Moglie affetta da sclerosi multipla: niente ritorno a casa per il marito sottoposto a custodia cautelare in carcere

Respinta definitivamente la richiesta avanzata dall’uomo. Non convincente, per i Giudici, la linea proposta dal suo legale, e centrata sul valore dell’assistenza coniugale e sull’importanza materiale e morale della presenza fisica del coniuge di fianco alla consorte.

Respinta l’ipotesi degli arresti domiciliari per l’uomo che ha chiesto di poter prestare assistenza – materiale e morale – alla moglie affetta da sclerosi multipla. Per i giudici le precarie condizioni di salute del coniuge non possono rientrare tra le eccezioni che giustificano la possibilità di non dare corso alla misura di massimo rigore Cassazione, sentenza n. 14757/20, sez. III Penale, depositata oggi . Ad adottare la linea dura sono innanzitutto il Gip e poi il Tribunale del riesame, respingendo la domanda presentata da un uomo che, destinatario della misura della custodia cautelare in carcere per reati in materia di sostanze stupefacenti, ha chiesto la sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari alla luce delle condizioni di salute particolarmente gravi della moglie , colpita da sclerosi multipla. Inevitabile il ricorso in Cassazione da parte dell’uomo. Il suo legale sostiene che, contrariamente a quanto stabilito dal Tribunale del riesame, le condizioni di salute particolarmente gravi del coniuge di un detenuto in custodia cautelare devono ritenersi idonee a determinare la modifica del regime cautelare con una misura meno afflittiva , anche perché nell’ordinamento è previsto l’obbligo di assistenza morale e materiale tra i coniugi, per cui la salute del coniuge dell’uomo in carcere non può non assumere rilievo, avendo il detenuto il diritto e il dovere di prestarvi adeguata assistenza . E poi, aggiunge il difensore, non si può ignorare che le cure necessarie per una persona malata non sono solo fisiche e mediche, ma anche psicologiche, risultando la vicinanza di un proprio stretto congiunto molto più efficace di mille interventi farmacologici . Le obiezioni proposte dal legale non convincono però i Giudici della Cassazione, i quali richiamano, in premessa, un passaggio centrale nella decisione del Tribunale del riesame, passaggio in cui si osserva che l’uomo ha operato illecitamente anche quando si era già manifestata la malattia della moglie . A questo elemento si era poi aggiunta un’altra considerazione non sono state chiarite , è stato rilevato dal Tribunale del riesame, le esigenze quotidiane della donna, affetta da sclerosi multipla, né è stato precisato in che modo ella fosse stata assistita sia negli anni in cui il marito era dedito alla attività illecita, sia dal momento in cui è iniziata la detenzione . Impossibile, quindi, sanciscono i Giudici della Cassazione, mettere in discussione, in questo caso, la custodia cautelare in carcere applicata nei confronti dell’uomo, poiché le condizioni di salute del coniuge non rientrano tra le eccezioni che giustificano la possibilità di non dare corso alla misura di massimo rigore , ritenuta adeguata anche per il reato per cui si procede a carico dell’uomo.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 5 febbraio – 13 maggio 2020, n. 14757 Presidente Izzo – Relatore Zunica Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 18 settembre 2019, il Tribunale del Riesame di Milano confermava l'ordinanza del 31 luglio 2019, con cui il G.I.P. presso il Tribunale di Milano aveva rigettato la richiesta avanzata nell'interesse di Sa. Ba., volta a ottenere la sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere, applicata nei suoi confronti con riferimento al reato di cui all'art. 74 del D.P.R. n. 309 del 1990, con quella degli arresti domiciliari. 2. Avverso l'ordinanza del Tribunale milanese, Ba., tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando un unico motivo, con cui la difesa deduce la violazione dell'art. 275 cod. proc. pen. in relazione all'art. 284 cod. proc. pen., osservando che, a differenza di quanto sostenuto dai giudici cautelari, le condizioni di salute particolarmente gravi del coniuge di un detenuto in custodia cautelare devono ritenersi idonee a determinare la modifica del regime cautelare con una misura meno afflittiva, posto che nell'ordinamento è previsto l'obbligo di assistenza morale e materiale tra i coniugi, per cui la salute del coniuge dell'imputato non può non assumere rilievo, avendo il detenuto il diritto e il dovere di prestarvi adeguata assistenza. Del resto, aggiunge la difesa, le cure necessarie per una persona malata non sono solo fisiche e mediche, ma anche psicologiche, risultando la vicinanza di un proprio stretto congiunto molto più efficace di mille interventi farmacologici. In ogni caso la difesa, nel caso in cui non si riesca a dare una lettura costituzionalmente orientata della normativa in materia, sollecita la Corte a sollevare la questione di legittimità costituzionale dell'art. 275 comma 4 bis cod. proc. pen. per violazione degli art. 3 e 29 Cost., nella parte in cui non prevede che non possa essere disposta né mantenuta la custodia in carcere quando il coniuge dell'imputato sia persona affetta da malattia particolarmente grave che necessita di assistenza da parte dell'imputato stesso, ciò alla luce del principio di cui all'art. 29 Cost. e del dovere di assistenza che incombe sui coniugi. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. 1. Il Tribunale del Riesame ha disatteso l'istanza difensiva ricordando in primo luogo che Ba., a seguito di rito abbreviato, è stato condannato alla pena di 6 anni e 8 mesi di reclusione, per aver parte di un'associazione che gestiva la piazza dello spaccio di stupefacenti in Corsico negli anni 2017 e 2018. Tanto premesso, i giudici cautelari hanno evidenziato che Ba., pur avendo residenza a Cermenate o a Cantù, ha operato illecitamente sia a Corsico che a Bolzano, e ciò anche quando si era già manifestata la malattia della moglie. A ciò è stato aggiunto che non erano state chiarite le esigenze quotidiane della consorte di Ba., affetta da sclerosi multipla, né era stato precisato in che modo la stessa fosse stata assistita sia negli anni in cui il marito era dedito alla attività illecita, sia dal momento in cui è iniziata la detenzione ottobre 2018 . 2. Orbene, in quanto sorretta da considerazioni non illogiche, l'impostazione seguita dal Tribunale non presta il fianco alle censure difensive, anche perché coerente con la condivisa affermazione di questa Corte cfr. Sez. 4, n. 42516 del 16/07/2009, Rv. 245779 , secondo cui, in tema di provvedimenti coercitivi, il divieto di disporre la custodia cautelare in carcere, previsto dall'art. 275, comma quarto, cod. proc. pen., costituendo norma eccezionale, non è applicabile estensivamente a ipotesi diverse da quelle espressamente contemplate. Il legislatore, infatti, con la norma prima richiamata, ha previsto che, salvo esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, non può essere disposta o mantenuta la custodia cautelare in carcere, quando imputati siano donna incinta o madre di prole di età inferiore ai tre anni con lei convivente, ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, ciò nell'avvertita esigenza di garantire ai figli l'assistenza familiare in un momento particolarmente significativo e qualificante della loro formazione fisica e soprattutto psichica è poi previsto il divieto di disporre la misura di massimo rigore, salvo esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, quando l'imputato sia persona che ha superato l'età di 70 anni infine il comma 4 bis dell'art. 275 cod. proc. pen. prevede che non può essere disposta o mantenuta la custodia cautelare in carcere, quando l'imputato è persona affetta da Aids conclamata, o da grave deficienza immunitaria, accertate nelle forme previste dalla legge, oppure da altra malattia particolarmente grave, per effetto della quale le sue condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione e comunque tali da non consentire adeguate cure in caso di detenzione in carcere. Le ipotesi in cui non può avere luogo l'applicazione della custodia cautelare in carcere risultano dunque essere tassativamente previste, secondo una casistica riferita direttamente alla persona destinataria della misura custodiale, per cui non appare consentita un'interpretazione estensiva del regime derogatorio previsto dal legislatore, che invero di per sé non rivela profili di irragionevolezza. Dunque, a prescindere dalle pur pertinenti osservazioni dell'ordinanza impugnata circa la carenza di allegazioni difensive rispetto alle modalità di assistenza della consorte di Ba., sia all'epoca in furono commesse le condotte illecite contestate, sia dall'inizio dell'esecuzione della misura ad oggi, deve rilevarsi che era già il presupposto della richiesta difensiva a non consentirne l'accoglimento ai sensi dell'art. 275 commi 4 e 4 bis cod. proc. pen., non rientrando le condizioni di salute del coniuge del detenuto tra le eccezioni che giustificano la possibilità di non dare corso alla misura di massimo rigore, rispetto alla quale peraltro, nella vicenda in esame, sussiste una presunzione di adeguatezza, in relazione al titolo di reato per cui si procede art. 74 del D.P.R. n. 309 del 1990 . 3. Alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto nell'interesse di Ba. deve essere pertanto rigettato, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94 comma 1 ter disp. att. cod. proc. pen. Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo Presidente del Collegio per impedimento dell'estensore, ai sensi dell'art. 1, comma 1, lett. a , del D.P.C.M. 8 marzo 2020.