La modifica del domicilio eletto deve essere comunicata nelle forme di legge

L’elezione di domicilio, quale atto personale a forma vincolata che esprime la volontà dell’imputato di ricevere ogni notificazione o comunicazione presso quel domicilio, non è surrogabile da una dichiarazione del difensore.

Sul tema è tornata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 21515/20, depositata il 20 luglio. La Corte d’Appello di Roma confermava la pronuncia di prime cure con cui un imputato era stato condannato per i reati di truffa e di calunnia. L’imputato ha proposto ricorso per cassazione dolendosi per aver la Corte territoriale erroneamente ritenuto rituale la citazione in giudizio dell’imputato considerando valida la notifica effettuata ai sensi dell’art. 161, comma 4, c.p.p. presso il difensore di fidu cia a seguito di infruttuoso tentativo di notifica presso il domicilio eletto. Ed infatti, nelle more del procedimento, l’imputato aveva comunicato alla Corte d’Appello la modifica del domicilio tramite una dichiarazione del difensore. Viene dunque dedotta una nullità assoluta ex art. 179 c.p.c Il Collegio ricorda che l’elezione di domicilio costituisce atto personale a forma vincolata , quale espressione della volontà dell’imputato di ricevere ogni notificazione o comunicazione presso quel domicilio e non è surrogabile da una dichiarazione del difensore , come avvenuto nel caso di specie. In particolare, non può essere considerata come valida elezione di domicilio ai sensi dell’art. 162 c.p.c. la mera indicazione del luogo di residenza dell’imputato, da questi non sottoscritta, contenuta nell’atto di appello redatto dal difensore . La notifica effettuata mediante consegna al difensore ex art. 161, comma 4, c.p.c. è dunque perfettamente valida laddove la consegna presso il domicilio dichiarato dall’imputato risulti impossibile e ciò anche se dagli atti risulti la nuova residenza dell’imputato ma con dichiarazione non avvenuta nelle forme di legge. Per questi motivi, il ricorso risulta inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 2 – 20 luglio 2020, n. 21515 Presidente Petruzzellis – Relatore Vigna Ritenuto in fatto 1.Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma del 12 maggio 2014 che condannava Z.L. alla pena di legge in relazione ai reati di truffa e calunnia. 2. Avverso la sentenza ricorre per Cassazione Z. denunciando, come unico motivo, la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’art. 162 c.p.p., artt. 13, 24 e 111 Cost. e art. 6 CEDU. La Corte di Appello, nel confermare la sentenza di primo grado, ha erroneamente ritenuto rituale la citazione in giudizio dell’imputato, rilevando la corretta notifica effettuata ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4, presso il difensore di fiducia, a seguito di un infruttuoso tentativo di notifica presso il domicilio eletto in Anzio alla via Petrarca 27. L’assunto è censurabile in quanto, nelle more del procedimento, il domicilio dell’imputato era cambiato e tale modifica era stata comunicata alla Corte d’appello con atto del 5 giugno 2014 da parte del difensore. Si rileva, pertanto, una nullità assoluta ai sensi dell’art. 179 c.p.p. per omessa citazione dell’imputato. L’atto depositato dal difensore il 5 giugno 2014 non rivestiva le forme di una effettiva elezione di domicilio, cioè di atto prodromico al giudizio esistente prima del suo inizio e da formarsi necessariamente direttamente a cura dell’imputato o tramite il deposito di nomina e procura speciale, contenente l’indicazione delle elezioni domicilio, sottoscritta dall’imputato con autentica del difensore. Nella specie, infatti, il difensore depositava l’atto contenente la mutazione del domicilio eletto, in data 5 giugno 2014, ovvero nel periodo intercorrente fra la emissione della sentenza di primo grado e il deposito dei motivi di appello. L’atto, quindi, non può essere considerato come un documento di tipo preprocessuale e quindi meritevole di tutele particolari tutele e formalità che la normativa impone sul punto. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito indicate. 2.L’elezione di domicilio è un atto personale a forma vincolata, espressione della volontà dell’imputato di ricevere ogni notificazione o comunicazione presso quel domicilio e non surrogabile da una dichiarazione del difensore, con la conseguenza che non può essere considerata come valida elezione di domicilio ai sensi dell’art. 162 c.p.p. la mera indicazione del luogo di residenza dell’imputato, da questi non sottoscritta, contenuta nell’atto di appello redatto dal difensore Sez. 2 n. 7834 del 28/01/2020, Simone, Rv. 278247 . 3.Il motivo di ricorso è, pertanto, manifestamente infondato alla luce dell’ormai consolidato orientamento di questa Corte, secondo il quale è legittima la notifica mediante consegna dell’atto al difensore eseguita ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4, in ragione dell’impossibilità di effettuarla presso il domicilio dichiarato, pur se dagli atti risulti la nuova residenza indicata dallo stesso imputato, nel caso in cui il mutamento o la revoca della precedente dichiarazione domiciliare non sia avvenuta nelle forme di legge così, da ultimo, Sez. 7, n. 24515 del 23/01/2018, Pizzighello, Rv. 272824 Sez. 5, n. 31641 del 01/06/2016, Leonardi, Rv. 267428 ed ancor prima le pronunce Sez. 2, n. 31056 del 13/05/2011, Baku, Rv. 251022 Sez. 6, n. 9723 del 17/01/2013, Serafino, Rv. 254693 che smentivano la tesi difforme propugnata fino alla pronuncia Sez. 2, n. 45565 del 21/10/2009, Esposito, Rv. 245629 . 3.1. Dall’esame degli atti accessibili alla Corte in ragione dell’error in procedendo denunciato con il motivo di ricorso, risulta che il difensore di fiducia del ricorrente, con atto depositato il 5/06/2014, si era limitato a indicare il luogo di residenza del proprio assistito in OMISSIS . Alla luce del principio di diritto sopra richiamato, bene ha fatto la Corte d’appello di Roma a ritenere che la mera indicazione del difensore, non sottoscritta dall’imputato, non costituisse rituale dichiarazione di domicilio, rilevante ai sensi dell’art. 162 c.p.p., non manifestando affatto la volontà dell’imputato di ricevere ogni notificazione e comunicazione presso quel domicilio. 4. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali. In ragione delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che si ravvisano ragioni di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.