Ogni regola ha la sua eccezione…

Il principio del tempus regit actum incontra un’eccezione nell’ipotesi in cui la normativa di nuova introduzione non si limiti a modificare le modalità esecutive della pena, ma operi una trasformazione della sua natura, con conseguente incidenza diversa – di questa – sulla libertà personale del condannato.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza 16948/20, depositata il 4 giugno. Il fatto. La Corte territoriale competente, confermando la statuizione del giudice di prime cure, condannava un imputato per il reato di cui all’art. 319- bis c.c. corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio e relative aggravanti . Mentre al condannato veniva notificato l’ordine di esecuzione con decreto di sospensione del medesimo ottobre 2018 , l’avvocato dell’interessato presentava istanza di affidamento in prova al servizio sociale, chiedendo – in subordine – la detenzione domiciliare. Il PM competente, però, in seguito all’entrata in vigore della l. n. 3/2019 e alla conseguente modifica dell’art. 4- bis ord.pen., disponeva la carcerazione del condannato. A seguito dell’incidente di esecuzione richiesto dal condannato, veniva annullato l’ordine di carcerazione e disposta la liberazione del detenuto . Nel frattempo ottobre 2019 , il Tribunale di Sorveglianza dichiarava inammissibile l’istanza di detenzione domiciliare, ritenendo preclusa la concessione della stessa, sulla base della nuova formulazione dell’art. 4- bis ord.pen Il giudice dell’esecuzione disponeva l’accoglimento dell’istanza. Il Procuratore della Repubblica ricorreva per cassazione per erronea applicazione della legge, sottolineando che il giudice dell’esecuzione non avrebbe potuto annullare gli effetti della decisione del Tribunale di Sorveglianza, ma soltanto impugnarla. L’eccezione dovuta al principio del tempus regit actum. La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso. L’art. 656, comma 5, c.p.p. prevede che, nel caso di una sentenza di condanna a pena detentiva , inferiore ai quattro anni, venga emesso l’ordine di esecuzione, contestualmente al decreto di sospensione dello stesso. Il condannato potrà, in tal modo, chiedere l’applicazione di una misura alternativa. Gli Ermellini hanno ricordato che tale regime trova una deroga nell’ipotesi in cui il reato riconosciuto rientri nell’elenco di cui all’art. 4- bis ord.pen Con la l. n. 3/2019, l’art. 319- bis c.p. per cui l’imputato è stato condannato è entrato a far parte di tale elenco. Il Collegio ha precisato che, con la sentenza n. 32/2020, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l’art. 1, comma 6, lett. b, l. n. 3/2019, ove interpretato a favore dell’applicazione delle modifiche all’art. 4- bis ord.pen. ai condannati che abbiano commesso il fatto prima dell’entrata in vigore della normativa. Il principio affermato dai Giudici del Palazzaccio è che l’assunto per cui tempus regit actum debba subire un’eccezione nell’ipotesi in cui la normativa di nuova introduzione non si limiti a modificare le modalità esecutive della pena, comportando un mutamento della natura della medesima, con conseguente incidenza diversa – di questa – sulla libertà personale del condannato. La declaratoria di incostituzionalità avrebbe, in sostanza, modificato le caratteristiche sostanziali della disciplina della sospensione dell’esecuzione della pena detentiva, rispetto all’art. 319- bis c.p Per le ragioni sopra esposte, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 25 maggio – 4 giugno 2020, n. 16948 Presidente Di Tomassi – Relatore Renoldi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza n. 8901/17 in data 10/10/2017, la Corte di appello di Napoli confermò la sentenza n. 24/2017 in data 11/1/2017 con cui il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Napoli aveva condannato B.G. alla pena di 4 anni di reclusione per il reato di cui all’art. 319-bis c.p. Per tale motivo, in data 3/10/2018 fu notificato al condannato l’ordine di esecuzione della pena con il contestuale decreto di sospensione del medesimo ex art. 656 c.p.p., comma 5, nel quale veniva riconosciuto un residuo di pena da espiare pari a 1 anno, 11 mesi e 9 giorni di reclusione e successivamente, in data 29/10/2018, il suo Difensore presentò istanza per l’affidamento in prova al servizio sociale e, in subordine, per la detenzione domiciliare. Nondimeno, a seguito dell’entrata in vigore della L. 9 gennaio 2019, n. 3, e della conseguente modifica dell’art. 4-bis Ord. pen. includendo nel relativo catalogo di reati anche l’art. 319-bis c.p. , il Pubblico ministero competente dispose, in data 12/2/2019, la revoca del decreto di sospensione dell’ordine di esecuzione, disponendo la carcerazione di B. . Avverso il nuovo ordine di esecuzione, il Difensore del condannato propose incidente di esecuzione, accolto dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli con ordinanza in data 4/4/2019, con la quale fu annullato l’ordine di carcerazione, con l’immediata liberazione del detenuto. Provvedimento divenuto definitivo a seguito del rigetto da parte della Corte di cassazione, con sentenza in data 17/10/2019, del ricorso del Pubblico ministero. Nelle more, tuttavia, il Tribunale di sorveglianza di Napoli, con ordinanza in data 14/10/2019, dichiarò inammissibile l’istanza di detenzione domiciliare proposta nell’interesse di B. , richiamando la disciplina dettata dalla L. n. 3 del 2019, che aveva modificato l’art. 4-bis Ord. pen., con conseguente effetto preclusivo in ordine alla concedibilità della detenzione domiciliare ex art. 47-ter ord. pen., comma 1-bis. E per effetto di tale pronuncia, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli emise, in data 2/12/2019, l’ordine di esecuzione della carcerazione n. 1844/18 Siep. 2. Con ordinanza in data 7/1/2020, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, dispose, nei confronti di B.G. , l’accoglimento dell’istanza e per l’effetto annullò l’ordine di esecuzione della carcerazione n. 1844/18 Siep emesso dal Pubblico ministero in data 2/12/2019, disponendone la immediata liberazione. Ciò sul presupposto che, una volta emesso l’ordine di esecuzione, questo non potesse essere revocato per effetto della disciplina introdotta dalla L. n. 3 del 2019, atteso che, in virtù del principio del tempus regit actum, le eventuali sopravvenienze normative non potevano incidere sui provvedimenti di sospensione già emessi tanto più che, nella specie, era già stata presentata istanza, in data 29/10/2018, di ammissione a una misura alternativa alla detenzione. 3. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p., la inosservanza o erronea applicazione della legge penale, nonché la inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità, di inammissibilità o di decadenza. In particolare, il ricorrente censura, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b e c , che l’ordine di carcerazione annullato dal Giudice dell’esecuzione sia stato emesso a seguito dell’ordinanza in data 14/10/2019 del Tribunale di sorveglianza di Napoli con la quale era stata dichiarata inammissibile l’istanza del condannato presentata ex art. 47-ter ord. pen., comma 1-bis. Per tale ragione, il Giudice dell’esecuzione non avrebbe potuto annullare gli effetti di una decisione assunta dal Tribunale di sorveglianza, avverso la quale avrebbero potuto essere al più attivati gli ordinari mezzi di impugnazione, secondo la previsione dell’art. 71-ter Ord. pen. In ogni caso, la motivazione adottata, in proposito, dal Giudice dell’esecuzione andrebbe censurata, essendosi il medesimo limitato ad affermare che non può ritenersi vincolante il provvedimento di inammissibilità adottato dal Tribunale di Sorveglianza di Napoli . 4. In data 3/3/2020, è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale è stato chiesto il rigetto del ricorso. 5. In data 23/3/2020 è stata depositata in Cancelleria una memoria a firma dell’avv. Gian Franco Rossi, nell’interesse di B. , con la quale è stato ricordato che la della Corte costituzionale, con sentenza n. 32 del 12 febbraio 2020, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. 9 gennaio 2019, n. 3, art. 1, comma 6, lett. b , in virtù della quale l’art. 4-bis Ord. pen. non può essere applicato retroattivamente, secondo il principio stabilito dall’art. 25 Cost., comma 2, alle esecuzioni relative a fatti commessi anteriormente alla modifica normativa. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. L’art. 656 c.p.p., comma 5, stabilisce che al sopraggiungere di una sentenza di condanna a pena detentiva non superiore ai quattro anni, il pubblico ministero debba emettere l’ordine di carcerazione e, contestualmente, un decreto di sospensione della sua esecuzione, onde consentire, al condannato o al suo difensore, di presentare istanza di misura alternativa entro 30 giorni dalla notifica del decreto in questione. Lo stesso art. 656, comma 9 stabilisce alcune deroghe a tale regime, prevedendo, per quanto qui di interesse, che l’ordine di carcerazione non debba essere sospeso in presenza di una condanna per taluno dei reati previsti dall’art. 4-bis Ord. pen. A seguito della entrata in vigore della L. 9 gennaio 2019, n. 3 recante Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici , nel catalogo contemplato dal citato art. 4-bis, è stata tra le altre introdotta, dall’art. 1, comma 6, lett. b , la fattispecie contemplata dall’art. 319-bis c.p., per la quale B. ha riportato condanna in relazione a fatti commessi anteriormente all’introduzione della disposizione in questione. Successivamente, con sentenza n. 32 del 12 febbraio 2020, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. 9 gennaio 2019, n. 3, art. 1, comma 6, lett. b , in quanto interpretato nel senso che le modificazioni introdotte alla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 4-bis, comma 1, si applichino anche ai condannati che abbiano commesso il fatto anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 3 del 2019, in riferimento alla disciplina delle misure alternative alla detenzione, della liberazione condizionale e del divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione previsto dall’art. 656 c.p.p., comma 9, lett. a . Ciò in quanto il principio tempus regit actum deve soffrire un’eccezione allorché la normativa sopravvenuta non comporti mere modifiche delle modalità esecutive della pena prevista dalla legge al momento del reato, bensì una trasformazione della natura della pena, e della sua concreta incidenza sulla libertà personale del condannato . Ciò che si verifica non soltanto allorché al momento del fatto fosse prevista una pena suscettibile di essere eseguita fuori dal carcere, la quale -per effetto di una modifica normativa sopravvenuta al fatto - divenga una pena che, pur non mutando formalmente il proprio nomen iuris, va eseguita di norma dentro il carcere ma anche rispetto alle norme collocate nel codice di procedura penale, allorché incidano direttamente sulla qualità e quantità della pena in concreto applicabile al condannato, come nel caso dell’art. 656 c.p.p., comma 9, da leggere in relazione all’art. 4-bis Ord. pen., come modificato dalla L. n. 3 del 2019. 3. Consegue a quanto osservato che a seguito della richiamata declaratoria di incostituzionalità si è realizzato un mutamento sostanziale della disciplina relativa ai meccanismi di sospensione dell’esecuzione della pena detentiva, quantomeno con riguardo alla fattispecie, qui in rilievo, di cui all’art. 319-bis c.p., in relazione alla quale, dunque, deve ora procedersi, contestualmente all’ordine di carcerazione, all’adozione del decreto di sospensione, in origine preclusa dal combinato disposto dell’art. 656 c.p.p., comma 9, lett. a , e art. 4-bis Ord. pen Pertanto, una volta venuto meno il fondamento normativo delle ragioni di diritto enucleate dal ricorrente a sostegno della propria impugnazione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. 4. La natura non particolarmente complessa della questione e l’applicazione di principi giurisprudenziali consolidati consente di redigere la motivazione della decisione in forma semplificata. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso. Motivazione semplificata.