Patto di quota lite sottoscritto dalla cliente “in bianco”, avvocato condannato per truffa

La condotta dell’avvocato che, approfittando del rapporto fiduciario e dell’estraneità alle questioni giuridiche della persona offesa, proponga e faccia sottoscrivere al proprio assistito il patto di quota lite, tacendo l’entità sproporzionata dell’importo derivante a titolo di compenso delle prestazioni professionali, integra il reato di truffa.

Lo ha ribadito la Cassazione con sentenza n. 11030/20 depositata il 1° aprile. Il caso. L’avvocato veniva tratto in giudizio con l’accusa di truffa continuata aggravata nei confronti della cliente, per averla indotta, in qualità di legale, a consegnarli, in più occasione, somme di denaro a titolo di compenso professionale per aver curato i rapporti con le assicurazioni al fine di ottenere un risarcimento danni. In particolare, l’avvocato aveva approfittato della condizione di fiducia della cliente e le aveva fatto sottoscrivere un foglio in bianco”, risultato poi essere il patto di quota di lite. Condannato in appello, l’avvocato impugnava la sentenza per cassazione. Truffa. La Cassazione ribadisce che integra il reato di truffa la condotta dell’avvocato che, approfittando del rapporto fiduciario e dell’estraneità alle questioni giuridiche della persona offesa, proponga e faccia sottoscrivere al proprio assistito il patto di quota lite, tacendone l’entità sproporzionata dell’importo derivante a titolo di compenso delle prestazioni professionali . Sulla scorta di tale principio, nella fattispecie in esame, deve ritenersi corretta la motivazione della Corte d’Appello cha ritenuto la sottoscrizione del patto resa dalla cliente praticamente al buio come prova del piano truffaldino dell’avvocato, oltre che l’assenza da parte della stessa di qualsiasi consapevolezza del patto che la obbligava a compensare il legale nella misura del 50% del risultato ottenuto. Il Collegio di legittimità dichiara il ricorso ammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 21 novembre 2019 – 1 aprile 2020, n. 11030 Presidente Cammino – Relatore Imperiali Ritenuto in fatto 1. C.A. è stato tratto a giudizio per rispondere del delitto di truffa continuata aggravata ai danni di M.S. per avere, in qualità di legale di questa, indotto la stessa in errore inducendola a consegnargli, in più occasioni, in contanti ed a mezzo di bonifici, complessivi Euro 364.000, di cui 35.000 a titolo di compenso professionale per aver curato i rapporti con le assicurazioni al fine di ottenere il risarcimento dei danni conseguenti al decesso del coniuge della donna, così approfittando della condizione di fiducia da quest’ultima riposta nell’avvocato e della sua condizione di fragilità emotiva a causa della morte del marito e dei problemi dell’accudimento dei figli minori, ingiustamente conseguendo il profitto di Euro 329.000, con pari danno per la M. . Il Tribunale di Campobasso, con sentenza del 27/6/2017, pur ritenendo dimostrato che il legale aveva incassato, sulla base di un patto di quota - lite, complessivi Euro 364.000,00, assolveva il C. dal reato contestato con la formula perché il fatto non sussiste , ritenendo verosimile che il predetto potesse aver approfittato della debolezza psicologica della sua assistita nella situazione conseguente al decesso del coniuge ma rilevando anche che, proprio a motivo di tale debolezza, la deposizione testimoniale della persona offesa non aveva apportato elementi idonei a sostenere l’accusa, peraltro avendo la M. anche riconosciuto essere autentica la firma apposta in calce al patto di quota lite stipulato con il legale, e che nemmeno potevano desumersi diversi e più pregnanti elementi di prova dalla testimonianza del fratello della M. , presente ad un solo incontro tra la persona offesa ed il legale. 2. A seguito di ricorso in appello proposto dal pubblico ministero presso il predetto Tribunale, la Corte di appello di Campobasso ha provveduto alla rinnovazione del dibattimento con un nuovo esame testimoniale della persona offesa e di suo fratello M.M. , in ossequio al disposto dell’art. 603 c.p.p., comma 3 bis. All’esito, con sentenza del 20/9/2018, ha riformato la pronuncia di primo grado, dichiarando il C. colpevole del reato di cui agli artt. 81 e 640 c.p., art. 61 cp., nn. 7 ed 11 e, con le attenuanti generiche ritenute prevalenti sulle aggravanti, lo ha condannato alla pena ritenuta di giustizia, con i benefici della sospensione condizionale e della non menzione della pena medesima. 3. Avverso la sentenza della Corte territoriale ha proposto ricorso per cassazione il C. , sollevando due motivi di impugnazione 3.1. Con il primo motivo ha dedotto la violazione del canone di giudizio dell’al di là di ogni ragionevole dubbio, per essersi omessa la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale con l’esame dei testimoni indicati dalla difesa. Si duole il ricorrente che la Corte di appello abbia provveduto alla rinnovazione del dibattimento con un nuovo esame testimoniale della persona offesa e di suo fratello, senza procedere all’esame anche dei funzionari bancari I. , S. ed A. , richiesto dalla difesa. La difesa del ricorrente assume, a tal proposito, che non essendosi proceduto all’integrale rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, la Corte si sarebbe preclusa la possibilità di superare il ragionevole dubbio , verificando con l’esame dei testi indicati dalla difesa l’effettivo svolgimento della vicenda. 3.2. Con il secondo motivo di ricorso la difesa del C. ha dedotto il vizio di motivazione per l’omessa valutazione delle dichiarazioni del teste A.A. , cassiere della BNL, che si assume avrebbe potuto riferire i fatti in modo diverso da come ricostruiti dalla Corte territoriale allorché questa ha ritenuto che la M. non fosse consapevole di quanto andava disponendo in favore del C. . Si assume nel ricorso che nessun atto processuale consentirebbe di ritenere che il ricorrente abbia riempito il foglio sottoscritto in bianco dalla persona offesa in modo abusivo nel suo contenuto, e si contesta, altresì, che non siano state accertate le ragioni per le quali la M. abbia provveduto ad effettuare il bonifico della somma in favore del difensore un anno e mezzo dopo la sottoscrizione del mandato. Si assume, inoltre, che sarebbe stata travisata la deposizione del teste m.llo Mo. della Guardia di Finanza, che avrebbe riferito che in più occasioni erano state consegnate al C. somme prelevate dalla M. e a distanza di tempo versate sul conto corrente del ricorrente. Richiamando, inoltre, le dichiarazioni del teste A. secondo cui l’avallo del direttore della banca dell’epoca, Dott. S.A. , dava la certezza che l’operazione fosse stata effettivamente voluta e confacente alla volontà della cliente, il ricorrente si duole che la Corte di appello abbia omesso di valutare proprio la deposizione del cassiere, l’unico ad avere contatti con la clientela per le operazioni di sportello, ed assume essersi travisata, invece, la deposizione del teste S. , dalla quale era stata estrapolata l’affermazione secondo cui lo stesso si interfacciava esclusivamente con quest’ultimo. Infine, il ricorrente si duole della valutazione data dalla Corte alla memoria difensiva con la quale si era evidenziata la liceità del patto di quota-lite, consentito dalla L. n. 248 del 2006 cd. decreto Bersani assume, particolare, che di tale memoria sarebbe stato travisato il contenuto, con il quale mai si sarebbe sostenuto che il C. avesse ricevuto, oltre i 300.000 Euro con bonifico, anche altri 85.000 a titolo di liberalità, tale essendo stata qualificata la somma esclusivamente a fini fiscali. Considerato in diritto 4. Il ricorso è inammissibile, in quanto i motivi addotti si discostano dai parametri dell’impugnazione di legittimità stabiliti dall’art. 606 c.p.p 4.1. Il primo motivo di ricorso, in particolare, è manifestamente infondato, in quanto la sentenza impugnata ha evidenziato non esservi stato alcun dubbio, già dal primo grado, in ordine all’attendibilità dei testi a discarico di cui la difesa aveva chiesto un nuovo esame, e dei quali in primo grado erano state utilizzate, con il consenso indicato dalle parti, le sole sommarie informazioni testimoniali assunte durante le indagini preliminari, dalle quali già il Tribunale di Campobasso aveva ritenuto essere emerso in modo incontrovertibile che egli il ricorrente n. d.e. abbia incassato la somma di Euro 364.000,00 sulla base del patto di quota lite del 23/11/2009 . La sentenza impugnata non ha inteso discostarsi da tale valutazione, evidenziando che, invece, la questione posta in dubbio dal primo giudice era costituita da quanto avvenuto prima di tale trasferimento di denaro se questo fosse frutto o meno di artifici e raggiri posti in essere dal C. ai danni della persona offesa, approfittando anche delle condizioni di debolezza psicologica della donna in seguito alla morte del marito. La Corte territoriale, pertanto, ha ritenuto di dover procedere alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale con l’esame dei soli testi della cui attendibilità aveva dubitato il primo giudice, M.S. e M.M. , onde stabilire se operare o meno un diverso apprezzamento, atteso anche che la persona offesa di fatto non aveva reso dichiarazioni in primo grado, giacché il suo esame si era interrotto per un malore che l’aveva colpita alla prima domanda posta dal difensore del C. , dopo che il pubblico ministero non aveva formulato domande. Così operando, la Corte di appello si è correttamente uniformata al dettato normativo ed alla giurisprudenza di questa Corte di legittimità, che ha ripetutamente rilevato che la previsione di cui all’art. 603 c.p.p., comma 3-bis, non impone la rinnovazione di tutte le prove dichiarative, ma solo di quelle che sono state oggetto di erronea valutazione da parte del giudice di primo grado e che sono considerate decisive ai fini dello scioglimento dell’alternativa proscioglimento-condanna Sez. 1, n. 35696 del 27/03/2019, Rv. 276825 Sez. 5, n. 53415 del 18/06/2018, Rv. 274593 . 4.2. La deposizione testimoniale resa dalla persona offesa in occasione della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ha, così, rivelato che la stessa ebbe a firmare su richiesta del ricorrente un foglio in bianco che dagli atti del processo era risultato contenere anche il patto di quota lite rivendicato a suo favore dal C. , in quanto ormai consentito dalla novella di cui L. n. 248 del 2006, e nella sottoscrizione di tale foglio la Corte territoriale ha individuato il primo e principale raggiro posto in essere dal predetto ai danni di un soggetto che sia i certificati medici che la testimonianza del fratello hanno evidenziato versare in evidente stato di fragilità psicologica ed emotiva. La giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha già avuto modo di evidenziare che integra il reato di truffa la condotta dell’avvocato che, approfittando del rapporto fiduciario e dell’estraneità alle questioni giuridiche della persona offesa, proponga e faccia sottoscrivere al proprio assistito il patto di quota lite, tacendone l’entità sproporzionata dell’importo derivante a titolo di compenso delle prestazioni professionali cfr. Sez. 2, n. 36891 del 28/06/2011, Rv. 251122 a maggior ragione, pertanto, deve ritenersi immune da vizi logici e giuridici la valutazione della Corte territoriale secondo cui la sottoscrizione di quel patto resa dalla M.S. praticamente al buio è la prova insormontabile del piano truffaldino poi realizzato con le successive movimentazioni bancarie che, a partire dal dicembre 2009, mese successivo a quello dell’incarico e del patto di quota lite firmati in bianco, hanno poi portato sui conti correnti del C. la somma complessiva di 364.000 Euro, 300.000 dei quali acquisiti mediante un unico bonifico disposto dalla M. il 6/4/2011, appena due giorni dopo averli ricevuti dall’assicurazione, secondo quanto emerso dalla documentazione acquisita e dalla rappresentazione testimoniale del mar.llo Mo. , che ha ripercorso i movimenti bancari di cui si tratta. Senza incorrere in alcun vizio logico, pertanto, la Corte territoriale ha ritenuto integrata la truffa per l’assenza di qualsiasi consapevolezza, da parte della M. , del patto che la obbligava a compensare il C. nella misura del 50% del risultato ottenuto, avendo la stessa riferito di aver firmato un semplice foglio bianco che le era stato indicato come destinato ad essere riempito del solo mandato professionale. A fronte di tale ricostruzione dei fatti, invece, il secondo motivo di ricorso intende offrire una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione - ed in particolare delle dichiarazioni dei funzionari di banca che hanno operato successivamente ai momenti sopra descritti - che esula dai poteri della Corte di cassazione, trattandosi, invece, di valutazione riservata, in via esclusiva, al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali Sez. Un., n. 6402 del 30/4/1997, riv. 207944 Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003, Rv. 229369 , sicché sono inammissibili tutte le doglianze che attaccano la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965 . 5. L’inammissibilità del ricorso preclude il rilievo della eventuale prescrizione maturata successivamente alla sentenza impugnata Sez. Un., n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266 , ed alla stessa consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché, valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso, al versamento della somma, che si ritiene equa, di Euro duemila a favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.