Legittima la disposizione del carcere che fissa i colloqui a 30 giorni l’uno dall’altro per i detenuti in 41-bis

Lo svolgimento del colloquio visivo e telefonico del detenuto con i familiari costituisce un diritto fondamentale riconosciuto dall’ordinamento affinché lo stesso possa mantenere le relazioni con i congiunti più stretti. Tuttavia, le modalità di esercizio di esso rientrano in un ambito di esercizio della discrezionalità dell’Amministrazione penitenziaria, che attraverso previsioni di carattere generale può esplicarsi in disposizioni organizzative o comunque operative intese a definire tempi e modi per la concreta attuazione del diritto.

Così la Suprema Corte con sentenza n. 23945/20 depositata il 13 agosto. Il detenuto , sottoposto al regime detentivo speciale di cui all’art. 41- bis ord. pen., proponeva reclamo contro la disposizione della Direzione della Casa circondariale di Viterbo che aveva stabilito che, per i detenuti assoggettati a quel regime, i colloqui visivi e telefonici avessero luogo a una distanza di circa 30 giorni l’uno dall’altro . Rigettato il reclamo da parte del Magistrato di sorveglianza, il detenuto proponeva impugnazione e il Tribunale la accoglieva. Avverso tale ultima decisione, il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso per cassazione. Ebbene, la Corte di Cassazione chiarisce anzitutto che i colloqui visivi e telefonici costituiscono un fondamentale diritto del detenuto alla vita familiare e al mantenimento di relazioni con i più stretti congiunti , riconosciuto da numerose disposizioni dell’ordinamento penitenziario e con un saldo radicamento sul piano costituzionale e convenzionale. Tale diritto, precisa la Corte, è pacificamente riconosciuto anche a coloro che sono sottoposti al regime differenziato di cui all’art. 41- bis ord. pen., ai quali si applicano disposizioni restrittive in relazione al numero dei colloqui e alle relative modalità di svolgimento, senza che però possa impedirsi al detenuto di accedervi. Ciò premesso, la S.C. afferma che la regolamentazione della disciplina primaria è stata rimandata al Dipartimento dell’ Amministrazione penitenziaria che, con circolare del 2 ottobre 2017, avente ad oggetto l’organizzazione del circuito detentivo speciale dell’art. 41- bis ord. pen., ha previsto che nel rispetto della calendarizzazione delle giornate dei colloqui da parte della Direzione, gli stessi devono essere autorizzati e fruiti a distanza di circa 30 giorni. Ne discende che, se per un verso lo svolgimento del colloquio del detenuto con i familiari costituisce un diritto, per altro verso le modalità di esercizio di esso rientrano in un ambito di esercizio della discrezionalità dell’Amministrazione penitenziaria, che attraverso previsioni di carattere generale può esplicarsi in disposizioni organizzative o comunque operative intese a definire tempi e modi per la concreta attuazione del diritto . Nella fattispecie in esame, la scelta organizzativa dell’Amministrazione penitenziaria si è esplicata in un ambito di discrezionalità che la disposizione contenuta nella circolare del D.A.P. consente pienamente in quanto, con la previsione di un intervallo di circa 30 giorni, ha inteso proprio specificare la necessità di intervalli regolari tra un colloquio e l’altro. In tal senso, la Corte ritiene dunque di dover escludere una qualsiasi violazione di legge. Inoltre, per ciò che concerne l’ intervallo di tempo , esso è previsto per soddisfare sia l’esigenza collegata all’espletamento di una tempestiva istruttoria da parte dell’Amministrazione finalizzata al rilascio delle autorizzazioni prescritte, sia l’esigenza di rendere meno agevoli, o comunque meno concentrati, i collegamenti con l’esterno, quale veicolo potenziale di trasmissione di informazioni non consentite. Per tali motivi, secondo la Cassazione, la disposizione della Direzione della Casa Circondariale di Viterbo risulta conforme alle disposizioni di legge e perfettamente rientrante nel potere di organizzazione rimandato alla discrezionalità dell’Amministrazione penitenziaria. Pertanto, la S.C. accoglie il ricorso e annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di sorveglianza.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 26 giugno – 13 agosto 2020, n. 23945 Presidente Boni – Relatore Renoldi Ritenuto in fatto 1. Con reclamo proposto ai sensi dell’art. 35-bis Ord. Pen. e art. 69 Ord. Pen., comma 6, lett. b , C.M. , sottoposto al regime detentivo speciale di cui all’art. 41-bis Ord. Pen., denunciò l’illegittimità della disposizione con la quale la Direzione della Casa circondariale di Viterbo aveva stabilito, per i detenuti assoggettati a quel regime penitenziario, che i colloqui visivi e telefonici avessero luogo a una distanza di circa trenta giorni l’uno dall’altro. Secondo il detenuto, tale previsione era priva di base normativa e costituiva un impedimento allo svolgimento dei colloqui con i familiari, provenienti da luoghi lontani e, pertanto, aveva chiesto che i colloqui potessero essere effettuati, ancorché in mesi diversi, a distanza di circa uno-due giorni l’uno dall’altro. 1.1. Con ordinanza in data 22/3/2018, il Magistrato di sorveglianza di Viterbo rigettò il reclamo proposto da C. , ritenendo che la disposizione in questione fosse in linea con quanto previsto dall’art. 41-bis Ord. Pen. e dalla circolare dipartimentale del 2 ottobre 2017 secondo cui il colloquio visivo deve essere mensile e deve svolgersi a intervalli di tempo regolari. Infatti, la previsione di un siffatto intervallo temporale doveva ritenersi, da un lato, aderente alla ratio normativa, attesa la necessità di ridurre il flusso di informazioni in uscita o provenienti dall’esterno, assicurata dalla cadenza mensile dei colloqui e, dall’altro lato, essa contemperava le esigenze del detenuto con quelle di organizzazione e di sicurezza, interna ed esterna, degli istituti penitenziari. 1.2. Avverso l’ordinanza del Magistrato di sorveglianza propose reclamo il detenuto, ribadendo le ragioni di illegittimità in precedenza esposte. E con ordinanza in data 20/11/2019, il Tribunale di sorveglianza di Roma accolse l’impugnazione, disponendo la disapplicazione della cennata disposizione dell’Amministrazione penitenziaria. Dopo aver richiamato il testo dell’art. 41-bis Ord. Pen., comma 2-quater, lett. b , il Collegio osservò che le limitazioni di natura temporale in materia di colloqui riguardavano il numero mensile uno al mese e la modalità del contatto con i familiari, ma non la relativa cadenza temporale, prevista a intervalli definiti come regolari , senza che potesse ricavarsi la necessità che tra gli stessi dovesse intercorrere un intervallo di tempo avente una durata costante e sempre uguale l’una dall’altra, essendo prescritta solo la regolarità della cadenza, nel rispetto del criterio base per cui nello stesso mese non può svolgersi più di un colloquio . Pertanto, la richiesta di C. circa l’accorpamento dei colloqui mensili non poteva ritenersi incompatibile con il dettato normativo, nè con le finalità di prevenzione perseguite dall’art. 41-bis Ord. Pen. e con le esigenze di organizzazione e sicurezza, interna ed esterna, dell’Istituto penitenziario, essendo comunque tutelata la limitazione riguardante il numero mensile dei colloqui, secondo una cadenza regolare e predeterminata. 2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il Ministro della Giustizia per mezzo dell’Avvocatura dello Stato, deducendo due distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p 2.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b ed e , la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 41-bis Ord. Pen., comma 2-quater, lett. b , art. 35-bis Ord. Pen., comma 3 e art. 69 Ord. Pen., comma 6, lett. b . Dopo avere richiamato quanto previsto dall’art. 41-bis Ord. pen., nonché dall’art. 16 della circolare del D.A.P. in data 2/10/2017, avente ad oggetto l’organizzazione del circuito detentivo speciale, il ricorso rileva che il tenore testuale delle cennate disposizioni implicherebbe, come riconosciuto dalla Corte di cassazione, che per i colloqui dei detenuti assoggettati a tale regime debba intercorrere un intervallo di trenta giorni tra ciascun incontro. Disciplina giustificata, da un lato, dalla necessità di istruire le istanze prodotte dai detenuti ai fini della richiesta delle preventive autorizzazioni e, dall’altro lato, dalla esigenza di diluire i tempi dei flussi informativi che, nonostante i controlli, potrebbero intervenire tra il detenuto e i gruppi di criminalità esterni, in modo che eventuali direttive illecite possano trovare l’ostacolo di un passaggio di tempo significativo tra un colloquio e l’altro. Sotto altro profilo, si osserva che in relazione alle modalità di svolgimento dei colloqui, il detenuto sottoposto al regime speciale dell’art. 41-bis Ord. Pen. sarebbe titolare di un mero interesse legittimo, cosicché la sua aspettativa, pur giuridicamente qualificata, sarebbe recessiva rispetto al preminente interesse pubblico connesso alla tutela della collettività sotto il profilo della sicurezza pubblica, alla cui salvaguardia le modalità imposte dall’Amministrazione penitenziaria sarebbero coerenti e proporzionate, essendo comunque garantito il diritto al mantenimento di stabili relazioni con la famiglia, senza ridondare in un trattamento disumano o lesivo dei diritti fondamentali non comprimibili. Tanto più che la legge e la normativa secondaria prevedrebbero, per il caso di mancata fruizione del colloquio visivo in un determinato mese, la facoltà di effettuare il colloquio telefonico, nonché la possibilità di un colloquio visivo prolungato di due ore per il mese successivo. Pertanto, nel caso di specie, non vi sarebbe l’inosservanza, da parte dell’Amministrazione, di disposizioni dell’ordinamento penitenziario o del relativo regolamento, tale da dare luogo a un attuale e grave pregiudizio all’esercizio dei diritti del soggetto ristretto. Infine, il detenuto, a fronte di una cadenza temporale prevedibile e sufficientemente determinata da parte dell’Amministrazione, non individuerebbe, in modo preciso, la cadenza temporale dei colloqui che intenderebbe effettuare, finendo per prospettare un’esigenza meramente astratta, fondata sulla scelta del giorno del colloquio in modo arbitrario e privo di una giustificata esigenza. 2.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b , la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 35-bis Ord. Pen., comma 3, art. 69 Ord. Pen., comma 6, lett. b , per avere il Tribunale ritenuto di configurare una grave lesione all’esercizio di un diritto soggettivo del detenuto, avente ad oggetto i colloqui e il mantenimento dei rapporti con la famiglia. In realtà, proprio il fine di tutelare le imprescindibili esigenze connesse alla sicurezza pubblica, compresa l’incolumità personale del ristretto, giustificherebbero, nell’ambito della discrezionalità riconosciuta all’Amministrazione penitenziaria, il mancato accoglimento della pretesa di C. . 3. In data 31/3/2020, è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale è stata chiesta la declaratoria di inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito esposti. 2. Un consolidato orientamento giurisprudenziale qualifica i colloqui visivi come un fondamentale diritto del detenuto alla vita familiare e al mantenimento di relazioni con i più stretti congiunti, riconosciuto da numerose disposizioni dell’ordinamento penitenziario, quali l’art. 28 Ord. Pen., secondo cui particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare, o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie , art. 18, comma 3, che riconosce particolare favore . ai colloqui con i familiari , art. 1, comma 6, e art. 15 Ord. pen. i quali collocano i colloqui nell’ambito del trattamento rieducativo, attribuendo loro rilevanza anche ai fini dell’attività di recupero sociale del condannato , D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, art. 61, comma 1, lett. a , e art. 73, comma 3, il quale contempla il mantenimento del diritto ai colloqui con i familiari anche in caso di sottoposizione del detenuto alla sanzione disciplinare dell’isolamento con esclusione dalle attività in comune cfr. Sez. 1, n. 7654 del 12/12/2014, dep. 2015, Trigila, in motivazione Sez. 1, n. 47326 del 29/11/2011, Panaro, Rv. 251419 Sez. 1, n. 33032 del 18/4/2011, Solazzo, Rv. 250819 Sez. 1, n. 27344 del 28/5/2003, Emmanuello, Rv. 225011 Sez. 1, n. 22573 del 15/5/2002, Valenti, Rv. 221623 Sez. 1, n. 21291 del 3/5/2002, Floridia, Rv. 221688 . Un diritto, quello ai colloqui, che presenta un saldo radicamento sul piano costituzionale cfr. gli artt. 29, 30 e 31 Cost. posti a tutela della famiglia e dei suoi componenti e convenzionale v. l’art. 8, Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, il quale stabilisce che ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare . , sicché le limitazioni al suo esercizio devono essere previste dalla legge e devono essere giustificate da esigenze di pubblica sicurezza, di ordine pubblico e prevenzione dei reati, di protezione della salute, dei diritti e delle libertà altrui . Ne consegue che il diritto ai colloqui è pacificamente riconosciuto anche ai ristretti sottoposti al regime differenziato dell’art. 41-bis Ord. Pen., ai quali, nondimeno, si applicano disposizioni restrittive in relazione al numero dei colloqui e alle relative modalità di svolgimento, senza che però possa impedirsi al detenuto di accedervi. Così, l’art. 41-bis Ord. Pen. prevede, al comma 2-quater, lett. b , che esso sia svolto in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti, nel numero di uno al mese da svolgersi ad intervalli di tempo regolari e che in caso di mancata effettuazione di colloqui personali, possa essere autorizzato, con provvedimento motivato del direttore dell’istituto, solo dopo i primi sei mesi di applicazione, un colloquio telefonico mensile con i familiari e conviventi della durata massima di 10 minuti sottoposto, comunque, a registrazione. 2.1. Nel fornire una regolamentazione di dettaglio alla disciplina contenuta nella norma primaria, la circolare del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria del 2/10/2017, avente ad oggetto l’organizzazione del circuito detentivo speciale previsto dall’art. 41-bis Ord. Pen., ha previsto, all’art. 16, che nel rispetto della calendarizzazione delle giornate dei colloqui da parte della Direzione, gli stessi saranno autorizzati e fruiti a distanza di circa 30 giorni . Disposizione che, come detto, la Direzione della Casa circondariale di Viterbo ha posto a base del rigetto della richiesta del detenuto. 3. Dunque, se per un verso lo svolgimento del colloquio del detenuto con i familiari costituisce un diritto, per altro verso le modalità di esercizio di esso rientrano in un ambito di esercizio della discrezionalità dell’Amministrazione penitenziaria, che attraverso previsioni di carattere generale circolari e regolamento di istituto può esplicarsi in disposizioni organizzative o comunque operative intese a definire, appunto, tempi e modi per la concreta attuazione del diritto. E in tali casi, come avviene in tutte le ipotesi di atti amministrativi che impattano su situazioni di diritto soggettivo, gli atti che contengono tali misure sono assoggettati a un controllo giurisdizionale controllo che, nel caso di soggetti detenuti, spetta alla magistratura di sorveglianza v. Corte Cost., 7 maggio 2013, n. 135 Sez. U, n. 25079 del 26/2/2003, Gianni, in motivazione . 3.1. Detto controllo va compiuto secondo le consuete categorie che sostanziano l’eventuale illegittimità dell’atto amministrativo competenza, violazione di legge, eccesso di potere. Nel caso in esame, la scelta organizzativa dell’Amministrazione penitenziaria si è certamente esplicata in un ambito di discrezionalità che la norma le consente pienamente, avendo il D.A.P. inteso specificare, con la previsione di un intervallo di circa 30 giorni, il riferimento, contenuto nella norma primaria, alla necessità di intervalli regolari tra un colloquio e l’altro di tal che deve escludersi qualunque ipotetica violazione di legge . Più articolato è il discorso sull’eccesso di potere, che impone di verificare la legittimità della scelta su un piano di logicità e ragionevolezza della scelta organizzativa compiuta dall’Amministrazione. 3.2. In proposito, va rilevato che la giustificazione di una disciplina che stabilisca un rilevante iato temporale tra i colloqui è individuata, dalla stessa Avvocatura dello Stato, nella necessità di soddisfare due esigenze fondamentali. La prima riguarda l’espletamento di una tempestiva istruttoria da parte dell’Amministrazione, attraverso una raccolta di informazioni che può richiedere lunghi adempimenti, finalizzata al rilascio delle prescritte autorizzazioni sicché l’eventuale accorciamento dei tempi di espletamento dei colloqui rischierebbe di non consentire il tempestivo svolgimento di tali accertamenti istruttori. La seconda concerne, invece, l’opportunità di rendere meno agevoli, o comunque meno concentrati, i collegamenti con l’esterno, costituenti un veicolo potenziale di trasmissione di informazioni non consentite. 3.3. Osserva, in proposito, il Collegio che mentre la prima esigenza potrebbe essere comunque soddisfatta richiedendo che le istanze di colloquio siano avanzate tempestivamente, in modo da consentire di svolgere per tempo tutti i necessari adempimenti, la seconda esigenza costituisce una ragione assolutamente significativa per giustificare l’adozione della ricordata disciplina. Infatti, il distanziamento temporale tra i colloqui, con conseguente esclusione dell’accorpamento degli stessi, rispettivamente alla fine del mese e all’inizio di quello immediatamente successivo, consentirebbe di diluire i tempi dei flussi informativi che, nonostante i controlli, possono intervenire tra il detenuto e i gruppi di criminalità esterni, in modo che eventuali direttive illecite possano trovare l’ostacolo di un passaggio di tempo significativo tra un colloquio e l’altro Sez. 1, n. 5446 del 15/11/2019, dep. 2020, Amato, Rv. 278180 per l’opposta opinione, seguita dall’ordinanza impugnata, cfr. Sez. 1, n. 10462 del 25/11/2016, dep. 2017, Santafede, Rv. 269515 . Una impostazione, questa, seguita anche in altra condivisibile pronuncia, ove si è comunque sottolineata la legittimità del provvedimento con cui l’Amministrazione penitenziaria, nel disciplinare le modalità di svolgimento dei colloqui del detenuto con i familiari, nel rispetto dei richiamati limiti previsti dall’art. 41-bis Ord. Pen., comma 2-quater, lett. b , preveda un intervallo minimo e massimo di tempo, compreso tra 21 e 30 giorni, tra un colloquio e l’altro Sez. 1, n. 49867 del 15/10/2019, Graviano, Rv. 278463 , realizzandosi, in tal modo, un efficace contemperamento tra l’esigenza di distanziare lo svolgimento dei colloqui e quella di assicurare un minimo di flessibilità, comunque compatibile con la disposizione che prescrive la necessaria regolarità della cadenza. 4. Consegue alle osservazioni che precedono che in presenza di una disciplina di ordine generale, espressione di un potere di organizzazione dell’Amministrazione penitenziaria che è stato correttamente esercitato attraverso l’adozione di regole caratterizzate da assoluta ragionevolezza e coerenza con le finalità del regime differenziato cui afferiscono, la pretesa soggettiva del detenuto di accorpamento dei colloqui in giorni ravvicinati possa essere legittimamente incisa dall’esercizio di tale potestà amministrativa, funzionale al soddisfacimento del preminente interesse alla tutela della sicurezza pubblica cui la disposizione organizzativa era finalizzata, venendo, dunque, in gioco un mero interesse legittimo del detenuto e non un diritto soggettivo cfr. Sez. 1, n. 39966 del 11/6/2014, Pariante, Rv. 260357, relativa al reclamo avverso il provvedimento con cui l’Amministrazione penitenziaria, disciplinando le modalità di svolgimento dei colloqui visivi tra minori, figli o nipoti di età inferiore a 12 anni di detenuti sottoposti al regime detentivo differenziato di cui all’art. 41-bis Ord. Pen., aveva stabilito il divieto di assistervi da parte di altri familiari adulti, per la porzione della loro durata che si svolge in assenza di vetro divisorio . 4. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto, sicché l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio, per nuovo giudizio, al Tribunale di sorveglianza di Roma. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Roma.