Via libera ai colloqui dei detenuti al 41-bis con Skype for business

Sono ammissibili i colloqui con i congiunti dei detenuti sottoposti al regime differenziato disciplinato dall’art. 41-bis ord. pen., da eseguirsi mediante la piattaforma Skype for business, ciò in ragione del fatto che detti colloqui sono registrabili e controllabili da postazione remota, in modo tale da rispettare le restrizioni cui sono sottoposti i detenuti al c.d. carcere duro”.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Prima Penale, con la sentenza n. 23819/20, depositata l’11 agosto. Quando il vuoto normativo è colmato dalla tecnologia. Due coniugi, entrambi sottoposti al regime del carcere duro disciplinato dall’art. 41-bis ord. pen. hanno diritto a mantenere vivo il loro rapporto attraverso i colloqui? Certamente sì, anche se l’esercizio di questo diritto deve necessariamente fare i conti sia con le particolari restrizioni dovute al particolare regime carcerario, sia con l’impossibilità per entrambi di potersi spostare dall’istituto penitenziario nel quale si trovano ristretti. Nel caso che ci occupa, in realtà, la questione che poi verrà sottoposta alla Suprema Corte sorge quando solo uno dei due coniugi era detenuto. La moglie, infatti, era inizialmente sottoposta a misura di prevenzione e, di conseguenza, non poteva recarsi presso la struttura penitenziaria nella quale si trovava ristretto il marito. La richiesta, a questo punto, era quella di dare luogo ad un video-collegamento per consentire il colloquio a distanza. Sulle prime il Magistrato di Sorveglianza competente rigettava l’istanza, sulla scorta del duplice rilievo dell’assenza di una disposizione normativa specifica che consentisse questa possibilità e che, in ogni caso, il ricorso alla videoconferenza è prevista per legge soltanto per consentire ai detenuti di far fronte ad impegni giudiziari partecipazione ad udienze, eccetera . Di diverso avviso è, invece, il Tribunale di Sorveglianza al quale è indirizzato il reclamo valorizzando il diritto dei detenuti a coltivare i rapporti con i loro prossimi congiunti , il Collegio giunge alla conclusione che, sebbene il quadro giurisprudenziale sia tutt’altro che univoco e pacifico, deve considerarsi pienamente possibile fare ricorso al collegamento a distanza mediante la piattaforma Skype for business , da ritenersi quindi sufficientemente sicura per contemperare il diritto al colloquio con le esigenze di tutela della collettività. Del resto, viene osservato, questo strumento informatico è stato recentemente sperimentato per i detenuti in regime di c.d. media sicurezza, ed è risultato perfettamente controllabile e gestibile dal personale penitenziario. La Suprema Corte sposa la linea dell’adeguamento della normativa alle evoluzioni tecnologiche . La premessa del ragionamento è quella che pone al centro dell’attenzione l’ importanza del colloquio del detenuto con i propri familiari il rapporto tra il soggetto ristretto e i familiari viene, quindi, considerato di fondamentale rilievo per consentire il mantenimento dei rapporti affettivi anche di chi è privato della libertà personale. Ciò vale anche per il detenuto sottoposto al regime speciale del 41-bis”. Vero è che il colloquio, tradizionalmente inteso, può essere svolto nella duplice forma del colloquio telefonico o di quello tra presenti”, sotto l’occhio e l’orecchio vigile degli agenti della polizia penitenziaria, che provvederanno a registrare gli incontri – o le telefonate – tra il detenuto e i familiari onde evitare che queste occasioni possano trasformarsi in alcunché di illecito. Vero è anche che l’evoluzione tecnologica ha reso possibili forme di comunicazione a distanza mediante collegamento audio-video per consentire lontani di potere colloquiare senza spostarsi, e di potersi vedere” durante il colloquio. Questa trovata tecnologica ci ha consentito di svolgere molteplici attività durante il periodo del lockdown e, tra mille polemiche avvocatesche”, s’è provato anche a farne uso nel processo penale per celebrare le udienze da remoto. Gli Ermellini, dimostrando un invidiabile senso pratico, ritengono possibile fare uso della piattaforma di collegamento a distanza Skype for business anche per chi si trovi ristretto al regime del 41-bis ord. pen. basterà avere cura di registrare i colloqui, osservarli in diretta ed eventualmente interromperli ove dovessero riscontrarsi comportamenti scorretti dei colloquianti. Salutiamo con favore questa decisione, sperando che attorno ad essa si consolidi un orientamento sempre più costante l’utilizzo del mezzo di collegamento a distanza potrà, fra le altre cose, consentire anche ai meno abbienti di poter mantenere costanti rapporti con i propri congiunti detenuti senza dover affrontare lunghe e costose trasferte.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 22 giugno – 11 agosto 2020, n. 23819 Presidente Di Tomassi – Relatore Renoldi Ritenuto in fatto 1. M.S. , detenuto nella Casa circondariale di Sassari in quanto sottoposto al regime differenziato previsto dall’art. 41-bis Ord. Pen., aveva presentato reclamo al Magistrato di sorveglianza di Viterbo, ai sensi dell’art. 35-bis Ord. Pen. e art. 69 Ord. Pen., comma 6, lett. b , avverso il rigetto, opposto da parte della Direzione della Casa circondariale di Viterbo, della richiesta di essere autorizzato ad effettuare un colloquio in video-collegamento con la propria moglie, all’epoca sottoposta a misura di prevenzione e impossibilitata a recarsi in quell’Istituto. Secondo il Magistrato di sorveglianza, infatti, la materia dei colloqui per i detenuti sottoposti al regime di cui all’art. 41-bis Ord. Pen. era disciplinata dall’art. 16, circolare del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria n. 3676/6126 del 2/10/2017, che non contemplava tale forma di colloquio fra detenuti e familiari in libertà tanto più che anche la nota in data 11/7/2017 del D.A.P. aveva chiarito che il sistema del videoconferenza era utilizzato solo per la partecipazione dei detenuti agli impegni di giustizia, con la modalità della partecipazione dell’udienza a distanza ex art. 146-bis disp. att. c.p.p. e non avendo l’Amministrazione penitenziaria il potere di disporre il trasferimento della moglie presso l’Istituto di detenzione del marito, nè di imporre all’Autorità giudiziaria competente di autorizzare la donna ad allontanarsi dal comune nel cui territorio era obbligata a soggiornare. 1.1. Avverso il predetto provvedimento il detenuto propose reclamo davanti al Tribunale di sorveglianza di Roma, il quale, con ordinanza in data 16/1/2020, lo accolse. Dopo avere ricordato il diritto di ciascun detenuto a effettuare i colloqui con i propri familiari, diritto di diretta derivazione costituzionale e previsto da varie disposizioni dell’ordinamento penitenziario v. art. 28 Ord. Pen., art. 18 Ord. Pen., comma 3, art. 1 Ord. Pen., comma 6, e art. 15 Ord. Pen., D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, art. 61, comma 1, lett. a , e art. 73, comma 3 e che i colloqui visivi sono previsti anche per i detenuti sottoposti al regime dell’art. 41-bis Ord. Pen., ancorché assistiti da particolari cautele v. art. 16, circolare DAP n. 3676/6126 del 2/10/2017 , il Collegio capitolino riportò gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità sull’argomento, rilevando come secondo un più risalente indirizzo fosse stata affermata la legittimità dei colloqui visivi periodici del detenuto con un congiunto, parimenti detenuto, con il sistema della videoconferenza e come, secondo altro, più recente, orientamento fosse stato affermato che la legge non contemplasse, nè per i detenuti in regime ordinario, nè per i detenuti sottoposti al regime di cui all’art. 41-bis Ord. Pen., video - conferenze o video-colloqui e come la stessa nemmeno permettesse di realizzare colloqui visivi sui generis via Skype , delimitando con precisione il concetto di colloquio , così come quello di corrispondenza telefonica . Secondo il Tribunale di sorveglianza, in ogni caso, doveva essere condivisa la prima opinione, in quanto maggiormente idonea a contemperare le esigenze di tutela della collettività con quelle connesse ai diritti del detenuto, i quali non devono essere compressi con misure meramente afflittive, laddove il sacrificio non risponda alla concreta esigenza di garantire l’ordine e la sicurezza pubblica. E del resto, tale soluzione, secondo il Collegio romano, appariva in linea con la circolare del 30 gennaio 2019, n. 0031246U, emanata dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Direzione Generale detenuti e trattamento, con la quale era stato previsto, sia pure sperimentalmente e per il solo circuito della cd. media sicurezza, l’utilizzo della piattaforma Skype for business per l’esecuzione di video-chiamate da parte dei detenuti e internati, specificandosi che la video-chiamata dovesse essere equiparata ai colloqui previsti dall’art. 18 Ord. Pen. e D.P.R. n. 230 del 2000, art. 37, all’uopo indicando le modalità per assicurare l’identificazione della persona con la quale veniva effettuato il colloquio, l’utilizzazione, in appositi locali degli istituti, di postazioni informatiche abilitate, il controllo visivo del personale della polizia penitenziaria, in grado, da postazione remota, di visualizzare le immagini presenti sul monitor del computer utilizzato dal detenuto e di interrompere la comunicazione in caso di comportamenti non corretti del detenuto o dei familiari. Una soluzione, questa, condivisa dal Tribunale, oltre che per la sua idoneità ad agevolare il mantenimento delle relazioni familiari ed evitare trasferte costose, insostenibili fisicamente per gli anziani e i malati e psicologicamente stressanti per i fanciulli, in ragione della possibilità di assicurare adeguate di garanzie di sicurezza e di correttezza dei comportamenti durante lo svolgimento del colloquio. Sicché, concluse il Tribunale, il video-collegamento poteva essere effettuato sia utilizzando gli strumenti in dotazione dei due istituti penitenziari di assegnazione per la videoconferenza in occasione della partecipazione a impegni giudiziari, sia il video-collegamento attraverso la piattaforma Skype for business predisposta dal Ministero, sia con le modalità utilizzate per il video-collegamento con la Magistratura di sorveglianza per le rogatorie o per i colloqui, purché con l’adozione delle cautele previste dall’art. 41-bis Ord. Pen., quali il controllo auditivo, la registrazione del colloquio e ìl controllo visivo da postazione remota da parte dell’operatore penitenziario. All’uopo, il Tribunale ordinò all’Amministrazione penitenziaria di porre in essere tutte le attività necessarie sul piano organizzativo affinché, attraverso la strumentazione tecnica già a sua disposizione, venisse garantito il colloquio visivo periodico tra M. e la moglie, con l’adozione delle precauzioni previste per i detenuti sottoposti al regime dell’art. 41-bis Ord. Pen. e di quelle prescritte dalla circolare del DAP 30/1/2019 relativamente al controllo visivo da postazione remota. 2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il Ministro della Giustizia, per mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, deducendo, con un unico motivo di impugnazione, la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 41-bis Ord. Pen., comma 2-quater, lett. a e b e art. 18 Ord. Pen. In particolare, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b , che il Tribunale non abbia considerato, come affermato dalla Prima Sezione della Corte di cassazione con sentenza n. 16557/2019, l’assenza di un’espressa disciplina normativa che, in relazione sia ai detenuti in regime ordinario che a quelli in regime differenziato, individui i presupposti del video-collegamento, dettando una specifica regolamentazione quanto agli strumenti da adottare in condizioni di sicurezza, ai poteri di controllo delle Autorità penitenziarie e alle necessarie coperture di spesa. Regolamentazione che sarebbe viepiù necessaria per i detenuti sottoposti al regime differenziato, per i quali l’art. 41-bis, comma 2-quater, lett. b e la circolare dipartimentale del 2/10/2017 prevedono che i colloqui siano svolti in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti e, dunque, di persona e non a distanza e che solo per coloro che non effettuano colloqui , ad esempio ove il familiare sia a sua volta detenuto, può essere autorizzato, con provvedimento motivato del direttore dell’istituto , e solo dopo i primi sei mesi di applicazione, un colloquio telefonico mensile con i familiari e conviventi della durata massima di dieci minuti sottoposto, comunque, a registrazione . Dunque, la materia dei colloqui costituirebbe un ambito interamente regolamentato dalla legge, che non contemplerebbe videoconferenze o video-colloqui e nemmeno permetterebbe di costruire colloqui visivi sui generis , poiché la legge delimiterebbe con precisione il concetto di colloquio , così come quello di corrispondenza telefonica , rientrando la videoconferenza nelle forme di partecipazione a distanza alle udienze dibattimentali o per evitare problemi di sicurezza nelle traduzioni di certe tipologie di detenuti e non per facilitare i rapporti di costoro con i parenti. Nè potrebbe utilizzarsi la disciplina dettata dalla circolare del Ministero della giustizia del 30/1/2019, siccome relativa ai soli detenuti sottoposti a un regime di media sicurezza, non essendovi per i detenuti sottoposti al regime di cui all’art. 41-bis Ord. Pen. una base legale predeterminata che tenga conto delle esigenze di sicurezza nel controllo della corrispondenza telefonica, considerato anche che la registrazione del colloquio non rimarrebbe custodita presso l’istituto penitenziario, come richiesto dalla vigente normativa, ma presso il data center di Telecom Italia, con il conseguente pericolo di indebite divulgazioni di notizie riservate e di ritardi nel fornire le registrazioni alle Procure Distrettuali che ne facciano richiesta. Quanto all’utilizzo della piattaforma Skype for business, la strumentazione sarebbe ancora in fase sperimentale e introdotta, allo stato, esclusivamente per i detenuti appartenenti al circuito della c.d. media sicurezza , sicché il Tribunale di sorveglianza avrebbe introdotto una modalità di espletamento dei colloqui con i familiari a favore dei detenuti appartenenti al regime del 41-bis Ord. Pen., non contemplata dal vigente sistema normativo. E l’assenza di disciplina delle relative modalità di utilizzo anche per garantire la sicurezza dei colloqui, non si attaglierebbe alle rigide regole dettate dall’art. 41-bis Ord. Pen., che il legislatore avrebbe inteso regolamentare direttamente e in dettaglio. Tanto più che l’ordinanza impugnata non chiarirebbe se i colloqui siano registrabili e in che modo, non regolamenterebbe le modalità di conservazione e di utilizzazione delle registrazioni, nè affronterebbe il problema della possibilità, da parte di terzi, di intercettare e ascoltare le conversazioni nonché le relative garanzie da approntare. Inoltre, l’assenza di una disciplina unitaria rischierebbe di determinare una disparità di trattamento tra i detenuti, ove si affidasse ai singoli magistrati di sorveglianza la verifica della praticabilità in concreto delle soluzioni tecnologiche ipotizzate. 2.1. In via subordinata, il ricorso sollecita la rimessione della questione di diritto alle Sezioni Unite ex art. 618 c.p.p., tenuto conto dei contrasti giurisprudenziali, specialmente nella magistratura di sorveglianza, oltre che, come detto, nella giurisprudenza della Corte di cassazione. 3. In data 20/12/2019, è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale è stato chiesto l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata. 4. In data 16/6/2020, l’avv. Vianello Accorretti ha depositato, per conto del detenuto, una memoria di replica alla requisitoria del Procuratore generale, nella quale ha dedotto, che il regime differenziato ex art. 41-bis Ord. Pen., sarebbe finalizzato a evitare contatti tra il detenuto e l’organizzazione criminale di appartenenza le regole del regime differenziato soggiacerebbero, comunque, al duplice limite della congruità della misura applicata rispetto allo scopo che essa persegue e della funzione rieducativa della pena e del divieto di pene contrarie al senso d’umanità che l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Roma aveva chiarito come la circolare D.A.P. del 30/1/2019 equiparasse la videochiamata ai colloqui visivi, richiamando le norme dell’ordinamento penitenziario, sicché la verifica della praticabilità di soluzioni tecnologiche alternative era stata a un provvedimento dell’Amministrazione penitenziaria, non essendovi ostacoli alla registrabilità dei colloqui, alla possibilità che un operatore da remoto potesse interrompere immediatamente il collegamento, alla presenza della piattaforma Skype far Business negli istituti in cui erano allocati i due detenuti, ove era utilizzata per le udienze dinanzi ai locali Tribunali di sorveglianza, sul presupposto della sicurezza di tali sistemi, validati dalla stessa Amministrazione e non suscettibili di determinare costi aggiuntivi che le norme emanate a causa dell’attuale emergenza epidemiologica sarebbero applicate laddove vi siano situazioni particolari, come nel caso di specie, atteso che M. e la moglie non si incontrerebbero dal 2015, essendo entrambi ristretti in regime ex art. 41-bis Ord. Pen. non vi sarebbe il divieto di applicare la circolare D.A.P. del 30 gennaio 2019 anche ai detenuti sottoposto all’art. 41-bis. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto. 2. Un consolidato orientamento giurisprudenziale qualifica i colloqui visivi come un fondamentale diritto del detenuto alla vita familiare e al mantenimento di relazioni con i più stretti congiunti, riconosciuto da numerose disposizioni dell’ordinamento penitenziario, quali gli artt. 28 Ord. Pen., secondo cui particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare, o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie art. 18, comma 3, che riconosce particolare favore ai colloqui con i familiari 1, comma 6, e 15 Ord. Pen. i quali collocano i colloqui nel trattamento, attribuendo loro rilevanza anche ai fini dell’attività di recupero e rieducazione del condannato D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, art. 61, comma 1, lett. a e art. 73, comma 3, il quale contempla il mantenimento del diritto ai colloqui con i familiari anche in caso di sottoposizione del detenuto alla sanzione disciplinare dell’isolamento con esclusione dalle attività in comune cfr. Sez. 1, n. 7654 del 12/12/2014, dep. 2015, Trigila, in motivazione Sez. 1, n. 47326 del 29/11/2011, Panaro, Rv. 251419 Sez. 1, n. 33032 del 18/4/2011, Solazzo, Rv. 250819 Sez. 1, n. 27344 del 28/5/2003, Emmanuello, Rv. 225011 Sez. 1, n. 22573 del 15/5/2002, Valenti, Rv. 221623 Sez. 1, n. 21291 del 3/5/2002, Floridia, Rv. 221688 . Un diritto che, peraltro, presenta un saldo radicamento sul piano costituzionale cfr. gli artt. 29, 30 e 31 Cost. posti a tutela della famiglia e dei suoi componenti e convenzionale v. l’art. 8, Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, il quale stabilisce che ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare , sicché le limitazioni all’esercizio di tale diritto devono essere previste dalla legge e devono essere giustificate da esigenze di pubblica sicurezza, di ordine pubblico e prevenzione dei reati, di protezione della salute, dei diritti e delle libertà altrui . Ne consegue che il diritto ai colloqui è pacificamente riconosciuto anche ai ristretti sottoposti al regime differenziato dell’art. 41-bis Ord. Pen., ai quali, pure, si applicano disposizioni restrittive in relazione al numero dei colloqui e alle relative modalità di svolgimento, senza che però possa impedirsi al detenuto di accedervi. Così, l’art. 41-bis Ord. Pen. prevede, al comma 2-quater, lett. b , che esso sia svolto in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti e che in caso di mancata effettuazione di colloqui personali, possa essere autorizzato, con provvedimento motivato del direttore dell’istituto, solo dopo i primi sei mesi di applicazione, un colloquio telefonico mensile con i familiari e conviventi della durata massima di 10 minuti sottoposto, comunque, a registrazione. Dunque, come già per i detenuti ordinari, anche per quelli sottoposti al regime differenziato, la legge penitenziaria e il relativo regolamento di esecuzione stabiliscono che i contatti con i familiari si realizzino secondo due modalità fondamentali in presenza degli interlocutori o con il mezzo del telefono. 3. Tuttavia, l’evoluzione tecnologica ha reso possibile nuove forme di comunicazione a distanza, consentendo, per quanto qui di interesse, il ricorso a modalità di collegamento audio e video che consentono di riprodurre, accanto alla voce dei conversanti, anche la loro immagine cd. videochiamate . Di fronte a tali novità tecnologiche, la giurisprudenza, anche di legittimità, ha assunto posizioni non univoche, talvolta ammettendo anche per i detenuti sottoposti al regime differenziato i colloqui visivi con i familiari mediante forme di comunicazione a distanza Sez. 1, n. 7654 del 12/12/2014, dep. 2015, Trigila, Rv. 262417 , talaltra accedendo alla soluzione negativa, in ragione della mancanza di un’espressa disciplina normativa che individuasse i presupposti della comunicazione a distanza e che dettasse una specifica regolamentazione delle modalità esecutive e delle relative coperture di spesa Sez. 1, n. 16557 del 22/3/2019, c.c. Sassari, Rv. 275669 . Secondo la stessa Amministrazione penitenziaria le forme di comunicazione a distanza devono essere, comunque, ricondotte nell’alveo dei colloqui visivi , dei quali condividono qualificazione giuridica e modalità esecutive, secondo quanto stabilito, per i detenuti inseriti nel circuito della cd. media sicurezza, dalla circolare DAP del 29 gennaio 2019, n. 0031246U, che ha emanato delle linee-guida rivolte a tutte le direzioni degli istituti penitenziari, con un manuale tecnico-operativo per agevolare la procedura telematica di video-chiamata tramite la piattaforma Skype for business. Ne consegue che, per i detenuti sottoposti al regime ordinario, la relativa disciplina - per quanto riguarda l’individuazione degli organi competenti all’autorizzazione, il numero e la durata dei collegamenti audio-visivi, nonché le modalità di controllo - è stata individuata in quella dettata dall’art. 18 Ord. Pen. e D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, art. 37 cd. regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario . La possibilità di consentire il ricorso, da parte dei detenuti, a questa particolare forma di comunicazione è stata condivisibilmente giustificata dall’Amministrazione penitenziaria con l’esigenza di facilitare le relazioni familiari nelle strutture penitenziarie . È, infatti, notorio che assai frequentemente i congiunti del detenuto si trovino nella impossibilità di effettuare i colloqui in ragione della distanza dal luogo in cui quest’ultimo è ristretto sicché tale innovativa forma di comunicazione è stata individuata, dalla stessa Amministrazione, come un rilevante strumento per garantire l’effettività del diritto in questione. Una esigenza che il D.L. 10 maggio 2020, n. 29, dettato per la gestione della cd. emergenza Covid-19, ha inteso parimenti perseguire attraverso la previsione della possibilità per i condannati, gli internati e gli imputati di svolgere a distanza i colloqui con i congiunti o con gli altri soggetti cui hanno diritto , mediante, ove possibile, apparecchiature e collegamenti di cui dispone l’Amministrazione penitenziaria e minorile ovvero mediante corrispondenza telefonica, autorizzabile oltre i limiti dell’art. 39, comma 2, reg. esec. e del D.Lgs. 2 ottobre 2018, n. 121, art. 19, comma 1. Una disciplina che, seppur temporalmente circoscritta, non distingue tra i detenuti cui è riferibile e che, dunque, ben potrebbe essere ritenuta applicabile anche al caso di coloro che siano assoggettati al regime penitenziario differenziato. 4. Le considerazioni che precedono, segnalano, perciò, da un lato, l’esistenza di un diritto alla realizzazione del colloquio e, dall’altro lato, si inseriscono nel contesto di una disciplina, certamente più restrittiva, disegnata per i detenuti sottoposti al regime differenziato, che la giurisprudenza costituzionale ha ritenuto compatibile con la Carta fondamentale nei limiti in cui le deroghe al regime ordinario siano strettamente connesse a non altrimenti gestibili esigenze di ordine e di sicurezza v. Corte Cost., 5 dicembre 1997, n. 376 , atteso che, diversamente, le misure derogatorie del regime ordinario acquisterebbero un significato diverso, divenendo ingiustificate, con una portata puramente afflittiva non riconducibile alla funzione attribuita dalla legge al provvedimento ministeriale così Corte Cost., 14 ottobre 1996, n. 351 e, più recentemente, Corte Cost., 5 maggio 2020, n. 97 . E sulla stessa lunghezza d’onda, anche la giurisprudenza di legittimità ha affermato che quella della congruità tra misura e scopo costituisce una declinazione del principio di proporzione, rispetto al quale la stessa giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo richiede che le misure incidenti sulle libertà riconosciute dalla convenzione Europea dei diritti dell’uomo debbano, per poter essere considerate legittime, perseguire un fine legittimo essere idonee rispetto all’obiettivo di tutela risultare necessarie, non potendo essere disposte misure meno restrittive e parimenti idonee al conseguimento dello scopo non realizzare un sacrificio eccessivo del diritto compresso Sez. 1, n. 43436 del 29/5/2019, Gallucci, non massimata . Nel caso di specie è la stessa ordinanza impugnata a rimettere all’Amministrazione penitenziaria la scelta relativa alle concrete modalità esecutive nell’ambito di un ventaglio articolato di possibilità operative, tutte peraltro già esistenti, al fine di consentire alla Direzione dell’Istituto di individuare la modalità compatibile con le cennate esigenze di sicurezza, certamente affrontabili con semplici accorgimenti organizzativi costituenti comune patrimonio di conoscenza. Infatti, rispetto a quanto dedotto dall’Amministrazione ricorrente in ordine al rischio di illecite captazioni, non può non rilevarsi come la video-chiamata, utilizzando la rete intranet del Ministero della giustizia, soddisfi le paventate esigenze di sicurezza, trattandosi di modalità validata tecnicamente dal Servizio Informatico Penitenziario della Direzione Generale del Personale e delle Risorse del D.A.P. e dalla DGSIA cfr. pag. 2 Circolare del 30 gennaio 2019 . Inoltre, per quanto attiene alle problematiche di documentazione della conversazione a distanza, la video-chiamata può essere notoriamente registrata attraverso l’applicazione indicata nel provvedimento e nella richiamata circolare del D.A.P. Skype for business o altra equivalente, venendo generato un file temporaneo che, collocato in una cartella presente sul computer utilizzato per la comunicazione, può essere successivamente masterizzato e custodito per essere poi inviato, a richiesta, alla Direzione Distrettuale Antimafia o ad altra autorità giudiziaria che dovesse avere la necessità di accedere alla comunicazione . Ancora come per i detenuti della media sicurezza, le importantissime esigenze di controllo sulle modalità di svolgimento della conversazione possono essere soddisfatte attraverso l’esercizio della vigilanza da remoto da parte dell’operatore penitenziario, il quale, in caso di comportamenti non consentiti, potrebbe interrompere immediatamente la chiamata e con specifico riferimento al caso in esame, la circostanza che entrambi i colloquianti possano accedere alla piattaforma di comunicazione solo dall’ambiente carcerario in cui si trovano ristretti, rende evidente l’insussistenza di rischi collegati alla presenza di terzi o a comportamenti non controllabili del familiare ammesso al colloquio visivo da remoto. Inoltre, sempre secondo le regole previste dalla circolare del 30 gennaio 2019, n. [ ] con riferimento le video-chiamate effettuate dai detenuti inseriti nel circuito della cd. media sicurezza, potrebbe essere effettuata la contabilizzazione delle chiamate eseguite dai detenuti sottoposti al regime differenziato, sicché anche su tale piano non vi sarebbe alcuna specifica controindicazione, diversamente da quanto, ancora una volta, prospettato dall’Amministrazione ricorrente. Ma soprattutto, va rilevato che, al di là di quanto fin qui osservato, proprio la previsione, da parte dell’ordinanza impugnata, di una pluralità di opzioni tecniche per lo svolgimento del video-collegamento v. supra § 1 del ritenuto in fatto , avrebbe reso necessario, da parte del ricorrente, confrontarsi anche rispetto ad esse, con riferimento alle quali, invece, il ricorso è del tutto manchevole, essendosi le censure focalizzate unicamente sull’uso dell’applicazione Skype for business. 5. Sotto altro profilo, deve osservarsi, a ulteriore dimostrazione della infondatezza delle censure esposte nell’impugnazione, che lo stesso Ministero ricorrente fonda le proprie riserve in ordine alla possibilità di effettuare le video-chiamate sull’assenza di un regolamento in grado di uniformare le relative modalità esecutive tra i vari istituti penitenziari per un’analoga osservazione v. Sez. 1, n. 16557 del 22/3/2019, citata . E tuttavia, in disparte la circostanza che l’assenza di una regolamentazione uniforme è imputabile essenzialmente all’inerzia dell’Amministrazione che la denuncia come necessaria, è la stessa affermazione della sua indispensabile adozione a rivelare la piena legittimità del ricorso alle videochiamate, pacificamente non impedito dalla legge penitenziaria e, quindi, eseguibile attraverso l’adozione di semplici misure organizzative attraverso le quali garantire l’effettività del diritto al colloquio. In proposito, va, infatti, rimarcato come il ricorso a tale modalità di svolgimento dei colloqui sia funzionale a rendere possibile l’esercizio del diritto nei casi in cui esso non potrebbe essere altrimenti garantito, dovendo, dunque, la videoconferenza essere circoscritta alle situazioni di impossibilità o, comunque, di gravissima difficoltà ad effettuare il colloquio in presenza, come appunto segnalato nel caso in esame, essendo entrambi i coniugi ristretti in regime di art. 41-bis Ord. Pen. e non avendo avuto la possibilità di effettuare colloqui, già prima della sottoposizione a tale regime della moglie di M. , da oltre quattro anni. 6. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato siccome infondato, senza che il Ministero della giustizia ricorrente debba essere condannato al pagamento delle spese processuali così Sez. U, n. 3775 del 21/12/2017, dep. 2018, Tuttolomondo, Rv. 271650 . P.Q.M. Rigetta il ricorso.