Sottrae il telefono alla moglie: logico parlare di rapina e legittimo l’arresto

Scontro tra due coniugi in fase di separazione. La moglie va a riprendere i suoi effetti personali nella casa famigliare e filma col cellulare alcuni suoi beni rinvenuti danneggiati. Illegittima e ingiustificabile la reazione del marito.

Pessima idea, senza alcun dubbio, quella del marito che sottrae alla moglie – con cui è in corso la separazione – il telefonino, così impedendole di filmare gli oggetti di proprietà presenti nella loro casa e da lei rinvenuti danneggiati. Plausibile l’accusa di rapina, e, di conseguenza, è legittimo l’arresto operato dalla polizia giudiziaria nei confronti dell’uomo Cassazione, sez. II Penale, sentenza n. 26982, depositata il 28 settembre . A dare il la alla vicenda giudiziaria è lo scontro tra marito e moglie, i cui rapporti sono tesi anche a causa della procedura di separazione in corso. Inequivocabili i dettagli dell’episodio in occasione di un incontro finalizzato al ritiro degli effetti personali della donna dalla casa familiare, il marito sottrae alla moglie il telefonino con cui ella stava effettuando videoriprese dei propri beni rinvenuti danneggiati . Per l’uomo scatta l’arresto, eseguito dalla polizia giudiziaria, alla luce dell’ipotizzato reato di rapina . Il GIP del Tribunale, però, non convalida l’arresto, ritenendo non si possa parlare di delitto di rapina , poiché l’uomo ha sottratto il telefono non per finalità di profitto, ma per impedire che la donna proseguisse nell’eseguire le riprese dei propri beni . Di conseguenza, secondo il GIP, è lecito inquadrare l’episodio come fattispecie di esercizio arbitrario delle proprie ragioni , reato che non consentiva l’adozione della misura precautelare . L’ottica adottata dal GIP viene fortemente contestata dalla Procura, che propone ricorso in Cassazione, evidenziando che in Tribunale si è escluso il reato di rapina e si è optato per l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ma si è omesso di individuare e indicare quale fosse la pretesa giuridica tutelabile davanti all’autorità giudiziaria che il marito aveva ritenuto di esercitare sottraendo il telefono cellulare alla moglie con una spinta, mentre costei riprendeva i propri beni che aveva rinvenuto danneggiati . L’obiezione proposta dalla Procura è ritenuta corretta dai giudici della Cassazione. Anche a loro parere, difatti, è evidente l’errore compiuto in Tribunale. In sostanza, il provvedimento emesso dal GIP, nel qualificare l’episodio che aveva determinato la polizia giudiziaria a procedere all’arresto, si fonda sulla considerazione dell’avvenuta sottrazione del telefono cellulare, da parte dell’uomo, non per finalità di profitto, ma per impedire un atto a suo dire illecito , ma non viene individuata la pretesa tutelabile davanti all’autorità giudiziaria, rispetto alla quale l’uomo avrebbe ritenuto di farsi giustizia da sé sottraendo alla moglie il telefono cellulare , e, comunque, non può ritenersi che l’esecuzione di riprese con un telefono cellulare, peraltro di oggetti di proprietà della persona che le esegue, possa costituire condotta illecita in grado di procurare danni a terzi soggetti, ipotesi che, anche ove ritenuta sussistente dall’uomo in buona fede, non avrebbe comunque consentito di conseguire altro rimedio che quello risarcitorio, e non anche la sottrazione della disponibilità del telefono cellulare alla proprietaria . Inevitabile, poi, l’applicazione del principio secondo cui in tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni , ai fini della configurabilità del reato, occorre che l’autore agisca nella ragionevole opinione della legittimità della sua pretesa , ovvero ad autotutela di un suo diritto suscettibile di costituire oggetto di una contestazione giudiziale, anche se detto diritto non sia realmente esistente. Tale pretesa deve inoltre corrispondere perfettamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico, atteso che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione , operata dall’agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato . Tutti gli elementi a disposizione consentono quindi di ritenere logico ipotizzare a carico dell’uomo il reato di rapina . E ciò rende evidente, chiosano dalla Cassazione, la legittimità del suo arresto.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 11 – 28 settembre 2020, n. 26982 Presidente Gallo – Relatore Di Paola Ritenuto in fatto 1. Il G.i.p. del Tribunale di Napoli Nord, con l'ordinanza impugnata in questa sede, non ha convalidato l'arresto di Ca. Se., eseguito dalla p.g. perché ritenuto indiziato del delitto di rapina di un telefono cellulare che l'indagato aveva sottratto al coniuge - da cui era in fase di separazione - in occasione di un incontro finalizzato al ritiro degli effetti personali della donna dall'abitazione familiare. Il G.i.p. aveva ritenuto che l'indagato avesse sottratto il telefono non per finalità di profitto, ma per impedire che la donna proseguisse nell'eseguire le riprese dei propri beni da ciò riteneva che il fatto dovesse essere qualificato come fattispecie di esercizio arbitrano delle proprie ragioni, reato che non consentiva l'adozione della misura precautelare 2.1. Propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli Nord, deducendo, con unico motivo, violazione di legge - in riferimento agli artt. 393 e 628 cod. pen., 380 cod. proc. pen. - e vizio di motivazione, manifestamente illogica e contraddittoria, nella parte in cui aveva qualificato il fatto storico accertato dalla polizia giudiziaria, riconoscendo l'attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, non quale condotta di rapina, ma come fattispecie riconducibile al disposto dell'art. 393 cod. pen., omettendo di individuare e indicare quale fosse la pretesa giuridica tutelabile davanti all'autorità giudiziaria che l'indagato aveva ritenuto di esercitare, sottraendo il telefono cellulare al coniuge con una spinta, mentre costei riprendeva i propri beni che aveva rinvenuto danneggiati. Considerato in diritto 1.1. Il ricorso è fondato. Il provvedimento emesso dal G.i.p., nel qualificare l'episodio che aveva determinato la p.g. a procedere all'arresto, si fonda sulla considerazione dell'avvenuta sottrazione del telefono cellulare da parte dell'indagato non per finalità di profitto, ma per impedire un atto a suo dire illecito . La motivazione adottata, come rileva il Procuratore ricorrente, risulta affetta da evidente violazione di legge, poiché non individua quale fosse la pretesa tutelabile davanti all'autorità giudiziaria, rispetto alla quale il Ca. avrebbe ritenuto di farsi giustizia da sé sottraendo alla moglie il telefono cellulare né può ritenersi che l'esecuzione di riprese con un telefono cellulare, peraltro di oggetti di proprietà della persona che le esegue, possa costituire condotta illecita in grado di procurare danni a terzi soggetti, ipotesi che anche ove ritenuta sussistente dall'indagato in buona fede non avrebbe comune consentito di conseguire altro rimedio che quello risarcitorio e non anche la sottrazione della disponibilità del telefono cellulare alla proprietaria del bene . Insegna, infatti, la giurisprudenza di legittimità che in tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ai fini della configurabilità del reato, occorre che l'autore agisca nella ragionevole opinione della legittimità della sua pretesa, ovvero ad autotutela di un suo diritto suscettibile di costituire oggetto di una contestazione giudiziale, anche se detto diritto non sia realmente esistente tale pretesa, inoltre, deve corrispondere perfettamente all'oggetto della tutela apprestata in concreto dall'ordinamento giuridico, e non mirare ad ottenere un qualsiasi quid pluris , atteso che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall'agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, Musa, Rv. 268362 . 2. All'accoglimento del ricorso, consegue in linea con l'orientamento prevalente della Corte di legittimità Sez. 2, n. 21389 del 11/03/2015, P.M. in proc. Morelli, Rv. 264026 Sez. 5, n. 12508 del 07/02/2014, P.M. in proc. Scognamiglio, Rv. 260000 Sez. 1, n. 5983 del 21/01/2009, P.M. in proc. Abdelsalam Ibrahim, Rv. 243358 l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza di non convalida dell'arresto, attesa l'inutilità di investire il giudice a quo di una pronuncia che avrebbe valore meramente formale, essendo già stata riconosciuta in questa sede la legittimità dell'operato della Polizia giudiziaria. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata senza rinvio per essere stato l'arresto legittimamente eseguito.