Condannato il decretatore che appone l’OK su una richiesta di permesso di soggiorno priva dei requisiti

In tema di rilascio del permesso di soggiorno di lunga durata, costituiscono atti pubblici non solo quelli destinati ad assolvere una funzione attestativa o probatoria esterna rispetto alla procedura di rilascio, ma anche gli atti interni , come quelli che danno atto della sussistenza dei requisiti di legge in capo al richiedente.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 11914/20, depositata il 10 aprile. Il caso. La Corte d’Appello di Brescia confermava la pronuncia di prime cure con cui l’imputato era stato dichiarato colpevole dei reati di cui agli artt. 479 e 476 c.p. poiché, in qualità di sovrintendente della Polizia di Stato in servizio presso l’Ufficio immigrazione della Questura, aveva falsamente attestato i fatti relativi alla verifica delle istanze e al possesso dei requisiti per l’ottenimento del permesso di soggiorno da parte di due cittadine algerine. Il difensore ha proposto ricorso per cassazione dolendosi, sostanzialmente, per la valutazione del ruolo del decretatore” nella procedura finalizzata al rilascio del permesso di soggiorno di lunga durata e della natura dell’atto posto in essere dall’imputato che aveva apposto a penna la dicitura OK” sulla pratica relativa alla richiesta delle due cittadine straniere. Atto pubblico. La qualificazione della condotta dell’imputato da parte della Corte territoriale risulta immune da censure. La dicitura OK” rientra infatti nella nozione di atto pubblico in quanto rilevante e decisiva ai fini dell’emanazione del successivo rilascio del permesso di soggiorno. La dicitura apposta dal decretatore” assume infatti rilevo in termini di regolarità della pratica dando atto dell’accertamento positivo del possesso dei requisiti da parte del richiedente. Secondo la consolidata giurisprudenza infatti costituiscono atti pubblici non solo quelli destinati ad assolvere una funzione attestativa o probatoria esterna, con riflessi diretti ed immediati nei rapporti tra privati e pubblica amministrazione, ma anche gli atti cosiddetti interni, cioè, sia quelli destinati ad inserirsi nel procedimento amministrativo, offrendo un contributo di conoscenza o di valutazione, sia quelli che si collocano nel contesto di un completo iter” – conforme allo schema tipico – ponendosi come necessario presupposto di momento procedurali successivi . In conclusione, secondo il Collegio nella procedura finalizzata al rilascio del permesso di soggiorno di lunga durata, costituiscono atti pubblici non solo quelli destinati ad assolvere una funzione attestativa o probatoria esterna, con riflessi diretti ed immediati nei rapporti tra privati e pubblica amministrazione, ma anche gli atti cosiddetti interni , come quelli che danno atto della sussistenza dei requisiti di legge in capo al richiedente, giacché essi offrono un contributo di conoscenza e/o di valutazione, collocandosi nel contesto di un complesso iter come necessario presupposto di momenti procedurali successivi . Il ricorso viene rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 15 novembre 2019 – 10 aprile 2020, n. 11914 Presidente Palla – Relatore Miccoli Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 29 ottobre 2018 la Corte di Appello di Brescia ha confermato la pronunzia del Tribunale di Mantova con la quale per quanto qui di interesse B.F. era stato dichiarato colpevole dei reati di cui agli artt. 479 e 476 c.p 1.1. Al B. , Sovrintendente della Polizia di Stato in servizio presso la Seconda Sezione dell’Ufficio Immigrazione della questura di [ .], era stato ascritto al capo A delle imputazioni il reato di cui all’art. 479 c.p. per avere, nell’esercizio delle sue funzioni di incaricato cd. decretatore alla verifica delle istanze presentate e del possesso dei requisiti per l’ottenimento dei permessi di soggiorno nonché dell’apposizione del conseguente parere di conformità che certifica la regolarità istruttoria, attestato falsamente fatti dei quali il visto del decretatore è destinato a provare la verità. In particolare la condotta era consistita nell’apporre sul margine destro della stampa dell’elaborato SDI la dicitura, manoscritta con penna nera, OK accompagnata dalla sua sigla personale che serve ad indicare, sulle richieste di permesso di soggiorno CE di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 9, presentate dalle cittadine algerine K.H. e K.N. , il possesso dei requisiti reddituali ed alloggiativi prescritti dalla legge, certificandone così la regolarità istruttoria per la successiva, diretta, validazione elettronica automatizzata , benché la documentazione agli atti rivelasse palesemente la mancanza dei requisiti previsti normativamente per l’ottenimento del permesso. 1.2. Al B. , inoltre, era stato ascritto al capo B delle imputazioni il reato di cui all’art. 476 c.p., comma 1, perché aveva alterato un atto vero, modificando le annotazioni del rilievo di non conformità dell’istruttoria, tracciate con penna ad inchiostro rosso dalla collega d’ufficio M.P. sull’elaborato SDI mediante l’apposizione di note esplicative circa le irregolarità riscontrate di cui al precedente capo A di imputazione, barrandole mediante apposizione su di esse di una X tracciata con penna ad inchiostro verde utilizzata dallo sportellista , dinanzi al quale le cittadine algerine erano state convocate per chiarimenti e scrivendo con la stessa penna l’annotazione Carta OK . 2. Avverso la pronunzia della Corte di Appello propone ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, articolando i quattro motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 2.1. Con il primo si denunzia l’omessa motivazione circa il ritenuto carattere decisivo del parere del decretatore e circa la ritenuta finalità certificativa del parere sulla completezza documentale della pratica. Si denunzia, altresì, la contraddittorietà della motivazione sulla natura e finalità del parere rispetto alle risultanze istruttorie. La Corte di Appello, richiamando i principi in ordine alla rilevanza ai sensi degli artt. 476 e 479 c.p., dell’atto interno istruttorio della Pubblica Amministrazione, con cui si attestano i presupposti destinati ad essere trasfusi nell’atto finale, dotato di rilevanza esterna, ha affermato che la dicitura OK apposta dal B. rientra nella nozione di atto pubblico, essendo rilevante e di fatto decisivo ai fini dell’emanazione del successivo rilascio del permesso di soggiorno . Secondo il ricorrente tale assunto non sarebbe corretto, non supportato da motivazione e contrario alle risultanze istruttorie. Dopo aver precisato che la condotta del B. era stata ritenuta penalmente rilevante solo nella parte in cui aveva certificato la validità di una domanda mancante dell’attestazione relativa alla idoneità dell’alloggio, il ricorrente ha evidenziato che in sede dibattimentale era emerso che l’imputato conosceva l’alloggio in questione e che lo stesso fosse effettivamente idoneo allo scopo come certificato nel corso della seconda procedura . L’esame di alcuni testi, peraltro, aveva permesso di accertare che la dicitura OK non avesse carattere vincolante e che le conoscenze personali potessero sostituire la prevista documentazione. 2.2. Con il secondo motivo si denunzia violazione di legge in relazione alla qualificazione di atto pubblico del parere del decretatore . Dopo aver descritto le cinque fasi nelle quali si articola il procedimento amministrativo per l’ottenimento del permesso di soggiorno, il ricorrente sostiene che, per quanto emerso dall’istruttoria dibattimentale già richiamata nel primo motivo di ricorso , il parere espresso dal decretatore non era vincolante e poteva essere rivisto, con successiva richiesta di chiarimenti, sia dall’addetto allo sportello sia dal validatore . Detto parere, inoltre, non accertava, se positivo, un fatto storico e non cristallizzava affatto l’esistenza dei requisiti per il rilascio del permesso di soggiorno in capo al richiedente. 2.3. Con il terzo motivo si deducono vizi motivazionali in relazione alla prova della mancanza di buona fede in capo al B. . La Corte territoriale ha ritenuto che, avendo il B. cancellato con un tratto di penna i successivi rilievi evidenziati dalla collega M. , non poteva essere in buona fede quando aveva validato inizialmente la pratica. Diversamente, infatti, avrebbe tenuto un comportamento prudente ed avrebbe chiesto spiegazioni alla collega M. o al capo dell’ufficio. Con l’atto di appello si era sostenuto esattamente il contrario se B. avesse voluto realmente falsificare un atto, una volta scoperto avrebbe cercato di giustificarsi e avrebbe quindi tenuto un comportamento prudente per far passare il proprio comportamento per una mera distrazione e, quindi, non avrebbe sbarrato con un tratto di penna peraltro ad inchiostro verde i rilievi della M. . 2.4. Con il quarto motivo si denunzia l’omessa motivazione in ordine a una censura proposta con l’atto di appello relativa alla valutazione da parte del Tribunale di inadeguatezza della prova relativa alla consuetudine di attingere a conoscenze esterne dati relativi all’istruttoria della pratica per rilasciare i permessi di soggiorno. Tale consuetudine era stata riferita dal teste Mi. , ma il Tribunale non aveva ritenuto sufficienti le dichiarazioni di tale teste. L’imputato aveva allora richiesto con l’atto di appello di esaminare altri testi, ma la Corte territoriale non ha fatto cenno agli argomenti difensivi circa la prova della suddetta circostanza e non ha motivato sulla richiesta di rinnovazione dell’istruttoria. 2.5. Con il quinto motivo si deduce l’omessa motivazione circa la sussistenza del falso materiale di cui al capo b . Con l’atto di appello si era sostenuto che il falso materiale non potesse concorrere con quello ideologico contestato al capo A , ma la Corte territoriale non avrebbe confutato le censure difensive se non ribadendo la mancanza di buona fede del B. , provata dal fatto di aver sbarrato l’annotazione della M. . In realtà, secondo l’assunto difensivo, barrando l’indicazione della M. , il B. non ha alterato un atto vero, ma si è limitato a ribadire il proprio parere. Peraltro, le annotazioni della M. non potevano essere qualificate come atto pubblico e, quindi, come atto vero , trattandosi di meri appunti, che non provavano alcunché. 2.6. Con l’ultimo motivo si denunzia violazione dell’art. 464 septies c.p.p Il ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale, per negare il beneficio della non menzione e la riduzione della pena, abbia fatto riferimento al precedente processo subito dal B. per il reato di cui all’art. 615 ter c.p., conclusosi con declaratoria di estinzione conseguente all’esito positivo di messa alla prova . Considerato in diritto 1. Il ricorso è nel complesso infondato e, quindi, va rigettato per le ragioni qui di seguito esposte. Prima di passare all’esame dei motivi proposti, però, è opportuno dare atto per quanto qui di interesse della ricostruzione dei fatti come operata dai giudici di merito sulla base delle risultanze processuali. È emerso che le sorelle K.H. e N. in data 20 febbraio 2013 avevano presentato due domande per ottenere il permesso di soggiorno di lunga durata, dichiarando che erano dipendenti come collaboratrici domestiche, a tempo indeterminato, della zia K.C. . L’istruttoria della pratiche era stata assegnata nella prima fase al B. , il quale aveva apposto la scritta in nero OK sulla stampata dell’interrogazione di sintesi della banca dati istituzionale del Ministero dell’Interno. Le pratiche, poi, erano state esaminate dalla collega del B. , l’assistente M.P. , la quale aveva rilevato la carenza dei requisiti di legge, mancando l’attestazione dell’idoneità dell’alloggio e risultando l’insufficienza del reddito effettivamente accertato pertanto la M. aveva scritto con la penna ad inchiostro rosso sulla stampata dell’interrogazione di sintesi che mancavano i due requisiti di legge. Accortasi che il B. aveva già scritto OK in fondo alla medesima stampata, la M. aveva avvertito l’ispettore capo C.G. , il quale aveva deciso di convocare le sorelle K. presso lo sportellista Ba.En. per integrazioni e chiarimenti. Poco prima dell’appuntamento fissato con le K. , il B. era andato dallo sportellista e gli aveva chiesto la penna verde che questi usava con tale penna aveva quindi cancellato la decretazione negativa della M. , scrivendo Carta OK . Aveva quindi consegnato le due pratiche allo sportellista, dicendogli che aveva pensato a tutto lui e che bisognava procedere solo a rilevare le impronte delle interessate. La M. rivedendo le pratiche si accorgeva di quanto accaduto e, in ragione di ciò, faceva una relazione al suo superiore, in seguito alla quale venivano avviate delle indagini e venivano così acquisite le risultanze di alcune intercettazioni, che mettevano in rilievo il fatto che il B. conosceva la zia delle sorelle richiedenti, tanto da discutere ampiamente con lei dello stato delle domande e da rassicurarla sul fatto che il suo aiuto era consistito nell’apporre la decretazione positiva, benché mancassero formalmente i requisiti pag. 6 della sentenza di appello . Sempre dalle indagini era emerso che le K. avevano dichiarato il falso in relazione alla loro attività lavorativa, tanto che le loro istanze vennero respinte con decreto del 5 luglio 2013. Va infine detto che le K. con la sentenza di primo grado, divenuta irrevocabile, sono state condannate per il reato di cui all’art. 483 c.p. proprio per le false dichiarazioni rese nelle richieste inoltrate in data 14 febbraio 2013 per ottenere i permessi di soggiorno. 2. Infondati sono i primi due motivi di ricorso. Le censure del ricorrente si incentrano sulla valutazione del ruolo del decretatore nella procedura finalizzata al rilascio del permesso di soggiorno di lunga durata e sulla natura dell’atto posto in essere dallo stesso decretatore . In sostanza si contesta il ritenuto carattere decisivo del parere del decretatore e la ritenuta finalità certificativa di tale parere sulla completezza documentale della pratica. La Corte di Appello, richiamando i principi in ordine alla rilevanza ai sensi degli artt. 476 e 479 c.p., dell’atto interno istruttorio della Pubblica Amministrazione, con cui si attestano l’presupposti destinati ad essere trasfusi nell’atto finale, dotato di rilevanza esterna, ha affermato che la dicitura OK apposta dal B. rientra nella nozione di atto pubblico, essendo rilevante e di fatto decisivo ai fini dell’emanazione del successivo rilascio del permesso di soggiorno . Si è infatti sottolineato come la dicitura apposta dal decretatore assume rilievo in ordine alla attestazione di regolarità della pratica, dando atto dell’accertamento positivo del possesso da parte dei richiedenti dei requisiti previsti normativamente. La valutazione della Corte territoriale sul punto è supportata da congrua e logica motivazione, essendo conformata ai principi affermati anche di recente da questa Sezione, secondo i quali costituiscono atti pubblici non solo quelli destinati ad assolvere una funzione attestativa o probatoria esterna, con riflessi diretti ed immediati nei rapporti tra privati e pubblica amministrazione, ma anche gli atti cosiddetti interni, cioè, sia quelli destinati ad inserirsi nel procedimento amministrativo, offrendo un contributo di conoscenza o di valutazione, sia quelli che si collocano nel contesto di un complesso iter conforme o meno allo schema tipico ponendosi come necessario presupposto di momenti procedurali successivi Sez. 5, n. 38455 del 10/05/2019, PMT C/ Carta Giuseppe, Rv. 27709201 si vedano anche Sez. 5, n. 9368 del 19/11/2013, Budetta, Rv. 25895201 Sez. 5, n. 4322 del 06/11/2012, Camera, Rv. 25438801 Sez. 5, n. 14486 del 21/02/2011, Marini e altro, Rv. 24985801 Sez. 5, n. 7636 del 12/12/2006, Fiorentino, Rv. 23651501 . Nella specie non ha alcun rilievo la circostanza di fatto allegata dal ricorrente, che ha evidenziato come l’esame di alcuni testi avrebbe permesso di accertare che la dicitura OK non avesse carattere vincolante e che le conoscenze personali potessero sostituire la prevista documentazione. Nè ha rilievo il fatto che il parere espresso dal decretatore non sia vincolante e possa essere rivisto, con successiva richiesta di chiarimenti, sia dall’addetto allo sportello sia dal validatore . Ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 479 c.p., non ha rilievo la distinzione tra atti del procedimento amministrativo con efficacia interna e quelli destinati a spiegare effetti esterni, in quanto anche i primi possono avere valenza probatoria in relazione all’attività espletata dalla Pubblica Amministrazione. E nella specie, tenuto conto della sequela procedimentale finalizzata al rilascio del permesso di soggiorno, l’attestazione dei soggetti che istruiscono la pratica, in riferimento alla sussistenza dei requisiti previsti normativamente, ha una evidente valenza di contributo di conoscenza e di valutazione, concorrendo a realizzare l’atto conclusivo, costituente la manifestazione del potere pubblicistico Sez. 5, n. 44020 del 10/10/2005, Rizzo, Rv. 23281201 , giacché si pone come necessario presupposto di momenti procedurali successivi Sez. 5, n. 49417 del 06/10/2003, Della Rocca e altri, Rv. 22765901 . Nè può rilevare il fatto che il documento contenente la falsa attestazione non sia previsto da un’espressa norma che ne indichi i requisiti di forma, nè che esso debba essere riprodotto in atti diversi e successivi, posto che anche gli atti atipici possono rientrare nella categoria dell’atto pubblico Sez. 5, n. 4618 del 21/11/2003, P.G. in proc. Giordano ed altri, Rv. 22805901 . D’altronde la lettura della normativa che regola la materia Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero – D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 non lascia dubbi sul fatto che nella speciale procedura finalizzata al rilascio del permesso di soggiorno di lunga durata il decretatore , dopo il verificatore, esprime un giudizio di idoneità , che in quanto tale ha l’attitudine ad assumere rilevanza giuridica e/o valore probatorio interno alla pubblica amministrazione Sez. 5, n. 3542 del 17/12/2018, Esposito Domenico, Rv. 27541502 . Si può allora conclusivamente affermare che, nella procedura finalizzata al rilascio del permesso di soggiorno di lunga durata, costituiscono atti pubblici non solo quelli destinati ad assolvere una funzione attestativa o probatoria esterna, con riflessi diretti ed immediati nei rapporti tra privati e pubblica amministrazione, ma anche gli atti cosiddetti interni , come quelli che danno atto della sussistenza dei requisiti di legge in capo al richiedente, giacché essi offrono un contributo di conoscenza e/o di valutazione, collocandosi nel contesto di un complesso iter come necessario presupposto di momenti procedurali successivi. 3. Manifestamente infondato è il terzo motivo di ricorso, con il quale si sostiene la carenza dell’elemento soggettivo. In sostanza il ricorrente sostiene che egli sarebbe stato pienamente convinto del fatto che le richiedenti avessero i requisiti previsti normativamente e che, quindi, era in buona fede quando aveva apposto la dicitura OK sulle pratiche. La Corte territoriale ha ritenuto infondato l’analogo motivo di appello con argomentazioni articolate e basate sulle risultanze processuali, osservando pure che, avendo il B. cancellato con un tratto di penna i successivi rilievi evidenziati dalla collega M. , non poteva essere in buona fede quando aveva validato inizialmente la pratica. Diversamente, infatti, avrebbe tenuto un comportamento prudente ed avrebbe chiesto spiegazioni alla collega M. o al capo dell’ufficio delle ragioni per le quali, a onta del suo parere, la decretazione risultava negativa. Nella sentenza, poi, si è sottolineato che, come dimostrano l’contenuti delle conversazioni intercettate, il fattivo interessamento del B. aveva consentito alle istanti di aggiustare il tiro e presentare una domanda consentanea ai requisiti richiesti. A fronte di tale ordito argomentativo, le deduzioni del ricorrente si risolvono in censure di merito e in una richiesta di rivalutazione delle prove non consentite in sede di legittimità. È opportuno, peraltro, ribadire che, ai fini della configurabilità del reato di falsità ideologica in atto pubblico, è sufficiente il dolo generico, ovvero la volontarietà e la consapevolezza della falsa attestazione, essendo del tutto irrilevanti le finalità perseguite dal soggetto agente si veda Sez. 5, n. 6818 del 24/01/2005, P.M. in proc. Franceschini ed altri, Rv. 23142401 , con la conseguenza che il delitto sussiste non solo quando la falsità sia compiuta senza l’intenzione di nuocere ma anche quando la sua commissione sia accompagnata dalla convinzione di non produrre alcun danno si veda Sez. 5, n. 6182 del 03/11/2010, Conforti e altro, Rv. 24970101 . 4. Infondato è il quarto motivo, con il quale il ricorrente si duole dell’omessa motivazione in ordine agli argomenti difensivi circa la prova relativa alla consuetudine di attingere a conoscenze esterne dei dati relativi all’istruttoria della pratica per rilasciare i permessi di soggiorno. In effetti non si rinviene nella sentenza in esame una specifica motivazione sul punto. Tuttavia, la ricostruzione dei fatti e le risultanze processuali, i cui esiti sono stati dettagliatamente descritti nella prima parte della sentenza di appello, rendono evidente la superfluità dell’approfondimento istruttorio prospettato dal ricorrente, giacché, anche se fosse provata la consuetudine cui si è fatto riferimento, nella specie è indubbio che il B. non operò in buona fede validando la pratica con la dicitura OK si veda in particolare quanto argomentato sul punto nella sentenza di appello a pag. 14 , così come emerso anche dal contenuto delle intercettazioni, di cui i giudici di merito hanno dato ampio ed articolato conto si veda pure la sentenza di primo grado nella quale sono state riportate in nota le trascrizioni delle conversazioni intercettate . Si può allora ritenere che le ragioni di rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale siano desumibili implicitamente dall’apparato motivazionale delle decisioni adottate dai giudici di merito si veda in materia ex multis Sez. 3, n. 47963 del 13/09/2016, F, Rv. 26865701 . 5. Il quinto motivo è inammissibile per manifesta infondatezza. Nella specie correttamente è stato contestato al B. il reato di falso materiale in concorso con quello di falso ideologico. La condotta di falso materiale si riferisce all’aver barrato le indicazioni della M. , la quale come si è detto aveva segnalato le irregolarità riscontrate. È del tutto evidente, allora, che si tratta di condotta afferente un atto diverso da quello oggetto dell’imputazione di falso ideologico. Si deve ribadire sul punto che il concorso formale tra falso materiale e falso ideologico va escluso solo se la falsità riguarda il medesimo documento, atteso che, trattandosi di un atto alterato o contraffatto, è irrilevante che lo stesso sia veridico o meno Sez. 5, n. 12400 del 13/11/2015, Caramanno, Rv. 26670001 Sez. 5, n. 14292 del 21/12/2005, Mauri, Rv. 23458001 Sez. 5, n. 38083 del 27/09/2005, Strada, Rv. 23307601 . Difatti, perché sia configurabile un falso ideologico, è necessario che l’attestazione provenga dal suo autore apparente, sia cioè genuina, in quanto è irrilevante se sia veridico o meno un atto materialmente falso Sez. 5, n. 5495 del 22/04/1997, Saetta, Rv. 20801501 Sez. 5, n. 3667 del 08/02/1999, Murrighile, Rv. 21294901 . Nella specie il B. ha barrato con la penna a inchiostro verde dello sportellista le annotazioni della M. e, così operando, ha fatto apparire modificate da altro soggetto appunto lo sportellista le annotazioni del rilievo di non conformità dell’istruttoria, tracciate con penna ad inchiostro rosso dalla collega M. sull’elaborato SDI. Peraltro, prive di pregio sono le deduzioni difensive che negano la natura di atto pubblico alle annotazioni della M. , qualificandoli come meri appunti. Anche la M. operava nell’ambito del procedimento amministrativo come decretatore e le suddette annotazioni erano state operate proprio all’esito dell’esame delle pratiche finalizzato alla loro validazione. 6. Inammissibile è anche il sesto ed ultimo motivo. Invero, nel rispondere alle censure afferenti la determinazione del trattamento sanzionatorio, la Corte territoriale ha valorizzato negativamente anche il precedente penale in tema di accesso abusivo ad un sistema informatico, motivando sulla inclinazione del B. a strumentalizzare il proprio ruolo per fini diversi da quelli istituzionali. E, avendo riguardo allo stesso precedente penale, la Corte territoriale ha espresso un giudizio negativo in ordine alla richiesta di concessione del beneficio della non menzione. Si tratta di valutazioni di merito, non sindacabili in cassazione in quanto congruamente e logicamente motivate. 7. Al rigetto del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.