Associazione mafiosa e custodia cautelare in carcere: come superare la presunzione di pericolosità sociale?

In tema di custodia cautelare in carcere applicata all’indagato del reato di associazione mafiosa, la presunzione relativa di pericolosità sociale, ex art. 275, comma 3, c.p.p., può essere superata solo quando dagli elementi a disposizione del giudice emerga che l’associato abbia definitivamente eliminato i suoi legami con l’organizzazione criminosa.

Lo afferma la Corte di Cassazione con la sentenza n. 10984/20, depositata il 1° aprile. Il caso. Il Tribunale rigettava l’appello proposto avverso la pronuncia dello stesso Tribunale con cui era stata respinta la richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere, disposta nei confronti dell’imputato in relazione al reato di associazione mafiosa. Avverso tale decisione, l’imputato ricorre per cassazione sostenendo che l’ordinanza impugnata avrebbe erroneamente confermato il giudizio sull’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, con riferimento in particolar modo al pericolo di reiterazione dei reati, ignorando il divieto di desumere tale pericolo dalla gravità del reato per cui si procede. La presunzione relativa di pericolosità sociale. Sul punto intervengono, dunque, i Giudici di legittimità, affermando che, in tema di custodia cautelare in carcere applicata all’indagato del reato di associazione mafiosa, la presunzione relativa di pericolosità sociale, ex art. 275, comma 3, c.p.p., può essere superata solo quando dagli elementi a disposizione del giudice emerga che l’associato abbia definitivamente eliminato i suoi legami con l’organizzazione mafiosa pertanto, in assenza di elementi a favore, sul giudice della cautela non grava un onere di argomentare in positivo circa la sussistenza o la permanenza delle esigenze cautelari, anche nel caso in cui sia decorso un tempo considerevole tra l’emissione della misura e i fatti contestati . E, siccome nel caso in esame, correttamente il Tribunale ha argomentato sull’insussistenza di elementi per ritenere che l’indagato abbia rescisso i rapporti con l’associazione criminosa di cui faceva parte, il ricorso è dichiarato inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 16 ottobre 2019 – 1 aprile 2020, n. 10984 Presidente Vessichelli – Relatore Miccoli Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 2 maggio 2019 il Tribunale di Catanzaro ha rigettato l’appello proposto avverso la pronunzia del medesimo Tribunale del 18 marzo 2019, con la quale era stata respinta la richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere, disposta nei confronti di Z.M. in relazione ai reati di partecipazione all’associazione mafiosa detta cosca T. capo 1 , di estorsione capo 8 e di illecita concorrenza con minaccia e violenza capo 8 bis . 2. Avverso la predetta ordinanza lo Z. , con atto sottoscritto dal difensore, propone ricorso per cassazione, affidandolo ad un unico e articolato motivo, con il quale si deducono vizi motivazionali con riferimento all’art. 274 c.p.p. e art. 275 c.p.p., comma 3. L’ordinanza impugnata avrebbe erroneamente confermato il giudizio sull’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, con particolare riferimento al pericolo di reiterazione del reato, ignorando in proposito il divieto, previsto dal codice di rito, di desumere tale pericolo dalla gravità del reato per cui si procede. Si osserva che la condotta partecipativa dell’indagato si sarebbe esaurita nel collegamento tra l’impresa della moglie e T.G. . Sarebbe quindi insussistente il pericolo di reiterazione del reato, in quanto il sequestro della predetta impresa renderebbe irripetibile la condotta di partecipazione, anche considerato che tutti i presunti sodali sono attualmente detenuti. Inoltre, il Tribunale non avrebbe considerato, a prescindere dalla gravità del reato, il notevole periodo di tempo trascorso in carcere, ovvero due anni e quattro mesi. Tale periodo avrebbe determinato un allontanamento dell’indagato dalla cosca, con la conseguenza che sarebbe stata necessaria nella specie la prova di un attuale contributo oggettivamente apprezzabile dell’indagato alla vita e all’organizzazione del gruppo stesso. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. 1. Le censure proposte sono meramente reiterative delle doglianze prospettate in sede di appello e in relazione ad esse il Tribunale ha congruamente e logicamente risposto, mentre il ricorrente ha omesso qualsivoglia confronto argomentativo con tale motivazione. 2. Le suddette censure appaiono anche manifestamente infondate, giacché il Tribunale si è correttamente uniformato ai principi interpretativi elaborati da questa Corte in relazione all’art. 275 c.p.p., comma 3, che, anche a seguito delle modifiche apportate dalla L. n. 47 del 2015, continua a prevedere una doppia presunzione relativa quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari ed assoluta con riguardo all’adeguatezza della misura carceraria Sez. 5, n. 51742 del 13/06/2018, Pergola Daniele, Rv. 27525501 . Ne consegue che, in tema di custodia cautelare in carcere applicata nei confronti di indagato del reato di associazione mafiosa, la presunzione relativa di pericolosità sociale, di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, può essere superata solo quando dagli elementi a disposizione del giudice presenti agli atti o addotti dalla parte interessata emerga che l’associato abbia stabilmente rescisso i suoi legami con l’organizzazione criminosa, sicché, in assenza di elementi a favore, sul giudice della cautela non grava un onere di argomentare in positivo circa la sussistenza o la permanenza delle esigenze cautelari Sez. 5, n. 45840 del 14/06/2018, M, Rv. 27418002 in senso conforme, n. 19283 del 2017 rv. 270062, n. 52303 del 2016 rv. 268726, n. 47401 del 2017 rv. 271855, n. 44644 del 2016 rv. 268197, n. 38119 del 2015 rv. 264727, n. 5787 del 2016 rv. 265986 . Orbene, nella specie il Tribunale ha argomentato sull’insussistenza di elementi per ritenere che lo Z. abbia rescisso i legami con l’associazione di cui fa parte, facendo anche specifico riferimento in ragione dell’analoga sollecitazione della difesa sul punto all’irrilevanza dell’intervenuto sequestro dell’impresa intestata alla moglie, i cui rapporti con il T. erano stati valorizzati nell’ordinanza applicativa della misura cautelare. Correttamente in proposito il Tribunale ha richiamato la decisione di questa Corte sentenza n. 40944/2017 , con la quale è stata già valutata la questione proposta dalla difesa con il ricorso avverso il provvedimento del 30 dicembre 2016, emessa in sede di richiesta di riesame della ordinanza genetica. Nè può dirsi assolto l’onere probatorio gravante sullo Z. in relazione al suo allontanamento dal sodalizio criminale con il semplice riferimento alla circostanza che gli associati sono stati tutti sottoposti a misura cautelare in carcere. 3. Sulla richiesta di sostituzione della misura con altra meno afflittiva, il Tribunale ha richiamato i principi cui si è già fatto sopra riferimento, per cui, superata la presunzione relativa di pericolosità sociale, non risultando che l’imputato abbia rescisso i vincoli che lo legavano al sodalizio criminale, opera la presunzione assoluta di adeguatezza della custodia cautelare in carcere si veda anche, ex multis, Sez. 5, n. 47401 del 14/09/2017, P.M. in proc. Iannazzo, Rv. 27185501 . 4. Nell’ordinanza impugnata v’è pure congrua e corretta motivazione sulla questione prospettata dalla difesa dello Z. , secondo la quale, a prescindere dalla gravità del reato, il periodo di tempo trascorso in carcere, ovvero due anni e quattro mesi, avrebbe determinato un allontanamento dell’indagato dalla cosca, con la conseguenza che sarebbe stata necessaria nella specie la prova di un attuale contributo oggettivamente apprezzabile dell’indagato alla vita e all’organizzazione del gruppo stesso. In ordine a quest’ultimo aspetto si richiama quanto detto sopra sub § 2, ribadendo che il Tribunale ha argomentato sul dato della mancata dimostrazione della rescissione dei rapporti dello Z. con la cosca T. . E, come pure si è già evidenziato, con le suddette argomentazioni il Tribunale si è adeguato all’orientamento interpretativo maggioritario di questa Corte, dal quale questo Collegio non ritiene vi siano ragioni per discostarsi. Giova, allora, qui ricordare che in proposito coesistono due orientamenti afferenti la valutazione del requisito della attualità per i delitti a pericolosità cd. presunta cui fa riferimento l’art. 275 c.p.p., comma 3. Secondo alcune pronunzie in parte già richiamate sopra sub § 2 la presunzione relativa di pericolosità sociale per il partecipe ad associazione mafiosa può essere superata solo quando dagli elementi a disposizione del giudice emerga che l’associato abbia stabilmente rescisso i suoi legami con l’organizzazione criminosa, sicché, in assenza di elementi a favore, sul giudice della cautela non grava un onere di argomentare in positivo circa la sussistenza o la permanenza delle esigenze cautelari si veda la già menzionata Sez. 5, n. 45840 del 14/06/2018, M, Rv. 27418002 nonché Sez. 2, n. 19283 del 03/02/2017, Cocciolo, Rv. 270062 Sez. 5, n. 47401 del 268726 Sez. 5, n. 44644 del 28/06/2016, Leonardi, Rv. 268197 Sez. 1, n. 5787 del 21/10/2015, dep. 2016, Calandrino, Rv. 265986 Sez. 5, n. 38119 del 22/07/2015, Ascone, Rv. 264727 . E, di recente, si è precisato che la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari prevista dall’art. 275 c.p.p., comma 3, non è superata solo per effetto del decorso di un tempo considerevole tra l’emissione della misura e i fatti contestati qualora risultino accertate la consolidata esistenza dell’associazione, la pregressa partecipazione alla stessa dell’indagato e la sua perdurante adesione ai valori del sodalizio nel caso di specie ‘ndrangheta . Sez. 6, n. 19787 del 26/03/2019, Bonforte Antonino, Rv. 27568101 . In alcune pronunzie si è fatta una distinzione tra mafie storiche e quelle che tali non sono, legando unicamente alle prime la presunzione relativa di pericolosità cautelare alla quale non è necessaria la verifica in punto di attualità del pericolo, potendo essere vinta la presunzione solo dalla prova del distacco dal contesto mafioso Sez. 2, n. 26904 del 21/04/2017, Politi, Rv. 270626 si veda anche Sez. 5, n. 36389 del 15/07/2019, Forgetti Domenico, Rv. 27690501, secondo la quale per le associazioni mafiose non riconducibili alla categorie delle mafie storiche può rilevare anche il decorso del tempo . In effetti, il principio di diritto così espresso si risolve nella constatazione di una innegabile caratteristica epifenomenica delle mafie classiche o storiche , affermando che, ai fini del superamento della presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, occorre distinguere tra associazioni mafiose caratterizzate da particolare stabilità, in relazione alle quali è necessaria la dimostrazione del recesso dell’indagato dalla consorteria, ed associazioni mafiose non riconducibili alla categorie delle mafie storiche , per le quali possono rilevare anche la distanza temporale tra la applicazione della misura ed i fatti contestati, nonché elementi che dimostrino la instabilità o temporaneità del vincolo si veda in tal senso in motivazione la gia citata Sez. 5, n. 45840 del 14/06/2018, M . Secondo altro orientamento interpretativo, pur in presenza della presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari, sussiste comunque un onere motivazionale che deve incentrarsi sulla valutazione del requisito dell’attualità, allorché si registri una consistente distanza temporale tra i fatti ed il provvedimento cautelare Sez. 3, n. 6284 del 16/01/2019, Pianta Roberto, Rv. 27486101 Sez. 6, n. 25517 del 11/05/2017, Fazio, Rv. 270342 Sez. 6, n. 29807 del 04/05/2017, Nocerino e altri, Rv. 270738 Sez. 6, n. 20304 del 30/03/2017, Sinesi, Rv. 269957 Sez. 5, n. 36569 del 19/07/2016, Cosentino, Rv. 267995 Sez. 5, n. 52628 del 23/09/2016, Gallo e altri, Rv. 268727 . Come si è detto, questo Collegio aderisce al primo degli orientamenti sopra esposti, in piena condivisione di quanto già rilevato da questa stessa Sezione in altra decisione, secondo la quale l’altra opzione interpretativa finisce per svuotare di contenuti la presunzione di legge, che il legislatore ha confermato pur dopo l’intervento riformatore della L. n. 47 del 2015, non tenendo conto delle peculiarità di chi agisce commettendo reati in contesti di criminalità organizzata - tanto più evidenti in casi, come quello di specie, in cui sia ipotizzata la stessa partecipazione all’associazione mafiosa - caratterizzati dalla adesione ad un vero e proprio sistema di vita e dalla stabilità nel tempo del vincolo, nonostante lo scorrere del tempo ovvero lo stato detentivo così in motivazione la più volte citata Sez. 5, n. 45840 del 14/06/2018 . D’altronde, tale orientamento appare in linea anche con la giurisprudenza costituzionale pure richiamata dal Tribunale nell’ordinanza qui in esame che si è occupata della legittimità costituzionale dell’art. 275 c.p.p., comma 3, - in riferimento all’art. 3 Cost., art. 13 Cost., comma 1, e art. 27 Cost., comma 2, - nella parte in cui, nell’imporre l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’art. 416 bis c.p., fa salva solo l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari, e non anche quella in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure. Infatti, con l’ordinanza n. 136 del 2017 la Corte Costituzionale ha precisato che, con le modifiche apportate dalla L. n. 47 del 2015, art. 4, comma 1, al secondo periodo dell’art. 275 c.p.p., comma 3 il legislatore ha recepito la giurisprudenza della stessa Corte, la quale, dapprima con la sentenza n. 265 del 2010 e successivamente con varie altre, aveva dichiarato, rispetto ad alcuni delitti, costituzionalmente illegittimo l’art. 275 c.p.p., comma 3, nella parte in cui - nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari - non faceva salva, altresì, l’ipotesi in cui fossero stati acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risultava che le esigenze cautelari potessero essere soddisfatte con altre misure. Quindi, richiamando anche precedenti pronunzie, la Corte ha ribadito la ratio giustificativa del particolare regime stabilito per gli imputati del reato previsto dall’art. 416 bis c.p., rilevando che l’appartenenza a un’associazione di tipo mafioso implica, nella generalità dei casi e secondo una regola di esperienza sufficientemente condivisa, un’esigenza cautelare che può essere soddisfatta solo con la custodia in carcere, non essendo le misure minori sufficienti a troncare i rapporti tra l’indiziato e l’ambito delinquenziale di appartenenza in modo da neutralizzarne la pericolosità sentenza n. 265 del 2010 . Ha inoltre sottolineato che l’elemento in grado di legittimare costituzionalmente la presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia in carcere è rappresentato dallo stabile inserimento nell’associazione di tipo mafioso, il quale, per le caratteristiche del vincolo, capace di permanere inalterato nonostante le vicende personali dell’associato e di mantenerne viva la pericolosità, fa ritenere che questa non sia adeguatamente fronteggiabile con misure cautelari minori sentenza n. 265 del 2010 e in questa prospettiva non ha rilievo la distinzione tra la posizione del partecipe e quella degli associati con ruoli apicali, perché, quali che siano le specifiche condotte dei diversi associati e i ruoli da loro ricoperti nell’organizzazione criminale, il dato che rileva, e che sotto l’aspetto cautelare li riguarda tutti ugualmente, è costituito dal tipo di vincolo che li lega nel contesto associativo, vincolo che fa ritenere la custodia in carcere l’unica misura in grado di troncare i rapporti tra l’indiziato e l’ambito delinquenziale di appartenenza, neutralizzandone la pericolosità sentenza 265 del 2010 ” così in motivazione Corte Costituzionale, ordinanza n. 136 del 2017 . 5. Conclusivamente si può affermare il seguente principio di diritto -In tema di custodia cautelare in carcere applicata nei confronti di indagato del reato di associazione mafiosa, la presunzione relativa di pericolosità sociale, di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, può essere superata solo quando dagli elementi a disposizione del giudice emerga che l’associato abbia definitivamente rescisso i suoi legami con l’organizzazione criminosa, sicché, in assenza di elementi a favore, sul giudice della cautela non grava un onere di argomentare in positivo circa la sussistenza o la permanenza delle esigenze cautelari, anche nel caso in cui sia decorso un tempo considerevole tra l’emissione della misura e i fatti contestati . 6. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000,00 in favore della Cassa delle ammende. Vanno adottati i provvedimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.