Manca un pezzo della motivazione: sentenza annullata e processo da rifare

L'omissione valutativa, commessa dal giudice di secondo grado in relazione a uno specifico punto sollevato con un motivo di gravame, determina la nullità della sentenza nel caso in cui abbia arrecato un pregiudizio alle ragioni della difesa, mentre di contro non genera alcuna nullità se il punto omesso risulti implicitamente trattato.

Così ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione Prima Penale, con la sentenza n. 27230/20, depositata il 30 settembre. Giudizio da rifare per l'amante dell'Angelo della Morte. La vicenda processuale dell'Angelo della Morte – così è stato definito il medico dell'ospedale di Saronno accusato di aver provocato la morte di alcuni pazienti fragili”, anziani e con gravi patologie - fa da sfondo a quella che vede oggi protagonista l'infermiera che, secondo la ricostruzione degli inquirenti, era legata da una relazione sentimentale con il medico e che sarebbe responsabile di aver eliminato il proprio marito e la propria madre attraverso la somministrazione di farmaci che ne avrebbero provocato il decesso. La loro storia ha occupato per molto tempo le pagine dei giornali una vicenda inquietante, nella quale il centro dell'attenzione – oltre che sul gesto omicidiario in sé – è incentrato sulle profondità più oscure della mente umana. Eutanasia mascherata da terapia palliativa? Lasciamo agli esperti la definizione tecnica di quel trattamento i suoi esiti, ad ogni modo, erano sempre gli stessi chi ne subiva la somministrazione finiva rapidamente nella tomba. Tra le accuse mosse all'imputata – che veniva tratta a giudizio con altri, accusati di falso, omessa denuncia ed altri reati – c'è però quella di avere utilizzato dei farmaci killer per sbarazzarsi del proprio marito e, chissà perchè, della propria madre. A chiunque sarebbe venuto in mente di riflettere sullo stato di salute mentale del responsabile di un gesto del genere anche il giudice di primo grado si poneva questo scrupolo e, nelle forme dell'incidente probatorio, si dava luogo a perizia psichiatrica il cui esito era quello della sussistenza della capacità di intendere e volere dell'imputata al momento del fatto. Nessuna patologia mentale, quindi, né altro genere di disturbo della personalità tale da rilevare quale vera e propria infermità psichica. Dopo l'emissione del verdetto d'appello, all'esito del quale il quadro rimaneva per l'infermiera sostanzialmente inalterato, si verificava un inghippo la ponderosa motivazione della sentenza, depositata in cancelleria, era mancante dell'intero capitolo dedicato alla confutazione delle censure mosse dalla difesa in ordine alla problematica della capacità di intendere e di volere dell'imputata. Mentre la motivazione era in cantiere, per un banale errore di assemblaggio uno dei file che la componevano non veniva riunito agli altri. Risultato la motivazione risultava monca. Si cercava di porre rimedio al guaio mediante la specifica procedura per la correzione della sentenza, prevista dal codice di rito proprio per correggerne gli errori materiali. Le difese, però, insorgevano un conto è rettificare un errore, ben altra cosa è integrare la motivazione di una sentenza aggiungendovi una parte del tutto mancante e introducendovi nel caso di specie elementi valutativi prima materialmente insussistenti. Dopo aver quindi ottenuto che la sentenza restasse così com'era – e cioè incompleta – calavano le scuri dei ricorsi per cassazione. Con un comune denominatore praticamente corale l'eccezione di nullità della decisione impugnata. Manca la risposta ad un motivo di appello? La sentenza è affetta da nullità. Con rigore metodologico e scientifico i Supremi Giudici non perdonano i loro colleghi del grado d'appello il principio di diritto applicato è lineare e semplice. Se nella decisione di secondo grado manca la risposta” esplicita ad una precisa doglianza, e questa non è altrimenti implicitamente contenuta in altra parte della sentenza non v'è che una sola possibilità la declaratoria di nullità della decisione impugnata. Questo fondamentale caposaldo relativo ai profili di validità della decisione di appello, formatosi sotto la vigenza del codice di rito abrogato, è giunto incontrastato fino a noi e viene così giustamente ribadito. La garanzia principale della difesa è ottenere una risposta alle censure se questa manca la sentenza è quantomeno parzialmente nulla. Tanto più quando il difetto di risposta” investe profili di fondamentale rilievo quali quelli in tema di imputabilità. La capacità di intendere e volere l'annosa questione dei gravi disturbi della personalità. Già che ci sono, gli Ermellini entrano nel vivo del tema oggetto d'analisi. Che rilevanza hanno i gravi disturbi della personalità per determinare la sussistenza o meno della imputabilità? Dopo le Sezioni Unite Raso” del 2005 si è imposto un atteggiamento molto maturo ed attento al problema del disturbo mentale – che va separato dall'irrilevante stato emotivo e passionale – fino a poco tempo prima considerato di rilievo soltanto se nosograficamente coincidente con una delle patologie mentali classificate”. I gravi disturbi della personalità possono escludere l'imputabilità a condizione che siano di tale consistenza e intensità da concretamente incidere sulla capacità di intendere e di volere”. Un accertamento che va fatto caso per caso, quindi, nel rispetto dello spirito dell'individualizzazione del giudizio di responsabilità penale. Vedremo, nel giudizio di rinvio, indispensabile per colmare le lacune della decisione annullata, quale rilievo verrà assegnato alla condizione psichica dell'imputata.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 11 – 30 settembre 2020, n. 27230 Presidente Magi – Relatore Centonze Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa il 23/02/2018 il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Busto Arsizio, pronunciandosi all'esito di giudizio abbreviato, per quanto di interesse ai presenti fini, emetteva nei confronti degli imputati T.L., B.C., S.D., Fr.Fa. e F.G., le seguenti statuizioni processuali. 1.1. L'imputata T.L. veniva giudicata colpevole dei reati che le venivano ascritti ai capi G artt. 110 e 582 c.p., art. 583 c.p., comma 1, n. 1 e art. 585 c.p., in relazione all'art. 577 c.p., comma 1, n. 2 , H artt. 110 e 479 c.p., in relazione all'art. 476 c.p., commi 1 e 2 , I artt. 110 e 479 c.p., in relazione all'art. 476 c.p., commi 1 e 2 , L artt. 110 e 479 c.p., in relazione all'art. 476 c.p., commi 1 e 2 , M artt. 110 e 582 c.p., art. 583 c.p., comma 1, n. 1 e art. 585 c.p., in relazione all'art. 577 c.p., comma 1, n. 2 , N artt. 110 e 479 c.p., in relazione all'art. 476 c.p., commi 1 e 2 , O art. 575 c.p., art. 577 c.p., comma 1, n. 2 , P artt. 110 e 575 c.p., art. 576 c.p., comma 1, n. 2 , V artt. 110 e 479 c.p. , unificati dal vincolo della continuazione e - precisate le qualificazioni giuridiche del delitto di cui al capo I ex artt. 110,117 e 479 c.p., in relazione all'art. 476 c.p., comma 1, del delitto di cui al capo V ex artt. 110,117 e 480 c.p. e la qualità dell'imputata quale incaricata di pubblico servizio - concesse le attenuanti generiche, con giudizio di subvalenza rispetto alle aggravanti di cui al capo P e di equivalenza rispetto alle aggravanti contestate negli altri capi, applicata la riduzione per il rito abbreviato con cui si procedeva, veniva condannata alla pena di trent'anni di reclusione. L'imputata T., invece, veniva assolta dal reato di cui al capo Q art. 110 c.p., art. 61 c.p., comma 1, n. 5, art. 575 c.p., art. 577 c.p., commi 1, n. 1, e comma 2 , per non aver commesso il fatto. L'imputata T., inoltre, veniva condannata alle pene accessorie di legge e al pagamento delle spese processuali e di mantenimento durante la custodia cautelare in carcere. All'imputata, infine, veniva applicata la misura della libertà vigilata per la durata di tre anni. 1.2. L'imputato B.C. veniva giudicato colpevole del reato di cui al capo E artt. 110 e 361 c.p. e, applicata la riduzione per il rito abbreviato, veniva condannato alla multa di 344,00 Euro, di cui si disponeva la non menzione nel certificato del casellario giudiziario, oltre al pagamento delle spese processuali. 1.3. L'imputato S.D. veniva giudicato colpevole del reato di cui al capo V - precisata la qualificazione giuridica del delitto ex artt. 110,117 e 480 c.p. - e, applicata la riduzione per il rito abbreviato, veniva condannato alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione, contestualmente sospesa, oltre al pagamento delle spese processuali. 1.4. L'imputato Fr.Fa. veniva giudicato colpevole dei reati di cui ai capi E artt. 110 e 361 c.p. e F artt. 110 e 378 c.p. - assorbito il primo delitto nel secondo - e, applicata la riduzione per il rito abbreviato, veniva condannato alla pena di quattro mesi di reclusione, contestualmente sospesa, oltre al pagamento delle spese processuali. 1.5. L'imputato F.G. veniva giudicato colpevole del reato di cui al capo L artt. 110 e 479 c.p., in relazione all'art. 476 c.p., commi 1 e 2 - precisata la qualificazione giuridica del delitto di cui all'imputazione ex artt. 110,117 e 479 c.p., in relazione all'art. 476 c.p., comma 1, - e concesse le attenuanti generiche, ritenute equivalenti alla contestata aggravante, applicata la riduzione per il rito abbreviato, veniva condannato alla pena di otto mesi di reclusione, contestualmente sospesa, oltre al pagamento delle spese processuali. 1.6. Infine, gli imputati T.L., B.C., S.D., Fr.Fa. e F.G. venivano condannati al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili costituite nei loro confronti - G.F., G.R., G.M.P., G.G., G.I., Fl.Ma.Pi. e l'Azienda Socio-Sanitaria della omissis - e al pagamento delle spese di costituzione e di lite sostenute in giudizio dagli stessi soggetti processuali. 2. Con sentenza emessa il 03/07/2019 la Corte di assise di appello di Milano, pronunciandosi sull'impugnazione proposta dagli imputati T.L., B.C., S.D., Fr.Fa. e F.G., in parziale riforma della decisione di primo grado, emetteva le seguenti statuizioni processuali. L'imputato Fr.Fa. veniva assolto dall'imputazione ascrittagli al capo F, già descritto, perchè il fatto non costituisce reato, con la conseguente rideterminazione della pena per il residuo reato di cui al capo E in 344,00 Euro di multa. Veniva, inoltre, disposta la revoca della condanna di tutti gli imputati in favore dell'Azienda Socio-Sanitaria della omissis che era stata disposta con la sentenza di primo grado. Veniva, ancora, disposta la revoca della condanna dell'imputata T.L. al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese di costituzione e di lite nei confronti della parte civile G.I., limitatamente al reato di cui al capo Q, già descritto. Veniva ulteriormente disposta, ai sensi dell'art. 537-bis c.p.p., l'indegnità a succedere dell'imputata T.L. nell'asse ereditario di Cl.Ma.Ri. e G.M.G La sentenza di primo grado, nel resto, veniva confermata, con la conseguente condanna degli appellanti T.L., F.G., S.D., Fr.Fa., B.C. al pagamento delle spese processuali del grado e i primi tre imputati alla rifusione delle spese di costituzione e lite delle parti civili Fl.Ma.Pi. e G.G., che si erano costituite nei loro confronti. 3. I fatti di reato di cui si controverte traevano origine da una denuncia presentata da L.C., un'infermiera dell'Ospedale di omissis , nei confronti del dottor Ca.Le., che all'epoca dei fatti prestava servizio quale medico anestesista presso il pronto soccorso della struttura sanitaria saronnese, che, secondo la querelante, somministrava a pazienti anziani e affetti da gravi patologie una terapia farmacologica, definita dal professionista denunciato il suo protocollo , che ne accelerava il decesso. A seguito delle verifiche investigative scaturite da tale denuncia si traeva conferma della fondatezza delle accuse di L.C., essendosi accertato che il protocollo terapeutico applicato dal dottor Ca.Le. nei confronti di pazienti anziani e infermi, comportava la somministrazione di sostanze farmacologiche - tra le quali il Propofol, il Midazolan e il Nimex - la cui combinazione e il cui sovradosaggio, pur esplicando contingenti effetti analgesici, acceleravano l'esito infausto della degenza dei soggetti ricoverati. In questo contesto, veniva accertato il coinvolgimento del dottor Ca. nella morte di L.A., V.G.P., La.Lu., I.A., Co.Ad., Cr.Lu., Gu.Gi., G.A. e S.I Lo stesso dottor Ca., peraltro, nel corso degli esami ai quali veniva sottoposto nell'ambito delle indagini preliminari, ammetteva di avere somministrato la terapia farmacologica controversa di sua iniziativa, allo scopo di attenuare le conseguenze delle gravi patologie da cui erano affetti i pazienti anziani ricoverati presso l'Ospedale di omissis , pur ritenendo il protocollo sanitario applicato una scelta terapeutica legittima, che qualificava come una sedazione palliativa terminale . D'altra parte, come si accertava fin dalla prima fase delle indagini, il dottor Ca., in diverse occasioni, aveva parlato del protocollo terapeutico applicato ai pazienti fragili ai medici e agli infermieri del Pronto Soccorso dell'Ospedale di omissis , autodefinendosi l' omissis . Da questi accertamenti investigativi emergeva ulteriormente il coinvolgimento in alcuni di questi episodi delittuosi di T.L., che svolgeva le funzioni di infermiera professionale presso l'Ospedale di omissis , dove si erano verificati i decessi oggetto d'indagine. Dei profili biografici di T.L., in particolare, si occupava diffusamente la sentenza di primo grado, descrivendo i vari passaggi della vita privata e professionale dell'imputata nelle pagine 130138 di tale decisione, anche alla luce della relazione sentimentale instaurata con Ca.Le., che aveva inizio nell'estate del 2011. Si ipotizzava, in particolare, che l'imputata aveva commesso, in concorso con il dottor Ca., con il quale, come detto, aveva intrapreso una relazione extraconiugale, i reati di cui ai capi G, O, P e Q, che riguardavano le lesioni personali aggravate e l'omicidio del marito, G.M.G., l'omicidio della madre, Cl.Ma.Ri., l'omicidio del suocero, G.L. tuttavia, da quest'ultimo delitto, ascrittole al capo Q, T.L. veniva assolta all'esito del giudizio di primo grado, celebrato davanti al Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Busto Arsizio. Si accertava, al contempo, in questo articolato contesto, che T.L. commetteva alcuni ulteriori reati, che costituivano una propaggine criminosa degli episodi delittuosi sopra richiamati, nel cui ambito venivano commessi i delitti di cui ai capi H, I, L, M, N e V, dei quali, per quanto di interesse ai presenti fini, il reato di cui al capo L veniva eseguito in concorso con l'imputato F.G., mentre il reato di cui al capo V veniva eseguito in concorso con l'imputato S.D In questo ampio e stratificato contesto criminoso, si accertava, così come contestato ai capi G e O della rubrica, che T.L., agendo d'intesa con Ca.Le., dopo avere indotto il marito a credere di essere affetto da diabete e da altre gravi patologie, che in realtà si rivelavano insussistenti, gli somministrava una terapia farmacologica fondata su medicinali contenenti principi attivi la cui combinazione determinava il progressivo decadimento fisico di G.M.G., fino al suo decesso, che si verificava, a omissis . Si accertava, al contempo, così come contestato al capo P della rubrica, che T.L. - anche in questo caso agendo d'intesa con Ca.Le. seguendo un modus operandi analogo a quello esaminato per i reati di cui ai capo G e O, somministrava alla madre, Cl.Ma.Ri., senza che vi fosse alcuna concreta necessità terapeutica, medicinali che le procuravano una grave insufficienza respiratoria, fino a provocarne una condizione comatosa, in conseguenza della quale la genitrice dell'imputata decedeva, a omissis . Questa ricostruzione degli accadimenti criminosi che portavano al decesso di G.M.G. e di Cl.Ma.Ri., a sua volta, trovava conferma negli interrogatori resi dall'imputata T.L. nel corso delle indagini preliminari, pur dovendosi precisare che a tali dichiarazioni confessorie i Giudici di primo e di secondo grado attribuivano un rilievo probatorio parzialmente differente. Più precisamente, l'imputata T.L., quanto all'omicidio del marito, G.M.G., che le veniva contestato al capo O della rubrica e che si verificava a omissis , riferiva di, avergli somministrato, in un certo arco temporale, dei medicinali che gli erano stati indicati dal dottor Ca.Le Nello stesso contesto motivazionale, i Giudici di merito ritenevano provata la commissione del reato di lesioni personali aggrayate contestate al capo G, atteso che le patologie causate dall'imputata al coniuge dovevano ritenersi provocate esclusivamente dai farmaci che gli venivano somministrati senza alcuna, effettiva, esigenza nosografica. Considerazioni analoghe valevano per l'omicidio della madre, Cl.Ma.Ri., che le veniva contestato al capo P e si verificava a omissis , per il quale l'imputata T.L., sottoposta a interrogatorio nel corso delle indagini preliminari, ammetteva le sue responsabilità, precisando che aveva eseguito il delitto attraverso la somministrazione di un farmaco fibrinolitico - che, nel pomeriggio che precedeva il decesso, le aveva portato il dottor Ca. - attraverso il quale aveva provocato alla genitrice un'emorragia cerebrale, causandone la morte. Tale ricostruzione delle lesioni personali aggravate di cui al capo G e degli omicidi di cui ai capi O e P venivano ulteriormente corroborati - secondo le valutazioni espresse nelle decisioni di merito - dalle intercettazioni eseguite nel corso delle indagini preliminari, che venivano registrate tra T.L. e Ca.Le., dalle quali i Giudici di merito traevano la conferma dell'intesa, sentimentale e criminosa, esistente tra i due soggetti, in conseguenza della quale si erano concretizzati i comportamenti criminosi posti in essere in danno di G.M.G. e di Cl.Ma.Ri Venivano, inoltre, esaminati diversi soggetti, appartenenti alla cerchia familiare di T.L. e che l'avevano frequentata nell'arco temporale in cui si erano concretizzati gli episodi delittuosi di cui ai capi G, O e P, i quali fornivano un'ulteriore conferma dell'assunto accusatorio, secondo cui i due omicidi si erano sviluppati nel complesso contesto relazionale che legava l'imputata e Ca.Le Analogo rilievo probatorio veniva attribuito dai Giudici di merito alle dichiarazioni rese da alcuni soggetti appartenenti all'ambiente ospedaliero saronnese dove operavano i due amanti. Deve ulteriormente evidenziarsi che, nel giudizio di primo grado, veniva svolta una consulenza tecnica del pubblico ministero - eseguita dal dottor B.F., dal dottor Ba.Br. e dal dottor Du.Lu. - finalizzata ad accertare se le patologie per le quali erano stati ricoverati alcuni pazienti, diversi da quelli oggetto del presente procedimento, richiedessero il trattamento farmacologico somministrato dal dottor Ca.Le., ai cui esiti il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Busto Arsizio si richiamava nella sentenza emessa il 23/02/2018 allo scopo di inquadrare il contesto ospedaliero nel quale si verificavano i fatti in contestazione. Tale passaggio processuale si rivelava decisivo per accertare le responsabilità degli imputati Fr.Fa. e B.C., che, all'esito di giudizi di merito, venivano condannati per il reato di cui al capo E della rubrica. Deve, ancora, evidenziarsi che, nel corso del giudizio di primo grado, veniva disposta una perizia psichiatrica finalizzata ad accertare la capacità di intendere e di volere dell'imputata T.L., per l'esperimento della quale il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Busto Arsizio, all'udienza del 25/09/2017, svoltasi con le forme dell'incidente probatorio, incaricava la professoressa Me.Is. e il dottor M.F Sulla scorta di tali verifiche peritali, le cui conclusioni venivano integralmente recepite nella sentenza di primo grado - che si soffermava su tali profili valutativi nel passaggio motivazionale esplicitato nelle pagine 252-257 della decisione in questione - il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Busto Arsizio reputava l'imputata T.L. capace di intendere e di volere al momento della commissione dei reati che le venivano contestati ai capi G, H, I, L, M, N, O, P e V, non ritenendola affetta dalle infermità psichiche che erano state dedotte dal suo difensore sulla scorta degli accertamenti eseguiti dal dottor P.N., quale consulente tecnico della difesa. Si evidenziava, in particolare, che nell'imputata non erano state accertate patologie di rilevanza psichiatrica e non erano stato riscontrati disturbi della personalità strutturati, riconducibili alle categorie individuate dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali e idonei a fare ritenere la ricorrente incapace di intendere e di volere al momento della commissione dei reati che le venivano contestati. Ne conseguiva che non era stato accertato, in capo a T.L., un quadro clinico giuridicamente rilevante, avendo i periti d'ufficio Me. e M. dato atto di una personalità che, pur essendo disarmonica e disturbata , non era inquadrabile quale infermità psichica rilevante ex artt. 88 e 89 c.p Secondo il Giudice di primo grado, in ogni caso, non valevano a sconfessare le conclusioni dei periti d'ufficio le deduzioni del consulente tecnico della difesa, il citato dottor P., che risultavano smentite dalle condizioni nosografiche di T.L., che imponevano di ritenerla capace di intendere e di volere, pur nel contesto di disarmonia caratteriale sopra richiamato. Nè potevano rilevare, in senso favorevole all'imputata, le condizioni di disagio emotivo che erano state accertate dai periti d'ufficio e che le erano state provocate dalla custodia cautelare patita, essendo, al contrario, emerso che, durante tale periodo di carcerazione, il percorso terapeutico che era stato attivato nei suoi confronti, aveva determinato effetti positivi, dando origine a una incessante opera di rielaborazione . 3.1. Nel contesto processuale che aveva portato i Giudici di merito a ritenere T.L. colpevole dei reati di cui ai capi G, H, I, L, M, N, O, P e V della rubrica, venivano accertate le residue imputazioni, che venivano ascritte ai capi E, L e V agli altri imputati del presente procedimento, B.C., S.D., Fr.Da. e F.G., sulle quali occorre soffermarsi partitamente. Più precisamente, l'imputato B.C. veniva giudicato colpevole del reato di cui al capo E della rubrica, ascrittogli ai sensi degli artt. 110 e 361 c.p. e commesso a omissis , perchè, nella sua qualità di componente della commissione medica costituita dal dottor Co.Ro. presso l'Ospedale di omissis , incaricata di accertare la veridicità delle segnalazioni effettuate dagli infermieri professionali R.I. e L.C., ometteva di denunciare il dottor Ca.Le. all'autorità giudiziaria e alle altre autorità competenti per i reati contestatigli ai capi A, B, C, D, E, per i quali si procedeva in separata sede. Di tale commissione facevano parte, oltre allo stesso B., l'imputato Fr.Fa., la dottoressa Pe.Ma.Lu., il dottor Sc.Ni. e il dottor V.P., che svolgeva anche le funzioni di coordinatore. Analoga imputazione veniva ascritta all'imputato Fr.Fa., al quale originariamente veniva contestato anche il reato di cui al capo F, ai sensi degli artt. 110 e 378 c.p., dal quale però era stato assolto all'esito del giudizio di secondo grado, celebrato davanti alla Corte di assise di appello di Milano. L'imputato F.G. veniva ritenuto responsabile del reato di cui al capo L, ascrittogli ai sensi degli artt. 110 e 479 c.p., in relazione all'art. 476 c.p., commi 1 e 2, perchè, agendo in concorso con Ca.Le. e T.L., nella sua qualità di dirigente medico addetto all'Ospedale di omissis , redigeva il referto medico n. omissis , di cui veniva accertata la falsità. In tale referto medico, il dottor F. attestava falsamente che erano state effettuati una visita generale e un prelievo di sangue al paziente G.M.G. - il marito di T.L. -, che invece non era presente in reparto e il cui campione ematico era stato fornito dalla consorte nello stesso referto medico, l'imputato F. attestava falsamente che il paziente in questione, all'esito dei controlli ai quali veniva sottoposto, misurava un tasso glicemico di 519 mgl. Infine, l'imputato S.D. veniva giudicato colpevole del reato di cui al capo V, così come qualificato nel giudizio di primo grado, ai sensi degli artt. 110,117 e 480 c.p., perchè, agendo in concorso con T.L., nella sua qualità di dirigente medico dell'Ospedale di omissis , presso cui era stato constatato il decesso di G.M.G., verificatosi il omissis , redigeva la falsa relazione medica - copertura con morte , datata omissis , che veniva indirizzata alla compagnia assicuratrice Credit Agricole Creditor Insurance. Secondo i Giudici di merito, in questa relazione, il dottor S. attestava falsamente che G.M.G. era deceduto per cause naturali , conseguenti a un arresto cardiocircolatorio si attestava, inoltre, falsamente che nel paziente erano state riscontrate patologie preesistenti, consistenti in diabete mellito di tipo II, dislipidemia si attestava, infine, falsamente che il medico sottoscrittore era stato il medico che aveva constatato il decesso pur non avendo tale qualità nè preso visione della documentazione medica relativa al soggetto deceduto richiamata nella relazione controversa. Sulla scorta di tale ricostruzione degli accadimenti criminosi gli imputati T.L., B.C., S.D., Fr.Fa. e F.G. venivano condannati alle pene di cui in premessa. 3.2. Deve, infine, precisarsi che, dopo il deposito della motivazione della sentenza di secondo grado, avvenuto il 30/11/2019, la Corte di assise di appello di Milano disponeva l'integrazione della motivazione, attraverso la procedura di cui al combinato disposto degli artt. 130 e 547 c.p.p., relativamente all'omesso inserimento di un capitolo di tredici pagine, intitolato B reati commessi nell'ambito della famiglia G. , che si assumeva causato da un mero errore in cui era incorso l'estensore al momento dell'assemblaggio delle varie parti del provvedimento decisorio. Secondo l'ordinanza con cui si disponeva l'integrazione della motivazione della sentenza - nel quale è indicata la data erronea del 23/06/2019, che risulta antecedente a quella del 30/11/2019, anche se il provvedimento reca il timbro di avvenuto deposito del 23/12/2019 -, tale errore materiale era dipeso unicamente dalla difficoltà di assemblare le varie parti della motivazione della decisione, che erano state redatte separatamente dal suo estensore, per ragioni di comodità , collegate all'imponente mole della provvedimento. La sentenza, infatti, era composta, da centoventidue pagine e tale consistenza aveva imposto all'estensore la redazione separata delle varie sezioni e la successiva unificazione dei files che le riguardavano, da cui era stata esclusa la parte oggetto del provvedimento integrativo emesso dalla Corte di assise di appello di Milano il 23/12/2019. In questa cornice, la Corte di assise di appello di Milano, come evidenziato a pagina 2 del provvedimento integrativo, ritenuto che la parte mancante risulta utile e necessaria per la completezza del provvedimento e la sua comprensione ed esiste nell'ordinamento un rimedio specifico che consente la correzione di cui all'art. 547 c.p.p. . , disponeva l'attivazione della procedura prevista dall'art. 130 c.p.p., comma 2, e individuava l'udienza del 22/01/2020, alle 9.15 per la discussione in camera di consiglio della correzione dell'errore materiale di cui sopra . Tuttavia, all'esito della camera di consiglio celebrata il 22/01/2020 in contraddittorio con le parti, la Corte di assise di appello di Milano, recependo le censure formulate dalle difese degli imputati, riteneva che non sussistevano i presupposti per l'adozione della procedura di correzione dell'errore materiale che era stata attivata, con la conseguenza che non dava corso all'integrazione motivazionale disposta con l'ordinanza emessa il 23/12/2019. Nel passaggio motivazionale esplicitato a pagina 7 del provvedimento adottato all'esito della camera di consiglio del 22/01/2020, in particolare, si evidenziava che, nel caso di specie, si fuoriusciva dall'ambito applicativo della procedura attivata ex artt. 547 e 130 c.p.p., atteso che l'inserimento della parte di sentenza mancante comporterebbe non semplicemente un intervento dal contenuto oggettivamente vincolato e predeterminato . bensì anche integrazioni di tipo valutativo, contenendo argomentazioni in risposta a motivi di appello svolti dalle parti, in particolare dalla parte T. . La motivazione della sentenza di appello, dunque, rimaneva immutata nella veste redazionale depositata il 30/11/2019, che conseguentemente è quella con la quale ci si deve confrontare ai presenti fini processuali. 4. Avverso la sentenza di appello gli imputati T.L., B.C., S.D., Fr.Fa. e F.G. ricorrevano per cassazione, con atti di impugnazione di cui occorre dare separatamente conto. 4.1. L'imputata T.L., a mezzo dell'avv. Cataldo Domenico Intrieri, ricorreva per cassazione con un atto di impugnazione articolato in sette motivi di ricorso. Con il primo motivo di ricorso, che veniva proposto in via preliminare rispetto alla prospettazione delle ulteriori censure difensive, si eccepiva la nullità della sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 125 c.p.p., per la mancanza della motivazione relativa al capitolo intitolato B reati commessi nell'ambito della famiglia G. e, ai sensi dell'art. 546 c.p.p., comma 3, per la mancata sottoscrizione a opera del giudice estensore di una parte del provvedimento censurato. Si deduceva, in proposito, che la sequenza procedimentale originariamente disposta dalla Corte di assise di appello di Milano ex artt. 130 e 547 c.p.p. - come peraltro ammesso dalla stessa Corte territoriale - non era attivabile, atteso che l'inserimento del capitolo di tredici pagine, intitolato B reati commessi nell'ambito della famiglia G. , non poteva ritenersi un mero errore redazionale, determinando la modifica del percorso argomentativo posto a fondamento della conferma della condanna di T.L Nè l'omissione di tale passaggio motivazionale poteva ritenersi irrilevante o comunque marginale rispetto all'impianto argomentativo della decisione impugnata, atteso che le tredici pagine che lo componevano riguardavano profili essenziali delle censure difensive introdotte con l'atto di appello, concernenti l'imputabilità della ricorrente, con cui nella versione della motivazione depositata il 30/11/2019 la Corte territoriale non si era confrontata. A tali dirimenti considerazioni, doveva aggiungersi che il termine per proporre l'impugnazione della sentenza di secondo grado di cui si controverte, decorrendo dal 30/11/2019, scadeva il 14/01/2020, in una data antecedente a quella stabilita per discutere dell'integrazione controversa, che era stata individuata dalla Corte di assise di appello di Milano nel 22/01/2020, determinando un ulteriore, irreparabile, pregiudizio delle prerogative difensive dell'imputata T.L Con il secondo motivo di ricorso si deduceva il vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all'art. 192 c.p.p., conseguente al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto degli elementi probatori ritenuti indispensabili per la formulazione del giudizio di colpevolezza nei confronti della ricorrente per le ipotesi di reato di cui ai capi O e P, relative agli omicidi di G.M.G. e di Cl.Ma.Ri Con specifico riferimento al reato di cui al capo O, si deduceva ulteriormente che la Corte di assise di appello di Milano non aveva dato conto delle censure difensive relative all'insussistenza, in capo a T.L., dell'elemento soggettivo del delitto di cui all'art. 575 c.p., art. 577 c.p., comma 1 e n. 2, dalla quale discendeva la necessità di riqualificare la fattispecie contestata alla ricorrente quale omicidio preterintenzionale ex art. 584 c.p Con il terzo motivo di ricorso si deduceva il vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguente al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto degli esiti degli accertamenti medico-legale eseguiti in un altro procedimento, celebrato nei confronti dell'imputato Ca.Le. con le forme del rito ordinario, dal consulente tecnico della difesa, che pure erano stati acquisiti ritualmente dalla Corte di assise di appello di Milano con ordinanza emessa il 18/06/2019. Veniva, in questo modo, trascurato il contenuto, pur decisivo, dell'interrogatorio reso il 15/04/2019 dalla dottoressa P., citato testualmente nelle pagine 17-20 del ricorso in esame, alla luce del quale non era possibile affermare in termini certi che la causa della morte del marito della ricorrente, G.M.G., era attribuibile a cause naturali, conseguenti a un arresto cardiocircolatorio. Considerazioni analoghe valevano per il decesso di Cl.Ma.Ri., a proposito del quale, nello stesso interrogatorio, che veniva citato nelle pagine 20-22 dell'impugnazione, si evidenziava che, dalla documentazione sanitaria esaminata dal consulente tecnico della difesa, non era emerso alcun elemento sulla scorta del quale potere ricostruire la diagnosi di causa di morte . Con il quarto motivo di ricorso, proposto in stretta correlazione con il primo motivo, si deduceva il vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all'art. 603 c.p.p., conseguente al fatto che la decisione in esame aveva omesso di dare conto della richiesta di rinnovazione della perizia psichiatrica, eseguita nel giudizio di primo grado con le forme dell'incidente probatorio, che si riteneva necessaria per accertare la capacità di intendere e di volere di T.L Secondo la difesa del ricorrente, la Corte di assise di appello di Milano aveva omesso di dare conto della doglianza relativa alla capacità di intendere e di volere di T.L., prospettata nel paragrafo 2 dell'atto di appello depositato dall'avv. Monica Alberti il 04/07/2018, con cui si evidenziava che le verifiche psichiatriche svolte nel giudizio di primo grado dalla professoressa Me.Is. e dal dottor M.F. dovevano ritenersi parziali rispetto al compendio probatorio - riguardando il solo reato di cui al capo O - e metodologicamente inadeguate, fondandosi su un giudizio esclusivamente personologico della ricorrente, che, oltretutto, risultava svincolato dai dati nosografici di cui i periti disponevano. Con il quinto motivo di ricorso si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto degli elementi costitutivi dell'aggravante di cui all'art. 577 c.p., comma 1, n. 2, contestata a T.L. al capo O e del giudizio dosimetrico espresso in relazione alle ulteriori aggravanti contestate alla ricorrente, che veniva censurato per la sua eccessività. Con il sesto motivo di ricorso si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto degli elementi costitutivi dell'aggravante di cui all'art. 577 c.p., comma 1, n. 3, contestata al capo P e del correlato giudizio dosimetrico, censurato per la sua eccessività. Con il settimo motivo di ricorso si deduCeva la violazione di legge del provvedimento impugnato, in riferimento all'art. 597 c.p.p., comma 3, conseguente al fatto che la decisione in esame era stata emessa, relativamente al trattamento sanzionatorio irrogato per il reato di cui al capo P della rubrica, in violazione del divieto di reformatio in peius, essendo stato escluso per tale delitto il giudizio di equivalenza circostanziale che era stato riconosciuto per le altre ipotesi di reato. 4.1.1. Infine, nell'interesse dell'imputata T.L., il 25/09/2020, venivano depositate note di udienza e di produzione documentale, con cui si richiamavano e si ribadivano ulteriormente i primi quattro motivi del ricorso introduttivo del presente procedimento. Con tali note, in particolare, si richiamavano le censure difensive che si sono già esposte con riferimento ai primi quattro motivi, evidenziandosi che la sentenza impugnata, secondo quanto affermato dalla Corte di assise di appello di Milano nell'ordinanza del 22/01/2020, più volte citata, aveva omesso di soffermarsi sulle doglianze relative alla capacità di intendere e di volere della ricorrente e alla richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale ex art. 603 c.p.p 4.1.2. Le considerazioni esposte imponevano l'annullamento della sentenza impugnata nell'interesse dell'imputata T.L 4.2. L'imputato B.C., a mezzo dell'avv. Paolo Della Sala, ricorreva per cassazione con un atto di impugnazione articolato in quattro motivi di ricorso. Con il primo motivo di ricorso si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione, in riferimento agli artt. 545,546,547,127 e 130 c.p.p., conseguenti alla nullità della sentenza impugnata, per la mancanza della parte della motivazione intitolata B reati commessi nell'ambito della famiglia G. , resa evidente dal fatto che, in un primo momento, era stata attivata la procedura di correzione degli errori materiali di cui al combinato disposto degli artt. 547 e 130 c.p.p., alla quale la stessa Corte territoriale non aveva dato corso all'esito dell'udienza in camera di consiglio svoltasi il 22/01/2020, ritenendo insussistenti i presupposti per effettuare l'integrazione motivazionale in questione. Con il secondo motivo di ricorso si deduceva il vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguente al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto degli elementi probatori sulla base dei quali veniva espresso il giudizio di responsabilità nei confronti di B.C., formulato senza considerare il ruolo svolto dall'imputato rispetto agli accadimenti criminosi che gli venivano contestati al capo E, che maturavano nell'ambito della commissione istituita dal dottor Co.Ro. il OMISSIS , in conseguenza delle denunce presentate dagli infermieri professionali L.C. e R.I Con il terzo motivo di ricorso si deduceva il vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguente al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto del collegamento esistente tra le condotte omissive di B. e l'evento delittuoso di cui al capo E, così come ascrittogli ex artt. 110 e 361 c.p., su cui la Corte di assise di appello di Milano non si era soffermata, eludendo le censure difensive del ricorrente. Si deduceva, in proposito, che la decisione impugnata aveva trascurato che, secondo quanto stabilito dall'art. 361 c.p., l'obbligo di denuncia postula che l'agente abbia l'effettiva consapevolezza che quanto appreso in conseguenza della sua qualità soggettiva concretizzi un comportamento criminoso che deve essere segnalato. Tuttavia, di questa consapevolezza soggettiva, nel caso di specie, non era stata acquisita alcuna prova, atteso che in nessun passaggio motivazionale della sentenza impugnata si faceva riferimento alle fonti dalle quali il ricorrente aveva appreso dell'illeceità delle condotte professionali del dottor Ca. e da quali elementi probatori si evinceva che l'imputato disponesse di informazioni professionali qualificate idonee a configurare il reato ascrittogli al capo E. Si deduceva, al contempo, che la Corte territoriale non aveva tenuto conto del fatto che la configurazione della fattispecie di cui all'art. 361 c.p. postula il corretto inquadramento dell'elemento soggettivo del reato contestato, che, a sua volta, presuppone l'acquisizione della prova della percezione da parte dell'agente della sussistenza dei requisiti della notitia criminis da cui trae origine l'obbligo di denuncia requisiti, questi, che si non ritenevano riscontrati nel caso di specie. Con il quarto motivo di ricorso si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto dell'elemento oggettivo del reato ascritto a B. al capo E, che era stato ritenuto sussistente senza considerare il ruolo svolto dall'imputato all'interno della commissione, già citata, nella quale era inserito e le condotte assunte in tale contesto collegiale, da cui derivava l'obbligo di denuncia oggetto di contestazione. Si deduceva, in proposito, che il dottor B., nel momento in cui aveva comunicato al direttore sanitario dell'azienda ospedaliera presso cui lavorava - il dottor Co.Ro. - le informazioni di cui disponeva, aveva assolto ai suoi obblighi di segnalazione, rendendo, anche sotto tale profilo valutativo, esente da censure il suo comportamento professionale dato probatorio, questo, che appare confermato dalla deposizione resa dal dottor Co., che veniva citata nell'atto di impugnazione in esame, nella quale si richiamavano le interlocuzioni che si erano sviluppate tra lo stesso Co. e il ricorrente, che imponevano di escludere la consapevolezza dell'imputato di eludere gli obblighi di denuncia di cui al capo E. Le considerazioni esposte imponevano l'annullamento della sentenza impugnata nell'interesse dell'imputato B.C 4.3. L'imputato S.D., a mezzo dell'avv. Paololuca Bianchi, ricorreva per cassazione con un atto di impugnazione articolato in sei motivi di ricorso. Con il primo motivo di ricorso si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che non consentivano la riqualificazione dell'ipotesi di reato contestata all'imputato al capo V della rubrica, ai sensi dell'art. 481 c.p., così come richiesto nei motivi di appello dal suo difensore, con argomenti con i quali la Corte di assise di appello di Milano non si era confrontata. Con il secondo motivo di ricorso si deduceva il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, conseguente al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che imponevano di qualificare come certificazione amministrativa il modulo compilato dal ricorrente il OMISSIS , denominato relazione medica - copertura con morte , trasmesso alla compagnia assicuratrice Credit Agricole Creditor Insurance, nonostante fosse incontroverso l'utilizzo esclusivamente privatistico di tale documento. Si deduceva, al contempo, che la sentenza impugnata non si era soffermata in termini congrui sul collegamento esistente tra la condotta illecita posta in essere da S.D. e l'evento delittuoso di cui al capo V, rilevante sul piano dell'elemento soggettivo del reato di cui all'art. 480 c.p., che era stato affermato dalla Corte territoriale trascurando la natura giuridica del modulo controverso, che non poteva essere ricondotto alla categoria delle certificazioni ammnistrative. Con il terzo motivo di ricorso si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all'art. 49 c.p., conseguente al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto dell'insussistenza di un'ipotesi di falso innocuo o grossolano, la cui configurazione discendeva dalle circostanze di tempo e di luogo in cui si erano concretizzati gli accadimenti contestati a S Con il quarto motivo di ricorso si deduceva la violazione di legge della sentenza impugnata, in riferimento agli artt. 62-bis e 133 c.p., conseguente al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto della mancata concessione delle attenuanti generiche, il cui riconoscimento si imponeva alla luce del modesto disvalore del comportamento criminoso di S., disattendendo il quale si era concretizzata l'ulteriore violazione dei principi sottesi all'art. 27 Cost., comma 3 e art. 49, paragrafo terzo, CEDU. Con il quinto motivo di ricorso si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto della mancata concessione dell'esimente di cui all'art. 131-bis c.p., il cui riconoscimento si imponeva alla luce della particolare tenuità dei fatti di reato contestati a S. al capo V, della quale la Corte territoriale non aveva tenuto conto. Con il sesto motivo di ricorso si deduceva il vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguente al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che non consentivano la revoca delle statuizioni processuali emesse in favore delle parti civili, Fl.Ma.Pi. e G.G., che era stata invocata con i motivi di appello, non risultando dimostrata la pretesa risarcitoria posta a fondamento di tali statuizioni. 4.3.1. Nell'interesse dell'imputato S.D., il 25/08/2020, venivano depositate ulteriori memorie difensive, finalizzate a evidenziare, in linea con le altre impugnazioni, le ragioni che imponevano di ritenere affetta da nullità la sentenza impugnata, essendo la motivazione carente di una parte essenziale, relativa al capitolo intitolato B reati commessi nell'ambito della famiglia G. , per la quale era stata attivata la procedura di correzione degli errori materiali di cui al combinato disposto degli artt. 547 e 130 c.p.p., alla quale, all'esito della camera di consiglio svoltasi il 22/01/2020, non si dava corso. 4.3.2. Le considerazioni esposte imponevano l'annullamento della sentenza impugnata nell'interesse dell'imputato S.D 4.4. L'imputato Fr.Fa., a mezzo dell'avv. Gianluigi Tizzoni, ricorreva per cassazione con un atto di impugnazione articolato in tre motivi di ricorso. Con il primo motivo di ricorso si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all'art. 603 c.p.p., conseguente al fatto che la decisione in esame aveva omesso di dare conto delle ragioni che non consentivano lo svolgimento delle verifiche peritali suppletive, invocate dalla difesa del ricorrente nel giudizio di secondo grado, su cui la Corte di assise di appello di Milano si era pronunciata soltanto con l'ordinanza del 18/06/2019. Con il secondo motivo di ricorso si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto degli elementi probatori sulla base dei quali veniva formulato il giudizio di responsabilità nei confronti di Fr. per il reato di cui all'art. 361 c.p., che veniva espresso senza considerare che per il correlato delitto di cui al capo F l'imputato era stato assolto per l'insussistenza dell'elemento soggettivo. Con il terzo motivo di ricorso si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto del nesso di causalità esistente tra la condotta illecita posta in essere da Fr. e l'evento delittuoso di cui al capo E, che era stato affermato senza considerare che i comportamenti ascritti al ricorrente erano riconducibili a un organo collegiale - la commissione istituita dal dottor Co.Ro., di cui si è già detto -, al quale doveva essere attribuita l'omessa denuncia in contestazione. Queste ragioni imponevano l'annullamento della sentenza impugnata nell'interesse dell'imputato Fr.Fa 4.5. L'imputato F.G., a mezzo dell'avv. Florenzo Storelli, ricorreva per cassazione con un atto di impugnazione articolato in sei motivi di ricorso. Con il primo motivo di ricorso si deduceva la nullità della sentenza impugnata, in riferimento dell'art. 125 c.p.p., per la mancanza della motivazione del capitolo intitolato B reati commessi nell'ambito della famiglia G. , per la quale, dopo l'attivazione della procedura di correzione degli errori materiali di cui agli artt. 547 e 130 c.p.p., la Corte di assise di appello di Milano, con provvedimento del 22/01/2020, riteneva insussistenti i presupposti per disporre l'integrazione motivazionale della decisione. Con il secondo motivo di ricorso si deduceva la violazione di legge della sentenza impugnata, in riferimento all'art. 271 c.p.p., conseguente al fatto che Corte di assise di appello di Milano aveva ritenuto F. colpevole del reato ascrittogli al capo L della rubrica sulla base degli esiti dell'intercettazione telefonica n. 794 del 04/07/2015, registrata su un'utenza cellulare nella disponibilità del ricorrente, senza tenere conto che tale captazione era stata dichiarata inutilizzabile dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Busto Arsizio con ordinanza emessa il 16/01/2018, riguardando una conversazione intercorsa tra l'imputato e il suo difensore, afferente al rapporto professionale esistente tra i due colloquianti. Con il terzo motivo di ricorso si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all'art. 43 c.p., conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto del nesso di causalità esistente tra la condotta illecita posta in essere dall'imputato e l'evento delittuoso di cui al capo L, nel valutare il quale non si era considerato che il ricorrente e T.L., all'interno dell'Ospedale di omissis , intrattenevano rapporti di natura esclusivamente professionale. Con il quarto motivo di ricorso si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto degli elementi probatori sulla base dei quali veniva formulato il giudizio di responsabilità nei confronti di F.G., che veniva espresso senza considerare le modalità con cui il ricorrente, nella sua qualità di dirigente medico del presidio ospedaliero saronnese, aveva redatto il certificato della cui falsificazione si controverte. Con il quinto motivo di ricorso si deduceva la violazione di legge della sentenza impugnata, in riferimento all'art. 69 c.p., conseguente al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto della concessione delle attenuanti generiche in regime di prevalenza anzichè di equivalenza giudizio di equivalenza che si imponeva alla luce delle circostanze di tempo e di luogo in cui si erano concretizzati gli accadimenti criminosi, che rendevano evidente il modesto disvalore della condotta illecita di F Con il sesto motivo di ricorso si deduceva il vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguente al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che imponevano la condanna al risarcimento dei danni in favore di Fl.Ma.Pi. e G.G., disposta nei confronti del ricorrente relativamente all'ipotesi di reato di cui al capo L. Queste ragioni imponevano l'annullamento della sentenza impugnata nell'interesse dell'imputato F.G Considerato in diritto 1. In via preliminare, deve rilevarsi che le posizioni degli imputati T.L., B.C., S.D., Fr.Fa. e F.G. devono essere esaminate separatamente, pur essendo indispensabile, in relazione ai profili censori comuni ai loro ricorsi, richiamare i principi di carattere generale che ne consentono un corretto inquadramento sistematico, alla luce dei parametri ermeneutici di questa Corte. 1.1. In questa cornice, occorre soffermarsi preliminarmente sulla questione della mancanza della motivazione del capitolo della sentenza intitolato B reati commessi nell'ambito della famiglia G. , della quale veniva disposta l'integrazione con le forme di cui agli artt. 547 e 130 c.p.p. per l'udienza del 20/01/2020, all'esito della quale, tuttavia, la Corte di assise di appello di Milano non dava ulteriore corso all'integrazione, ritenendo insussistenti i presupposti per la procedura attivata. Occorre premettere che l'omissione motivazionale in esame riguardava il capitolo intitolato B reati commessi nell'ambito della famiglia G. , della quale, secondo quanto affermato a pagina 1 nell'ordinanza emessa dalla Corte di assise di appello di Milano il 23/12/2019, l'estensore si accorgeva dalla casuale lettura della copia depositata in cancelleria . , rilevando che il provvedimento risultava mancante di un passaggio della motivazione redatta a computer, corrispondente a n. 13 pagine . , facenti parte del file intitolato Motivazione T. separata 1 , che iniziano con il capitolo B reati commessi nell'ambito della famiglia G. e contengono una introduzione sulla prova e i sotto-capitoli 1 - Richieste di integrazione probatoria , 2 - Premessa comune sugli omicidi ascritti , 3 - La capacità di intendere e di volere . In altri termini, la consistenza della motivazione della sentenza aveva reso necessaria la stesura separata dei vari capitoli che la componevano e la successiva unificazione dei diversi files che li riguardavano, da cui era stata erroneamente esclusa la frazione motivazionale della quale si controverte. Questa sequenza redazionale, in particolare, veniva analiticamente spiegata a pagina 1 dell'ordinanza emessa il 23/06/2019, in cui la Corte di assise di appello di Milano evidenziava La mancanza della predetta parte è dipesa da un mero errore in cui è incorso l'estensore al momento dell'assemblaggio delle varie parti della sentenza, separatamente redatte per comodità data la mole del provvedimento superiore a cento pagine, che ha comportato che le prime pagine del file contenente la parte di cui si tratta, non state unite al resto della motivazione . Si consideri ulteriormente che le tredici pagine che componevano il capitolo intitolato B reati commessi nell'ambito della famiglia G. riguardavano profili censori introdotti con gli atti di appello depositati nell'esclusivo interesse degli imputati T.L. e Fr.Fa., riconducibili alla richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale ex art. 603 c.p.p. - finalizzata ad accertare la sussistenza del nesso eziologico tra le condotte illecite della ricorrente e i decessi del marito e della madre, contestati ai capi O e P - e alla sua capacità di intendere e di volere, rilevante ai sensi degli artt. 88 e 89 c.p In questa cornice, deve rilevarsi che l'omissione motivazionale controversa, ancorchè affermata nell'ordinanza sopra citata, appare dimostrata dal testo della sentenza impugnata, atteso che, a pagina 23 della decisione qui in esame - la sentenza-documento depositata dalla Corte di secondo grado il 30/11/2019 -, si dava atto della censura difensiva introdotta con i motivi di appello, relativa alla capacità di intendere e di volere dell'imputata T.L., evidenziandosi che la difesa dell'appellante aveva contestato la ritenuta imputabilità, essendo i consulenti incaricati dal P.M. pervenuti alla conclusione di piena capacità di intendere e di volere della T. al momento dei fatti contestati, sulla base di valutazioni svolte esclusivamente in relazione al profilo della personalità della stessa, in assenza di qualsivoglia diagnosi critica e analisi di eventuali patologie psichiatriche . La consistenza di tali censure difensive, in particolare, discendeva dal fatto che i periti nominati dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Busto Arsizio - erroneamente denominati consulenti nel passaggio motivazionale in esame -, nel ritenere T.L. capace di intendere e di volere, avevano sottolineato la sussistenza di un disturbo della personalità, senza tuttavia pervenire a corrette conclusioni circa la sua incidenza sull'imputabilità . , in conseguenza del quale la difesa della ricorrente chiedeva che venisse disposta una verifica psichiatrica suppletiva ex art. 603 c.p.p Deve, pertanto, ritenersi un dato processuale incontroverso quello secondo cui alla censura sull'imputabilità di T.L., prospettata nel paragrafo 2 dell'atto di appello depositato il 04/07/2018 dall'avv. Monica Alberti, la Corte di assise di appello di Milano non rispondeva - nella sentenza-documento, unico atto giuridicamente esistente ed espressivo delle ragioni della decisione di secondo grado -, nonostante su tale, decisivo, profilo valutativo fosse stata articolata una specifica doglianza dalla difesa dell'imputata. Nè è dubitabile che tale punto della decisione costituisca un profilo decisivo per la valutazione della posizione processuale della ricorrente, atteso che i periti d'ufficio nominati nel giudizio di primo grado - la professoressa Me.Is. e il dottor M.F. -, venivano chiamati a riferire sulla condizione psichica dell'imputata in rapporto a tutti i fatti di reato per i quali l'imputata veniva processata, riguardando il mandato peritale la verifica dei profili e delle patologie psichiatriche da cui potrebbe essere affetta . Ne discende che, nel capitolo intitolato B reati commessi nell'ambito della famiglia G. , si sarebbe dovuto esaminare un punto decisivo e non marginale del percoiso motivazionale seguito dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Busto Arsizio per formulare il giudizio di colpevolezza nei confronti di T.L., su cui era stato proposto un motivo di appello, la cui elusione integrale comporta la necessità che la Corte di assise di appello di Milano si confronti ex novo su tale profilo censorio. Si tratta, quanto alla posizione processuale di T.L., di una omissione idonea a determinare la nullità della decisione di secondo grado in tal senso, quanto alle conseguenze della omessa trattazione di un motivo di appello potenzialmente decisivo, si veda Sez. 2, n. 10758 del 29/01/2015, Giugliano, Rv. 263129-01 e ciò sia in relazione alla palese impossibilità di rintracciare, nella sentenza-documento, profili argomentativi impliciti, idonei, in ipotesi, a sanare, in un giudizio complessivo sulle argomentazioni espresse, l'omessa trattazione esplicita del punto secondo quanto affermato, tra l'altro, da Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Cammi, Rv. 277593-01 , sia in rapporto alla centralità del tema della imputabilità, tale da riflettersi su tutte le condotte contestate alla imputata, ferma restando la direzione prioritaria delle critiche difensive sulle condotte omicidiarie. In tal senso, va ripresa e riaffermata, a parere del Collegio, la linea interpretativa emersa già nella vigenza del codice abrogato Sez. 1, n. 15220 del 03/10/1978, Campria, Rv. 140493-01 secondo cui l'omissione valutativa, qui relativa a un motivo di gravame, è causa di nullità della sentenza lì dove abbia determinato un pregiudizio alle ragioni dell'imputato e della difesa, mentre non determina nullità lì dove da un esame globale della decisione il punto risulti implicitamente trattato. Nel giudizio di rinvio demandato da questa Corte, pertanto, occorrerà verificare la congruità degli argomenti sulla base dei quali, nel giudizio di primo grado, l'imputata T.L. era stata ritenuta capace di intendere e di volere nel momento in cui commetteva i reati di cui ai capi G, H, I, L, M, N, O P e V, venendo condannata alla pena di trent'anni di reclusione. L'elusione motivazionale, al contempo, riguardando la sola posizione di T.L., comporta che la patologia processuale riscontrata da questo Collegio non si estenda agli altri imputati - B.C., S.D., Fr.Fa. e F.G. - che non sono coinvolti dal percorso argomentativo seguito dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Busto Arsizio per affermare la capacità di intendere e di volere di T.L., su cui la sua difesa aveva proposto uno specifico motivo di appello, che non riguarda, nè direttamente nè indirettamente, gli altri imputati. Non è, infine, possibile ritenere, al contrario di quanto affermato dal Sostituto Procuratore generale di udienza nella sua pur pregevole requisitoria, che la doglianza sull'imputabilità di T.L. possa ritenersi assorbita negli ulteriori passaggi motivazionali della decisione impugnata, atteso che non sussiste alcuna identità di ratio decidendi tra il profilo censorio controverso e le altre parti della sentenza concernenti la posizione della ricorrente. Sul punto, come in parte anticipato, non si può che richiamare la giurisprudenza consolidata di questa Corte, che occorre ribadire ulteriormente, secondo cui E' legittima la motivazione della sentenza di secondo grado che, disattendendo le censure dell'appellante, si uniformi, sia per la ratio decidendi , sia per gli elementi di prova, ai medesimi argomenti valorizzati dal primo giudice, soprattutto se la consistenza probatoria di essi è così prevalente e assorbente da rendere superflua ogni ulteriore considerazione. Nell'ipotesi in cui siano dedotte questioni già esaminate e risolte, oppure questioni generiche, superflue o palesemente inconsistenti, il giudice dell'impugnazione può motivare per relationem e trascurare di esaminare argomenti superflui, non pertinenti, generici o manifestamente infondati Sez. 5, n. 3751 del 15/02/2000, dep. 23/03/2000, Re Carlo, Rv. 215722-01 si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 2, n. 19619 del 13/02/2014, Bruno, Rv. 259929-01 Sez. 5, n. 39080 del 23/09/2003, Fabrizi, Rv. 226230-01 . 1.1.1. Alle considerazioni che si sono esposte nel paragrafo precedente, deve aggiungersi che non è possibile ipotizzare che il giudizio sulla capacità di intendere e di volere di T.L. assuma un rilievo secondario o marginale rispetto al giudizio di responsabilità espresso dalla Corte di assise di appello di Milano nei suoi confronti, relativamente ai reati che le vengono ascritti ai capi G, H, I, L, M, N, O P e V. Osserva il Collegio che il giudizio di colpevolezza espresso dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Busto Arsizio nei confronti dell'imputata T.L. si fondava sull'assunto della sua imputabilità, che, sul piano nosografico, si riteneva corroborato dalle conclusioni raggiunte dai periti nominati nel giudizio di primo grado con le forme dell'incidente probatorio, la professoressa Me.Is. e il dottor M.F Sul punto, appare indispensabile richiamare il passaggio motivazionale esplicitato a pagina 252 della sentenza di primo grado, nel quale si citavano le conclusioni dei predetti periti d'ufficio, che, all'esito delle verifiche cliniche che gli erano state demandate, affermavano T.L. al momento dei fatti non era affetta da infermità tale da renderla totalmente o parzialmente incapace di intendere e di volere . Le conclusioni peritali, a loro volta, venivano censurate dalla difesa di T.L. nell'ambito della doglianza esposta nel paragrafo 2 dell'atto di appello depositato il 04/07/2018 dall'avv. Monica Alberti, che lamentava l'incongrua valutazione degli accertamenti svolti dal consulente tecnico della difesa - il dottor P.N. - e l'erroneo inquadramento dei disturbi della personalità da cui era affetta l'imputata, nel valutare i quali non si era fatta una corretta applicazione dei parametri ermeneutici consolidati in seno alla giurisprudenza di legittimità Sez. U, n. 9163 del 21/05/2005, Raso, Rv. 230317-01 , il cui travisamento aveva determinato l'erroneità delle verifiche psichiatriche condotte dalla professoressa Me. e dal dottor M Sul punto, appare indispensabile richiamare il passaggio motivazionale esplicitato a pagina 10 dell'atto di appello in questione, nel quale si evidenziava La distonia e la contraddittorietà delle conclusioni cui giungono i Periti del Giudice rispetto a quelli della difesa ma anche quelli nominati dal Tribunale dei Minori in relazione al procedimento relativo alla responsabilità genitoriale è tale che non potrà non ravvisarsi la necessità di disporre un nuovo accertamento peritale che, peraltro, tenga conto di tutti gli elementi emersi nel corso delle indagini in relazione a tutti i reati contestati . Con tali profili censori, dunque, la Corte di assise di appello di Milano avrebbe dovuto necessariamente confrontarsi - sia in punto di critica ai contenuti argomentativi della decisione di primo grado, sia in relazione alla scelta di rinnovazione o meno della perizia -, tenendo conto dell'orientamento interpretativo affermatosi in seno alle Sezioni unite nello scorso decennio, richiamato nella sentenza di primo grado e nell'atto di appello depositato dalla difesa, che non ritiene l'imputabilità una mera condizione psichica indispensabile per attribuire una condotta illecita al soggetto attivo del reato, ma l'espressione della capacità penale dell'imputato complessivamente valutabile alla luce del suo comportamento, nella convinzione che non può esservi colpevolezza senza piena consapevolezza delle proprie azioni delittuose. Infatti, l'imputabilità, di cui si controverte con riferimento alla posizione di T.L., è il presupposto soggettivo indispensabile per affermare la responsabilità dell'agente e comporta l'accertamento di una condizione di rimproverabilità verificabile processualmente, sulla base di una piattaforma, empirica e nosografica, non equivocabile, così come affermato dalla giurisprudenza di legittimità consolidata, cui ci si sta riferendo Sez. U, n. 9163 del 21/05/2005, Raso, cit. . Com'è noto, intervenendo in tale ambito ermeneutico, le Sezioni Unite risolvevano una delle questioni nodali in tema di responsabilità penale, affermando che i gravi disturbi della personalità - assimilabili a quelli da cui sarebbe affetta l'imputata T.L. secondo il suo difensore e che, viceversa, venivano esclusi dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Busto Arsizio - sono riconducibili all'ambito nosografico delle infermità psichiche e possono dare luogo al vizio di mente, a condizione che siano di consistenza, intensità, rilevanza e gravità tali da concretamente incidere sulla capacità di intendere e di volere . Sez. U, n. 9163 del 21/05/2005, Raso, cit. e si correlino, sotto il profilo causale, con il fatto di reato contestato, in modo da ritenerlo determinato dal disturbo mentale dal quale risulta affetto l'agente. Ne consegue che l'infermità psichica, per potere assumere rilievo ai fini dell'applicazione delle fattispecie previste dagli artt. 88 e 89 c.p., nella direzione invocata dalla difesa di T.L., deve essere idonea a determinare una situazione di assetto psichico incontrollabile ed ingestibile totalmente o in grave misura , che, incolpevolmente, rende l'agente incapace di esercitare il dovuto controllo dei propri atti, di conseguentemente indirizzarli, di percepire il disvalore sociale del fatto, di autonomamente, liberamente, autodeterminarsi . Sez. U, n. 9163 del 21/05/2005, Raso, cit. . Queste conclusioni possono essere sintetizzate mediante il richiamo del seguente principio di diritto Ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche i disturbi della personalità , che non sempre sono inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto di infermità , purchè siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale. Ne consegue che nessun rilievo, ai fini dell'imputabilità, deve essere dato ad altre anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalità che non presentino i caratteri sopra indicati, nonchè agli stati emotivi e passionali, salvo che questi ultimi non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro più ampio di infermità Sez. U, n. 9163 del 21/05/2005, Raso, cit. quadro di infermità, che, come si è detto, veniva escluso dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Busto Arsizio con argomentazioni sulle quali, a fronte delle censure difensive poste a fondamento dell'atto di appello proposto nell'interesse di T.L., la Corte di assise di appello di Milano ometteva di confrontarsi. Attraverso questo percorso ermeneutico, che affonda le sue radici nella giurisprudenza di legittimità affermatasi negli anni Ottanta del secolo precedente Sez. 1, n. 4103 del 24/02/1986, Ragno, Rv. 172790-01 , le Sezioni unite ritenevano definitivamente superata la nozione tradizionale di infermità psichica, reputandola una situazione di grave disagio mentale, che induce il soggetto in una condizione patologica di intensità tale da fare escludere la sua capacità di intendere e di volere o da farla scemare grandemente, consentendo l'applicazione delle fattispecie previste dagli artt. 88 e 89 c.p. Ne consegue che, in questa prospettiva interpretativa, alla quale la Corte di assise di appello di Milano si dovrà conformare nel giudizio di rinvio che le viene demandato, non è tanto la condizione patologica del soggetto attivo del reato a rilevare sul piano dell'accertamento giurisdizionale quanto piuttosto lo stato di disagio mentale dell'individuo singolarmente considerato, che deve essere tale da incidere negativamente sulla sua capacità di intendere e di volere, che dovrà essere intesa come la libertà di autodeterminazione dell'agente, collegata eziologicamente alla condotta delittuosa oggetto di valutazione, rappresentata nel nostro caso dai reati ascritti a T.L. ai capi G, H, I, L, M, N, O, P e V Sez. 1, n. 35842 del 16/04/2019, Mazze, Rv. 276616-01 Sez. 1, n. 17853 del 17/02/2009, Broccatelli, Rv. 244538-01 Sez. 2, n. 2774 del 02/12/2008, dep. 2019, Di Gaetano, Rv. 242710-01 . Ne discende che, prima di valutare la condizione di imputabilità del soggetto attivo del reato - nel nostro caso rappresentato da T.L. -, occorre individuare i requisiti bio-psicologici che facciano ritenere che il soggetto sia in grado di comprendere e recepire il contenuto del messaggio normativo connesso alla previsione della sanzione punitiva . Sez. U, n. 9163 del 21/05/2005, Raso, cit. ed è solo sulla base di questa preliminare e indispensabile ricognizione nosografica che il giudice potrà provvedere all'individuazione delle condizioni di rilevanza giuridica dei dati forniti dalle scienze empirico-sociali . Sez. U, n. 9163 del 21/05/2005, Raso, cit. , su cui fondare le sue determinazioni processuali, rilevanti sia ai fini della formulazione di un giudizio di colpevolezza dell'imputato sia ai fini del riconoscimento delle circostanze oggetto di contestazione. In questa cornice sistematica, infine, le Sezioni unite ritenevano definitivamente superato il paradigma organicistico nella valutazione delle malattie mentali, non ritenendo assiomatico tale parametro scientifico ai fini dell'inquadramento o dell'esclusione delle anomalie psichiche nel novero delle categorie nosografiche. In questo modo, trovava conferma quell'orientamento giurisprudenziale, elaborato con riferimento alle reazioni a corto circuito nel corso degli anni Novanta del secondo scorso, secondo cui le gravi alterazioni psichiche - anche se normalmente riferibili a stati emotivi e passionali, in quanto tali inidonei a integrare una condizione patologica, secondo quanto espressamente previsto dall'art. 90 c.p. - possono costituire manifestazioni di una vera e propria malattia che compromette la capacità di intendere e di volere, incidendo sull'attitudine della persona a determinarsi in modo autonomò, con possibilità di optare per la condotta adatta al motivo più ragionevole e di resistere, quindi, agli stimoli degli avvenimenti esterni Sez. 1, n. 3170 del 16/12/1994, dep. 1995, Sciumè, Rv. 200687-01 . 1.1.2. Tale ricostruzione della vicenda processuale impone di ribadire la nullità parziale della sentenza impugnata relativamente alla posizione di T.L. e al giudizio di colpevolezza formulato nei suoi confronti per i reati di cui ai capi G, H, I, L, M, N, O, P e V, ribadendo al contempo che tale patologia non si estende agli imputati B.C., S.D., Fr.Fa. e F.G 2. Passando a considerare i singoli atti di impugnazione, deve ritenersi fondato il ricorso proposto dall'imputata T.L., a mezzo dell'avv. Cataldo Domenico Intrieri. Tale fondatezza discende dall'accoglimento del primo e del quarto motivo di ricorso, di cui si impone una valutazione congiunta, che deriva dalle considerazioni esposte nei paragrafi 1.1 e 1.1.1, cui si deve rinviare preliminarmente, nei quali devono ritenersi assorbite le residue doglianze, riguardanti il giudizio di responsabilità formulato nei confronti dell'imputata T.L. per i reati di cui ai capi G, H, I, L, M, N, O, P e V e il correlato trattamento sanzionatorio, quantificato in trent'anni di reclusione. Più precisamente, con il primo motivo di ricorso, che veniva proposto in via preliminare rispetto alla prospettazione delle ulteriori doglianze, si eccepiva la nullità della sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 125 c.p.p., per la mancanza della motivazione relativa al capitolo intitolato B reati commessi nell'ambito della famiglia G. e, ai sensi dell'art. 546 c.p.p., comma 3, per la mancata sottoscrizione da parte del giudice estensore di una parte del provvedimento censurato. In stretta correlazione con tale censura difensiva veniva proposto il quarto motivo di ricorso, con cui si deduceva il vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all'art. 603 c.p.p., conseguente al fatto che la decisione in esame aveva omesso di dare conto della richiesta di rinnovazione della perizia psichiatrica, eseguita nel giudizio di primo grado con le forme dell'incidente probatorio, che si riteneva necessaria per accertare la capacità di intendere e di volere di T.L. al momento della commissione dei fatti di reato che le venivano ascritti. Si tratta, invero, di censure difensive che, come si è detto, sono state compiutamente esaminate nei paragrafi 1.1 e 1.1.1, al cui percorso ermeneutico si deve rinviare, nei quali si è evidenziato che, nel caso di specie, ci si trova di fronte a una nullità parziale della sentenza impugnata rilevante nei confronti di T.L. e non estensibile agli altri imputati, che non risultano coinvolti da tale patologia processuale. La nullità parziale della decisione impugnata, infatti, deve ritenersi limitata al punto della decisione che riguarda la capacità di intendere e di volere della ricorrente al momento della commissione dei reati di cui ai capi G, H, I, L, M, N, O, P e V. Si è detto, al contempo, che tale patologia processuale, oltre a emergere dal testo della decisione impugnata, che non affronta la censura sull'imputabilità di T.L. prospettata dal suo difensore con l'atto di appello, è riconosciuta dalla stessa Corte territoriale, che, nel passaggio motivazionale esplicitato nelle pagine 4 e 5 dell'ordinanza emessa il 22/01/2020 - con cui non si dava corso alla procedura di correzione della sentenza attivata ex artt. 547 e 130 c.p.p. con provvedimento del 23/12/2019 -, evidenziava che, nel caso di specie, ricorreva un errore verificatosi in fase di assemblaggio dell'elaborato che E . era stato elaborato in file separati per comodità, stante la mole dello stesso, e avendo omesso l'estensore di unire, in testa al capitolo relativo ai delitti commessi da T.L., le pagine introduttive attinenti alla formazione della prova, alle istanze difensive istruttorie, e alla capacità di intendere e di volere dell'imputata . Tale errore, a sua volta, non risultava dall'indice allegato alla sentenza, in quanto questo è stato redatto sulla base dell'elaborato già stampato e privo della parte mancante, senza che il giudice estensore lo rilevasse, per compressione del tempo disponibile per il controllo pure effettuato, dato che l'ultimo giorno per il deposito . cadeva di sabato e la chiusura della cancelleria addetta era prevista per le ore 13.00 . Queste conclusioni, del resto, risultano corroborate dalla lettura dell'indice della sentenza impugnata, che fornisce un'ulteriore conferma dell'omissione motivazionale censurata dalla difesa della ricorrente, atteso che nell'elenco dei capitoli e dei paragrafi attraverso cui si articola la motivazione della decisione non vi è alcun riferimento alla censura sull'imputabilità introdotta con l'atto di appello depositato il 04/07/2018. Non si può, invero, non ribadire che la Corte di assise di appello di Milano affrontava il tema della capacità di intendere e di volere di T.L., per la prima volta, nell'ordinanza emessa il 23/12/2019 ex artt. 547 e 130 c.p.p., alla quale, come detto, all'esito dell'udienza del 20/01/2020, non si deva corso. Il Giudice di secondo grado, infatti, nel passaggio motivazionale esplicitato a pagina 7 della citata ordinanza, evidenziava conclusivamente che non poteva affermarsi alla luce della normativa applicabile, che l'eliminazione dell'errore non comporti una modifica essenziale dell'atto e perciò deve concludersi per la non configurabilità nella fattispecie di un errore materiale suscettibile di essere sanato ai sensi dell'art. 130 c.p.p. . Ricostruita in questi termini la sequenza procedimentale che sfociava nell'ordinanza pronunciata dalla Corte di assise di appello di Milano il 22/01/2020, deve ribadirsi conclusivamente che, nel caso di specie, ci si trova di fronte a una nullità parziale della sentenza impugnata, che, relativamente alla doglianza sull'imputabilità di T.L., investe la sua posizione per tutti i reati che le vengono ascritti ai capi G, H, I, L, M, N, O, P e V. Sul punto, a ulteriore conferma di quanto si è affermato e ferme restando le considerazione espresse nei paragrafi 1.1 e 1.1.1, non si può che richiamare la giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui E' affetta da nullità per difetto di motivazione la sentenza di appello che, a fronte di motivi specifici di impugnazione con cui si propongono argomentate critiche alla ricostruzione del giudice di primo grado, si limiti a ripetere la motivazione di condanna senza rispondere a ciascuna delle contestazioni adeguatamente mosse dalla difesa con l'atto di appello Sez. 2, n. 56395 del 23/11/2017, Floresta, Rv. 271700-01 si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 4, n. 6779 del 18/12/2013, dep. 2014, Balzamo, Rv. 259316-01 Sez. 3, n. 27416 dell'01/04/2014, M., Rv. 259666-01 . 2.1. Restano assorbite - e non precluse - nel primo e nel quarto motivo di ricorso le residue censure difensive, riguardanti il giudizio di responsabilità penale formulato nei confronti dell'imputata T.L. e il trattamento sanzionatorio che le veniva irrogato all'esito del giudizio di appello, il cui vaglio presuppone la correttezza del percorso argomentativo seguito dalla Corte di assise di appello di Milano per giungere alla conferma della decisione di primo grado, che, per le ragioni che si esposte compiutamente nei paragrafi 1.1, 1.1.1 e 2, cui occorre rinviare, deve essere esclusa. 2.2. Le considerazioni esposte impongono l'annullamento della sentenza impugnata, relativamente alla posizione dell'imputata T.L. e ai reati che le vengono ascritti ai capi G, H, I, L, M, N, O, P e V della rubrica, con il conseguente rinvio ad altra Sezione della Corte di assise di appello di Milano per un nuovo giudizio, che dovrà svolgersi nel rispetto dei principi di diritto che si sono enunciati. 3. Deve ritenersi fondato l'atto di impugnazione proposto dall'imputato B.C., a mezzo dell'avv. Paolo Della Sala, in accoglimento del terzo motivo di ricorso, nel quale devono ritenersi assorbite le residue doglianze, con la sola eccezione del primo motivo, da ritenersi infondato. 3.1. Occorre preliminarmente soffermarsi sul primo motivo di ricorso, prospettato in termini sovrapponibili a quelli degli altri imputati, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione, in riferimento agli artt. 545,546,547,127 e 130 c.p.p., conseguenti alla nullità della sentenza impugnata, per la mancanza della parte della motivazione intitolata B reati commessi nell'ambito della famiglia G. , resa evidente dal fatto che, in un primo momento, era stata attivata la procedura di correzione degli errori materiali di cui al combinato disposto degli artt. 547 e 130 c.p.p., alla quale la stessa Corte territoriale non aveva dato corso all'esito dell'udienza in camera di consiglio svoltasi il 22/01/2020, ritenendo insussistenti i presupposti per effettuare l'integrazione motivazionale in questione. Si tratta, invero, di una doglianza sui cui presupposti ermeneutici ci si è soffermati nei paragrafi 1.1, 1.1.1 e 2, cui si deve rinviare ulteriormente, nei quali si è evidenziato che la nullità parziale della sentenza impugnata deve ritenersi limitata alla sola posizione di T.L., riguardando il punto della decisione censurata - concernente la capacità di intendere e di volere dell'imputata e i reati che le vengono ascritti ai capi G, H, I, L, M, N, O, P e V un profilo censorio che non è estensibile agli altri imputati del presente procedimento anche in virtù del consolidato principio di diritto in tema di autonomia di capi e punti della decisione soggettivamente o oggettivamente cumulativa, su cui, per tutte si veda Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, Aiello, Rv. 268965-01 . Ci si deve, pertanto, limitare a richiamare le considerazioni che si sono espresse nei paragrafi 1.1, 1.1.1 e 2, senza che occorra soffermarsi ulteriori sulle ragioni che impongono di ritenere destituita di fondamento tale censura difensiva. Le considerazioni esposte impongono di ribadire l'infondatezza del primo motivo di ricorso. 3.2. Passando a considerare le residue censure difensive, afferenti al merito del giudizio di responsabilità formulato nei confronti dell'imputato B.C. dalla Corte di assise di appello di Milano, deve ribadirsi che l'atto di impugnazione proposto nel suo interesse appare fondato in accoglimento del terzo motivo di ricorso. Con tale doglianza si deduceva il vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguente al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto del collegamento esistente tra le condotte asseritamente omissive di B. e l'evento delittuoso di cui al capo E, così come ascrittogli ex artt. 110 e 361 c.p., su cui la Corte di assise di appello di Milano non si era soffermata, eludendo le censure difensive del ricorrente. Si deduceva, al contempo, che, secondo quanto previsto dall'art. 361 c.p., l'obbligo di denuncia postula che l'agente abbia l'effettiva consapevolezza che quanto appreso in conseguenza della sua qualità soggettiva concretizzi un comportamento omissivo. Tuttavia, nel caso di specie, di tale consapevolezza non era stata acquisita alcuna prova, atteso che nella sentenza impugnata non venivano indicate le fonti da cui il ricorrente aveva appreso dell'illeceità delle condotte professionali del dottor Ca. e da quali elementi si evinceva che l'imputato disponesse di informazioni qualificate idonee a configurare nei suoi confronti il reato ascrittogli al capo E. Tanto premesso, deve rilevarsi che l'imputato B.C. veniva giudicato colpevole dell'ipotesi di reato di cui al capo E, perchè, agendo in concorso con i componenti della commissione medica di cui faceva parte ometteva di denunciare il dottor Ca.Le. all'autorità giudiziaria e alle altre autorità competenti per i reati ascrittigli ai capi A, B, C, D, E, per i quali si procedeva in un'altra sede processuale. La commissione medica di cui si discute, in particolare, veniva istituita il omissis dal direttore sanitario dell'Azienda Ospedaliera di Circolo di Busto Arsizio, il dottor Co.Ro., allo scopo di accertare i fatti riferiti in due comunicazioni, inviate da dipendenti, custodite presso la Direzione Medica del P.O. di omissis e riguardanti eventi avvenuti presso il Pronto Soccorso del P.O. di omissis . Le comunicazioni cui si riferiva il provvedimento istitutivo della commissione, invece, erano quelle trasmesse dagli infermieri R.I. e L.C., che segnalavano le condotte professionali anomale del dottor Ca.Le. in relazione alla gestione dei pazienti fragili e al decesso di L.A Occorre precisare ulteriormente che di tale commissione facevano parte, oltre allo stesso B. - che all'epoca dei fatti ricopriva l'incarico di Responsabile del Servizio Tecnico e Riabilitativo Aziendale dell'Ospedale di omissis l'imputato Fr.Fa., la dottoressa Pe.Ma.Lu., il dottor Sc.Ni. e il dottor V.P., che svolgeva anche le funzioni di coordinatore. Osserva, in proposito, il Collegio che, sui profili censori sollevati dalla difesa di B. nel giudizio di secondo grado e riproposti con il terzo motivo dell'impugnazione in esame, la Corte di assise di appello di Milano non si soffermava correttamente, non comprendendosi sulla base di quali elementi probatori si doveva ritenere che il dottor B. si fosse rappresentato l'esistenza di una notitia criminis da cui scaturiva un obbligo di denuncia, la cui violazione concretizzava il reato di cui all'art. 361 c.p L'individuazione di tali elementi, peraltro, si imponeva alla luce della stessa giurisprudenza di legittimità impropriamente richiamata dalla Corte territoriale, nel passaggio motivazionale esplicitato a pagina 43 della sentenza impugnata, secondo cui integra la fattispecie di cui all'art. 361 c.p. la condotta del pubblico ufficiale che ometta, ovvero ritardi, la denuncia di un reato perseguibile d'ufficio, quando egli è in grado di individuarne gli elementi ed acquisire ogni altro dato utile per la formazione della denuncia stessa Sez. 6, n. 49833 del 03/07/2018, Pesci, Rv. 274310-01 . Non era, al contempo, possibile risolvere tale decisiva questione, ricorrendo a presunzioni collegate a elementi probatori non riconducibili alla condizione soggettiva e professionale di B. e alle fonti di conoscenza, personale e ospedaliera, di cui l'imputato disponeva, dovendosi in proposito richiamare la giurisprudenza consolidata di questa Corte, che esclude il ricorso a siffatte presunzioni probatorie, affermando In tema di omessa denuncia ex art. 361 c.p., la conoscenza del fatto costituente reato da parte del pubblico ufficiale non può essere desunta dalla mera funzione di vertice amministrativo del settore nell'ambito del quale è emerso il fatto di reato, dovendosi a tal fine considerare l'articolazione strutturale ed organizzativa dell'ufficio e le procedure in uso Sez. 6, n. 16577 del 23/01/2019, Caudullo, Rv. 275546-01 si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 6, Sez. 6, n. 12021 del 06/02/2014, Kutufà, Rv. 258339-01 Sez. 6, n. 27508 del 07/05/2009, Rizzo, Rv. 24452801 . La Corte di assise di appello di Milano, pertanto, avrebbe dovuto acquisire la prova della volontà dell'imputato B.C. di omettere di denunciare i comportamenti illeciti del dottor Ca.Le. dei quali aveva avuto conoscenza, alla luce della sua condizione soggettiva e della sua posizione professionale. Nella sentenza impugnata, invece, a tali elementi circostanziali non si faceva alcun riferimento, risultando il percorso argomentativo posto a fondamento del giudizio di colpevolezza censurato privo di un'adeguata ricognizione della rappresentazione volitiva degli accadimenti criminosi presupposti da parte del ricorrente. Si consideri, in proposito, che la Corte di assise di appello di Milano, a fronte di tali ineludibili esigenze probatorie, nel passaggio motivazionale esplicitato a pagina 44 della sentenza impugnata - senza operare alcuna, pur doverosa, distinzione tra la posizione del ricorrente e quella di Fr., su cui ci si soffermerà più avanti -, si limitava ad affermare assertivamente che, nel caso di specie, per accertamenti resisi necessari per condizioni sanitarie contingenti, vi erano tutti gli elementi per ritenere integrata una notizia di reato procedibile d'ufficio . che doveva essere sottoposta all'attenzione dell'autorità giudiziaria, la quale sola era deputata a valutare la sussistenza dei presupposti per l'inizio dell'azione penale . . Queste considerazioni, naturalmente, non implicano che il dottor B. non potesse rendersi astrattamente responsabile del delitto di omessa denuncia delle condotte illecite del dottor Ca., di cui era venuto a conoscenza in ragione dell'espletamento delle funzioni collegiali descritte al capo E, anche tenuto conto della gravità degli episodi di cui si controverte e delle ragioni che avevano portato alla costituzione della commissione di cui faceva parte in seno all'Ospedale di omissis . Tuttavia, tale astratta possibilità non può essere estesa fino al punto di affermare che l'obbligo di cui all'art. 361 c.p. comprenda indiscriminatamente le molteplici evenienze che involgono l'esercizio della funzione amministrativa, essendo indispensabile accertare, di volta in volta, se la notizia di reato di cui si controverte sia stata realmente apprezzata dall'agente al fine di valutarne la sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo omissivo richiesto dalla fattispecie contestata a B Non si può, infine, non rilevare che, nella sentenza impugnata non ci si soffermava in termini adeguati su un ulteriore passaggio della vicenda processuale in esame, anch'esso potenzialmente sintomatico, costituito dal fatto che il dottor B. - a differenza del dottor Fr. - non sembrava disporre di quelle competenze professionali necessarie a consentirgli di valutare la correttezza dei comportamenti clinici del dottor Ca., essendo in possesso di una laurea in scienze infermieristiche che non gli permetteva di vagliare la conformità delle terapie farmacologiche somministrate dallo stesso Ca. ai pazienti fragili ai protocolli sanitari dell'epoca. Questo dato probatorio, del resto, appare confermato sia dai contenuti della relazione scritta redatta all'epoca dal B., allegata al ricorso, sia dalle sommarie informazioni rese dal dottor Co.Ro. nel corso delle indagini preliminari, richiamate nelle pagine 32 e 33 dell'atto di impugnazione in esame, che affermava Con il Dott. B. discutemmo degli aspetti di relazione fra il Dott. Ca. e l'equipe infermieristica non discutemmo di certo della correttezza del trattamento, dato che la competenza del Dott. B. su quella materia era ancora inferiore alla mia . 3.3. Restano assorbite nel terzo motivo di ricorso le residue censure difensive - fatta eccezione per il primo motivo, del quale si è detto nel paragrafo 3.1 - afferenti al giudizio di responsabilità formulato nei confronti dell'imputato B.C. e al trattamento sanzionatorio che gli veniva irrogato all'esito del giudizio di appello, quantificato in 344,00 Euro di multa, che presuppongono la correttezza del percorso argomentativo seguito dalla Corte di assise di appello di Milano, che, per le ragioni esposte nel paragrafo 3.2, cui si deve rinviare, deve essere esclusa. 3.4. Le considerazioni esposte impongono l'annullamento della sentenza impugnata, relativamente alla posizione di B.C. e al reato ascrittogli al capo E, con il conseguente rinvio ad altra Sezione della Corte di assise di appello di Milano per un nuovo giudizio, che dovrà svolgersi nel rispetto dei principi di diritto che si sono enunciati. 4. Analogo giudizio di fondatezza deve essere espresso per il ricorso proposto dall'imputato S.D., a mezzo dell'avv. Paololuca Bianchi, in accoglimento dei primi due motivi di ricorso, nei quali devono ritenersi assorbite le residue doglianze. 4.1. Occorre premettere che, con il primo motivo di ricorso, si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che non consentivano la riqualificazione dell'ipotesi di reato contestata all'imputato al capo V, ai sensi dell'art. 481 c.p., così come richiesto nei motivi di appello dal suo difensore. Osserva il Collegio che sulla qualificazione del reato ascritto a S.D. al capo V, ai sensi dell'art. 480 c.p., il percorso argomentativo seguito dalla Corte di assise di appello di Milano - come evidenziato dal Sostituto Procuratore generale di udienza nella sua pregevole requisitoria - non appare rispettoso delle emergenze probatorie, atteso che, pur essendo incontroverso che il ricorrente, nella sua qualità di dirigente medico dell'Ospedale di omissis , aveva redatto la relazione medica - copertura con morte , datata omissis , indirizzata alla compagnia assicuratrice Credit Agricole Creditor Insurance, la decisione impugnata non faceva chiarezza sulla natura giuridica del documento di cui si assumeva la falsificazione. Secondo il Giudici di merito, il giudizio sulla falsificazione contestata a S. al capo V, ai sensi dell'art. 480 c.p., traeva conferma dal fatto che la relazione medica redatta dall'imputato postulava che il sanitario sottoscrittore fosse il medico curante del paziente ovvero quello che ne aveva constatato il decesso, nel caso in esame verificatosi il omissis qualità professionali, queste, che il ricorrente non possedeva al momento della redazione del modulo assicurativo della cui falsificazione si controverte. Tuttavia, tali elementi circostanziali non appaiono decisivi ai fini dell'inquadramento pubblicistico del documento in questione, che, ancorchè denominato relazione medica - copertura con morte dalla compagnia assicuratrice Credit Agricole Creditor Insurance, non sembra riconducibile alla categoria degli atti fidefacenti di natura sanitaria, essendo privo di una rielaborazione dei dati clinici relativi al decesso di G.M.G. - cui l'atto si riferisce - e limitandosi a operare una ricognizione meramente cartolare sulle sue pregresse condizioni nosografiche, che peraltro non erano state accertate nemmeno da S Sembra, del resto, muoversi in questa direzione la stessa Corte territoriale, che, nel passaggio motivazionale esplicitato a pagina 55 della sentenza impugnata, affermava che la compagnia di assicurazioni richiedeva espressamente che il sanitario che compilava la relazione necessaria per la liquidazione dell'indennizzo previsto dalla polizza fosse obbligatoriamente o il medico curante ovvero quello che aveva constatato il decesso , così facendo riferimento ad un medico particolarmente affidabile in funzione delle necessità collegate alla polizza . . In questa cornice, in assenza di un'adeguata ricostruzione della funzione del documento di cui al capo V - essenzialmente redatto a fini contrattuali - e dei dati clinici che vi sono trasfusi, su cui si impone un nuovo vaglio giurisdizionale da parte della Corte di assise di appello di Milano, non è possibile affermare la sussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 480 c.p., per configurare il quale è necessario che l'atto falsificato sia destinato ad attestare la natura dei rapporti che ne costituiscono l'oggetto. Sul punto, non si può che richiamare la giurisprudenza consolidata di questa Corte, pur impropriamente richiamata nella sentenza di primo grado, nel passaggio motivazionale esplicitato a pagina 248, secondo cui Integra il delitto di falsità materiale commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico fidefaciente, la condotta del medico ospedaliero che rediga un certificato con false attestazioni, in quanto ciò che caratterizza l'atto pubblico fidefaciente, anche in virtù del disposto di cui all'art. 2699 c.c., è - oltre all'attestazione di fatti appartenenti all'attività del pubblico ufficiale o caduti sotto la sua percezione - la circostanza che esso sia destinato ab initio alla prova e cioè precostituito a garanzia della pubblica fede e redatto da un pubblico ufficiale autorizzato, nell'esercizio di una speciale funzione certificatrice ne deriva che la diagnosi riportata nel certificato ha natura di fede privilegiata, essendo preordinata alla certificazione di una situazione - caduta nella sfera conoscitiva del P.U. - che assume anche un rilievo giuridico esterno alla mera indicazione sanitaria o terapeutica Sez. 5, n. 7921 del 16/01/2007, Amoruso, Rv. 236518-01 si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 5, n. 12213 del 13/02/2014, Amoroso, Rv. 260208-01 Sez. 6, n. 12401 dell'01/12/2010, Langella, Rv. 249633-01 . Le considerazioni esposte impongono di ribadire la fondatezza del primo motivo di ricorso. Occorre, peraltro, evidenziare che la eventuale riqualificazione giuridica del fatto, in sede di rinvio, gioverebbe alla concorrente T.L. in virtù dei contenuti normativi dell'art. 587 c.p.p 4.2. Da tale, insufficiente, ricostruzione della funzione della relazione medica - copertura con morte redatta il OMISSIS e dei dati nosografici che vi sono trasfusi, relativi al decesso di G.M.G., discende l'incongruità della valutazione del collegamento esistente tra la condotta illecita posta in essere da S.D. e l'evento delittuoso di cui al capo V, che veniva censurato con il secondo motivo di ricorso sotto il profilo dell'elemento soggettivo del reato. Tale doglianza, infatti, riguardando l'elemento soggettivo del reato contestato al ricorrente ex art. 480 c.p., postula la corretta qualificazione giuridica del modulo indirizzato alla compagnia assicuratrice Credit Agricole Creditor Insurance, che deve ritenersi indispensabile per comprendere quale fosse il livello di consapevolezza acquisito dal ricorrente rispetto agli obiettivi illeciti perseguiti da T.L Non può, in proposito, non ribadirsi, che la relazione medica - copertura con morte , redatta dal ricorrente il omissis e trasmessa alla compagnia assicuratrice Credit Agricole Creditor Insurance da T.L., non contiene alcuna rielaborazione dei dati clinici relativi alla morte di G.M.G. attribuibile all'imputato, limitandosi a operare una ricognizione esclusivamente documentale delle condizioni di salute della vittima, richiamando certificazioni sottoscritte da altri medici dell'Ospedale di omissis e dal medico del servizio di emergenza che ebbe a rilevare il decesso. Nemmeno è possibile fondare il giudizio di colpevolezza espresso nei confronti del dottor S. dalla Corte di assise di appello di Milano sull'assunto che la redazione del documento controverso era stata effettuata dal ricorrente nella sua qualità di dipendente pubblico inserito nel Servizio Sanitario Nazionale, operante quale dirigente medico dell'Ospedale di omissis . Sotto questo profilo, non assume un rilievo decisivo la circostanza che il documento della cui falsificazione si controverte veniva redatto presso lo studio dell'imputato ubicato all'interno dell'Ospedale di omissis e, oltre a essere sottoscritto dall'imputato, recava il timbro dell'azienda ospedaliera saronnese, non risolvendo tali dati probatori ex se nè il problema della funzione, pubblicistica o privatistica, alla quale l'attestazione era destinata, nè il problema della consapevolezza del ricorrente di contribuire con la sua redazione alla concretizzazione degli obiettivi illeciti perseguiti da T.L Ne discende che tali dati circostanziali, al contrario di quanto affermato dalla Corte di assise di appello di Milano, non consentono di ritenere acquisita la certezza che l'imputato S.D. fosse pienamente consapevole di commettere la falsificazione che gli viene contestata, per la cui configurazione, occorreva dare conto degli elementi probatori dai quali desumere il livello di partecipazione, morale e materiale, di ciascuno dei due concorrenti alla concretizzazione del reato di cui al capo V. Spetta, infatti, al giudice di merito precisare sotto quale forma il contributo si sia concretamente manifestato, tenuto conto delle emergenze processuali di cui si dispone, in rapporto di causalità efficiente con le attività delittuose poste in essere dagli altri concorrenti - morali o materiali che siano -, non potendosi confondere l'atipicità della condotta concorsuale con l'indifferenza del suo manifestarsi, conformemente alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui In tema di concorso di persone nel reato, la circostanza che il contributo causale del concorrente morale possa manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa istigazione o determinazione all'esecuzione del delitto, agevolazione alla sua preparazione o consumazione, rafforzamento del proposito criminoso di altro concorrente, mera adesione o autorizzazione o approvazione per rimuovere ogni ostacolo alla realizzazione di esso non esime il giudice di merito dall'obbligo di motivare sulla prova dell'esistenza di una reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti, non potendosi confondere l'atipicità della condotta criminosa concorsuale, pur prevista dall'art. 110 c.p., con l'indifferenza probatoria circa le forme concrete del suo manifestarsi nella realtà Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, Andreotti, Rv. 226101-01 . Le considerazioni esposte impongono di ribadire la fondatezza del secondo motivo di ricorso. 4.3. Restano assorbite nei primi due motivi di ricorso le residue censure difensive, afferenti al giudizio di responsabilità formulato nei confronti dell'imputato S.D. e al trattamento sanzionatorio che gli veniva irrogato all'esito del giudizio di appello, quantificato in quattro mesi di reclusione, che postulano la correttezza del percorso argomentativo seguito dalla Corte di assise di appello di Milano, che, per le ragioni che si espresse nei paragrafi 4.1 e 4.2, cui si deve rinviare, deve essere esclusa. 4.4. Le considerazioni esposte impongono l'annullamento della sentenza impugnata, relativamente alla posizione dell'imputato S.D. e al reato ascrittogli al capo V, con il conseguente rinvio ad altra Sezione della Corte di assise di appello di Milano per un nuovo giudizio, che dovrà svolgersi nel rispetto dei principi di diritto che si sono enunciati. 5. Deve ritenersi infondato il ricorso proposto dall'imputato Fr.Fa., a mezzo dell'avv. Gianluigi Tizzoni, con un atto di impugnazione articolato in tre motivi di ricorso. 5.1. Deve ritenersi infondato il primo motivo di ricorso, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all'art. 603 c.p.p., conseguente al fatto che la decisione in esame aveva omesso di dare conto delle ragioni che non consentivano lo svolgimento delle verifiche peritali suppletive, invocate dalla difesa del ricorrente nel giudizio di secondo grado, su cui la Corte di assise di appello di Milano non si era pronunciata con il provvedimento censurato, ma esclusivamente con ordinanza del 18/06/2019. Osserva il Collegio che costituisce un dato processuale incontroverso quello secondo cui su questo profilo censorio la Corte territoriale ometteva di pronunciarsi, atteso che tale passaggio motivazionale era inserito nel capitolo intitolato B reati commessi nell'ambito della famiglia G. , su cui ci si è soffermati nei paragrafi 1.1 e 1.1.1, cui si deve rinviare preliminarmente. Più precisamente, secondo quanto affermato nell'ordinanza emessa dalla Corte di assise di appello Milano il 23/12/2019, sulle istanze istruttorie formulate nell'interesse degli imputati T.L. e Fr.Fa. ex art. 603 c.p.p., ci si sarebbe dovuti occupare nel sotto-capitolo intitolato 1 - Richieste di integrazione probatoria , che, per le ragioni esposte nel provvedimento citato, non veniva depositato. Deve, tuttavia, rilevarsi che, in questo caso, a differenza di quanto si è affermato nei paragrafi 1.1 e 1.1.1, cui si rinvia ulteriormente, a proposito dell'omissione motivazionale relativa alla capacità di intendere e di volere dell'imputata T.L., non ci si trova di fronte a un passaggio decisivo per la valutazione della posizione dell'imputato Fr.Fa Su questo punto della decisione censurata, infatti, la Corte di assise di appello di Milano, nel giudizio di secondo grado, si era già pronunciata in termini esaustivi con l'ordinanza emessa il 18/06/2019, con cui aveva respinto le istanze di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale formulate dalle difese degli imputati ex art. 603 c.p.p Ne discende che l'imputato Fr., laddove si fosse ritenuto pregiudicato dal provvedimento istruttorio in questione, avrebbe dovuto attivare un differente percorso processuale, impugnando l'ordinanza citata con le forme previste dall'art. 586 c.p.p., comma 1, - a tenore del quale l'impugnazione contro le ordinanza emesse nel corso degli atti preliminari ovvero nel dibattimento può essere proposta, a pena di inammissibilità, soltanto con l'impugnazione della sentenza . -, alle quali non ci si conformava nel caso in esame. A tali considerazioni deve aggiungersi che l'elusione delle doglianze relative alle richieste di integrazione probatoria formulate nell'interesse dell'imputato Fr.Fa. non può ritenersi, di per sè sola, idonea a concretizzare una patologia processuale, atteso che l'attivazione dello strumento di cui all'art. 603 c.p.p. postula la dimostrazione, che grava sulla parte istante, che la mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale sia dipesa da lacune o illogicità motivazionali, che non sono riscontrabili nel caso in esame. Sul punto, non si può che richiamare la giurisprudenza consolidata di questa Corte, che occorre ribadire ulteriormente, secondo la quale In tema di ricorso per cassazione, può essere censurata la mancata rinnovazione in appello dell'istruttoria dibattimentale qualora si dimostri l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello Sez. 6, n. 1256 del 28/11/2013, dep. 2014, Cozzetto, Rv. 258236-01 si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 5, n. 32379 del 12/04/2018, Impellizzeri, Rv. 273577-01 Sez. 2, n. 48630 del 15/09/2015, Pircher, Rv. 265232-01 . Nè potrebbe essere diversamente, atteso che costituisce espressione di un orientamento ermeneutico parimenti consolidato il principio secondo cui Alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale si può ricorrere solo quando il giudice ritenga di non poter decidere allo stato degli atti , sussistendo tale impossibilità unicamente quando i dati probatori già acquisiti siano incerti, nonchè quando l'incombente richiesto sia decisivo, nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali incertezze ovvero sia di per sè oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza Sez. 6, n. 20095 del 26/02/2013, Ferrara, Rv. 256228-01 si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003, dep. 2004, Pacca, Rv. 227495-01 Sez. 3, n. 35372 del 23/05/2007, Panozzo, Rv. 237410-01 . 5.1.1. Deve, infine, ribadirsi, in linea con quanto già affermato nei paragrafi 1.1, 1.1.1 e 2, cui si deve rinviare ulteriormente, che la nullità parziale della sentenza impugnata, riscontrata con riferimento a T.L., riguardando un punto specifico della decisione - concernente la capacità di intendere e di volere dell'imputata e i reati che le vengono ascritti ai capi G, H, I, L, M, N, O, P e V -, non costituisce un profilo censorio estensibile agli altri imputati del presente procedimento e, conseguentemente, non può essere invocata in favore di Fr.Fa 5.1.2. Le considerazioni esposte impongono di ribadire l'infondatezza del primo motivo di ricorso. 5.2. Parimenti infondato deve ritenersi il secondo motivo di ricorso, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto degli elementi probatori sulla base dei quali veniva formulato il giudizio di responsabilità nei confronti di Fr. per il reato di cui all'art. 361 c.p., che veniva espresso senza considerare che per il correlato delitto di cui al capo F l'imputato era stato assolto per l'insussistenza dell'elemento soggettivo. Osserva il Collegio che l'assunto difensivo, secondo cui il giudizio di responsabilità formulato nei confronti di Fr. per il reato di cui al capo E era stato formulato senza tenere conto del fatto che sulla base degli stessi elementi probatori il ricorrente era stato assolto dal reato di cui al capo F, appare smentito dalle risultanze processuali. Le emergenze probatorie, infatti, dimostravano che il dottor Fr. era pienamente consapevole dell'illiceità dei comportamenti professionali del dottor Ca., in riferimento agli aspetti del sovradosaggio dei farmaci impiegati e dell'assenza di consenso, di cui aveva una conoscenza diretta, avendo appreso del protocollo terapeutico seguito dallo stesso Ca. in conseguenza della sua partecipazione alla commissione istituita dal dottor Co.Ro. presso l'Ospedale di OMISSIS . Di tale commissione, di cui si è detto nel paragrafo 3.2, cui si deve rinviare, il dottor Fr.Fa. faceva parte quale Direttore del Dipartimento Aziendale di Emergenza e Urgenza e della Struttura Complessa di Anestesia e Rianimazione del Presidio Ospedaliero di omissis . Si aggiunga che l'atteggiamento consapevole del ricorrente appare ulteriormente corroborato dalla nota, trasmessa dal direttore sanitario dell'Azienda Ospedaliera di Circolo di Busto Arsizio, il dottor Co.Ro., che aveva informato i componenti della commissione di cui faceva parte il l'imputato - di cui ci si è già occupati nel paragrafo 3.2, nel valutare la posizione dell'imputato B.C. - della relazione di sintesi redatta dal coordinatore di tale organismo collegiale, il dottor V.P In tale relazione, in particolare, si dava atto delle posizioni espresse dai vari commissari, che ponevano il dottor Fr., anche alla luce della sua posizione ospedaliera qualificata e della sua conoscenza diretta degli accadimenti criminosi di cui si controverte, in una condizione di piena consapevolezza dell'illiceità, quantomeno sotto il profilo della consistenza obiettiva della notitia criminis, dei comportamenti del dottor Ca Tali considerazioni appaiono ulteriormente corroborate dalle conclusioni raggiunte dai consulenti tecnici del pubblico ministero - il dottor B.F., il dottor Ba.Br. e il dottor Du.Lu., che venivano passate analiticamente in rassegna nelle pagine 81-88 della sentenza di primo grado -, che avevano fortemente censurato il contenuto della relazione redatta dal dottor Fr. in seno ai lavori collegiali in esame, evidenziando che il giudizio di correttezza medica e deontologica sull'operato del dottor Ca., formulato dall'imputato, era contrario a ogni evidenza clinica, emergendo dalla documentazione acquisita la somministrazione di una terapia farmacologica contrastante con i protocolli sanitari ospedalieri. Nè risultava dimostrato, al contrario di quanto affermato dalla difesa del ricorrente, che i pazienti ai quali veniva somministrata la terapia farmacologica controversa, ancorchè fragili , fosSero malati terminali, smentendo, anche sotto questo residuo profilo, l'assunto difensivo. La scelta processuale di differenziare il giudizio di responsabilità relativo alle fattispecie contestate all'imputato ai capi E e F, pertanto, appare rispettosa delle emergenze probatorie, atteso che, pur essendo stata acquisita la prova che il ricorrente aveva maturato la consapevolezza che il dottor Ca. aveva verosimilmente commesso i reati di cui ai capi A, B, C e D, da tale atteggiamento non era possibile evincere l'intento di aiutare lo stesso Ca. a eludere le attività investigative che si erano sviluppate nei suoi confronti dopo le segnalazioni degli infermieri professionali R.I. e L.C In questo contesto, la Corte di assise di appello di Milano, sulla base di un percorso argomentativo ineccepibile, giustificava l'assoluzione di Fr. dal reato di cui al capo F, osservando, a pagina 47 della sentenza impugnata, che non poteva affermarsi con certezza che il Dott. Fr. nella fattispecie abbia agito con la consapevolezza che il contenuto della sua relazione consegnata al Dott. V. avrebbe influito sul personale infermieristico, inducendoli ad omettere o ritardare la presentazione da parte loro di una denuncia all'autorità giudiziaria del Dott. Ca., aiutando così quest'ultimo a sottrarsi alle indagini . Queste ragioni impongono di ribadire l'infondatezza del secondo motivo di ricorso. 5.3. Dall'infondatezza del secondo motivo di ricorso discende l'infondatezza della residua doglianza, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto del nesso di causalità esistente tra la condotta illecita posta in essere da Fr. e l'evento delittuoso di cui al capo E, che era stato affermato senza considerare che i comportamenti ascritti al ricorrente erano riconducibili a un organo collegiale, al quale doveva essere attribuita l'omessa denuncia in contestazione. Non può, in proposito, non ribadirsi, in linea con quanto affermato nel paragrafo precedente, che dal compendio probatorio emergeva che il dottor Fr. era pienamente consapevole dell'illiceità dei comportamenti professionali del dottor Ca., che gli derivava dalle fonti informative di cui aveva avuto conoscenza quale componente della commissione medica istituita dal dottor Co. e dalla sua posizione ospedaliera altamente qualificata, in conseguenza delle quali il contenuto della sua relazione appare palesemente contrastante con le evidenze cliniche di cui il ricorrente disponeva, così come evidenziato dai consulenti tecnici del pubblico ministero - i già citati dottori B., Ba. e Du. -, che difatti censuravano il suo operato. Basti, in proposito, considerare che, all'epoca dei fatti, il dottor Fr., nella sua qualità di medico anestesista dirigeva un'unità operativa complessa del presidio ospedaliero saronnese e, proprio in conseguenza di questa sua veste professionale altamente qualificata - viceversa non riscontrata con riferimento alla posizione del dottor B., per cui deve giungersi a conclusioni differenti in ordine all'imputazione ascrittagli al capo E -, veniva chiamato a fare parte della commissione sanitaria istituita dal dottor Co Sulla base delle conclusioni dei consulenti tecnici del pubblico ministero, pertanto, il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Busto Arsizio, nel passaggio motivazionale esplicitato a pagina 82 della sentenza di primo grado, evidenziava che il dottor Fr.Fa. in ragione del suo ruolo e delle specifiche conoscenze scientifiche in possesso, avrebbe dovuto stigmatizzare l'operato del Dott. Ca. anche e soprattutto in relazione all'uso anomalo e altamente pericoloso dei famaci sedativi . Queste considerazioni inducono a ritenere pienamente condivisibile il punto di vista espresso dai Giudici di merito, sul punto convergente, secondo cui il dottor Fr., in ragione delle sue elevate competenze professionali e tenuto conto del suo inserimento nella commissione istituita dal dottor Co. il omissis , si era reso conto non soltanto dell'abnormità dell'operato clinico del dottor Ca., che discendeva dal contrasto della terapia somministrata ai pazienti fragili con i protocolli sanitari ospedalieri, ma anche dell'illecita delle sue condotte, rendendo ulteriormente provato il suo comportamento omissivo, rilevante ex art. 361 c.p A conferma di quanto si sta affermando si consideri, infine, che ciascuno dei componenti dell'organo collegiale in questione aveva un'autonoma conoscenza delle condotte professionali del dottor Ca., che gli derivava dal fatto che, nel corso dell'ultima riunione, le tesi sostenute da ognuno di loro erano state discusse collegialmente il che rende, anche alla luce della sua posizione ospedaliera qualificata, ulteriormente evidente l'atteggiamento pienamente consapevole che il dottor Fr. aveva rispetto ai comportamenti professionali, abnormi e illeciti, posti in essere dal dottor Ca. nella sua veste di medico del presidio ospedaliero saronnese. Queste ragioni impongono di ribadire l'infondatezza del terzo motivo di ricorso. 5.4. Le considerazioni esposte impongono di ribadire l'infondatezza del ricorso proposto nell'interesse dell'imputato F. Fr 6. Deve ritenersi infondato il ricorso proposto dall'imputato G. F., a mezzo dell'avv. Florenzo Storelli, che veniva articolato attraverso sei motivi di ricorso. 6.1. Deve ritenersi il primo motivo di ricorso, con cui si deduceva la nullità della sentenza impugnata, in riferimento dell'art. 125 c.p.p., per la mancanza della motivazione del capitolo intitolato B reati commessi nell'ambito della famiglia G. , per la quale, dopo l'attivazione della procedura di correzione degli errori materiali di cui agli artt. 547 e 130 c.p.p., la Corte di assise di appello di Milano, con provvedimento del 22/01/2020, riteneva insussistenti i presupposti per disporre l'integrazione motivazionale della decisione. Si tratta, invero, di una censura difensiva sui cui presupposti ermeneutici ci si è soffermati nei paragrafi 1.1, 1.1.1 e 2, cui si deve rinviare ulteriormente, nei quali si è evidenziato che la nullità parziale della sentenza impugnata deve ritenersi limitata alla sola posizione di T.L., riguardando il punto della decisione censurata - concernente la capacità di intendere e di volere dell'imputata e i reati che le vengono ascritti ai capi G, H, I, L, M, N, O, P e V - un profilo censorio che non è estensibile agli altri imputati del presente procedimento. Ci si deve, pertanto, limitare a richiamare le considerazioni che si sono espresse nei paragrafi 1.1, 1.1.1 e 2, cui si deve rinviare ulteriormente, senza che occorra soffermarsi sulle ragioni che impongono di ritenere destituita di fondamento tale doglianza. Le considerazioni esposte impongono di ribadire l'infondatezza del primo motivo di ricorso. 6.2. Deve ritenersi infondato il secondo motivo di ricorso, con cui si deduceva la violazione di legge della sentenza impugnata, in riferimento all'art. 271 c.p.p., conseguente al fatto che la Corte di assise di appello di Milano aveva ritenuto l'imputato F.G. colpevole del reato ascrittogli al capo L della rubrica sulla base degli esiti dell'intercettazione telefonica n. 794 del 04/07/2015, registrata su un'utenza cellulare nella disponibilità del ricorrente, senza tenere conto che tale captazione era stata dichiarata inutilizzabile dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Busto Arsizio con ordinanza emessa il 16/01/2018, riguardando una conversazione intercorsa tra l'imputato e il suo difensore, afferente al rapporto professionale esistente tra i due colloquianti. Osserva il Collegio che l'assunto difensivo, secondo cui il giudizio di responsabilità formulato nei confronti dell'imputato F.G. era incentrato su una fonte di prova di natura captativa dichiarata inutilizzabile, risulta smentito dalle emergenze probatorie, che non consentono di ritenere l'intercettazione telefonica richiamata dalla difesa del ricorrente, ancorchè erroneamente citata nel provvedimento in esame, decisiva ai fini della sua condanna. La Corte di assise di Milano, invero, riteneva che l'imputato, nel referto medico n. omissis , rilasciato il 14/04/2012, aveva attestato falsamente che erano state effettuati una visita medica e un prelievo ematico al marito di T.L., G.M.G., che non era presente in reparto e il cui campione analizzato veniva fornito dalla consorte, soffermandosi anzitutto sulle sommarie informazioni rese dall'infermiera P.J., richiamate nelle pagina 51 e 52 della decisione censurata. Riferiva, in particolare, tale dichiarante Un giorno sentii Ca. suggerire a L. di far accettare gli esami da altri medici in modo da non destare sospetti. Da quel momento L. si rivolse ad altri medici per farsi accettare gli esami su campioni di sangue portati da casa. Sono sicura che quantomeno nell'aprile 2012 questa grave irregolarità sia avvenuta in un'occasione, quella ha visto coinvolto il Dott. F. con cui ho parlato direttamente. Lui mi disse che L. gli aveva chiesto di accettare gli esami sul campione di sangue del marito che in quel periodo aveva qualche problema di salute . . Si aggiunga che era lo stesso dottor F. a confermare queste conclusioni nelle spontanee dichiarazioni rese il 25/02/2016, richiamate a pagina 52 della sentenza impugnata, affermando che quel giorno non vidi G.M. e quindi non lo visitai, nè vidi chi e come fosse stato prelavato il sangue della provetta che mi portò la T lo non feci domande perchè, fidandomi dell'infermiera, pensai che il marito dovesse essere in ospedale . . Nello stesso contesto dichiarativo, il ricorrente evidenziava che, dopo avere visto l'esito delle analisi cliniche eseguite nei confronti del paziente, aveva contattato T.L. per fare riportare il coniuge in ospedale, anche se l'imputata aveva rifiutato il ricovero, dicendogli che avrebbe provveduto a somministrare personalmente l'insulina al marito. Ne discende che sebbene il richiamo dell'intercettazione telefonica n. 794 del 04/07/2015, effettuato dalla Corte di assise di appello di Milano, non tiene conto del fatto che tale fonte di prova era stata dichiarata inutilizzabile dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Busto Arsizio, il nucleo essenziale del giudizio di responsabilità formulato nei confronti di F.G. trae il suo fondamento da differenti e decisivi elementi probatori, cui sopra ci si è riferiti, che impongono di ritenere il richiamo censurato, pur erroneo, non rilevante ai fini della condanna del ricorrente. Queste ragioni impongono di ribadire l'infondatezza del secondo motivo di ricorso. 6.3. Parimenti infondato deve ritenersi il terzo motivo di ricorso, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all'art. 43 c.p., conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto del nesso di causalità esistente tra la condotta illecita posta in essere dall'imputato e l'evento delittuoso di cui al capo L, nel valutare il quale non si era considerato che il ricorrente e T.L., all'interno dell'Ospedale di omissis , intrattenevano rapporti di natura esclusivamente professionale. Non può, in proposito, non rilevarsi che il giudizio di responsabilità espresso dai Giudici di merito nei confronti del ricorrente prescindeva dalla natura dei rapporti, personali e professionali, intercorrenti tra l'imputato e T.L., riguardando il reato di cui al capo L della rubrica la falsificazione commessa dal dottor F., nella sua qualità di dirigente medico dell'Ospedale di omissis , in relazione al rilascio del referto medico n. omissis falsificazione che, per le ragioni esposte nel paragrafo 6.2, cui si rinvia, deve ritenersi incontroversa, oltre che ammessa dallo stesso F. nelle spontanee dichiarazioni rese il 25/02/2016. In questa cornice probatoria, appare ineccepibile il percorso argomentativo seguito dalla Corte di assise di appello di Milano per confermare il giudizio di responsabilità espresso dal Giudice di primo grado nei confronti del ricorrente, laddove, a pagina 53 della sentenza impugnata, affermava Non vi è dubbio che il Dott. F. abbia omesso, prima di compilare il referto, in cui si dava per scontata la presenza nel reparto del paziente e l'esecuzione della visita dello stesso da parte del medico prima di disporre le analisi cliniche, di verificare l'effettività della presenza, peraltro obbligatoria, per poter procedere a visita, ed ha falsamente attestato di aver provveduto a quest'ultima . Ne discende che la mancanza di una visita medica del paziente di cui si controverte consentiva di raggiungere l'obiettivo illecito perseguito da T.L., finalizzato ad avvalorare il dato clinico falso secondo cui il tasso glicemico di G.M.G. misurava 519 mgl, a fronte del dato nosografico, incontroverso, secondo cui il coniuge non risultava affetto da patologie diabetologiche. Nè può rilevare, in senso favorevole all'imputato, la circostanza che la falsificazione di cui al capo L era stata effettuata esclusivamente allo scopo di fare una cortesia a T.L., che era una persona conosciuta nell'ambiente di lavoro in cui entrambi i soggetti operavano. Non può, in proposito, non richiamarsi la giurisprudenza consolidata di questa Corte, che occorre ulteriormente ribadire, secondo cui In tema di falsità documentali, ai fini dell'integrazione del delitto di falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici art. 476 c.p. , l'elemento soggettivo richiesto è il dolo generico, che consiste nella consapevolezza della immutatio veri , non essendo richiesto ranimus nocendi vel decipiendi non si tratta, tuttavia, di un dolo in re ipsa , in quanto deve essere provato, dovendosi escludere il reato quando il falso derivi da una semplice leggerezza dell'agente Sez. 5, n. 29674 del 03/06/2010, Zago, Rv. 248264-01 si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 3, n. 30862 del 14/05/2015, Di Stasi, Rv. 264328-01 Sez. 5, n. 3004 del 13/01/1999, Thaler, Rv. 212939-01 . Queste ragioni impongono di ritenere infondato il terzo motivo del ricorso in esame. 6.4. Dall'infondatezza del secondo e del terzo motivo discende l'infondatezza del quarto motivo di ricorso, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto degli elementi probatori sulla base dei quali veniva formulato il giudizio di responsabilità nei confronti di F.G., che veniva espresso senza considerare le modalità con cui il ricorrente, nella sua qualità di dirigente medico del presidio ospedaliero saronnese, aveva redatto il certificato sanitario della cui falsificazione si controverte. Non si può, in proposito, non ribadirsi che la dinamica degli accadimenti criminosi relativa al reato di cui al capo L, per le ragioni che si sono esposte nei paragrafi 6.2 e 6.3, cui si deve rinviare, è incontroversa e risulta ammessa dallo stesso imputato, con la conseguenza che ogni ricostruzione dei fatti di reato alternativa a quella recepita dai giudici di merito appare smentita dalle emergenze probatorie. Nel caso in esame, dunque, non era ragionevole attribuire alcun valore processuale all'ipotesi alternativa prospettata dalla difesa di G. F., incentrata sulla marginalità esecutiva del suo contributo rispetto al disegno criminoso perseguito da T.L., in presenza di fonti di prova, univocamente orientate, che imponevano di escludere non solo la verosimiglianza, ma addirittura la plausibilità di una tale ricostruzione dei fatti di reato. Invero, un tale percorso valutativo, oltre che illogico e processualmente incongruo, si sarebbe posto in contrasto con la giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui In tema di valutazione della prova, il ricorso al criterio di verosimiglianza e alle massime d'esperienza conferisce al dato preso in esame valore di prova se può escludersi plausibilmente ogni spiegazione alternativa che invalidi l'ipotesi all'apparenza più verosimile, ponendosi, in caso contrario, tale dato come mero indizio da valutare insieme con gli altri elementi risultanti dagli atti Sez. 6, n. 5905 del 29/11/2011, dep. 2012, Brancucci, Rv. 252066-01 si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 4, n. 22790 del 13/04/2018, Mazzeo, Rv. 272995-01 Sez. 6, n. 15897 del 09/04/2009, Massimino, Rv. 243528-01 . Questo orientamento ermeneutico, del resto, si inserisce in un filone giurisprudenziale ormai consolidato, in tema di ricorso al criterio di verosimiglianza e alle massime di esperienza, che è possibile esplicitare richiamando il seguente principio di diritto Nella valutazione probatoria giudiziaria - così come, secondo la più moderna epistemologia, in ogni procedimento di accertamento scientifico, storico, etc. - è corretto e legittimo fare ricorso alla verosimiglianza ed alle massime di esperienza, ma, affinchè il giudizio di verosimiglianza conferisca al dato preso in esame valore di prova, è necessario che si possa escludere plausibilmente ogni alternativa spiegazione che invalidi l'ipotesi all'apparenza più verosimile. Ove così non sia, il suddetto dato si pone semplicemente come indizio da valutare insieme a tutti gli altri elementi risultanti dagli atti Sez. 1, n. 4652 del 21/10/2004, dep. 2005, Sala, Rv. 230873-01 si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 6, n. 49029 del 22/10/2014, Leone, Rv. 261220-01 Sez. 6, n. 4668 del 28/03/1995, Layne, Rv. 201152-01 . Le considerazioni esposte impongono di ribadire l'infondatezza del quarto motivo di ricorso. 6.5. Deve ritenersi inammissibile il quinto motivo di ricorso, con cui si deduceva la violazione di legge della sentenza impugnata, in riferimento all'art. 69 c.p., conseguente al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto della concessione delle attenuanti generiche in regime di prevalenza anzichè di equivalenza, che si imponeva alla luce delle circostanze di tempo e di luogo in cui si erano concretizzati gli accadimenti criminosi, che rendevano evidente il modesto disvalore della condotta illecita di F Osserva il Collegio che il trattamento sanzionatorio irrogato a F.G. risulta giustificato dalla ricostruzione compiuta dalla Corte di assise di appello di Milano, che si soffermava correttamente sulle connotazioni, oggettive e soggettive, dell'ipotesi delittuosa ascritta all'imputato al capo L, formulando un giudizio circostanziale che appare pienamente rispettoso delle emergenze probatorie. Ne discende che, tenuto conto del comportamento assunto dal ricorrente e dell'elevato disvalore del contesto criminoso nel quale si inserivano i fatti delittuosi che gli venivano contestati al capo L, nella sentenza impugnata veniva formulato un giudizio dosimetrico che appare conforme ai parametri previsti dall'art. 133 c.p., nel valutare il quale non si può non ribadire che - al contrario di quanto dedotto dalla difesa dell'imputato F. - il trattamento sanzionatorio risulta congruo rispetto alla gravità del reato che gli viene ascritto e alle modalità con cui si concretizzava. Queste conclusioni, secondo quanto affermato nel passaggio motivazionale esplicitato nelle pagine 53 e 54 della decisione impugnata, venivano giustificate dalla gravità del fatto commesso, attestando di aver posto in essere un'attività dovuta e invece omessa nella fattispecie e apparendo in definitiva la pena, peraltro sospesa, proporzionata al fatto commesso . . La correttezza del giudizio dosimetrico espresso nei confronti di F.G. discende ulteriormente dal fatto che le attenuanti generiche rispondono alla funzione di adeguare la pena irrogata al caso concreto nella globalità degli elementi oggettivi e soggettivi che la connotano, sul presupposto del riconoscimento di situazioni fattuali, incidenti sia sulla concessione delle attenuanti sia sul bilanciamento delle circostanze, una volta riconosciute applicabili. La necessità di un giudizio che coinvolga la posizione processuale dell'imputato nel suo complesso - che impediva la concessione delle attenuanti generiche in regime di prevalenza circostanziale invocato dal difensore di F. è sintetizzata dal seguente principio di diritto Le attenuanti generiche non possono essere intese come oggetto di benevola e discrezionale concessione del giudice, ma come il riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, non comprese cioè tra le circostanze da valutare ai sensi dell'art. 133 c.p., che presentano tuttavia connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una più incisiva, particolare, considerazione ai fini della quantificazione della pena Sez. 6, n. 2642 del 14/01/1999, Catone, Rv. 212804-01 si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 2, n. 30228 del 05/06/2014, Vernucci, Rv. 260054-01 Sez. 6, n. 8668 del 28/05/1999, Milenkovic, Rv. 214200-01 . Questo orientamento ermeneutico, a sua volta, si inserisce nel solco di un filone giurisprudenziale consolidato in tema di concessione delle attenuanti generiche, risalente nel tempo, che è possibile esplicitare richiamando il seguente, insuperato, principio di diritto Le attenuanti generiche non possono essere intese come una benevola e discrezionale concessione del giudice ma come il riconoscimento di situazioni, non contemplate specificamente art. 62 c.p. , che non sono comprese tra le circostanze da valutare ai sensi dell'art. 133 ovvero che presentano connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una più incisiva, particolare, considerazione situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull'apprezzamento della quantità del reato e della capacità a delinquere dell'imputato, sicchè il loro riconoscimento consenta di pervenire ad una più valida e perspicace valutazione degli elementi che segnano i parametri per la determinazione della pena da irrogare in concreto Sez. F, n. 12280 del 28/08/1990, Poliseri, Rv. 185267-01 . Le considerazioni esposte impongono di ribadire l'inammissibilità del quinto motivo di ricorso. 6.6. Deve, infine, ritenersi inammissibile il sesto motivo di ricorso, con cui si deduceva il vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguente al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che imponevano la condanna al risarcimento dei danni, disposta nei confronti dell'imputato F.G., in favore delle parti civili, Fl.Ma.Pi. e G.G., relativamente al reato di cui al capo L. Osserva il Collegio che l'assunto difensivo, incentrato sul ruolo marginale di F.G. rispetto alla falsificazione di cui al capo L, appare smentito dal percorso argomentativo seguito dalla Corte di assise di appello di Milano per formulare il giudizio di responsabilità nei confronti del ricorrente, su cui ci si è soffermati nei paragrafi 6.2, 6.3 e 6.4, cui si deve rinviare. Si aggiunga che, nella sentenza impugnata, i riferimenti alle ragioni che imponevano il riconoscimento delle pretese risarcitorie avanzate dalle parti civili Fl.Ma.Pi. e G.G. appaiono ineccepibili sotto il profilo motivazionale e pienamente rispettosi delle emergenze probatorie. Sul punto, si ritiene opportuno richiamare il passaggio della sentenza impugnata, esplicitato a pagina 120, nel quale, relativamente al risarcimento dei danni patiti dalle parti civili, si evidenziava che il giudice competente alla liquidazione provvederà anche a quantificare la percentuale della loro partecipazione alla produzione del danno, che potrebbe essere del tutto minima rispetto a quella degli altri responsabili. Queste conclusioni, al contempo, appaiono rispettose della giurisprudenza di legittimità consolidata, nell'applicare la quale occorre tenere conto del ruolo professionale svolto dall'imputato F.G. presso l'Ospedale di omissis , secondo cui Ai fini della responsabilità civile per fatto illecito commesso dal dipendente, è sufficiente un rapporto di occasionalità necessaria tra il fatto dannoso e le mansioni esercitate dal dipendente, che ricorre quando l'illecito è stato compiuto sfruttando comunque i compiti da questo svolti, anche se il dipendente ha agito oltre i limiti delle sue incombenze e persino se ha violato gli obblighi a lui imposti Sez. 6, n. 17049 del 14/04/2011, M., Rv. 250498-01 si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 6, n. 44760 del 04/06/2015, Cantoro, Rv. 265356-01 Sez. 5, n. 32461 del 22/03/2013, R.C., Rv. 257115-01 . Queste considerazioni impongono di ritenere inammissibile il sesto motivo di ricorso. 6.7. Le considerazioni esposte nei paragrafi precedenti impongono di ritenere infondato il ricorso proposto, a mezzo dell'avv. Florenzo Storelli, nell'interesse dell'imputato F.G 7. Le ragioni che si sono esposte impongono conclusivamente l'annullamento della sentenza impugnata nei confronti degli imputati T.L., B.C. e S.D., per le ipotesi di reato loro rispettivamente ascritte, con il conseguente rinvio del procedimento per un nuovo giudizio davanti ad altra Sezione della Corte di assise di appello di Milano, che si dovrà svolgere nel rispetto dei principi di diritto che si sono enunciati. Devono, infine, essere rigettati i ricorsi degli imputati Fr.Fa. e F.G., con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di T.L., B.C. e S.D. in relazione ai reati loro rispettivamente ascritti e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di assise d'appello di Milano. Rigetta i ricorsi di Fr.Fa. e F.G., che condanna al pagamento delle spese processuali.