Furto in abitazione: l’impronta dell’indagata è elemento sufficiente per la misura cautelare

Laddove nell’abitazione ove sia stato commesso un furto vengano rilevate impronte papillari, tale elemento di prova assume sufficiente dimostrazione di colpevolezza nei riguardi di colui cui le impronte si riferiscono.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 17366/20, depositata l’8 giugno. Il Tribunale di Torino, in funzione di giudice del riesame, accoglieva l’appello del PM ed applicava all’indagata la misura cautelare dell’obbligo di dimora nel comune di residenza in ordine al reato di furto in abitazione aggravato. La decisione era fondata sul ritrovamento di un’ impronta della donna sul luogo dei fatti, elemento considerato come un adeguato indizio personalizzante, oltre che sui precedenti specifici che deponevano a favore dell’attualità e concretezza del pericolo di reiterazione della condotta. L’indagata ha proposto ricorso per cassazione deducendo l’insussistenza della provvista indiziaria per aver il Tribunale considerato utilizzabile il frammento d’impronta ritrovata applicando alla fase investigativa principi propri della valutazione dibattimentale. Veniva inoltre contestata la sussistenza del pericolo di reiterazione per difetto di abitualità della condotta. Secondo il consolidato orientamento di legittimità, il risultato delle indagini dattiloscopiche offre piena garanzia di attendibilità e può costituire fonte di prova senza elementi sussidiari di conferma anche nel caso in cui siano relative all’impronta di un solo dito, purché evidenzino almeno sedici punti caratteristici uguali per forma e posizione, in quanto essa fornisce la certezza che la persona con riguardo alla quale detta verifica sia effettuata si sia trovata sul luogo in cui è stato commesso il reato, con la conseguenza che legittimamente è utilizzata dal giudice ai fini del giudizio di colpevolezza, in assenza di giustificazioni su detta presenza ex multis Cass.Pen. n. 54493/18 . Con specifico riferimento al caso in cui, nell’appartamento ove sia stato commesso un furto, vengano rilevate impronte papillari , la giurisprudenza riconosce a tale elemento di prova - al pari del rilievo del DNA - sufficiente dimostrazione di colpevolezza nei riguardi di colui cui le impronte si riferiscono. Solo da costui, pertanto, può provenire una eventuale contraria dimostrazione. Di conseguenza, se tale è lo standard dimostrativo assegnato al rilievo papillare ai fini dell’affermazione di responsabilità, al medesimo esito dattiloscopico deve conferirsi piena valenza indiziaria , in quanto elemento idoneo a fondare, con adeguato grado di ragionevolezza, la prognosi di condanna, implicando la dimostrazione della presenza dell’agente sul luogo del commesso delitto, correlandola, pertanto, al reato. Ne consegue che mentre la portata individualizzante del reperto è già di per sé connotazione sufficiente ad integrare la gravità dell’indizio, il profilo giustificativo - di cui il ricorrente introduce una sorta di incompatibilità logica nella fase prognostica cautelare - costituisce un elemento suscettibile di ulteriore valutazione, da introdursi nell’interrogatorio di garanzia, ovvero mediante l’impugnazione devolutiva del riesame . La doglianza proposta dalla difesa si dimostra dunque infondata, così come la censura relativa alla sussistenza del pericolo di reiterazione della condotta. In conclusione, la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 22 gennaio – 8 giugno 2020, n. 17366 Presidente Morelli – Relatore Tudino Ritenuto in fatto 1.Con ordinanza del 24 ottobre 2019, il Tribunale di Torino, in funzione di giudice del riesame dei provvedimenti limitativi della libertà personale, ha applicato a V.M. - in accoglimento dell’appello del Pubblico Ministero avverso l’ordinanza reiettiva del Giudice per le indagini preliminari la misura cautelare dell’obbligo di dimora nel comune di residenza in ordine al reato di furto in abitazione aggravato, commesso in omissis . Il Tribunale ha ritenuto come il rilievo di un’impronta sul locus commissi delicti, attribuita all’imputata, integrasse un adeguato indizio personalizzante e che la natura e la pluralità dei precedenti specifici deponesse in ordine alla sussistenza, in termini di attualità e concretezza, del pericolo di reiterazione della condotta. 2. Avverso l’ordinanza, ha proposto ricorso l’indagata, con atto a firma del difensore, Avv. Angela Manerba, articolando due motivi. 2.1. Con il primo motivo, deduce violazione di legge e vizio della motivazione in riferimento alla sussistenza della provvista indiziaria per avere il Tribunale considerato utilizzabile il frammento d’impronta impropriamente applicando, nella fase investigativa, principi propri della valutazione dibattimentale, in punto di rilevanza della omessa giustificazione del riscontro papillare. 2.2. Il secondo motivo censura la ritenuta sussistenza del pericolo di reiterazione del reato, in difetto di attualità tanto in riferimento all’epoca del commesso reato, ormai risalente a ben due anni, che alle condizioni di vita dell’indagata, madre di figlio prematuro e stabilmente inserita nel nucleo familiare residente in [ omissis ], con conseguente esito negativo del giudizio prognostico di recidivanza. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. 1. È manifestamente infondata la deduzione prospettata nel primo motivo, con la quale si contesta la valenza indiziaria del rilievo papillare ricondotto all’indagata in relazione all’apprezzamento delle circostanze in cui il medesimo è stato impresso. 1.1. Secondo il consolidato orientamento di legittimità, il risultato delle indagini dattiloscopiche offre piena garanzia di attendibilità e può costituire fonte di prova senza elementi sussidiari di conferma anche nel caso in cui siano relative all’impronta di un solo dito, purché evidenzino almeno sedici punti caratteristici uguali per forma e posizione, in quanto essa fornisce la certezza che la persona con riguardo alla quale detta verifica sia effettuata si sia trovata sul luogo in cui è stato commesso il reato, con la conseguenza che legittimamente è utilizzata dal giudice ai fini del giudizio di colpevolezza, in assenza di giustificazioni su detta presenza ex multis Sez. 5, n. 54493 del 28/09/2018, J., Rv. 274167 . Agli esiti dell’indagine papillare deve, invero, riconoscersi natura di prova Sez. 1, n. 18682 del 17/04/2008, Pisano, Rv. 240192 , in considerazione dell’elevatissimo numero delle ricorrenze statistiche confermative, tale da rendere infinitesimale la possibilità di un errore, sicché la penale responsabilità dell’imputato è correttamente affermata senza la necessità di ulteriori elementi indizianti convergenti. In particolare, in tema di prova penale, il rilievo, in un appartamento ove sia stato commesso un furto, di impronte papillari, costituisce - al pari del rilievo del DNA Sez. 2, Sentenza n. 43406 del 01/06/2016, Syziu, Rv. 268161 sufficiente prova di colpevolezza nei riguardi di colui cui le impronte si riferiscono solo da costui, pertanto, può provenire una eventuale contraria dimostrazione Sez. 4, n. 792 del 09/11/1988 - dep. 1989, Bernaus, Rv. 180247 . Nella delineata prospettiva, l’esigenza di adduzione di specifiche ragioni, atte a giustificare l’impressione dell’impronta sul locus commissi delicti, non involge inversione alcuna dell’onere della prova, gravando sull’imputato la rappresentazione di circostanze nelle quali l’impronta può essere stata giustificatamente impressa diverse dall’accesso illecito, stante l’inequivoca portata individualizzante del reperto. 1.2. Se tale è lo standard dimostrativo assegnato al rilievo papillare ai fini dell’affermazione di responsabilità, al medesimo esito dattiloscopico deve conferirsi piena valenza indiziaria, in quanto elemento idoneo a fondare, con adeguato grado di ragionevolezza, la prognosi di condanna, implicando la dimostrazione della presenza dell’agente sul luogo del commesso delitto, correlandola, pertanto, al reato. Ne consegue che mentre la portata individualizzante del reperto è già di per sé connotazione sufficiente ad integrare la gravità dell’indizio, il profilo giustificativo - di cui il ricorrente introduce una sorta di incompatibilità logica nella fase prognostica cautelare - costituisce un elemento suscettibile di ulteriore valutazione, da introdursi nell’interrogatorio di garanzia, ovvero mediante l’impugnazione devolutiva del riesame. Donde s’appalesa manifestamente infondata la deduzione difensiva che, accreditando una sorta di incompletezza dimostrativa nella fase cautelare, in quanto non integrata dal contributo difensivo dell’interessato, non si confronta con la portata soggettivante del dato, che non deduce essere stato, peraltro, nel caso di specie contrastato ex post dall’indagata. Il primo motivo di ricorso è, pertanto, inammissibile. 2. È, del pari, manifestamente infondato il secondo motivo. 2.1. Oltre ad evocare, in relazione all’adeguatezza della misura, il vizio di motivazione che, in materia cautelare, non è deducibile se non in relazione all’assoluta carenza ex multis Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, Zaharia, Rv. 269119 , non ravvisabile nel caso al vaglio, la ricorrente formula generiche doglianze in punto di attualità e concretezza del pericolo di reiterazione, sostanzialmente richiamando in astratto gli approdi giurisprudenziali sul tema, senza confrontarsi con l’architettura stessa della provvisoria incolpazione e con gli indicatori di pericolosità rassegnati nella motivazione, ponendo la doglianza nell’alveo della aspecificità. Sul punto va, pertanto, solo ribadito come, in tema di esigenze cautelari, il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie non debba essere inteso quale qualificata probabilità di reiterazione dello stesso fatto reato, atteso che l’oggetto del periculum è la reiterazione di astratti reati della stessa specie e non del concreto fatto reato oggetto di contestazione Sez. 5, n. 70 del 24/09/2018, dep. 2019, Pedato, Rv. 274403 . Pertanto, richiamando lo status di pluripregiudicata per fatti commessi con le medesime modalità esecutive e l’inefficacia deterrente delle pregresse condanne, l’ordinanza impugnata ha ritenuto sussistenti le esigenze cautelari con motivazione aderente ai parametri normativi e congrua, e pertanto insindacabile in sede di legittimità, con la quale la ricorrente omette di confrontarsi, limitandosi a richiamare il decorso del tempo, ex se non dotato di valenza semantica autonoma ed indipendente nel contesto dell’art. 292 c.p.p. Sez. 1, n. 3634 del 17/12/2009 - dep. 2010, Lo Vasco, Rv. 245637 ed ai rivendicare l’esigenza di cure della prole minore, senza specificare in che modo la misura applicata possa condizionarne la continuità e l’efficacia. 2.2. Donde la valutazione di attualità e concretezza delle esigenze cautelari risulta adeguatamente giustificata, non dovendo siffatti profili essere concettualmente confusi con l’attualità e la concretezza delle condotte criminose, in quanto il pericolo di reiterazione di cui all’art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c può essere legittimamente desunto dalle modalità delle condotte contestate, ove persistano atteggiamenti sintomaticamente proclivi al delitto Sez. 2, n. 9501 del 23/02/2016, Stamegna, Rv. 267785, N. 2156 del 1998 Rv. 211827, N. 45950 del 2005 Rv. 233222, N. 6717 del 2007 Rv. 239019, N. 6797 del 2013 Rv. 254936, N. 49453 del 2013 Rv. 257974, N. 3661 del 2014 Rv. 258053 . Il ricorso è, pertanto, inammissibile. 3. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di Euro 3000 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 Reg. esec. c.p.p