876 del 28/01/2004, dep. 13/02/2004, Rv. 226710 . Il controllo di legittimità non si estende, quindi, all’adeguatezza delle linee argomentative ed alla congruenza logica del discorso giustificativo della decisione potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso il caso in cui la motivazione manchi assolutamente o sia, altresì, del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza e completezza, al punto da risultare inidonea a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice di merito, ovvero le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate da rendere oscure le ragioni che hanno giustificato il provvedimento. Occorre, pure, considerare che ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello, trattandosi di c.d. doppia conforme, si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando il giudice del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordi nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione Cass. Sez. 3, sent. n. 44418 del 16/07/2013, dep. 04/11/2013, Rv. 257595 . Va del resto evidenziato che il giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congruità della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile. Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016 - dep. 07/04/2016, Genitore e altro, Rv. 26661701 . 2.2. Muovendo da tali premesse va osservato come i giudici di merito, con una motivazione che non può ritenersi nè insussistente nè meramente apparente, hanno rilevato come dagli atti processuali valutati era emerso che i coniugi B. -D. erano stabilmente inseriti nell’ambito di un circuito criminale dedito, attraverso modalità sistematiche e collaudate, al conseguimento di indebiti profitti in danno dell’erario sia direttamente attraverso il conseguimento di sovvenzioni pubbliche per l’editoria ex L. n. 250 del 1990 sia indirettamente mediante la violazione della disciplina in materia di imposizione fiscale ed il depauperamento delle società da loro amministrate. In particolare nel provvedimento di primo grado, integralmente richiamato dai giudici del gravame, risultano analiticamente indicati tutti i procedimenti penali che hanno riguardato e ancora riguardano i ricorrenti, chiaramente sintomatici dell’affermata pericolosità sociale, precisandosi, quanto alla D. , che, benché la stessa non avesse riportato condanne definitive, risultava attinta da tre procedimenti penali n. 47618/2005 n. 53322/2007 n. 1028/2013 per i reati di cui all’art. 416 c.p., art. 640 bis c.p., artt. 2621 e 2622 c.c. L. n. 74 del 2000, art. 5 art. 223, comma 1 in relazione al R.D. n. 267 del 1942, art. 216 comma 1 n. 1 e art. 219, commi 1 e 2. Il provvedimento di primo grado, che va letto, come detto in combinato disposto con quello oggetto di impugnazione in questa sede, ha rilevato con una motivazione più che adeguata la sistematicità delle illecite modalità di azione dei coniugi B. -D. - evasione delle imposte da parte delle società rappresentate reiterate e costanti distrazioni dei beni delle società di fatto riconducibili al B. e sistematicamente condotte al fallimento, previo svuotamento di ogni elemento attivo abituale predisposizione di documentazione falsa allegata alle richieste di finanziamento a sostegno dell’editoria, con induzione in errore dei funzionari della Presidenza del Consiglio preposti all’erogazione e conseguente illecita percezione di ingentissime somme di danaro - che si sono protratte dall’inizio degli anni ‘90 sino al 2010 per il B. che non risulta coinvolto in procedimenti penali per fatti commessi dopo il 2010 e sino al 2009 per la D. rispetto alla quale è stato sottolineato che la predetta è indagata, unitamente al coniuge, nell’ambito del procedimento n. 1028/2013 per i delitti di cui agli art. 223, comma 1, in relazione al R.D. n. 267 del 1942, art. 216, comma 1, n. 1 e art. 219, comma 1 e comma 2, n. 1 contestati sino al 2009, anno dichiarativo della sentenza di fallimento della società cooperativa di giornalisti Abrond House e che i reati di cui agli artt. 416 e 640 bis c.p. oggetto del p.p. n. 47618/2005, per i quali con sentenza in data 30.06.2014 è stata dichiarata la prescrizione, sono stati contestati dall’anno 2000 all’anno 2006 . Nè l’assunto difensivo coglie nel segno in punto di sproporzione patrimoniale e di perimetrazione temporale della pericolosità sociale dei proposti. Come correttamente rilevato dalla Procura Generale nella menzionata requisitoria, dalla lettura congiunta dei decreti di primo e secondo grado emerge che la ritenuta pericolosità sociale della D. , quale misura temporale dell’ambito applicativo della confisca di prevenzione, è stata ancorata ai beni immobili acquistati nell’arco di tempo in cui si è manifestata la affermata pericolosità risultando, quindi, certamente suscettibili di ablazione. La corte territoriale - dopo aver ricordato che ai fini della confisca di prevenzione non occorre la dimostrazione della derivazione causale tra i redditi illeciti e l’acquisto dei beni, essendo sufficiente che detti beni siano stati acquistati nel periodo di conclamata pericolosità - ha rilevato, con iter motivazionale che non può ritenersi nè carente nè meramente apparente, la sussistenza del requisito della sproporzione, nel periodo di riferimento anno 2001 , tra la capacità reddituale dei proposti e quanto è stato oggetto di confisca in particolare, a fronte di un reddito dichiarato dal 1986 al 2014 pari ad Euro 245.000,00, è stato rilevato come vi era prova di un patrimonio immobiliare di ingente valore, il complesso immobiliare sito in OMISSIS , acquistato dalla D. nell’anno 2001 e successivamente trasferito a titolo gratuito ai tre figli, nell’anno 2015, consiste in una villa di 18 vani con terreno boschivo, garage e cantina, oltre ad un altro appartamento posto al primo piano composto da 4,5 vani e garage, complesso acquistato al prezzo indicato, nei due contestuali atti di compravendita, al prezzo di Euro 2.685.000,00 ed Euro 105.000,00, somme di cui non risultano le modalità di pagamento e nè, tantomeno, risulta l’origine delle provviste utilizzate che, in quanto incompatibile e sproporzionato rispetto alle entrate lecite la sproporzione è stata calcolata nella misura di Euro 860.201,58 per gli anni 2000/2015 è da ritenersi frutto delle accumulazioni illecite derivanti dalla numerose attività delinquenziali dei ricorrenti di cui si è fatto cenno vale a dire il depauperamento delle società da loro amministrate, la sistematica attività di frode fiscale, il conseguimento di contributi statali per l’editoria, in realtà, non dovuti . Orbene, rispetto a tali argomentazioni e valutazioni - che richiamano quelle, particolarmente ampie ed analitiche, del giudice di primo grado - le deduzioni difensive sono prive di idonea capacità confutativa. Nel richiamato provvedimento di primo grado risultano, invero analiticamente evidenziati la sproporzione dei redditi dichiarati, la assenza di dati oggettivi che attestino la provenienza della provvista, la genericità dei riferimenti difensivi ad asserite acquisizioni di liquidità da parte della D. per effetto di atti di vendita pregressi, l’incongruenza dei dati economici indicati dalla difesa inidonei a scalfire il giudizio di totale sproporzione tra i redditi dichiarati e gli investimenti immobiliari effettuati, ricadenti in periodo di pieno svolgimento dell’attività delittuosa dei ricorrenti v. ff. 20-25 . Dunque, le ragioni che hanno condotto il tribunale, prima, e la corte di merito, poi, ad affermare l’assenza di redditività dei proposti in maniera proporzionata agli acquisti immobiliari effettuati sono state ineccepibilmente ed esaustivamente esposte nella motivazione dei rispettivi provvedimenti risulta del tutto coerente rispetto alle risultanze documentali e, come tale, non si presta a censure in questa sede. 2.3. Ora risulta di tutta evidenza che con i ricorsi in esame la difesa dei proposti tende a indicare una diversa ricostruzione dei fatti lamentando come la corte di appello li ha ricostruiti con riguardo alla provenienza delle risorse economiche necessarie all’acquisto dei beni da porre in correlazione alla continuata attività delittuosa dei predetti ma ciò oltre a comportare un’inammissibile richiesta di rivalutazione da parte di questa Corte Suprema del merito della vicenda e degli elementi probatori che la sorreggono, non consente di ipotizzare la ricorrenza di una violazione di legge nel senso sopra indicato ma di ricondurre al più le doglianze formulate nell’alveo del disposto dell’art. 606 c.p.p., lett. e in relazione al quale, però, non può essere ammissibilmente presentato ricorso innanzi a questa Corte di legittimità in presenza di una motivazione che - come quella contenuta nel decreto gravato - è certamente esistente e non meramente apparente. In questa sede i ricorrenti lamentano, come si è detto, in particolare una motivazione carente e/o apparente e, sostanzialmente, illogica quanto al criterio della c.d. ragionevolezza temporale. Sennonché si deve replicare che le argomentazioni addotte dalla corte di merito sono sorrette da motivazione tutt’ altro che carente ma, anzi, congrua ed adeguata proprio perché la stessa ha preso in esame gli elementi probatori forniti dall’accusa, ha valutato la tesi difensiva ed i medesimi motivi di censura oggi reiterati ed è giunta a disattenderla sulla base di un iter motivazionale che, stante i ristretti limiti in cui può essere impugnata la motivazione in questa sede di legittimità, non può dirsi nè meramente apparente nè mancante avendo i giudici del merito valorizzato l’assenza di ogni plausibile fondamento circa la liceità della provvista della D. coinvolta in un lungo arco temporale, compreso fra il 1991 e il 2006 unitamente al marito, in usa serie di attività illecite oggetto di numerosi procedimenti penali, secondo quanto adeguatamente riscontrato dai giudici di merito, al di là delle risultanze dei certificati penali. In altri termini appare evidente che la motivazione quanto alla ricostruzione della correlazione temporale fra pericolosità ed acquisto dei beni è tutt’ altro che carente o meramente apparente, contiene tutti gli elementi per ritenere che la corte teritoriale abbia adempiuto all’obbligo motivazionale, sicché, non essendo ipotizzabile alcuna violazione di legge, tutte le censura vanno ritenute inammissibili in quanto il ricorrente si è limitati, in modo surrettizio, a far valere la manifesta illogicità e la contraddittorietà dell’impugnato provvedimento ovvero il motivo di cui all’art. 606 c.p.p., lett. d , ossia quei vizi motivazionali non deducibili in questa sede. Per il resto deve osservarsi che la difesa dei ricorrenti, sotto il profilo del vizio di legge che discenderebbe da una asserita carenza od erroneità motivazionale del provvedimento impugnato in punto di pericolosità dei proposti, di sproporzione patrimoniale e quanto alla corretta perimetrazione della pericolosità sociale dei proposti, tenta in realtà di sottoporre a questa Corte un giudizio di merito, non consentito. La natura del controllo demandato la Corte di Cassazione infatti, può essere solo di legittimità e non può estendersi ad una valutazione di merito al giudice di legittimità resta tuttora preclusa - in sede di controllo della motivazione - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito. 2.4. Osserva, infine, questo Collegio che la motivazione dei giudici di merito è da ritenere immune da censure anche nella parte in cui, ricostruita la carriera criminale del B. ed i redditi dello stesso, ha ritenuto che la somma depositata presso c/c XXXXXX Deustche Bank intestato al predetto costituiva residuo degli illeciti guadagni dello stesso . Non può, invero, non considerarsi come, a seguito della ricostruzione in fatto operata dai giudici di merito il ricorrente, nell’atto di impugnazione in appello si è limitato, del tutto, apoditticamente a dedurre come Contrariamente a quanto ritenuto dal collegio si ritiene tuttavia che la documentata attività di consulenza svolta dal B. a far data da 2014 per curare e promuovere il lancio dei prodotti della Società Promo-Pharma S.p.A. in uno con la pensione di invalidità dallo stesso percepita a far data dal 2014 siano assolutamente idonee e sufficienti a dimostrare l’origine lecita della fonte produttiva del denaro , profilo di censura del tutto generico ed aspecifico e, quindi, inammissibile, con conseguente inammissibilità della censura prospettata in questa sede che finisce per involgere elementi non previamente dedotti innanzi ai giudici di merito. 3. Per le considerazioni esposte, dunque, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili. Alla declaratoria d’inammissibilità consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché al pagamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro duemila ciascuno. P.Q.M. dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.