Innocente o colpevole? Come leggere la sentenza in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione

In caso di contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza, la regola della prevalenza del dispositivo, quale immediata espressione della volontà decisoria del giudice, non è assoluta ma deve essere contemperata tenendo conto del caso specifico, attraverso la valutazione degli elementi tratti dalla motivazione.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 14173/20, depositata l’8 maggio. La Corte d’Appello di Genova confermava la condanna di un imputato per il reato di lesioni personali volontarie a danno della convivente . Annullava invece la sentenza di prime cure sul presupposto che il giudice non si fosse pronunciato sul reato di cui all’art. 572 c.p., contestato al capo 1 unitamente a quello di cui all’art. 612- bis c.p., per il quale invece l’imputato era stato assolto. Il difensore ha proposto ricorso per cassazione dolendosi, per quanto d’interesse, del fatto che il tribunale aveva in realtà motivato anche sul reato di maltrattamenti in famiglia e che sul relativo capo non vi era stata impugnazione da parte del PM. La Corte d’Appello avrebbe dunque dovuto procedere ad una mera correzione integrativa del dispositivo. In caso di contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza, secondo la consolida giurisprudenza, la regola della prevalenza del dispositivo , quale immediata espressione della volontà decisoria del giudice, non è assoluta ma deve essere contemperata tenendo conto del caso specifico, attraverso la valutazione degli elementi tratti dalla motivazione. Il carattere unitario della sentenza infatti richiede un’integrazione reciproca tra il dispositivo e la motivazione, con la conseguenza che laddove nel dispositivo emerga un errore materiale obiettivamente riconoscibile il contrasto è meramente apparente ed è consentito fare riferimento alla motivazione stessa per determinare l’effettiva portata del dispositivo, individuando l’errore che lo affligge ed eliminarne gli effetti. Applicando tale principio al caso di specie risulta, dal contenuto della motivazione e dalla struttura del dispositivo, la chiara volontà del giudice di prime cure di assolvere l’imputato dal reato di maltrattamenti il cui riferimento formale nel dispositivo fu probabilmente omesso per dimenticanza dovuta alla stessa formulazione dell’imputazione. Di conseguenza, precisa la Corte, il presupposto della dichiarazione di nullità, cioè che il Tribunale non si fosse pronunciato sul reato in questione, non sussiste e dunque la sentenza deve essere annullata senza rinvio quanto alla dichiarazione di nullità in ordine al reato previsto dall’art. 572 c.p. . In conclusione, la Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla dichiarazione di nullità della sentenza sul reato di cui all’art. 572 c.p. contestato al capo 1.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 29 gennaio – 8 maggio 2020, n. 14173 Presidente Petruzzellis – Relatore Silvestri Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Genova, in riforma della sentenza di primo grado, ha confermato la condanna di P.G. per il reato di lesioni personali volontarie per l’episodio verificatosi il 2/08/2014 in danno della convivente G.P. , ed ha annullato, ai sensi dell’art. 604 c.p.p., la sentenza impugnata sul presupposto che il Tribunale non si fosse pronunciato sul reato previsto dall’art. 572 c.p., contestato al capo 1 unitamente a quello di cui all’art. 612 bis c.p., per il quale invece l’imputato era stato già assolto all’esito del giudizio di primo grado. 2. Ha proposto ricorso il difensore dell’imputato articolando tre motivi. 2.1. Con il primo si lamenta violazione di legge, quanto alla dichiarazione di nullità della sentenza di primo grado. Si assume che il Tribunale aveva in realtà motivato anche quanto al reato di maltrattamenti in famiglia e che sul capo in questione della sentenza non vi era stata impugnazione del Pubblico Ministero in tal senso è richiamata una parte della motivazione della sentenza secondo il ricorrente, nella specie, si sarebbe dovuto procedere solo ad una correzione integrativa del dispositivo. 2.2. Con il secondo motivo si deduce la nullità della sentenza impugnata - quanto al capo di imputazione relativo alle lesioni personali volontarie - e vizio di motivazione si contesta il giudizio di penale responsabilità fondato su una non corretta valutazione del compendio probatorio e su una eccessiva valorizzazione delle dichiarazioni della persona offesa. 2.3. Con il terzo motivo di deduce la nullità - per vizio di motivazione e violazione di legge - della sentenza nella parte in cui non è stata disposta la sospensione condizionale della pena si sarebbe erroneamente valorizzata l’indole aggressiva del ricorrente, anche in ragione di in una precedente sentenza di patteggiamento del 1999, senza considerare gli elementi favorevoli all’imputato, e, soprattutto l’assoluzione per il delitto di cui all’art. 612 bis c.p Considerato in diritto 1.Il ricorso è fondato, limitatamente al primo motivo di ricorso. 2. Dagli atti emerge che l’imputato, quanto al capo di imputazione sub 1 , era stato rinviato a giudizio per rispondere dei reati art. 572 c.p., art. 61 c.p., n. quinquies, art. 612 bis c.p. perché maltrattava la convivente, anche alla presenza della figlia minore . in seguito alla cessazione della convivenza, continuava a mandarle messaggi ingiuriosi ed a minacciarla . Il Tribunale, condannato l’imputato per il reato contestato al capo 2 lesioni personali volontarie ai danni della convivente commessi il 2 ed il 3 agosto 2014 , aveva assolto P. dai reati di cui all’art. 612 bis c.p. capo 1 e art. 570 c.p. capo 3 , perché il fatto non sussiste . A fronte dell’omesso formale riferimento nel dispositivo della sentenza anche al reato di maltrattamenti in famiglia contestato al capo 1 , il Tribunale aveva tuttavia spiegato in motivazione come il reato in questione, non diversamente da quello di cui all’art. 612 bis cod. pen. - attribuito cumulativamente con il capo 1 - non potesse configurarsi per non essere emerso l’elemento dell’abitualità della condotta a tale conclusione il Tribunale era pervenuto sulla base di un ragionamento probatorio - chiaramente esplicitato in motivazione - in cui si era evidenziato come una serie di testimoni avessero svuotato di valenza accusatoria le dichiarazioni della persona offesa, avendo più persone riferito di non avere mai assistito a condotte aggressive o violente da parte dell’imputato ad eccezione del fatto specifico che aveva portato alla condanna per il reato di lesioni personali volontarie contestato sub 2 . Dunque, una motivazione chiaramente assolutoria rispetto al reato di maltrattamenti in famiglia, pur in presenza di un dispositivo muto sullo specifico capo di imputazione, ma, tuttavia, conseguente e simmetrico - rispetto alla motivazione - nella parte in cui si assolveva l’imputato da tutti gli altri reati a lui contestati ad eccezione di quello relativo alle lesioni personali volontarie. In tale quadro di riferimento, in assenza di impugnazione del Pubblico Ministero, la Corte di appello ha rilevato d’ufficio la nullità della sentenza, per non essersi pronunciato il primo giudice sul reato previsto dall’art. 572 c.p. contestato al capo 1 . 3. Il ragionamento, obiettivamente stringato, della Corte di appello non può essere condiviso. La Corte di cassazione in più occasioni ha chiarito che, in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza, la regola della prevalenza del dispositivo, in quanto immediata espressione della volontà decisoria del giudice, non è assoluta, ma va contemperata, tenendo conto del caso specifico, con la valutazione degli elementi tratti dalla motivazione, che conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento delle ragioni della decisione e che, pertanto, ben può contenere elementi certi e logici che facciano ritenere errato il dispositivo o parte di esso Sez. 3, n. 3969 del 25/09/2018, B., Rv. 275690 . In particolare, in fattispecie non lontana da quella in esame, si è chiarito che in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione non contestuali, il carattere unitario della sentenza, in conformità al quale l’uno e l’altra, quali sue parti, si integrano naturalmente a vicenda, non sempre determina l’applicazione del principio generale della prevalenza del primo in funzione della sua natura di immediata espressione della volontà decisoria del giudice invero, laddove nel dispositivo ricorra un errore materiale obiettivamente riconoscibile, il contrasto con la motivazione è meramente apparente, con la conseguenza che è consentito fare riferimento a quest’ultima per determinare l’effettiva portata del dispositivo, individuare l’errore che lo affligge ed eliminarne gli effetti, giacché essa, permettendo di ricostruire chiaramente ed inequivocabilmente la volontà del giudice, conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento delle ragioni fondanti la decisione. Sez. F., n. 47576 del 09/09/2014, Savini, Rv. 261402 in fattispecie relativa alla mancata menzione nel dispositivo dell’assoluzione dell’imputato in relazione ad un segmento della condotta nonostante che la motivazione evidenziasse la chiara ed univoca volontà dei giudici di ritenerlo colpevole solo in relazione ad altra parte addebitatagli nell’ambito di un’unitaria contestazione di calunnia . Nel caso di specie, il contenuto della motivazione della sentenza, del complessivo ragionamento probatorio, e la stessa struttura del dispositivo rivelano la chiara volontà del Tribunale di assolvere l’imputato anche dal reato previsto dall’art. 572 c.p., il cui riferimento formale nel dispositivo fu verosimilmente omesso per dimenticanza dovuta alla stessa formulazione della imputazione. Ne deriva che il presupposto della dichiarazione di nullità, cioè che il Tribunale non si fosse pronunciato sul reato in questione, non sussiste e dunque la sentenza deve essere annullata senza rinvio quanto alla dichiarazione di nullità in ordine al reato previsto dall’art. 572 c.p 4. Sono invece inammissibili il secondo ed il terzo motivo di ricorso. 4.1. Quanto al secondo motivo, a fronte di un’adeguata motivazione con cui la Corte di appello ha ripercorso le risultanze processuali, esaminato e correttamente valutato le dichiarazioni della persona offesa, ricostruito in maniera logica l’intero quadro probatorio, spiegato le ragioni per cui, da una parte, non può essere riconosciuta valenza alla ricostruzione alternativa lecita del ricorrente, e, dall’altra, i fatti devono essere giuridicamente ricondotti alla fattispecie di reato contestata, nulla di specifico è stato rappresentato dall’imputato. Le censure dedotte sono strutturalmente generiche, si sviluppano sul piano della ricostruzione fattuale, sono sostanzialmente volte a sovrapporre un’interpretazione delle risultanze probatorie diversa da quella recepita dai giudici di merito, piuttosto che a far emergere un vizio della motivazione rilevante ai sensi dell’art. 606 c.p.p Secondo i principi consolidati dalla Corte di cassazione la sentenza non può essere annullata sulla base di mere prospettazioni alternative che si risolvano in una rilettura orientata degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferire rispetto a quelli adottati dal giudice del merito, perché considerati maggiormente plausibili, o perché assertivamente ritenuti dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, rv. 265482 Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, rv. 234148 . L’odierno ricorrente ha riproposto con il ricorso per cassazione la versione dei fatti dedotta in primo e secondo grado e disattesa dai Giudici del merito compito del giudice di legittimità nel sindacato sui vizi della motivazione non è tuttavia quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, ma quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando completa e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre. Nel caso di specie, i giudici di appello, che pure hanno fatto riferimento alle argomentazioni sviluppate nella sentenza di primo grado, hanno fornito una valutazione analitica ed autonoma sui punti specificamente indicati nell’impugnazione di appello, di talché la motivazione risulta esaustiva ed immune dalle censure proposte. 4.2. Quanto al terzo motivo di ricorso, la Corte ha ritenuto di non disporre la sospensione condizionale della pena, in ragione della precedente condanna per i reati di maltrattamenti in famiglia e lesioni personali volontarie, della personalità dell’imputato, della sua indole aggressiva e violenta, dalla sua propensione ad atteggiamenti prevaricatori. Rispetto a detta adeguata trama motivazionale, il motivo è, da una parte, aspecifico, perché sostanzialmente fondato solo sulla risalenza nel tempo della precedente condanna e sul dato formale della assoluzione per alcuni dei reati originariamente contestati nel presente processo, e, dall’altra, non consentito, perché strutturato attraverso una rilettura degli elementi di fatto ed una diversa valutazione degli elementi di prova. P.Q.M. annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla dichiarazione di nullità della sentenza sul reato di cui all’art. 572 c.p. contestato al capo 1. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso. Si dà atto che il presente provvedimento, redatto dal Consigliere Silvestri Pietro, viene sottoscritto dal solo Presidente del Collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 12, comma 1, lett. a .