Prende una panchina in piazza e la sposta in un vicolo: condannato per furto

Confermata la sanzione per l’uomo colpevole di avere sottratto la panchina alla proprietà del Comune e alla disponibilità dei cittadini. Irrilevante il fatto che il bene sia rimasto comunque sul suolo pubblico. Riconosciuta anche l’aggravante della violenza sulla cosa, poiché l’opera compiuta dal ladro rende necessaria una reinstallazione della panchina in piazza.

Prelevare una panchina pubblica posizionata in una piazza e collocarla in un vicolo non è condotta catalogabile come mero trasferimento. Consequenziale la condanna per furto, resa più dura dall’applicazione della aggravante connessa alla violenza praticata sul bene pubblico si è appurato, difatti, che la panchina è stata portata via grazie alla rimozione degli agganci e delle viti che la fissavano al terreno e ciò ha reso necessaria una reinstallazione per riportarla alla sua collocazione originaria. Cassazione, sentenza n. 13505/20, sez. IV Penale, depositata il 30 aprile . Smontata. Ricostruita la singolare vicenda, ambientata in un piccolo paese in provincia di Taranto e risalente all’estate del 2009, i giudici di merito ritengono l’uomo sotto processo colpevole del reato di furto e lo condannano a otto mesi di reclusione e 400 euro di multa. Nessun dubbio, in sostanza, sul peso da riconoscere alla condotta tenuta dall’uomo, che si è impossessato, a fine di profitto, di una panchina in ghisa, di proprietà del Comune, commettendo il fatto con violenza sulla cosa esposta a pubblica fede . Decisiva l’azione delle forze dell’ordine che prima hanno constatato che la panchina, situata in una piazza del paese, era stata smontata dal suolo, e che sul posto erano stati lasciati solo i bulloni , poi attraverso l’attività di indagine hanno individuato il responsabile, reo confesso e infine hanno rinvenuto la panchina, che era stata collocata in un vicolo, a ridosso del muro esterno di alcune abitazioni. In sostanza, la panchina non risultava più destinata ad uso pubblico, essendo stata solo ap poggiata ad un muretto , ed essendo stata sottratta al dominio della pubblica amministrazione , è logico parlare di furto, osservano i giudici di merito. Riconosciuta, peraltro, anche l’aggravante della violenza sulla cosa, essendo stata alterata l’integrità funzionale del bene . Possesso. Per l’uomo sotto processo, però, la condotta da lui tenuta va ridimensionata e letta in un’ottica diversa. A questo proposito, col ricorso in Cassazione egli osserva, tramite il proprio legale, che in realtà la panchina sottratta era rimasta nella sfera di vigilanza del possessore, cioè il Comune, in quanto non era stata nascosta in un’abitazione privata, ma era stata riposta un vicoletto, magari poco frequentato, ma comunque esposto al pubblico passaggio . A suo dire, poi, è illogica anche l’applicazione della aggravante della violenza sulle cose . Ciò perché la panchina non era stata danneggiata, rotta, trasformata in altro né era mutata la sua destinazione , mentre essa era stata collocata comunque in un luogo dove assolveva alla medesima finalità di uso pubblico cui era stata destinata in origine. Per i giudici della Cassazione, però, la linea difensiva non è plausibile. In prima battuta viene ricordato che ai fini della consumazione del delitto di furto è sufficiente che la cosa sottratta sia passata, anche per breve tempo, sotto l’autonoma disponibilità dell’agente e in questo caso l’uomo spostando la panchina in altra zona della città se ne era evidentemente impossessato e quindi la permanenza del bene su suolo pubblico appare irrilevante , osservano i giudici. Allo stesso tempo, viene ribadito che in tema di furto, l’aggravante della violenza sulle cose è configurabile tutte le volte in cui il soggetto, per commettere il fatto, manomette l’opera dell’uomo posta a difesa o a tutela del suo patrimonio in modo che per riportarla ad assolvere la sua originaria funzione sia necessaria un’attività di ripristino . E in questo caso si è appurato che la panchina era stata chiaramente asportata mediante la rimozione degli agganci e delle viti che consentivano di mantenerla infissa al terreno e quindi, osservano i giudici, sarebbe stata necessaria una sua nuova reinstalla zione, al fine di ricollocarla stabilmente nel posto originario .

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 4 marzo – 30 aprile 2020, n. 13505 Presidente Ciampi – Relatore Esposito Ritenuto in fatto e in diritto 1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, ha confermato la sentenza del Tribunale di Taranto del 26 febbraio 2018, con cui Sh. Vi. era stato condannato alla pena di mesi otto di reclusione ed Euro quattrocento di multa in relazione al reato di cui agli artt. 624 e 625 cod. pen. per essersi impossessato a fine di profitto di una panchina di ghisa di proprietà del Comune di Manduria, commettendo il fatto con violenza sulla cosa esposta a pubblica fede in Manduria il 15 maggio 2009 . Il personale di P.G. aveva constatato che la panchina, situata nella piazza di S. Antonio di Manduria era stata smontata dal suolo e che sul posto erano stati lasciati solo i bulloni. Grazie alle attività di indagine, era individuato il responsabile, reo confesso, ed era rinvenuta la panchina, che si trovava in vico Torrerossa, a ridosso del muro esterno delle abitazioni. La panchina non risultava più destinata ad uso pubblico, essendo stata solo appoggiata ad un muretto. Essendo stata sottratta al dominio della pubblica amministrazione, ricorrevano gli estremi del reato di furto. Era altresì riscontrabile l'aggravante della violenza sulla cosa, essendo stata alterata l'integrità funzionale del bene. 2. Lo Sh., a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo due motivi di impugnazione. 2.1. Violazione di legge per insussistenza dell'elemento oggettivo del reato. Si deduce che la panchina sottratta era rimasta nella sfera di vigilanza del possessore, cioè il Comune di Manduria, in quanto non era stata nascosta in un'abitazione privata, ma era stata riposta un vicoletto, magari poco frequentato, ma comunque esposto al pubblico passaggio. 2.2. Violazione di legge per insussistenza dell'aggravante della violenza sulle cose. Si rileva che la panchina non era stata danneggiata, rotta, trasformata in altro né che fosse stata mutata la sua destinazione. Essa era stata collocata il luogo dove assolveva comunque alla medesima finalità di uso pubblico cui era stata destinata. 2.3. Violazione di legge in relazione alle norme sulla prescrizione del reato. Si osserva che, per effetto dell'esclusione della contestata aggravante, il reato doveva ritenersi prescritto. 3. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato, in quanto ai fini della consumazione del delitto di furto è sufficiente che la cosa sottratta sia passata, anche per breve tempo, sotto l'autonoma disponibilità dell'agente Sez. 5, n. 41145 del 22/10/2010, D'Agostino, non massimata Sez. 4, n. 21757 del 30/03/2004, Scipioni, Rv. 229167 Sez. 4, n. 31461 del 03/07/2002, Carbone, Rv. 222270 Sez. 5, n. 2622 del 29/10/1992, dep. 1993, Demirov, Rv. 194318 Sez. 2, n. 13324 del 18/03/1986, Loticco, Rv. 174451 . Nel caso in esame, infatti, lo Sh., spostando la panchina in altra zona della città se ne era evidentemente impossessato, per cui la permanenza del bene su suolo pubblico appare irrilevante ai fini della configurabilità del reato. 4. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato, poiché, in tema di furto, l'aggravante della violenza sulle cose è configurabile tutte le volte in cui il soggetto, per commettere il fatto, manomette l'opera dell'uomo posta a difesa o a tutela del suo patrimonio in modo che per riportarla ad assolvere la sua originaria funzione sia necessaria un'attività di ripristino Sez. 5, n. 7267 del 08/10/2014, dep. 2015, Gravina, Rv. 262547 . Tale principio è applicabile al caso in esame, perché la panchina era stata chiaramente asportata mediante la rimozione degli agganci e delle viti che consentivano di mantenerla infissa al terreno e sarebbe stata necessaria una sua nuova reinstallazione, al fine di ricollocarla stabilmente nel posto originario. 5. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato, perché, in conseguenza della correttezza della qualificazione del reato come furto aggravato il termine massimo di prescrizione di anni dodici e mesi sei non è ancora scaduto alla data odierna. 6. Per le ragioni che precedono, il ricorso va dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e - non sussistendo ragioni di esonero - al versamento della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende. P. Q. M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.