È valido l’accordo contenente una pena illegale?

La pronuncia che recepisce un accordo in appello che abbia ad oggetto una pena illegale è viziata e quindi annullabile in quanto si fonda sulla falsa rappresentazione del quadro sanzionatorio, sia quando la stessa derivi da un errore originario contenuto nel patto e recepito dal giudice, sia quando derivi da una sopravvenuta pronuncia di illegittimità costituzionale della disposizione incriminatrice o di una norma che ne costituisca il presupposto applicativo, o, ancora, dei soli limiti sanzionatori di uno dei reati oggetto di concordato. La tenuta del patto viene meno, dunque, a meno che all’appellante ne derivi comunque un vantaggio in termini giuridici.

Il ricorso dell’imputato. La doglianza che forma oggetto delle questioni giuridiche affrontate dalla Corte riguarda la tenuta del patto, in appello, laddove la pena concordata tra le parti divenga illegale a seguito di declaratoria di incostituzionalità della norma penale in base alla quale si è giunti all’accordo. Il ricorrente, sostanzialmente, sottopone alla Corte il quesito per cui, seppure a fronte di un risultato che sarebbe comunque stato raggiunto per effetto dell’illegalità della pena inflitta dal primo giudice il minimo di pena viene abbassato a seguito della declaratoria di incostituzionalità , sia ancora giustificata la rinuncia agli altri motivi di appello ove non vi sia alcun vantaggio effettivo per l’imputato, così venendo meno la stessa ratio dell’istituto che giustifica la rinuncia a fronte di un beneficio, quantomeno in ordine alla sanzione penale. Finalità del concordato in appello. Rileva la Corte che l’istituto previsto dall’art. 599- bis c.p.p., avente natura negoziale, comporta che alla rinuncia di alcuni motivi di appello corrisponda, di contro, l’accoglimento di altri o, comunque, l’accoglimento di un accordo sulla pena tra le parti. In altre parole, in caso di accoglimento dell’accordo, gli altri motivi, oggetto di rinuncia, divengono inammissibili. È evidente che l’ottenimento del risultato che costituisce l’oggetto del patto è la condizione per la quale si addiviene allo stesso pertanto, in mancanza dell’accoglimento dello stesso, all’appellante viene restituita l’integrale disponibilità dell’impugnazione. Infatti, il comma 3 dell’art. 599- bis c.p.p. dispone che se il giudice ritiene di non potere accogliere la richiesta, ordina la citazione a comparire a dibattimento. Allo stesso modo, se il risultato giuridico ratificato dal giudice risulti illegale e, quindi, debba essere annullato, dovrà essere restituito all’impugnante il potere di disporre dei motivi allora rinunciati. Quando la pena diviene illegale. Ciò, pertanto, anche ove l’accordo accolto dal giudice di appello abbia riguardato una pena concordata tra le parti e divenuta illegale per effetto di una declaratoria di incostituzionalità della norma. In tale ipotesi, la sentenza impugnata deve essere annullata e, dunque, l’imputato può o insistere sui motivi allora oggetto di rinuncia o formulare un nuovo accordo per una pena legale. Orientamento di natura contraria. Affermano i giudici, sul punto, di non potere condividere un orientamento peraltro minoritario per il quale in tema di patteggiamento in appello, la sopravvenuta illegalità della pena concordata dalle parti sulla base di limiti edittali divenuti illegali a seguito di declaratoria di incostituzionalità inficia il solo accordo sulla pena, mentre rimane intangibile la rinuncia ai motivi di appello Cass. Sez. 6, sentenza n. 43641/19 . Infatti, i Giudici della quarta sezione, con la pronuncia in commento evidenziano che, in casi come quello di specie, la volontà delle parti risulterebbe viziata integralmente, atteso che l’abdicazione dei motivi sarebbe vincolata ad un risultato illegale. La tenuta dell’accordo ed il vantaggio per l’appellante. Fatte tali premesse, tuttavia, la corte ritiene, nel caso concreto, che, sebbene l’accordo si fondi sull’applicazione di una pena determinata in base ad una norma dichiarata incostituzionale, questo resta, comunque, legittimo e, dunque, tale da non determinare il ripristino dei motivi caducati. Invero, la rinuncia ai motivi, nel caso specifico, è stata determinata da un accordo finalizzato ad ottenere il minimo di pena” per un reato per cui la cui forbice è variata in conseguenza della dichiarazione di illegittimità incostituzionale della norma . Per tale ragione, appare evidente che l’imputato ha tratto, dall’accordo stesso, proprio quel vantaggio che costituisce la ratio della norma, ossia l’applicazione del nuovo minimo più favorevole . Circostanza questa che non potrebbe in alcun modo essere garantita nel caso di insussistenza del patto, laddove il giudice di appello ben potendo disporre una rideterminazione della pena in funzione della declaratoria di incostituzionalità , potrebbe però non necessariamente applicarla nella misura del nuovo minimo edittale sebbene inferiore alla pena inflitta in primo grado . In tale caso, pertanto, il vantaggio conseguito dal ricorrente non è legato solo alla modifica normativa ma anche alle specifiche condizioni del patto oggetto di accordo in appello.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 10 – 22 luglio 2020, n. 21901 Presidente Fumu – Relatore Nardin Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 16 aprile 2019 la Corte di appello di Bari ha confermato la penale responsabilità di A.N., Ar.Mi., C.D., D.R.G., F.M., G.C.D., P.S., P.G., Pr.Gi., Po.Do., S.C.D., per i reati loro ascritti, di cui agli artt. 110,81 cpv. c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 7, commi 1 e 4, nonchè la penale responsabilità di Po.Do. per il reato di cui all'art. 635 c.p., comma 2, di D.R.G. per il reato di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 75, comma 2, di A.N. per i reati di cui alla L. n. 865 del 1967, art. 31, commi 2 e 4 e art. 611 c.p. ed agli artt. 56,575, art. 576, n. 1 , applicando ai medesimi la pena concordata ai sensi dell'art. 599 bis c.p.p., mentre ha rideterminato la sanzione inflitta a L.M., assolto dal fatto del OMISSIS , descritto con altri al capo L , in quanto già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile. 2. Avverso la sentenza propongono ricorso per cassazione, a mezzo dei rispettivi difensori, A.N., D.R.G., G.C.D., F.M., P.S., P.G., Po.Do., T.A., nonchè personalmente S.C.D 3. A.N. formula un unico motivo di impugnazione con il quale lamenta l'omessa motivazione sia in relazione all'insussistenza delle cause non punibilità di cui all'art. 129 c.p., che in relazione alla congruità della pena concordata, avuto riguardo alla sua idoneità alla rieducazione del condannato. 4. D.R.G. formula un'unica doglianza inerente alla falsa applicazione del disposto del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 75, comma 2 ed al vizio di motivazione. Sostiene che la Corte territoriale non avrebbe dovuto dare applicazione al concordato sulla pena. L'imputato, infatti, è stato condannato anche per il reato di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 75, comma 2, benchè la dichiarazione di pericolosità generica che forma presupposto applicativo della norma, sia intervenuta sulla base dell'art. 1 , lett. a del medesimo D.Lgs., ritenuto costituzionalmente illegittimo con sentenza n. 19/2019 della Corte delle leggi. Sicchè la Corte territoriale avrebbe dovuto assolvere l'imputato dal reato di cui al capo P , non convalidando il concordato sulla pena. 5. G.C.D. formula tre motivi di ricorso. 6. Con il primo si duole della falsa applicazione dell'art. 599 bis c.p.p., con riferimento al disposto degli artt. 24 e 111 Cost., nonchè del vizio di motivazione. Osserva che il giudice di secondo grado, accogliendo la proposta di concordato, ha rilevato come l'unico elemento differenziale fra la pena determinata con il patto ed il trattamento sanzionatorio previsto in primo grado fosse rappresentato dalla considerazione della pronuncia della Corte Costituzionale n. 40/2019, con conseguente sostituzione nella determinazione della pena del nuovo minimo edittale previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1. Sostiene che il concordato non avrebbe dovuto essere ratificato, in quanto il ricorrente non ha tratto alcun vantaggio dalla scelta abdicativa formulata ex art. 599 bis c.p.p., con evidente raggiungimento del medesimo risultato che sarebbe stato raggiunto laddove l'imputato non avesse rinunciato ai motivi di gravame, essendo l'istanza stata motivata dall'esigenza di ottenere una riduzione di pena rispetto alla cornice edittale prevista prima della pronuncia della Corte Costituzionale. 7. Con il secondo motivo censura la violazione della legge penale con riferimento al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 110, art. 73, commi 1 e 4, la violazione della legge processuale in relazione agli artt. 192,129 e 530 c.p.p., nonchè la falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., ed il vizio di motivazione. Sottolinea come dagli atti di indagine non possa trarsi alcun elemento di colpevolezza di G. in relazione a tutti gli episodi di spaccio di sostanza stupefacente, di qualità non precisata, nel periodo dal OMISSIS , desumendosi dalla motivazione del primo giudice che gli unici reati accertati sono quelli commessi, in concorso con il solo P.S., nelle date del OMISSIS . Sicchè, avendo l'imputato concluso, in sede di giudizio abbreviato, per l'assoluzione da tutti i capi di imputazione egli avrebbe dovuto essere assolto per i fatti addebitatigli con il capo L , diversi da quelli ritenuti dal primo giudice e - comunque - non avrebbe potuto essere condannato D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, comma 1, non essendo stato trovato in possesso di sostanze diverse dalla marijuana detenuta al momento del suo arresto in flagranza, in data OMISSIS . 8. Con il terzo motivo lamenta la violazione della legge penale in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 e della legge processuale avuto riguardo al disposto dell'art. 649 c.p.p. Assume che non solo non sono state acquisite prove dell'episodio del OMISSIS , ma il medesimo fatto è stato oggetto della sentenza del G.U.P. presso il Tribunale di Bari, del 10 febbraio 2017, con la quale l'imputato è stato condannato alla pena di due anni e quattro mesi di reclusione. La Corte territoriale, dunque, avrebbe dovuto prosciogliere G.C.D. dal relativo reato. 9. F.M. introduce un'unica doglianza con la quale censura la sentenza della Corte territoriale per non avere motivato circa l'insussistenza delle cause di non punibilità di cui all'art. 129 c.p.p., nonchè sulla congruità della pena concordata, in funzione della sua idoneità alla rieducazione del condannato. 10. P.G. si duole del vizio di motivazione in ordine alla mancata applicazione del disposto dell'art. 129 c.p.p., su cui il giudice di seconde cure ha l'onere di motivare, anche in ipotesi di applicazione del c.d. concordato in appello. 11. P.S. formula un unico motivo, con cui si duole dell'omessa motivazione sulla sussistenza degli elementi integranti la fattispecie penale, nonchè sulla valutazione della formazione della volontà dell'imputato, richiesta per l'accesso al concordato sulla pena. 12. Po.Do. propone una sola censura con cui fa valere la violazione dell'art. 599 bis c.p.p., ed il vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale omesso di motivare sulla mancata applicazione della massima diminuzione di pena prevista per le circostanze di cui all'art. 62 bis c.p 13. S.C.D. lamenta il vizio di motivazione e la violazione dell'art. 129 c.p.p Sostiene che la Corte territoriale abbia omesso di argomentare sul valore delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia D.B.N., nonostante il ricorrente non avesse rinunciato a detto motivo di appello. 14. T.A., con un'unica doglianza, censura la sentenza della Corte territoriale per non avere motivato circa l'insussistenza delle cause di non punibilità di cui all'art. 129 c.p.p., nonchè sulla congruità della pena concordata, in funzione della sua idoneità alla rieducazione del condannato. 15. Tutti i ricorrenti concludono per l'annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 1. Va, innanzitutto, pronunciata l'inammissibilità del gravame formulato da S.C.D., essendo l'impugnazione stata introdotta dall'interessato, successivamente all'entrata in vigore, in data 3 agosto 2017, della L. 23 giugno 2017, n. 103, con cui è stata disposta la modifica dell'art. 613 c.p.p., comma 1, nella parte in cui consentiva all'imputato di proporre personalmente il ricorso, escludendo tale facoltà. 2. Inammissibile deve essere dichiarato anche il ricorso di P.S., connotato dall'assoluta indeterminatezza dell'unico motivo proposto, con il quale neppure si chiarisce in che cosa consisterebbe l'omessa valutazione circa la formazione della volontà di accedere al c.d. concordato in appello, rendendo così impossibile ogni controllo sull'operato del giudice. 3. Debbono essere dichiarati parimenti inammissibili i ricorsi formulati da A.N., F.M., P.G. ed T.A., le cui doglianze, del tutto sovrapponibili, ineriscono all'omessa motivazione sull'obbligo di declaratoria della sussistenza di cause di non punibilità, nonchè il ricorso di Po.Do., riguardante l'asserita omessa motivazione circa la mancata applicazione della diminuzione della pena ex art. 62 bis c.p., nella massima misura prevista dalla disposizione. 4. E', invero, sufficiente ricordare che In tema di concordato in appello, è ammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis c.p.p., che deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., ed, altresì, a vizi attinenti alla determinazione della pena che non si siano trasfusi nella illegalità della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ovvero diversa dalla quella prevista dalla legge da ultimo Sez. 2, n. 22002 del 10/04/2019, Mariniello Fabio, Rv. 276102 Sez. 2, n. 30990 del 01/06/2018, Gueli, Rv. 272969 Sez. 5, n. 7333 del 13/11/2018 - dep. 18/02/2019, Alessandria Rosario Maurizio, Rv. 27523401 . 5. Nessuno dei motivi formulati dai ricorrenti rientra, dunque, fra quelli da ritenersi ammessi nel giudizio di legittimità. 6. Il primo motivo formulato da G.C.D. è manifestamene infondato. 7. La doglianza, invero, è suggestiva, in quanto l'istituto introdotto dal legislatore con l'art. 599 bis c.p.p., di natura negoziale, comporta la rinuncia ai motivi di gravame o ad una parte di essi, controbilanciata dall'accoglimento di altri e dal conseguente accordo sulla pena fra il pubblico ministero e l'imputato, che si pone come effetto indiretto dell'accordo. L'inammissibilità dei motivi oggetto di rinuncia, laddove l'accordo sia accolto dal giudice, è, dunque, effetto dello schema pattizio dell'accordo stesso. L'accordo, nondimeno, viene travolto allorquando la pena concordata fra le parti divenga illegale per effetto della declaratoria di incostituzionalità, ciò comportando l'annullamento della sentenza impugnata e la restituzione all'imputato del potere dispositivo di proseguire il processo insistendo sui motivi oggetto di rinuncia o di rinegoziare una nuova pena non illegale cfr. in questo senso Sez. 6, n. 45876 del 08/10/2019 Sallmani Ervin Rv. 277435 Sez. 6, n. 41461 del 12/09/2019, Baglio Emiliano, Rv. 276803, Sez. 4, n. 31875 del 27/06/2019, Mahzoum Mohamed, Rv. 276706 contra Sez. 6, n. 43641 del 11/09/2019, Marzulli Francesco, Rv. 277374, sulle ragioni della condivisibilità del primo orientamento cfr. infra par. 16 e segg. . In questa cornice, dunque, va pertanto valutata la tenuta del patto nel caso di specie, posto che la pena inflitta con la sentenza pronunciata ex art. 599 bis c.p.p., è stata determinata nel nuovo minimo edittale previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, in conseguenza della sentenza n. 40/2019, come indicato dal concordato. Il ricorrente si chiede, a fronte di un risultato che sarebbe stato comunque raggiunto, per effetto dell'illegalità della pena inflitta dal primo giudice, se l'abdicazione ai motivi di appello, non inerenti alla misura della pena, possa ancora giustificarsi, in assenza di alcun vantaggio effettivo per l'imputato, venendo meno la stessa natura negoziale, che implica che alla rinuncia di alcuni motivi corrisponda un beneficio, quantomeno in ordine alla sanzione penale. La risposta non può che essere quella della piena legittimità dell'accoglimento da parte del giudice di appello di un accordo che preveda la riduzione della pena nei termini dell'ambito della nuova forbice edittale. E ciò, perchè il disvalore del fatto, allorquando muti il quadro sanzionatorio precedentemente previsto, va ripensato dal giudice all'interno della nuova legalità edittale. Invero, come già chiarito da questa Corte, in altre occasioni, il giudice deve sempre procedere alla rideterminazione della pena sulla base dei criteri previsti dall'art. 133 c.p., sia nel caso di pena illegale in quanto superiore ai limiti edittali previsti dalla disposizione come emendata, che nel caso in cui la pena concretamente inflitta sia compresa entro i nuovi limiti edittali, con l'unico limite del divieto di reformatio in pejus cfr. Sez. 3, n. 36357 del 19/05/2015 - dep. 09/09/2015, Testani, Rv. 264880, in relazione a fattispecie relativa ad ipotesi di intervento del giudice dell'esecuzione cui viene richiesto di adeguare il trattamento sanzionatorio in precedenza determinato per l'illecita detenzione di droghe leggere sulla base dei limiti edittali di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, come modificato dalla L. n. 49 del 2006, in vigore al momento del fatto, ma dichiarato successivamente incostituzionale con sentenza n. 32 del 2014 ed altresì, sempre per il caso di intervento del giudice dell'esecuzione cfr. In tema di stupefacenti, a seguito della sentenza Corte Cost. n. 40 del 2019, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 1, nella parte in cui fissava il minimo edittale in anni otto, anzichè sei, di reclusione, è legittimo il provvedimento del giudice dell'esecuzione che, in caso di pena quantificata nella sentenza definitiva in misura notevolmente superiore al minimo e prossima al valore medio rispetto alla cornice edittale previgente, all'esito della rivalutazione in concreto del giudizio sanzionatorio, confermi la sanzione già irrogata senza ridurla, giacchè, in tal caso, tenuto conto del mantenimento inalterato del massimo edittale, non sussiste quella condizione di sproporzione e di inadeguatezza della pena, rilevabile nei casi puniti con la reclusione nel minimo edittale pari ad otto anni, che ne impone un adeguamento al nuovo limite - Sez. 1, n. 51305 del 20/11/2019, Xheba Reonardo Rv. 277923 ed ancora In tema di stupefacenti, il giudice di appello che, a seguito della sentenza della Corte Cost. n. 40 del 2019, ridetermina la pena, inflitta in primo grado in misura prossima al minimo edittale all'epoca vigente, è tenuto a rimodularla alla luce della nuova e più favorevole cornice sanzionatoria, secondo i parametri di cui all'art. 133 c.p., non essendo tuttavia vincolato a seguire un criterio proporzionale di tipo aritmetico correlato alla pena calcolata prima della declaratoria di incostituzionalità - Fattispecie in cui in il giudice di appello, motivatamente discostandosi dal nuovo minimo edittale, aveva comunque determinato la pena finale in misura inferiore rispetto a quella irrogata in primo grado Sez. 6, n. 3481 del 22/10/2019 - dep. 28/01/2020, De Moro Angelo, Rv. 278132 . Dunque, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, il vantaggio della rinuncia agli altri motivi, diversi dalla rideterminazione della pena già inflitta con la sentenza di primo grado, pur se nel minimo del precedente quadro edittale, è costituito dalla scelta negoziale delle parti di mantenere la pena nel minimo del nuovo quadro edittale, scaturito dalla pronuncia di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza n. 40/2019 della Corte delle leggi. Che, altrimenti, la Corte di appello, nel rispondere al relativo motivo di gravame, in assenza di accordo ex art. 599 bis c.p.p., ben avrebbe potuto rideterminare la pena in misura superiore al nuovo minimo, purchè non superiore a quella già inflitta dal primo giudice, semplicemente rivalutando il disvalore del fatto, in relazione ai criteri di cui all'art. 133 c.p 8. Il secondo motivo formulato da G.C.D. è inammissibile, trattandosi di motivo - relativo alla motivazione sulla sussistenza dei reati al medesimo ascritti in relazione al periodo dal 2 aprile al 13 agosto 2015 - oggetto di rinuncia ex art. 599 bis c.p.p 9. Stessa sorte segue l'ultimo motivo di ricorso. Deve, infatti, osservarsi che pur se l'imputato ha segnalato con l'atto di appello che rispetto all'episodio del OMISSIS , allorquando l'imputato fu tratto in arresto in flagranza per detenzione di marijuana, è intervenuta, sentenza di condanna del G.U.P. del Tribunale di Bari in data 10 febbraio 2017, avverso la quale G. ha proposto gravame come dimostra la produzione con l'atto di appello del decreto di fissazione dell'udienza avanti alla Corte di appello di Bari, per l'udienza del 27 novembre 2017 , vi è che il medesimo non ha dato prova dell'irrevocabilità della relativa sentenza. Sicchè, l'accordo raggiunto con il Procuratore generale, recepito dalla Corte di appello, con cui si rinunciava a tutti i motivi, diversi da quello di determinazione della pena non presentava, alla data della decisione qui impugnata, alcun elemento che ne giustificasse la reiezione. 10. Ora, sebbene sia deducibile, anche con il ricorso per cassazione la preclusione derivante dal giudicato formatosi sul medesimo fatto, atteso che la violazione del divieto del bis in idem si risolve in un error in procedendo , nondimeno la decisione della relativa questione non può comportare la necessità di accertamenti di fatto, nel qual caso la stessa deve essere proposta al giudice dell'esecuzione Sez. 2, n. 21462 del 20/03/2019, Manco Stefano, Rv. 276532 . 11. L'unico motivo proposto da D.R.G., invece, deve essere accolto. 12. Con la sentenza n. 24 del 2019, infatti, la Corte delle leggi ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, numero 1 , della L. n. 1423 del 1956, confluito nel D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 1, lett. a , ritenendo che l'indeterminatezza dell'espressione traffici delittuosi , utilizzata per individuare coloro che, in quanto a ciò dediti, possono rientrare nella categoria dei c.d. pericolosi generici , non consenta di riempire di significato certo, e ragionevolmente prevedibile ex ante per l'interessato il disposto normativo. Con la conseguenza che una dizione tanto lata -peraltro non univocamente interpretata dalla giurisprudenza di legittimità - non può legittimare l'adozione di misure di prevenzione personali, in quanto non soddisfacente le esigenze di precisione imposte dagli artt. 13 e 117 Cost., nè quelle enunciate dall'art. 2 del Prot. 4 CEDU. 13. Il pronunciamento della Corte costituzionale ha spinto questa Corte a precisare la differenza fra le ipotesi nelle quali le misure di prevenzione sono state disposte nei confronti di soggetti destinatarii delle misure di prevenzione personale, in quanto abitualmente dediti a traffici delittuosi, di cui alla lett. a del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 1 e quelle in cui l'applicazione della misura sono state disposte perchè i soggetti i interessati rientravano sia fra quelli descritti alla lett. a , che fra quelli descritti alla lett. b cioè coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose , disposizione quest'ultima sottrattasi alle censure della Corte delle leggi. 14. Invero, è stato ritenuto che Le misure di prevenzione disposte nei confronti dei soggetti c.d. pericolosi generici che rientrano in entrambe le categorie di cui del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 1, lett. a e b , non perdono la loro validità a seguito della pronuncia della Corte costituzionale n. 24 del 2019, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della sola prima categoria di soggetti, a condizione che nella proposta e nel provvedimento applicativo non solo sia stata richiamata anche la categoria di cui alla lett. b della norma citata, ma, altresì, che il giudice della misura abbia accertato, sulla base di specifiche circostanze di fatto, che il proposto si sia reso autore di delitti commessi abitualmente in un significativo arco temporale, da cui abbia tratto un profitto che costituisca - ovvero abbia costituito in una determinata epoca - il suo unico reddito o, quanto meno, una componente significativa del medesimo. Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure il provvedimento di confisca di beni disposto nei confronti di un soggetto che, dedito all'attività di usura e riscossione violenta dei crediti per un lasso temporale di circa quindici anni, aveva ricavato da tali attività introiti di rilevante importo che, unitamente alla attività di evasore fiscale seriale, risultavano costituire l'ammontare prevalente del suo reddito . Sez. 2, n. 12001 del 15/01/2020, Leuzzi Giampiero, Rv. 278681 . 15. Nel caso di specie, nondimeno, il provvedimento applicativo della misura di prevenzione della sorveglianza speciale fa unicamente riferimento al disposto della citata lett. a della norma, in quanto ritiene D.R.G. soggetto dedito a traffici delittuosi , senza menzionare la lett. b e senza neppure fare riferimento al suo contenuto. Sicchè, la Corte territoriale non avrebbe potuto accogliere la proposta di concordato, formulata ex art. 599 bis c.p.p., in quanto il calcolo della pena oggetto del patto comprendeva anche il reato di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 75, comma 2, relativo alla violazione degli obblighi e delle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale, il cui presupposto applicativo, costituito dal provvedimento impositivo con riferimento alla sola lett. a dell'art. 1 D.Lgs. cit., deve considerarsi essere venuto meno per effetto della declaratoria di illegittimità costituzionale della disposizione. 16. Ne consegue che la sentenza impugnata va annullata in relazione alla posizione di D.R.G., con trasmissione degli atti alla Corte di Appello di Bari, per ulteriore corso, ricordando, a questo proposito che il concordato di cui all'art. 599 bis c.p.p., cade nella sua interezza, laddove il risultato raggiunto dalle parti, con l'accordo sulla rinuncia ai motivi o a parte di essi, fatto proprio dal giudice con la pronuncia, sia travolto dalla declaratoria di incostituzionalità di una disposizione applicata con il concordato. Si tratta di ipotesi fra le quali, come si è accennato supra, va certamente annoverato il venir meno della legalità della pena inflitta sulla scorta del negozio processuale, per effetto di pronunce della Corte delle leggi, ma anche l'intervento della declaratoria di incostituzionalità della norma incriminatrice, o di una norma che ne costituisca il presupposto applicativo, qual è, come nel caso di specie, quella che definisce l'ambito della rilevanza di un comportamento giustificante l'adozione di una misura limitante la libertà, la cui violazione comporta l'integrazione del reato. Invero, il condizionamento della volontà di rinuncia ai motivi proposti con il gravame all'ottenimento del risultato che forma oggetto del patto, ratificato dal giudice, implica necessariamente la restituzione al rinunciante dell'integrale disponibilità dell'impugnazione, per difetto dello stesso presupposto dell'abdicazione alla decisione su tutte o parte delle doglianze proposte, vincolata all'esito stabilito dall'accordo. Che questo sia lo schema normativo si ricava proprio dalla lettura della disposizione con la quale si vincola la rinuncia ai motivi alla sola ipotesi del suo accoglimento, che corrisponde certamente all'ottenimento del risultato indicato nel concordato. Ed infatti, è dell'art. 599 bis c.p.p., comma 3, a chiarire che qualora il giudice ritenga di non poter accogliere, allo stato, la richiesta, ordina la citazione a comparire al dibattimento , ma ciò, tuttavia, comporta che la richiesta e la rinuncia perdono effetto , potendo, tuttavia, essere nuovamente proposte nel dibattimento. Dunque, la perdita di effetto della rinuncia rappresenta l'effetto del rigetto - da parte del giudice - della richiesta di accogliere il concordato fra le parti, rappresenta cioè il venir meno del rapporto fra la rinuncia ai motivi di impugnazione ed il raggiungimento del risultato prospettato con l'accordo oggetto della richiesta. Non diversamente, qualora il risultato del negozio processuale, ratificato dal giudice, si manifesti illegale per una delle ragioni supra indicate e debba come tale essere caducato, in sede di legittimità, non potrà che restituirsi al rinunciante il potere che gli è proprio, in relazione alla disponibilità dei motivi di impugnazione. D'altro canto, che il potere dispositivo delle parti pur nella diversa estrinsecazione relativa al contenuto della rinuncia costituisca il fondamento stesso dell'istituto processuale è stato affermato, nel vigore della precedente disciplina di cui dell'art. 599 c.p.p., commi 4 e 5, abrogati dal D.L. n. 92 del 2008 , anche dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui Nel cd. patteggiamento della pena in appello ai sensi dell'art. 599 c.p.p., comma 4, le parti esercitano il potere dispositivo loro riconosciuto dalla legge, dando vita a un negozio processuale liberamente stipulato che, una volta consacrato nella decisione del giudice, non può essere unilateralmente modificato - salva l'ipotesi di illegalità della pena concordata - da chi lo ha promosso o vi ha aderito, mediante proposizione di apposito motivo di ricorso per cassazione. Sez. U., n. 5466 del 28/01/2004, Gallo, Rv. 226715 Non può quindi essere condiviso, per i motivi fin qui esposti, il recente orientamento, secondo il quale In tema di patteggiamento in appello, la sopravvenuta illegalità della pena concordata dalle parti sulla base di limiti edittali divenuti illegali a seguito di declaratoria di incostituzionalità inficia il solo accordo sulla pena, mentre rimane intangibile la rinuncia ai motivi di appello, sui quali deve ritenersi formato il giudicato. In applicazione del principio, la Corte, in conseguenza della sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019, ha annullato con rinvio, limitatamente al trattamento sanzionatorio, la sentenza emessa ai sensi dell'art. 599-bis c.p.p. . Sez. 6, n. 43641 del 11/09/2019, Marzulli Francesco, Rv. 277374 . L'indirizzo, soffermandosi sulla giurisprudenza inerente alla differenza fra l'applicazione della pena su accordo delle parti, di cui all'art. 444 c.p.p., ed il concordato in appello di cui all'art. 599 bis c.p.p., nega che dal comma 3, di quest'ultima disposizione possano evincersi argomenti dai quali trarre la completa caducazione del concordato nell'ipotesi di pena divenuta illegale, riferendo il testo normativo alla sola fase della formazione dell'accordo . Laddove, invece, il patto si sia concluso, ma la pena concordata si riveli illegale per effetto della sopravvenuta pronuncia di incostituzionalità, resterebbe fermo il perimetro della rinuncia ai motivi, dovendo annullarsi il solo accordo sulla pena. E ciò, perchè le previsioni riguardanti la formazione della fattispecie processuale in sede di appello non possono essere giustapposte all'epilogo decisorio in sede di legittimità che si limita a rilevare la illegalità della pena irrogata, rimuovendola . Una simile interpretazione, nondimeno, non tiene in considerazione che la pronuncia che recepisca un accordo avente ad oggetto una pena illegale si fonda sulla falsa rappresentazione del quadro sanzionatorio, sia quando ciò derivi da un errore originario contenuto nel patto e recepito dal giudice, che quando ciò derivi da sopravvenuta pronuncia di incostituzionalità della disposizione incriminatrice o di una norma che ne formi il presupposto applicativo o, ancora, dei soli limiti della cornice edittale prevista per uno dei reati oggetto del concordato. La manifestazione di volontà delle parti è, in queste ipotesi, intrinsecamente viziata in quanto vincola l'abdicazione dei motivi ad un risultato illegale. Ora, anche volendo riferire dell'art. 599 bis c.p.p., comma 3, alla sola formazione dell'accordo , non può che concludersi per la caducazione dell'intero patto. 17. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi proposti da ricorsi proposti da A.N., F.M., G.C.D., P.G., P.S., Po.Do., S.C.D. e T.A. consegue la condanna al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro duemila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di D.R.G Dispone trasmettersi gli atti alla Corte di appello di Bari per l'ulteriore corso. Dichiara inammissibili i ricorsi proposti da A.N., F.M., G.C.D., P.G., P.S., Po.Do., S.C.D. e T.A., che condanna al pagamento delle spese processuali e della soma di Euro duemila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.