La creazione della copia di un atto inesistente costituisce reato?

La formazione della copia di un atto inesistente non integra il reato di falsità materiale, salvo che la copia assuma l’apparenza di un atto originale.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 26108/20, depositata il 16 settembre. La Corte d’Appello di Milano confermava la pronuncia di prime cure con cui un imputato era stato condannato per i reati di tentata truffa aggravata e falso ex artt. 477-482 c.p La decisione è stata impugnata con ricorso per cassazione. Il Collegio ha ritenuto fondata la seconda censura con cui la difesa lamenta violazione di legge con riferimento agli elementi costitutivi del reato di falso. La Corte territoriale ha infatti erroneamente ritenuto che la formazione della copia di un atto inesistente configurasse il reato di falsità materiale, contraddicendo così a quanto affermato dalle Sezioni Unite con l’arresto n. 35814/19 . Il Supremo Consesso ha infatti chiarito che la formazione della copia di un atto inesistente non integra il reato di falsità materiale, salvo che la copia assuma l’apparenza di un atto originale , requisito non sussistente nel caso di specie. Il documento in questione era infatti stato prodotto dal ricorrente in modo da poter essere apparentemente riconducibile ad Equitalia e riguardava la cancellazione dell’iscrizione a ruolo di una cartella esattoriale. L’atto però non era conforme ai modelli standard in uso ad Equitalia, era privo del sigillo che caratterizza i documenti originali e recava un logo diverso. In conclusione, la Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla censura accolta e provvede alla rideterminazione della pena per il residuo capo di imputazione.

Corte di Cassazione, sez. Feriale Penale, sentenza 2 – 16 settembre 2020, n. 26108 Presidente Bricchetti – Relatore Agostinacchio Considerato in fatto 1. Con sentenza del 3 febbraio 2020 la Corte di appello di Milano confermava la sentenza in data 21 giugno 2019 del Tribunale di Milano con la quale, all’esito del giudizio celebrato con rito ordinario, V.W. era stato condannato alla pena di un anno e sei mesi di reclusione ed Euro 600 di multa perché ritenuto responsabile dei reati di tentata truffa aggravata e di falso ex artt. 477 e 482 c.p. così riqualificato il reato di cui al capo B. In sintesi, secondo la ricostruzione in fatto dei giudici di merito, l’imputato, in qualità di amministratore unico della società F.lli V. srl, con artifici e raggiri, consistiti nel far figurare estinta una cartella di pagamento mediante una falsa attestazione, aveva compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco ad indurre in errore Equitalia.Nord SPA, non riuscendo nell’intento a seguito delle verifiche effettuate in particolare, per neutralizzare la procedura esecutiva in atto, aveva formato una falsa corrispondenza, attestante la cancellazione dell’iscrizione a ruolo, con consegna del documento all’ufficiale di riscossione. 2. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione tramite il difensore di fiducia il V. , eccependo con un duplice motivo - la violazione di legge, relativamente alle norme stabilite a pena di inutilizzabilità delle prove dichiarative, nonché il vizio di motivazione circa l’accertamento di responsabilità per i reati contestati, essendo stata accertata la falsità del documento ma non l’identità dell’autore materiale e del soggetto che materialmente lo aveva consegnato all’ufficiale di riscossione in particolare, il teste R. non aveva potuto attribuire all’imputato la paternità dell’artificio - la violazione di legge con riferimento agli elementi costitutivi del reato di falso, in quanto la Corte territoriale aveva erroneamente ritenuto che la formazione della copia di un atto inesistente integrasse il reato di falsità materiale, contrariamente a quanto affermato dalle Sezioni Unite nella pronuncia n. 35814 del 28 Marzo 2019, con la conseguenza che la contraffazione del documento in questione, peraltro grossolana, non integrava gli estremi del falso, trattandosi appunto non già di originale ma di fotocopia di un atto inesistente. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato, in quanto si risolve nella pedissequa reiterazione di quanto già dedotto in appello e motivatamente disatteso dal giudice di merito, dovendosi lo stesso considerare non specifico ma soltanto apparente, in quanto non assolve la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di ricorso tra le tante Sez. 5 n. 25559 del 15 giugno 2012 Sez. 6 n. 22445 del 8 maggio 2009, rv 244181 . Con argomentazioni immuni da vizi logici e corrette sotto il profilo giuridico, la corte territoriale ha innanzitutto evidenziato la piena utilizzabilità delle dichiarazioni del teste R. , in relazione al profilo oggetto di appello genericamente richiamato in ricorso - circa il riferimento del testimone ad altra persona a conoscenza dei fatti entrambi i giudici di merito, con doppia pronuncia conforme, hanno altresì accertato - sulla base delle prove acquisite e, in particolare, dei riscontri documentali in atti - che l’imputato esibì all’ufficiale di riscossione un documento, apparentemente riconducibile ad Equitalia, attestante la cancellazione dell’iscrizione a ruolo della cartella esattoriale indicata nel capo d’imputazione, così ponendo in essere il tentativo di truffa contestato, al fine di neutralizzare la procedura esecutiva in atto. Il ragionamento deduttivo, contestato dalla difesa, secondo cui è da escludere. l’interesse di altri soggetti, diversi dal V. , a confezionare l’atto teso a trarre in inganno Equitalia, è esente da rilievi sul piano logico. 2. È invece fondato il secondo motivo di ricorso. Dal testo della sentenza impugnata si evince che il documento in questione apparentemente riconducibile ad Equitalia Nord spa, datato 26.11.2012 ed afferente la cancellazione dell’iscrizione a ruolo della cartella esattoriale presentava il logo di Equitalia e la dicitura definito il malinteso nulla è dovuto” che dall’analisi del sistema informatico non risultava che alcuna comunicazione di quel tenore fosse stata prodotta, stampata, notificata o consegnata al V. che il teste R. aveva evidenziato la non conformità dell’atto ai modelli standard in uso ad Equitalia sia per forma che per contenuto pag. 1 della sentenza di primo grado che si trattava di riproduzione fotostatica di un documento originale, in realtà inesistente pag. 2 della sentenza di secondo grado, in riscontro del terzo motivo d’impugnazione, con il quale era stato eccepito appunto che, in conformità con quanto esposto nella denunzia querela dell’Ente, si trattava di copia fotostatica - pag. 10 dell’atto di appello . 2.1 Hanno stabilito a riguardo le sezioni unite di questa corte, risolvendo un conflitto interpretativo sul punto, che la formazione della copia di un atto inesistente non integra il reato di falsità materiale, salvo che la copia assuma l’apparenza di un atto originale sez. un. sent n. 35814 del 28/03/2019 - dep. 07/08/2019 - Rv. 276285 , circostanza non verificatasi nel caso di specie. La produzione del documento in questione, secondo quanto prospettato dai giudici di merito, era, come evidenziato, funzionale ad ostacolare la procedura esecutiva esattoriale e si presentava prima facie idonea a trarre in inganno l’ufficiale di riscossione non costituiva cioè un falso grossolano . L’attestazione - riconosciuta falsa anche perché priva del sigillo che caratterizza i documenti originali, contrassegnati dalla firma del responsabile, con un diverso logo di Equitalia pag. 2 della sentenza del tribunale - era stata tuttavia esibita quale riproduzione fotostatica di uno sgravio amministrativo inesistente, riconoscibile come tale a seguito di verifica, perché priva di attestazione di autenticità e sguarnita dei requisiti, di forma e di sostanza, capaci di farla sembrare un atto originale o, comunque, documentativo dell’esistenza di un atto corrispondente. L’affermazione di responsabilità per il reato di falso, basata su un orientamento giurisprudenziale da considerarsi superato, richiamato dalla corte territoriale, non può essere pertanto confermata, con conseguente annullamento.della sentenza impugnata in parte qua. 3. Poiché la pena può essere rideterminata sulla base delle statuizioni del giudice di merito ai sensi dell’art. 620 c.p.p., lett. l , l’annullamento può essere disposto senza rinvio, con eliminazione della pena determinata per la continuazione mesi sei di reclusione ed Euro 100,00 di multa . P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al capo B perché il fatto non sussiste ed elimina la relativa pena di mesi 6 di reclusione ed Euro 100,00 di multa, rideterminando la pena irrogata in anni 1 di reclusione ed Euro 500,00 di multa. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.