Messa alla prova richiesta, per la prima volta, in appello: istanza inammissibile

Laddove la qualificazione del fatto integri un reato la cui pena edittale non consenta tanto il procedimento per oblazione quanto quello della sospensione del procedimento con messa alla prova, è onere dell’imputato sindacare la correttezza della qualificazione stessa, investendo il giudice di una richiesta specifica con la quale formuli istanza per l’instaurazione del rito speciale in riferimento alla qualificazione giuridica del fatto che ritenga corretta, pena la radicale inammissibilità della medesima richiesta reiterata in appello.

Lo ha stabilito la sesta sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18486/20, depositata in cancelleria il 17 giugno. Traffico di stupefacenti condannato il giovane spacciatore. Nel caso di specie, un giovane ragazzo è stato sottoposto a procedimento penale in relazione al reato di traffico di sostanza stupefacente, ai sensi dell’art. 73, comma 1- bis , d.P.R. n. 309/1990. In esito al giudizio di primo grato il GUP, sollecitato a decidere per effetto dell’attivazione del rito abbreviato, ha accertato la responsabilità penale dell’imputato, per l’effetto condannandolo alla pena di giustizia, non prima di aver riqualificato il reato ai sensi dell’art. 73, comma 5, cit. i.e. reato di lieve entità . Il verdetto negativo è stato impugnato dalla difesa la quale ha lamentato l’erroneità, nel merito, della statuizione al contempo avanzando per la prima volta in appello la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova ex art. 464- bis , comma 2, c.p.p La Corte territoriale, di contro, ha confermato la condanna, rigettando al pari la richiesta messa alla prova . Ebbene, proprio in relazione alla misura premiale” si è appuntato il ricorso in sede di legittimità. La difesa ha chiesto agli ermellini di rivedere la decisione emessa dalla Corte d’appello, laddove quest’ultima ha negato l’anzidetta sospensione, siccome domandata in appello per la prima volta, nonostante l’imputato non avesse potuto chiederla in primo grado poiché il capo di imputazione non lo ammetteva art. 73, comma 1- bis , d.P.R. n. 309/1990 . Richiesta di sospensione per messa alla prova previa riqualificazione del fatto di reato . La Corte di Cassazione, nel pronunciarsi sul ricorso, lo ha rigettato confermando la giustezza della valutazione espressa dalla Corte di secondo grado in merito alla inammissibilità della richiesta formulata per la prima volta in appello di sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato. Segnatamente , i Giudici del Palazzaccio hanno ribadito, richiamandosi a precedenti arresti, come laddove la qualificazione del fatto integri un reato la cui pena edittale non consenta tanto il procedimento per oblazione quanto quello della sospensione del procedimento con messa alla prova, è onere dell’imputato sindacare la correttezza della qualificazione stessa, investendo il giudice di una richiesta specifica con la quale formuli istanza per l’instaurazione del rito speciale in riferimento alla qualificazione giuridica del fatto che ritenga corretta. Allo stesso tempo e coerentemente , secondo la Corte, laddove l’imputato abbia chiesto tanto la sospensione quanto la riqualificazione, a fronte del rigetto è ben possibile che la questione venga riesaminata in appello non foss’altro perché, diversamente opinando, l’imputato vedrebbe negata la possibilità di esercitare il suo diritto di difesa nonostante abbia tempestivamente contestato l’erronea qualificazione ostativa alla concessione del beneficio il rito ovvero la misura premiale dell’estinzione del reato . Misura premiale negata. In definitiva, col rigetto del ricorso, i Giudici capitolini hanno confermato la sentenza emessa dalla Corte d’appello, per l’effetto negando la sospensione del procedimento per messa alla prova, con condanna dell’imputato alla refusione delle spese del giudizio di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 26 febbraio – 17 giugno 2020, n. 18486 Presidente Petruzzellis – Relatore Aprile Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Campobasso confermava la pronuncia di primo grado del 19 giugno 2017 con la quale il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Larino aveva condannato, all'esito di giudizio abbreviato, D.L.G. in relazione al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, così diversamente qualificato il fatto originariamente contestato ai sensi dell'art. 73, comma 1 bis, dello stesso D.P.R Rilevava, in particolare, la Corte territoriale come non potesse essere accolta la richiesta dell'appellante di sospensione del procedimento con messa alla prova, in quanto istanza avanzata per la prima volta solo nel giudizio di secondo grado, dunque senza il rispetto dei termini previsti dall'art. 464 bis c.p.p., comma 2. 2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso l'imputato, con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale, con un unico motivo, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione, per avere la Corte distrettuale erroneamente disatteso quella richiesta, benchè la stessa non potesse essere avanzata nel giudizio di primo grado nel quale era stato addebitato un delitto che non permetteva l'accesso a quel rito speciale, e che l'ammissibilità dell'istituto era sopravvenuta per effetto della decisione del Giudice dell'abbreviato che, riqualificando i fatti contestati ai sensi dell'art. 75, comma 5, D.P.R. cit., aveva evidenziato l'errore del pubblico ministero nella qualificazione giudica dei fatti, le cui conseguenze non avrebbero dovuto pregiudicare la facoltà dell'imputato di domandare l'instaurazione di tale rito alternativo. Considerato in diritto 1. Ritiene la Corte che il ricorso vada rigettato. 2. Come noto, l'art. 464 bis c.p.p., comma 2, prevede termini molto rigorosi entro i quali è possibile la presentazione da parte dell'imputato della richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, coincidenti con quelli in relazione ai quali è possibile l'instaurazione di un rito speciale premiale a carattere consensuale. Tale disposizione, nel confermare la sostanziale parificazione del rito della sospensione con messa alla prova ai riti speciali dell'abbreviato e del patteggiamento - peraltro espressamente riconosciuta dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui questa nuova figura, di ispirazione anglosassone, realizza una rinuncia statuale alla potestà punitiva condizionata al buon esito di un periodo di prova controllata e assistita e si connota per una accentuata dimensione processuale, che la colloca nell'ambito dei procedimenti speciali alternativi al giudizio Sez. U, n. 36272 del 31/03/2016, Sorcinelli, p. 6, non mass. sul punto - evidenzia come non sia possibile la contemporanea presentazione di istanze con le quali l'interessato chieda più di quei giudizi speciali con la conseguenza che l'instaurazione di uno dei quei riti impedisce, di regola, l'innesto di un altro in questo senso Sez. 5, n. 9398 del 21/12/2017, dep. 2018, Elfdili, Rv. 272570 Sez. 2, n. 36672 del 05/07/2017, Marcias, Rv. 271492 Sez. 5, n. 37198 del 01/07/2016, Bodino, non mass. . La interpretazione letterale della norma in esame dovrebbe, perciò, condurre a considerare del tutto priva di pregio la doglianza difensiva formulata con il ricorso proposto nell'interesse del D.L., in quanto la richiesta risulta tardiva perchè presentata nel corso del giudizio di secondo grado e, per giunta, dopo che l'imputato aveva chiesto ed ottenuto l'instaurazione del rito abbreviato dinanzi al giudice di primo grado. La questione che, invece, va considerata è se l'imputato, anche dopo essere stato giudicato con il rito abbreviato, possa essere restituito nel termine per presentare quella richiesta ex art. 464 bis c.p.p., laddove, come nella fattispecie è accaduto, non poteva chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova nel corso dell'udienza preliminare, prima di formulare le conclusioni, in quanto il reato a lui originariamente contestato ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis, aveva limiti edittali di pena superiori a quelli previsti dall'art. 168 bis c.p., e non consentiva formalmente quella istanza possibilità che è tornata ad essere concreta solo dopo l'emissione della sentenza del giudice di primo grado che aveva condannato il prevenuto riqualificando il fatto a norma dell'art. 73, comma 5, D.P.R. cit. In tale ipotesi non è applicabile l'orientamento per il quale la celebrazione del giudizio di primo grado nelle forme del rito abbreviato non preclude all'imputato la possibilità di dedurre, in sede di appello, il carattere ingiustificato del diniego, da parte del giudice di primo grado, della richiesta di sospensione con messa alla prova così, tra le tante, Sez. 4, n. 30983 del 20/02/2019, Cano, Rv. 276793 , in quanto tale indirizzo presuppone che una siffatta richiesta sia stata già avanzata durante il giudizio di primo grado cosa che, nella fattispecie, non era accaduta. 3. Allo specifico quesito posto dalla situazione considerata nel presente processo, questa Corte ha già dato una risposta negativa, esaminando una situazione sostanzialmente assimilabile partendo dal presupposto che, in caso di richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato, il giudice è tenuto a verificare la correttezza della qualificazione giuridica attribuita al fatto dall'accusa e può - ove la ritenga non corretta - modificarla, traendone i conseguenti effetti sul piano della ricorrenza o meno dei presupposti dell'istituto in questione, si è detto che laddove l'imputato sia stato condannato in primo grado per un reato che non consentiva la misura della messa alla prova, mentre in appello il fatto sia stato riqualificato in un reato che l'avrebbe consentita, deve ritenersi immune da censure il provvedimento con cui la Corte di appello abbia respinto l'istanza di restituzione in termini avanzata per accedere al beneficio, proprio sul rilievo per cui l'imputato avrebbe dovuto richiederne l'applicazione al giudice di primo grado nel termine di cui all'art. 464 bis c.p.p., previa riqualificazione del reato in contestazione così Sez. 4, n. 36752 del 08/05/2018, Nenna, Rv. 273804 conf. Sez. 4, n. 4527 del 20/10/2015, dep. 2016, Cambria Zurro, Rv. 265735 . Tale impostazione, riferita ad un caso in cui la riqualificazione giuridica del fatto era stata effettuata dal giudice dell'appello e la questione del ‘recuperò del rito era stata posta con il ricorso per cassazione, appare chiaramente riferibile anche al caso considerato dalla Corte di appello di Campobasso. Questo Collegio non ha ragione per discostarsi da tale enunciato, tanto più che la sua validità è stata ribadita dalle Sezioni Unite che, nel risolvere il contrasto esegetico sorto in relazione ad altra fattispecie avente analoghe caratteristiche, ha significativamente sostenuto che, in materia di oblazione, nel caso in cui è contestato un reato per il quale non è consentita l'oblazione ordinaria di cui all'art. 162 c.p., nè quella speciale prevista dall'art. 162 bis c.p., l'imputato, qualora ritenga che il fatto possa essere diversamente qualificato in un reato che ammetta l'oblazione, ha l'onere di sollecitare il giudice alla riqualificazione del fatto e, contestualmente, a formulare istanza di oblazione con la conseguenza che, in mancanza di tale espressa richiesta, il diritto a fruire dell'oblazione stessa resta precluso ove il giudice provveda di ufficio ex art. 521 c.p.p., con la sentenza che definisce il giudizio, ad assegnare al fatto la diversa qualificazione che consentirebbe l'applicazione del beneficio Sez. U, n. 32351 del 26/06/2014, Tamborrino, Rv. 259925 . In dettaglio, le Sezioni Unite hanno condivisibilmente sottolineato che tra il diritto di interlocuzione delle parti, da un lato, e il potere decisorio del giudice, dall'altro, si stabilisce, agli effetti che qui interessano, un nesso di naturale interdipendenza del secondo dal primo, nel senso che se il giudice è libero di assegnare al fatto, ex officio, la qualificazione giuridica che ritenga corretta, lo stesso giudice è tenuto a scrutinare motivatamente la richiesta delle parti di procedere a nuova qualificazione del fatto. Il che sta quindi a significare che, ove le parti nulla abbiano domandato o eccepito in punto di nomen iuris, il diritto di difesa che quel tema coinvolge - e con esso il relativo potenziale contraddittorio sul punto - può dirsi integralmente soddisfatto, con tutto ciò che ne consegue sul piano dei diritti il cui esercizio si fondi proprio sulla correttezza di quella qualificazione. Va, perciò, riaffermato il principio per cui, laddove la qualificazione del fatto integri un reato la cui pena edittale non consenta tanto il procedimento per oblazione quanto quello della sospensione del procedimento con messa alla prova, è onere dell'imputato sindacare la correttezza della qualificazione stessa, investendo il giudice di una richiesta specifica con la quale formuli istanza per l'instaurazione del rito speciale in riferimento alla qualificazione giuridica del fatto che ritenga corretta. 4. Nè a differenti conclusioni si perviene valorizzando la giurisprudenza costituzionale in materia di rapporto tra ‘modifichè dell'imputazione e diritto dell'imputato a chiedere un rito alternativo. E' vero che la Consulta ha ripetutamente dichiarato la illegittimità degli artt. 516 e 517 c.p.p., nella parte in cui, a seguito della contestazione dibattimentale suppletiva, da parte del pubblico ministero, di un fatto diverso o una nuova circostanza aggravante, non prevedono la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice l'instaurazione di un rito alternativo, tra cui anche di domandare la sospensione del procedimento con messa alla prova v. Corte Cost., n. 14 del 2020 e Corte Cost., n. 141 del 2018 , ma tali sentenze di accoglimento a contenuto additivo hanno riguardato ipotesi nelle quali è il pubblico ministero a modificare la descrizione del fatto oggetto dell'imputazione, dunque situazioni ben diverse da quella nella quale, immutato il fatto descritto nell'addebito, sia stato il giudice a dare ad esso una differente qualificazione giuridica ai sensi dell'art. 521 c.p.p La necessità di tenere distinte le fattispecie processuali innanzi tratteggiate è desumibile dal tenore di altre pronuncia del Giudice delle leggi con la quale, nel dichiarare la infondatezza della questione di legittimità dell'art. 464 bis c.p.p., comma 2, e art, 521 c.p.p., comma 1, nella parte in cui tali disposizioni non prevedono la possibilità di disporre la sospensione del procedimento con messa alla prova ove, in esito al giudizio, il fatto di reato venga, su sollecitazione del medesimo imputato, diversamente qualificato dal giudice così da rientrare in uno di quelli contemplati dall'art. 168 bis c.p., comma 1, si è detto che sarebbe irragionevole precludere all'imputato la facoltà di riproporre al giudice di secondo grado quella richiesta di sospensione del procedimento in ragione dei mutati presupposti applicativi del rito speciale ciò perchè il giudice di appello investito dell'impugnazione contro una sentenza di condanna resa in sede di giudizio abbreviato può persino ammettere l'imputato alla sospensione del processo con messa alla prova, allorchè ritenga ingiustificato il diniego opposto dal giudice di primo grado a tale richiesta C. Cost., n. 131 del 2019 . La Corte costituzionale ha, tuttavia, messo in risalto come la condizione per la operatività di tale autorevole indicazione interpretativa rimanga quella che l'imputato abbia formulato, nel termine previsto dall'art. 464 bis c.p.p., la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova contestualmente alla sollecitazione rivolta al giudice di riqualificazione del fatto ascritto a mente dell'art. 521 c.p.p. solo in tale ipotesi, rigettate entrambe le istanze dal giudice di primo grado, è possibile che la questione venga riesaminatà dal giudice dell'appello, in quanto altrimenti l'imputato si vedrebbe negata la possibilità di esercitare il proprio diritto di difesa, sotto lo specifico profilo della scelta di un rito alternativo e dei connessi benefici in termini sanzionatori, in conseguenza dell'erroneo apprezzamento da parte del pubblico ministero - al momento della formulazione dell'imputazione - circa la qualificazione giuridica del fatto contestatogli, laddove tale erronea qualificazione, pur immediatamente contestata dalla difesa, sia stata rilevata dal giudice soltanto in esito al giudizio. 5. Va aggiunto che la opzione esegetica che in questa sede si reputa di dover privilegiare, appare pure compatibile con le norme della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo così come interpretate dalla Corte di Strasburgo. Ed infatti, i Giudici Europei hanno sostenuto che l'art. 6, par. 1 e 3, lett. a e c , CEDU, va letto nel senso che, laddove il giudice nazionale dovesse decidere di dare ai fatti contestati una diversa qualificazione giuridica, va riconosciuta agli imputati la possibilità di esercitare i proprio diritti di difesa in maniera concreta ed effettiva essendo necessario che quel mutamento di qualificazione giuridica sia per gli stessi prevedibile, dunque che essi vengano informati in tempo utile non solo del motivo dell'accusa, cioè dei fatti materiali che vengono loro attribuiti e sui quali si fonda l'accusa, ma anche, e in maniera dettagliata, della qualificazione giuridica data a tali fatti così Corte EDU, sent. 11/12/2007, Drassich c. Italia conf. Corte EDU, sent. 01/03/2001, Dallos c. Ungheria Corte EDU, sent. 20/04/2006, I.H. c. Austria Corte EDU, sent. 03/07/2006, Vesque c. Francia . Orbene anche a voler prescindere dalla circostanza, tutt'altro che secondaria, che tale orientamento giurisprudenziale si è formato con riferimento a situazioni nelle quali il mutamento della qualificazione giuridica dei fatti era avvenuto con un aggravamento per l'imputato, dunque ipotesi diverse da quella esaminata in questo processo nella quale la riqualificazione giudica è stata operata con effetti migliorativi per l'odierno ricorrente - ciò che rileva è che la decisione del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Larino di riqualificare ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, i fatti contestati al D.L., non fu affatto una decisione a sopresa ovvero imprevedibile per l'imputato, avendo il suo stesso difensore espressamente domandato, con la formulazione delle conclusioni nel corso del giudizio abbreviato, l'applicazione di quella differente e meno grave norma incriminatrice rispetto a quella oggetto dell'iniziale addebito. 6. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.