Boss anziano e malato: confermato il carcere

Respinta la richiesta del suo legale di concedergli almeno la misura della detenzione domiciliare. Decisiva la relazione sanitaria che ne attesta le discrete condizioni generali di salute. Peraltro, l’uomo, che è collocato in una cella per disabili e adeguatamente assistito dal personale paramedico, ha anche rifiutato il piano terapeutico prospettatogli per affrontare una patologia tumorale.

Confermato il carcere per il boss, nonostante l’età avanzata e la presenza di un tumore. Esclusa l’incompatibilità del suo stato di salute col regime detentivo, anche perché egli ha rifiutato l’intervento chirurgico propostogli per accertare malignità e invasività della patologia Cassazione, sentenza n. 19117/20, sez. VI Penale, depositata il 24 giugno . Il difensore del detenuto – esponente di spicco della ‘ndrangheta – chiede la revoca della custodia in carcere o, almeno, la sostituzione con la misura degli arresti domiciliari , ponendo in evidenza la precarietà delle condizioni di salute del suo cliente, condizioni non compatibili, a suo dire, col regime detentivo carcerario. Per i Giudici di merito, però, nonostante l’ età dell’uomo – 80 anni – e una patologia tumorale , non si può parlare di incompatibilità delle condizioni di salute col regime detentivo carcerario . Questa visione viene ovviamente censurata dal legale che col ricorso in Cassazione punta di nuovo il dito su importanti carenze nella gestione sanitaria e sull’ assenza di qualsiasi intervento chirurgico, anche solo programmato, per far fronte alla gravissima patologia tumorale diagnosticata al detenuto. Secondo il legale il carcere rappresenta una violenza nei confronti del suo cliente, vista la gravità delle diverse patologie che lo hanno colpito e che richiederebbero la predisposizione di un intervento chirurgico e di specifiche cure e trattamenti, specie nella fase post operatoria, impossibili da prestare nell’ambito di un istituto penitenziario . A confermare il carcere per il boss provvede la Cassazione. Tale decisione viene poggiata sulla constatazione, alla luce di idonea base documentale – cioè una relazione sanitaria – , che le condizioni di salute dell’uomo non sono incompatibili col regime detentivo carcerario a questo proposito viene sottolineato che l’uomo ha rifiutato, sebbene informato dei potenziali danni derivanti da tale atteggiamento, di sottoporsi alle cure ed agli esami oggetto di un programma terapeutico predisposto dalle strutture sanitarie e riguardanti la patologia tumorale diagnosticatagli. Peraltro, proprio la relazione sanitaria ha posto in rilievo le discrete condizioni generali di salute dell’uomo che è collocato in una cella per disabili e adeguatamente assistito dal personale paramedico per l’igiene personale e per tutti gli atti quotidiani .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 11 – 24 giugno 2020, n. 19117 Presidente Di Stefano – Relatore De Amicis Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 17 dicembre 2019 il Tribunale di Reggio Calabria ha rigettato l'appello presentato ex art. 310 cod. proc. pen. nell'interesse di Te. Cr. avverso l'ordinanza emessa dalla Corte d'appello di Reggio Calabria il 22 ottobre 2019, con la quale veniva rigettata l'istanza di revoca o sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere - alla quale è sottoposto per il delitto di cui all'art. 416-bis cod. pen. in ragione della contestata partecipazione, con ruolo di vertice, all'omonima consorteria operante sul territorio di Rizziconi - con quella degli arresti domiciliari per incompatibilità delle sue condizioni di salute con il regime detentivo carcerario. 2. Avverso la suddetta decisione del Tribunale ha proposto ricorso per cassazione il difensore del Cr., deducendo, con un primo motivo, violazioni di legge ex art. 275, comma 4-bis, cod. proc. pen. e vizi della motivazione in ordine alla ritenuta esclusione della situazione di incompatibilità delle condizioni di salute del detenuto con il regime carcerario, avuto riguardo agli elementi prospettati dalla difesa in sede di gravame, ove si evidenziavano importanti carenze nella gestione sanitaria e l'assenza di qualsiasi intervento chirurgico, anche solo programmato, per far fronte alla gravissima patologia di natura tumorale diagnosticata all'imputato. Ulteriore profilo di incompatibilità delle condizioni di salute con il regime carcerario è quello prospettato in relazione alla circostanza di fatto, parimenti evidenziata nell'istanza ex art. 299 cod. proc. pen., attinente ad ustioni riportate dall'imputato episodio che, da un lato, ha rivelato la mancanza di un'assistenza continuativa, dall'altro non risulta essere stato oggetto di un'adeguata motivazione da parte del provvedimento impugnato. 2.1. Analoghi vizi vengono dedotti con un secondo motivo, prospettato in relazione agli artt. 299, comma 4-ter, 275, comma 4-bis e 220 cod. proc. pen., per essere stato il provvedimento impugnato adottato senza il preventivo svolgimento di una perizia medico-legale sulle condizioni di salute dell'imputato, nonostante la gravità delle diverse patologie a suo carico riscontrate, che richiederebbero la predisposizione di un intervento chirurgico e di specifiche cure e trattamenti, specie nella fase post-operatoria, impossibili da prestare nell'ambito d i un istituto penitenziario. 3. Con requisitoria pervenuta nella Cancelleria di questa Suprema Corte il 22 maggio 2020 il P.G. ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso. 4. In data 4 giugno 2020 i difensori del Cr., Avv. Fr. Si. e Avv. Fr. Al., hanno fatto pervenire in Cancelleria conclusioni scritte, replicando alle argomentazioni svolte dal P.G. e ribadendo la fondatezza dei motivi articolati nel ricorso, dei quali hanno chiesto l'accoglimento con il conseguente annullamento della ordinanza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e va rigettato per le ragioni di seguito indicate. 2. Il provvedimento impugnato ha congruamente ritenuto, sulla base di argomentazioni logicamente esposte e sorrette da idonea base documentale, non incompatibili le condizioni di salute in cui versa l'imputato con il regime detentivo carcerario cui è allo stato sottoposto, richiamando in tal senso il conforme contenuto di una relazione sanitaria in atti del 1. ottobre 2019 che a sua volta ne richiamava e confermava un'altra del 15 giugno 2019 e facendo altresì riferimento al fatto che il ricorrente aveva rifiutato, sebbene informato dei potenziali danni derivanti da tale atteggiamento, di sottoporsi alle cure ed agli esami cd. TURV e TAC oggetto di un programma terapeutico al riguardo predisposto dalle strutture sanitarie. Diversamente da quanto affermato nel ricorso, inoltre, la richiamata documentazione sanitaria poneva in rilievo le discrete condizioni generali di salute del paziente, ubicato in una cella per disabili e adeguatamente assistito per l'igiene personale e per tutti gli atti quotidiani dal personale paramedico, evidenziando il fatto a che nessuna conseguenza era derivata da una caduta accidentale del 4 luglio 2019 e da due piccole ustioni alle cosce, accidentalmente procuratesi in data 11 settembre 2019 e dal personale prontamente medicate b che proprio in relazione alla prospettata patologia legata ad una neoformazione vescicale era stata programmata l'esecuzione di un intervento di resezione endoscopica il cd. TURV dal paziente rifiutato, benché gliene fosse stata indicata la necessità di esecuzione. Nessuna situazione di concreta ed effettiva incompatibilità con il regime detentivo è stata specificamente prospettata dal ricorrente, né alcuna diagnosi di incompatibilità con il regime carcerario è allo stato emersa dal contenuto delle relazioni sanitarie vagliate dall'impugnata ordinanza. 3. Coerente con le risultanze offerte da tale quadro clinico-sanitario deve pertanto ritenersi la decisione cui sono pervenuti i Giudici di merito nel ritenere non necessario, allo stato, l'affidamento di un incarico peritale. Se, da un lato, è vero che in sede di appello cautelare, il giudice, pur essendo la sua cognizione limitata ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi di appello, conserva integri i propri poteri e può disporre accertamenti, anche di carattere sanitario, qualora li ritenga necessari ai fini della decisione Sez. 1, n. 5379 del 14/12/2007, dep. 2008, Forestiero, Rv. 238944 , dall'altro lato deve rilevarsi come il provvedimento impugnato abbia fatto, al riguardo, buon governo dei principii da questa Suprema Corte affermati in tema di misure cautelari, nel caso in cui il giudice ritenga di non accogliere immediatamente, sulla base della documentazione sanitaria acquisita, la richiesta di revoca o di sostituzione della custodia cautelare in carcere, fondata sulla prospettazione della particolare gravità delle condizioni di salute dell'indagato incompatibili con lo stato di detenzione Sez. 1, n. 55146 del 19/12/2016, Macchi Di Cellere, Rv. 268930 il giudice, infatti, non è obbligato a nominare un perito se, come verificatosi nel caso in esame, non risulta formulata una diagnosi di incompatibilità o comunque non si prospetta una situazione patologica tale da non consentire adeguate cure in carcere. Invero, la prevalenza del divieto di custodia in carcere per i soggetti portatori di gravi malattie, quale previsto dal comma 4-bis dell'art. 275 cod. proc. pen., rispetto alla presunzione d'adeguatezza esclusiva della custodia in carcere, nel caso di cui al precedente terzo comma dello stesso articolo, opera solo a condizione che risulti accertato il presupposto costituito dall'incompatibilità delle condizioni di salute del soggetto con lo stato di detenzione, intendendosi per tale anche quello attuabile presso taluna delle idonee strutture sanitarie penitenziarie di cui è menzione nel comma 4-ter del citato art. 275 Sez. 6, n. 18891 del 24/01/2017, Policastri, Rv. 269889 . Ne consegue, in definitiva, che, in tema di revoca o sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere, la previsione di cui all'art. 299, comma 4-ter, cod. proc. pen. impone al giudice la nomina del perito solo se sussiste un apprezzabile fumus e cioè se risulti formulata una chiara diagnosi di incompatibilità con il regime carcerario, o comunque si prospetti una situazione patologica tale da non consentire la prestazione di adeguate cure in carcere Sez. 2, n. 25248 del 14/05/2019, Ramondo, Rv. 276969 . 4. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. La Cancelleria provvedere all'espletamento degli incombenti di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.