Sospensione e revoca della patente restano sanzioni amministrative anche se applicate dal giudice penale

Alle sanzioni stradali accessorie interdittive non può essere riconosciuta la natura di pene accessorie, né di effetto penale della sentenza di condanna, di talché, nonostante la sentenza n. 88/19 della Corte Costituzionale, in sede di esecuzione non si può procedere alla sostituzione della sanzione della revoca della patente, disposta in sentenza, con quella della sospensione.

Lo ha stabilito la prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17506/20, depositata in cancelleria il 9 giugno. Divenuta irrevocabile la sentenza di applicazione della pena per il reato di cui all’art. 589- bis c.p., il condannato, preso atto della pronuncia n. 88/19 con cui la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 222, comma 2, IV periodo, c.d.s., adiva il giudice dell’esecuzione per chiedere la sostituzione della sanzione accessoria della revoca della patente, disposta in sentenza, con quella meno afflittiva della sospensione della stessa. Il Giudice competente, ritenuto che il provvedimento adottato dalla Prefettura aveva già esaurito i suoi effetti, stante l’intervenuto ritiro e conseguente cancellazione della patente, e vista l’ impossibilità di sostituire una sanzione non più in corso di esecuzione, respingeva l’istanza per difetto dei presupposti. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per Cassazione l’interessato, deducendo la violazione di legge in relazione all’art. 222 c.d.s., nel testo risultante a seguito della pronuncia di incostituzionalità, considerato che, poiché la revoca comporta anche l’inibizione quinquennale al conseguimento di una nuova patente prima che siano decorsi 5 anni, non risultava affatto esaurito il rapporto esecutivo. La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso infondato. Dopo aver operato una ricognizione sul contenuto della sentenza del Giudice delle leggi, la Sezione osserva che il tema della decisione concerne la verifica della natura delle sanzioni della revoca e della sospensione della patente e della loro riconducibilità nell’alveo degli effetti penali della sentenza di condanna, ai fini dell’eventuale applicazione da parte del giudice dell’esecuzione dell’art. 30, comma 4, l. n. 87/1953, che consente alla declaratoria di incostituzionalità di far cessare la esecuzione e tutti gli effetti penali del giudicato di condanna. Il Collegio ricorda che con la nota sentenza n. 8488/1998, le Sezioni Unite penali ebbero ad affermare che l’affiancamento delle sanzioni amministrative accessorie , ripristinatorie o interdittive, alle pene criminali, imposta un sistema binario di deterrenza teso a offrire una risposta, preventiva e repressiva, rispetto al fatto che risulti poli-offensivo del valore tutelato dalla norma penale e dell’interesse pubblico correlato. In tal senso, l’art. 222 c.d.s. prevede che sia il giudice penale a disporre, unitamente alla pena prevista, l’applicazione delle previste sanzioni amministrative accessorie all’accertamento di reati. Tale applicazione giurisdizionale non muta la natura amministrativa di tali sanzioni che, estranee al sistema penale, conservano la loro essenza incentrata sulla tutela di un interesse di spettanza della P.A A riprova della circostanza che la natura delle sanzioni amministrative accessorie rimanga invariata indipendentemente dall’autorità chiamata ad applicarle, l’art. 224, comma 3, c.d.s. prevede che quando la vis attractiva del giudice penale venga meno per estinzione del reato, la competenza sia restituita in capo al Prefetto. Peraltro, è lo stesso art. 224 cit. a riservare l’esecuzione della sanzione accessoria, che non viene travolta nemmeno dalla sospensione condizionale della pena, all’autorità amministrativa. Ne deriva che alle sanzioni stradali accessorie interdittive non può essere riconosciuta la natura di pene accessorie, né di effetto penale della sentenza di condanna . Sulla base di questi presupposti, richiamati i propri precedenti specifici che si sono occupati delle ricadute derivanti proprio dalla sentenza n. 88/19 della Consulta, la Corte ribadisce l’impossibilità di procedere a una rivisitazione del giudicato, visto che la natura formalmente e sostanzialmente amministrativa delle sanzioni de quibus , comporta che le stesse esulano dall’ambito di operatività dell’art. 30, comma 4, l. n. 87/1953.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 20 febbraio - 9 giugno 2020, n. 17506 Presidente Di Tomassi - Relatore Saraceno Ritenuto in fatto 1. Con l'ordinanza in epigrafe, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, adito quale giudice dell'esecuzione, respingeva l'istanza proposta da R.F., volta a ottenere la sostituzione - con la sanzione accessoria della sospensione della patente - della più afflittiva misura della revoca disposta con sentenza, irrevocabile il 12 ottobre 2018, di applicazione della pena per il reato di cui all'art. 589 bis c.p., comma 1, a seguito della pronuncia della Corte costituzionale n. 88 del 2019, che ha dichiarato incostituzionale il D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 222, comma 2, quarto periodo, nella parte in cui ne aveva reso obbligatoria l'applicazione. A ragione osservava che, dopo il passaggio in giudicato della sentenza, il Prefetto aveva adottato, ai sensi dell'art. 224 C.d.S., comma 2, il provvedimento di revoca della patente di guida, notificato al R. ed eseguito in data 19.2.2019 con il materiale ritiro della patente. Era, pertanto, evidente il difetto dei presupposti per la rideterminazione della sanzione accessoria, posto che il provvedimento di revoca aveva esaurito i suoi effetti nel momento in cui era stato eseguito attraverso il materiale ritiro del titolo abilitativo da parte dell'autorità amministrativa e conseguente sua cancellazione donde l'impossibilità di sostituire una sanzione non più in corso di esecuzione. 2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso l'interessato a mezzo del difensore, il quale ne ha chiesto l'annullamento per violazione di legge in relazione all'art. 222 C.d.S., nel testo risultante a seguito della pronuncia di incostituzionalità. Erroneamente il giudice dell'esecuzione ha ritenuto esaurito il rapporto esecutivo a seguito del provvedimento prefettizio di ritiro e cancellazione del titolo abilitativo alla guida, trascurando però di considerare che il provvedimento di revoca produce un duplice effetto il ritiro e la cancellazione del titolo abilitavo e il divieto di conseguire una nuova patente prima che siano decorsi cinque anni dalla revoca, periodo che non era certamente decorso nè al momento della presentazione dell'istanza nè al momento della decisione. Con la rimozione della sanzione accessoria della revoca della patente sarebbe stata rimossa anche l'inibizione quinquennale al conseguimento di una nuova patente, che è pena sproporzionatamente severa sia in relazione a reati analoghi sia in quanto implicante una limitazione dei diritti fondamentali del condannato eccessiva rispetto alle finalità perseguite dalla norma incriminatrice . La decisione impugnata, omettendo qualsivoglia valutazione sull'effettiva componente di afflittività della misura alla stregua dei criteri elaborati dalla Corte di Strasburgo sulla natura sostanzialmente penale delle sanzioni, ha di fatto eluso il contenuto della sentenza della Corte costituzionale, facendo malgoverno dei principi di uguaglianza, proporzionalità e necessaria individualizzazione del trattamento sanzionatorio. 2.1. Con memoria depositata il 5 febbraio 2010, il difensore del condannato ha insistito per l'accoglimento del ricorso, illustrando il contenuto di alcune pronunzie di merito, nel frattempo intervenute, che, valorizzando l'indubbio grado di afflittività della sanzione, hanno ritenuto applicabile il disposto di cui alla L. n. 87 del 1953, art. 30, comma 4. Considerato in diritto 1. In via preliminare va rilevato che la memoria difensiva depositata in data 5 febbraio 2020, per l'udienza del 20 febbraio 2020, incorre nella sanzione dell'inammissibilità perchè pervenuta oltre il termine prescritto dall'art. 611 c.p.p. pertanto le ulteriori argomentazione difensive in essa sviluppate non possono essere prese in considerazione dal momento che la rilevata intempestività esime dall'obbligo di esaminarle. 2. Il ricorso è infondato per le ragioni che si diranno. 3. La sentenza della Corte costituzionale n. 88 del 2019 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 222 C.d.S., comma 2, quarto periodo nella parte in cui non prevede che, in caso di condanna, ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'art. 444 c.p.p., per i reati di cui agli artt. 589-bis omicidio stradale e 590-bis lesioni personali stradali gravi o gravissime c.p., il giudice possa disporre, in alternativa alla revoca della patente di guida, la sospensione della stessa ai sensi dell'art. 222, stesso comma 2, secondo e terzo periodo , allorchè non ricorra alcuna delle circostanze aggravanti previste dai rispettivi commi 2 e 3 degli artt. 589-bis e 590-bis c.p. . Nel censurare la disposizione, introdotta con la L. n. 41 del 2016, che ha previsto la indiscriminata estensione della revoca della patente a tutte le ipotesi di omicidio e di lesioni stradali gravi o gravissime, pur marcatamente diverse in termini di gravità della condotta, il Giudice delle leggi ha riscontrato un caso di automatismo sanzionatorio capace di vulnerare il principio di uguaglianza che notoriamente esige che situazioni diseguali siano trattate in modo diversificato ha ritenuto che l'applicazione fissa della sanzione amministrativa, non graduabile in ragione delle peculiarità del caso, trovi una base applicativa ragionevole nelle più gravi ipotesi descritte al comma 2 ed al comma 3 sia dell'art. 589 bis sia dell'art. 590 bis, giacchè porsi alla guida in stato di ebbrezza alcolica con un tasso alcolemico superiore a determinate soglie o sotto l'effetto di sostanze stupefacenti costituisce comportamento altamente pericoloso per la vita e l'incolumità delle persone, posto in essere in spregio del dovuto rispetto di tali beni fondamentali mentre tale automatismo è intrinsecamente irragionevole per comportamenti che, pur gravemente colpevoli, sono stati considerati di non pari gravità già dallo stesso legislatore, che ha apprestato una risposta sanzionatoria diversificata, segnata dalla crescita proporzionale della sanzione principale in funzione del diverso disvalore sociale di condotte ontologicamente distinte nell'ipotesi base del comma 1 delle due disposizioni e in quelle aggravate dei commi 4, 5 e 6 l'automatismo della sanzione amministrativa più non si giustifica e deve cedere alla valutazione individualizzante del giudice che, apprezzate le circostanze del caso, può eventualmente applicare come sanzione amministrativa, in luogo della revoca della patente, quella meno afflittiva della sospensione della stessa per la durata massima prevista dall'art. 222 C.d.S., medesimo comma 2, secondo e dal terzo periodo . 4. Il ricorrente, con il proposto incidente, muovendo dal rilievo della marcata afflittività della sanzione di revoca del titolo abilitativo alla guida, con conseguente inibizione per cinque anni ad un nuovo rilascio, e, dunque, dalla natura sostanzialmente penale della misura, ne ha chiesto la revoca, implicitamente invocando l'applicazione della L. n. 87 del 1953, art. 30, comma 4, che definisce i rapporti della pronunzia di illegittimità costituzionale con i giudicati di condanna, prescrivendo espressamente che quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali . Le Sezioni Unite di questa Corte a partire dalle sentenze Ercolano e Gatto hanno adottato una interpretazione ampia dell'art. 30, comma 4 - che fonda la competenza del giudice dell'esecuzione a considerare l'incidenza della declaratoria di incostituzionalità nella fase attuativa del giudicato -, chiarendo che esso riguarda le ipotesi di dichiarazione di illegittimità costituzionale tanto delle norme incriminatrici, che determinano una vera e propria abolitio criminis, quanto delle norme penali che incidono sul quantum del trattamento sanzionatorio, comportando la verifica in sede esecutiva della sopravvenuta illegalità della pena, che, se riguardante rapporto esecutivo non ancora interamente eseguito, ne impone la rideterminazione. Da ciò deriva che il vero tema della decisione è rappresentato dalla soluzione, in diritto, della questione relativa alla natura sostanzialmente penale, o meno, delle sanzioni contemplate nell'art. 222 C.d.S., e della loro riconducibilità, o meno, nell'alveo degli effetti penali della sentenza di condanna, ferma restando la qualificazione nominalistica di sanzioni amministrative accessorie a sanzioni penali. 5. Secondo l'insegnamento di Sez. U. Bosio sentenza n. 8488 del 27/05/1998, Rv. 210982 le sanzioni amministrative accessorie, - a differenza di quelle definite dalla dottrina sanzioni in senso stretto che assumono con primarietà la punizione del contravventore, come quelle pecuniarie -, assolvono direttamente o indirettamente una funzione riparatoria dell'interesse pubblico violato, e sono definite, perciò, specifiche , ovvero ripristinatorie, o interdittive. Queste sanzioni si affiancano alle pene criminali, quando il fatto considerato comporti offesa, ad un tempo, del valore tutelato dalla norma penale e dell'interesse pubblico a tale valore correlato. Tale sistema binario di deterrenza è volto a dare una risposta efficace, contemporaneamente repressiva e preventiva, rispetto a fatti poli-offensivi, ovvero dotati di una particolare pericolosità per la convivenza sociale e per gli interessi pubblici . A tale sistema binario così concepito, in cui la sanzione amministrativa accessoria - che si affianca alla pena criminale - ha funzione di prevenzione, si è ispirato il legislatore della normativa del codice della strada laddove ha previsto che, quando dalla violazione delle norme del codice stradale derivino danni alla persona, o una lesione personale colposa, o in caso di omicidio colposo, oppure, ancora, quando le violazioni stradali siano configurate come contravvenzioni, il giudice, unitamente alla pena prevista per il reato, è tenuto a disporre la sospensione della patente di guida e, nei casi previsti, la revoca della medesima. Ma la natura amministrativa della sanzione non muta quando il potere di applicarla venga attribuito al giudice, giacchè essa conserva i connotati che contraddistinguono la sua peculiare essenza, incentrata tutta sulla tutela di un interesse di spettanza della pubblica amministrazione . Invero, le sanzioni stradali accessorie c.d. interdittive della sospensione e della revoca della patente artt. 218 e 219 C.d.S. , sorrette da chiara finalità di prevenzione della sicurezza stradale, sono disposte dal prefetto, nei casi previsti, quali sanzioni accessorie alle sanzioni amministrative pecuniarie che viceversa hanno funzione essenzialmente punitiva è sempre di esclusiva spettanza prefettizia art. 223 C.d.S. , in caso di reato cui accede la sanzione amministrativa della sospensione o della revoca della patente, il potere di adottare la sospensione provvisoria della validità della patente di guida, che è provvedimento di natura cautelare, strumentalmente e teleologicamente teso a tutelare con immediatezza l'incolumità e l'ordine pubblico, impedendo che il conducente di un veicolo, il quale si sia reso responsabile di fatti configurabili come reati inerenti alla circolazione, continui nell'esercizio di un'attività palesantesi come potenzialmente creativa di ulteriori pericoli Corte Cost. ordinanza n. 167 del 1998 . E che la natura della sanzione amministrativa accessoria permanga la stessa quale che sia l'autorità legittimata all'applicazione a ennesima riprova della sua estraneità al sistema penale e a finalità repressive , è dimostrato dal fatto che quando la vis attractiva della competenza del giudice penale viene meno per estinzione del reato, la competenza rimane radicata in capo al prefetto. Viene cioè restituita all'amministrazione la legittimazione all'applicazione della sanzione . L'art. 224 C.d.S., comma 3, esclude, difatti, l'incidenza dell'estinzione del reato per causa diversa dalla morte dell'imputato sul procedimento di applicazione delle sanzioni della sospensione o della revoca della patente venuto meno il presupposto della contestuale applicazione da parte del giudice penale, la legittimazione ad applicarle torna al prefetto che vi provvede, ai sensi degli artt. 218 e 219, previa verifica della sussistenza o meno delle condizioni di legge per la loro applicazione, ossia previo accertamento della violazione commessa, della sua qualificazione secondo le tipologie legali, e della constatazione che relativamente ad essa deve applicarsi di diritto la sanzione amministrativa accessoria tutti, questi, requisiti di legittimità del provvedimento sanzionatorio. La sentenza Bosio non ha mancato di annotare, ancora, come dal generale impianto normativo e dalla ratio del sistema in cui va a calarsi il potere del giudice di applicazione della sanzione discende che, nella determinazione della durata della sospensione della patente, il giudice deve avvalersi del criterio predeterminato in generale per l'autorità amministrativa dall'art. 218, comma 2, il quale prevede che il periodo di durata della sanzione, nei limiti minimo e massimo fissati da ogni singola norma, è determinato in relazione all'entità del danno apportato, alla gravità della violazione commessa, al pericolo che l'ulteriore circolazione potrebbe cagionare gravità del fatto e pericolosità specifica dimostrata dall'agente sono, dunque, i medesimi parametri incidenti sulla determinazione della durata della sospensione disposta dal giudice così Sez. U. n. 930 del 13/12/1995, dep. 1996, Clarke Rv. 203429 . E' sempre, poi, all'autorità amministrativa che l'art. 224 C.d.S. riserva l'esecuzione della misura ordinata dal giudice con sentenza irrevocabile anche a pena condizionalmente sospesa tanto perchè la natura amministrativa della sanzione accessoria non consente l'applicabilità di istituti giuridici, quale quello della sospensione condizionale della pena, specificamente previsti per le sanzioni di natura penale tra le molte e da ultimo Sez. 3, n. 27297 del 10/05/2019, Vitali, Rv. 276025 . Dunque, alla stregua dei parametri normativi di riferimento, presupposti e finalità delle sanzioni stradali accessorie c.d. interdittive escludono che ad esse possa essere attribuita la natura di pene accessorie o di effetto penale della sentenza di condanna. 6. Giova al proposito rammentare che secondo l'autorevole insegnamento di Sez. U. n. 7 del 20/04/1994, P.M. in proc. Volpe, Rv. 197537, gli effetti penali della condanna, dei quali il codice penale non fornisce la nozione nè indica il criterio generale che valga a distinguerli dai diversi effetti di natura non penale che pure sono in rapporto di effetto a causa con la pronuncia di condanna, si caratterizzano per la natura sanzionatoria dell'effetto, ancorchè incidente in ambito diverso da quello del diritto penale sostantivo o processuale . E la citata pronunzia ha ulteriormente precisato che il criterio, per distinguere l'effetto penale della condanna dall'effetto non penale della condanna stessa, debba essere ancorato non alla circostanza che un determinato effetto in senso lato pregiudizievole derivi automaticamente o meno dalla condanna, bensì alla natura sanzionatoria, appunto penale , delle conseguenze correlate alla condanna e ciò con riferimento alle finalità della norma che, prevedendo una determinata conseguenza in senso lato pregiudizievole, può essere stata posta con finalità di punizione oppure per la tutela di specifici interessi pubblici nei vari settori dell'ordinamento giuridico . Che debba aversi riguardo alle finalità perseguite dalla norma trova conferma nella pronuncia della Corte costituzionale n. 193 del 2016 che, esaminando la questione di legittimità costituzionale della L. n. 689 del 1981, art. 10 del quale il giudice rimettente sospettava il contrasto con l'art. 3 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, in relazione agli artt. 6 e 7 CEDU, nella parte in cui non prevede una regola generale di applicazione, anche alle sanzioni amministrative, della legge successiva più favorevole, ha osservato che l'invocato intervento additivo avrebbe finito per disattendere la necessità della preventiva valutazione della singola sanzione qualificata amministrativa dal diritto interno come convenzionalmente penale alla luce dei cosiddetti criteri Engel solamente alle sanzioni amministrative aventi natura e finalità punitiva può e deve essere esteso il complesso dei principi enucleati dalla Corte di Strasburgo a proposito della materia penale , ivi compreso il principio di retroattività della lex mitior, salva la sussistenza di ragioni di tutela di controinteressi di rango costituzionale, tali da resistere al medesimo vaglio di ragionevolezza, al cui metro debbono essere valutate le deroghe al principio di retroattività in mitius nella materia penale . E sempre tale concreto vaglio ha condotto il Giudice delle leggi Corte Cost. n. 63 del 2019 a riconoscere la natura punitiva della sanzione amministrativa prevista dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187-bis per il suo grado di afflittività particolarmente elevato e, dunque, per la sua finalità di deterrenza o di prevenzione generale negativa, comune alle pene in senso stretto come pure a riconoscere la natura sanzionatoria e non preventiva della confisca del veicolo a carico del responsabile del reato di guida in stato di ebbrezza Corte Cost. n. 196 del 2010 . 7. Tanto posto, questa Corte si è di recente occupata delle possibili ricadute di Corte Cost. n. 88 del 2019 sulla revoca della patente disposta con sentenza di condanna o di pena patteggiata, divenuta irrevocabile prima della pubblicazione di tale decisione, ed ha escluso la possibilità di rivisitazione del giudicato giacchè la natura formalmente e sostanzialmente amministrativa di tale sanzione comporta che essa, in quanto tale, esuli dall'ambito di operatività della L. n. 87 del 1953, art. 30, comma 4, che circoscrive soltanto alle pene la retroattività degli effetti favorevoli delle sentenze di illegittimità costituzionale oltre i limiti dei rapporti esauriti Sez. 1, n. 1634 del 13/12/2019, dep. 2020, Coppola, Rv. 277911 Sez. 1, n. 1804 del 14/11/2019, dep. 2020, Gentile, Rv. 27818 . In particolare, la citata sentenza Gentile, anche in applicazione dei criteri elaborati dalla Corte di Strasburgo sulla natura della sanzione, che può essere definita penale, al di là del nomen attribuito dal legislatore interno, in rapporto all'analisi delle finalità perseguite e del grado di afflittività, nel senso che lì dove risulti prevalente la finalità punitiva rispetto a quella preventiva o lì dove risulti particolarmente elevato il grado di afflittività, la misura in questione va attratta nel cono delle garanzie penalistiche , ha confermato la natura strettamente amministrativa della revoca della patente giacchè, fermo restando l'effetto pregiudizievole intrinsecamente correlato alla inibizione di un'attività, si tratta di sanzione che risponde ad una finalità spiccatamente preventiva e non repressiva, concepita dal legislatore anche quando venga applicata dall'autorità amministrativa quale sanzione accessoria a sanzioni amministrative pecuniarie come misura inibitoria correlata all'avvenuta manifestazione di pericolosità del soggetto autore dell'illecito penale e, dunque, essenzialmente quale misura di prevenzione, atteso che la inibizione alla guida assicura la collettività dalla possibile reiterazione del comportamento pericoloso, con estraneità funzionale agli aspetti meramente afflittivi della pena . E la stessa Corte costituzionale, con la recente decisione, ha confermato la finalità primariamente preventiva della revoca, osservando che la sua applicazione obbligatoria è ragionevole a fronte di condotte di reato commesso in stato di ebbrezza o sotto l'effetto di sostanze stupefacenti così come previsto anche dal previgente art. 222 C.d.S. in quanto comportamenti altamente pericolosi per la vita e l'incolumità delle persone giustificano l'applicazione di una radicale misura preventiva per la sicurezza stradale mentre in presenza di condotte illecite diverse tra loro per manifestazione di pericolosità concreta, il giudice, tenendo conto degli artt. 218 e 219 C.d.S., potrà disporre sia la revoca della patente che la più blanda sanzione amministrativa della sospensione della stessa. Dal pronunciamento del giudice delle leggi non discende, pertanto, nessuna attrazione in ambito penale della sanzione accessoria della revoca, ma soltanto per ragioni analoghe al censurato automatismo applicativo della revoca della patente in via amministrativa di cui all'art. 120 C.d.S., comma 2, cfr. Corte Cost. n. 22 del 2018 e n. 24 del 2020 , l'attribuzione al giudice della cognizione di una facoltà di scelta tra revoca e sospensione, stante l'irragionevolezza intrinseca dell'applicazione indiscriminata della prima ad una varietà di fattispecie non sussumibili in termini di omogeneità poichè connotate da condotte diverse e dalla pericolosità più o meno grave del soggetto che è l'autore. Da qui la necessità di una risposta individualizzata nella scelta della misura preventiva da applicare in concreto la sospensione della patente, con le modulazioni temporali determinate dal giudice in funzione delle specificità oggettive e soggettive del caso, o la revoca del titolo di abilitazione alla guida che non conosce modulazioni temporali, il periodo di inibizione al conseguimento di una nuova patente essendo determinato con specifico provvedimento del prefetto secondo le differenti escursioni fissate dalle disposizioni di cui all'art. 222, commi 3 bis e 3 ter, che prevedono termini inibitori diversi rapportati alle varie ipotesi di omicidio stradale, con la sola equiparazione tra l'omicidio stradale basico e le lesioni personali stradali gravi o gravissime. 8. In conclusione, l'oggetto della declaratoria di incostituzionalità non ha nessuna ricaduta sul giudicato oggetto della richiesta, in quanto la misura in esame, per le sue caratteristiche obiettive, pacificamente non ricade nell'ambito applicativo di cui alla L. n. 87 del 1953, art. 30, comma 4. Va, infine, precisato che l'intervenuta declaratoria di incostituzionalità nemmeno riguarda l'art. 222, commi 3 bis e 3 ter, disposizioni di cui, si ripete, non deve fare applicazione il giudice della cognizione quando dispone la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente, in quanto il periodo di tempo necessario per conseguire una nuova patente di guida, fissato dalla legge, rileva nel procedimento amministrativo successivamente promosso dall'interessato per ottenere il provvedimento autorizzatorio. Per tali ragioni la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile per difetto di rilevanza la questione avente ad oggetto l'art. 222, comma 3 ter, sollevata dal Tribunale ordinario di Torino, evidenziando che solamente in sede di possibile contestazione, innanzi al giudice competente, della legittimità dell'eventuale diniego del provvedimento autorizzatorio perchè richiesto prima del decorso del tempo previsto per legge, può avere ingresso la censura di sospetta illegittimità costituzionale della norma che tale presupposto pone fissando la durata del periodo di tempo prima del quale non è possibile il rilascio della nuova patente di guida . E tanto rende vieppiù palese l'infondatezza delle censure articolate dal ricorrente che, al più, avrebbe potuto evocare, in prima battuta, Corte Cost. n. 88 del 2019 innanzi all'autorità amministrativa nell'ambito di una richiesta di rilascio di nuova patente prima del decorso dei termini inibitori di legge. 9. Alla luce delle superiori riflessioni, il ricorso va rigettato e il proponente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si dà atto che il presente provvedimento, redatto dal Consigliere relatore Rosa Anna Saraceno, è sottoscritto dal solo Presidente del Collegio per impedimento alla firma dell'estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a .