Ricusazione accolta: dubbia è la sorte del decreto di rinvio a giudizio intanto emesso dal giudice sospetto

Se accolta la ricusazione, la Corte d’appello decide quali atti conservano efficacia ex art. 42, comma 2, c.p.p., in caso di inerzia giudiziale, quale il destino degli atti a rilevanza non probatoria” intanto emessi dallo iudex suspectus? In gioco la regressione del procedimento penale.

Così la Cassazione, prima sez. penale, n. 10818/20, depositata il 30 marzo. Più richieste di ricusazione ex art. 37 c.p.p. avanzate da indagati ex d.P.R. n. 309/1990 ed art. 416-bis c.p.p. avevano messo in discussione la serenità di giudizio del GUP che in un diverso procedimento aveva anticipato la sussistenza di una associazione a delinquere fra i ricorrenti, così inficiando l’imparzialità dispositiva nel corso del procedimento per cui era accertamento penale. Pendente la ricusazione, il Giudice ricusato emetteva decreto di rinvio a giudizio ex art. 429 c.p.p. nei confronti dei medesimi, ai quali veniva successivamente accolta la proposta di ricusazione da parte della Corte d’appello competente a decidere ex art. 40 c.p.p. Tuttavia i Giudici nulla disponevano in punto di validità ovvero efficacia degli atti emessi dal Giudice sospetto per gli atti probatori e quelli non probatori parrebbe comunque vigere un differente regime. Toccherà alle Sezioni Unite chiarire. In ogni caso, il procedimento/processo non si sospende in pendenza di ricusazione. Tanto si evince dall’art. 41, comma 2, c.p.p. che prefigura la sospensione quale esito eventuale e non de plano seguente ad una proposta dichiarazione di ricusazione. Una minoritaria soluzione l’accoglimento travolge tutti gli atti? E’ l’opinione di una giurisprudenza ora minoritaria cfr. Sezioni Unite, n. 23122/2011, c.d. Tanzi l’accoglimento determinerebbe l’invalidità degli atti emessi dal Giudice sospetto ai sensi dell’art. 178, comma 1, lett. c, c.p.p. e l’inefficacia di tutti gli altri. La soluzione composita in caso di accoglimento, sono tutti invalidi gli atti del Giudice ricusato, salvo disposizione contraria. Vigerebbe una presunzione di invalidità degli atti antecedenti alla ricusazione salvi quelli dichiarati immuni dalla condizione di parzialità del giudice ricusato non verrebbero travolti e manterrebbero piena efficacia. Per altro, l’ultima parola spetterebbe al Giudice del dibattimento al quale è riservato il giudizio sulla validità – e seguente utilizzabilità - degli atti a contenuto probatorio emessi dal Giudice ricusato – se ritenuti inefficaci dalla Corte d’appello ovvero nemmeno menzionati -, anche eventualmente in riforma della decisione della Corte d’appello sulla ricusazione. Il dubbio alle Sezioni Unite e gli atti non probatori decreto di rinvio a giudizio, v. misure cautelari, ordinanze ammissive di riti speciali, ecc. ? La presunzione di invalidità degli atti emessi dal Giudice sospetto potrebbe non riguardare atti a contenuto ordinatorio ovvero atti a contenuto valutativo parziale come nel caso del decreto che dispone il giudizio ex art. 429 c.p.p. emettibile laddove non sussistano le condizioni per l’emissione di una sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p. , i quali in assenza di espressa rimozione della Corte d’appello permarrebbero validi ed efficaci. Se fatti salvi dalla ricusazione accolta, sarebbe meno processualmente conveniente la reitera di più istanze di ricusazione. Se, all’opposto, anche tali atti fossero travolti, l’accoglimento della ricusazione potrebbe determinare una forte regressione processuale, con relati evidenti effetti processuali cfr. prescrizione . Ora le Sezioni Unite.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, ordinanza 26 febbraio – 30 marzo 2020, n. 10818 Presidente Iasillo – Relatore Magi Ritenuto in fatto 1. Con decisioni di merito tra loro conformi - sentenza emessa dal Tribunale di Gela il 6 dicembre 2017 e sentenza emessa dalla Corte di Appello di Caltanissetta il 18 dicembre 2018 - sono state definite le posizioni degli attuali ricorrenti nel modo che segue a G.M. affermazione di penale responsabilità per il fatto descritto al capo n. 2 D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 e per quello descritto al capo n. 3 D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 con condanna, ritenuta la continuazione interna e quella con altro fatto già giudicato, alla pena complessiva di anni ventuno di reclusione b M.G.A. affermazione di penale responsabilità per il fatto descritto al capo n. 2 D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 e per quelli descritti ai capi n. 3 art. 73 e n. 4 art. 73 con riconoscimento attenuanti generiche equivalenti ad esclusione aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 con condanna, ritenuta la continuazione interna, alla pena di anni quindici di reclusione c S.G. affermazione di penale responsabilità per i fatti descritti al capo n. 1 art. 416 bis c.p. , al capo n. 2 D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 e al capo n. 3 art. 73 con condanna, concesse generiche equivalenti ad esclusione aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 , ritenuta la continuazione interna e quella con altro fatto già giudicato, alla pena di anni quattordici e mesi dieci di reclusione. 1.1 Quanto ai fatti oggetto del processo, va in sintesi evidenziato che la decisione di primo grado ricostruisce alcuni scenari associativi relativi alle vicende della organizzazione mafiosa denominata cosa nostra nel territorio di Gela, anche servendosi di accertamenti divenuti definitivi, ai sensi dell’art. 238 bis c.p.p In particolare, viene preso in esame il periodo successivo al decesso di E.D. , avvenuto il OMISSIS , e le attività svolte - specie nel campo dello smercio delle sostanze stupefacenti - dal gruppo R. , cui aderivano taluni degli imputati. Figura centrale, secondo i giudici del merito, risulta essere quella di G.M. , già condannato con decisione definitiva per la pregressa appartenenza al gruppo R. e qui giudicato per la correlata organizzazione dedita allo smercio di sostanze stupefacenti. Il periodo storico preso in esame va dal 2008 al 2013 ma le attività investigative di maggior rilievo appaiono realizzate negli anni 2010 e 2011. 1.2 Le fonti dimostrative utilizzate nella decisione di primo grado per ricostruire le condotte contestate agli imputati risultano essere rappresentate da - collaboratori di giustizia facenti parte della medesima organizzazione mafiosa come D.S.R. , C.E. , B.M.C. , C.E. , N.D. , G.G. - intercettazioni di conversazioni relative alle attività di smercio delle sostanze stupefacenti sia hashish che cocaina nonché alla organizzazione mafiosa di riferimento - risultati di attività di osservazione e controllo dei movimenti di taluni imputati - perquisizioni e sequestri relativi sia alle sostanze stupefacenti che a materiali documentali ritenuti dimostrativi della esistenza della organizzazione dedita allo smercio delle sostanze. In particolare vengono evidenziate nelle decisioni di merito le attività di rinvenimento di sostanze stupefacenti ed altro materiale di interesse avvenute tra marzo e novembre dell’anno 2011. Quanto agli aspetti in diritto, il Tribunale affronta, per quanto qui rileva, una questione in rito - in punto di validità di uno dei due decreti di rinvio a giudizio - affermando che l’avvenuto accoglimento della istanza di ricusazione formulata da G.M. , S.G. e M.G. non determina alcuna inefficacia o nullità dell’atto compiuto dal GUP in pendenza della decisione definitiva nella procedura incidentale di ricusazione. Giova precisare su tale aspetto - come più diffusamente si dirà in seguito - che il decreto di rinvio a giudizio risulta emesso - in data 8 febbraio 2016 - in un momento storicamente posteriore alla prima decisione di inammissibilità delle istanze di ricusazione. La prima ordinanza della Corte di Appello di Caltanissetta, quale giudice della procedura incidentale di ricusazione, è stata tuttavia oggetto di annullamento da parte di questa Corte di legittimità, così come una seconda ordinanza con cui parimenti la Corte di Appello aveva dichiarato inammissibili le istanze di ricusazione. Soltanto all’esito del secondo annullamento da parte di questa Corte risulta emessa la decisione di accoglimento. Il procedimento principale, all’atto della emissione di tale ultima pronunzia, era in fase di avanzata trattazione dibattimentale. 2. In sede di esame dei motivi di appello proposti dagli odierni ricorrenti, la Corte di secondo grado opera le valutazioni che possono così sintetizzarsi. 2.1 Quanto ai motivi di appello introdotti da S.G. , la Corte di Appello ribadisce che non può ritenersi nullo il decreto di rinvio a giudizio emesso in data 8 febbraio 2016. In particolare, viene evidenziato che detto decreto è stato emesso in una fase procedimentale in cui la domanda di ricusazione era stata dichiarata inammissibile e il successivo accoglimento di tale domanda avvenuto il 5 ottobre del 2017 a seguito del secondo annullamento disposto da questa Corte non può travolgere gli effetti di un atto, il decreto di rinvio a giudizio, che ha natura interlocutoria e non rappresenta una decisione sulla fondatezza della imputazione. Nel valutare il merito, si ribadisce la validità del tessuto argomentativo della decisione di primo grado, fondato sulla convergenza narrativa - quanto al ruolo svolto nel clan R. - di più fonti dichiarative dotate di autonomia. Le attività dello S. nel gruppo dedito allo spaccio sono state censite durante le indagini con i servizi di osservazione che hanno condotto al suo arresto nel novembre del 2011. Il garage dello S. è stato utilizzato dal 2007 al 2011 come luogo di custodia temporanea della sostanza stupefacente, così come argomentato nella decisione di primo grado. Si ribadisce il significato probatorio, quanto alla partecipazione alla organizzazione mafiosa, del sostegno economico ricevuto dallo S. e proveniente dal D.S. durante il periodo di detenzione e si riprendono i contenuti della conversazione tra la convivente dello S.C.C. e P.F. , conversazione che testimonia, tra l’altro, lo stretto legame intercorso tra lo S. e G.M. . Si evidenzia altresì come le condotte operative dello S. nel sodalizio dedito al traffico di stupefacenti siano riprese subito dopo la scarcerazione del febbraio 2012. 2.2 Quanto alla posizione di M.G.A. , oltre a respingere i motivi in rito, la Corte di Appello ritiene infondata la prospettazione difensiva incentrata sulla autonomia” di tale soggetto nella attività di spaccio. Il M. risulta, di contro, collocato nel cd. gruppo intermedio” soggetti che per conto della organizzazione collocavano la droga nella filiera degli spacciatori al minuto sulla base del contributo dichiarativo reso da D.S.R. , ritenuto pienamente attendibile e riscontrato con esito positivo. Non appare, in tale cornice, decisivo che l’arresto subito dal M. il 30 marzo del 2011 sia ascrivibile ad una iniziativa posta in essere da costui in concorso con soggetto diverso e non direttamente imputabile al suo rapporto con il R. . L’esistenza di una fonte diversa di reperimento della sostanza, in altre parole, non incrina la valenza probatoria dei contatti intervenuti tra il M. , il G. ed il R. , essendo anche emerso che il M. venne per tale ragione redarguito dagli aderenti al clan R. . Viene confermato altresì il complessivo trattamento sanzionatorio. 2.3 Quanto alla posizione di G.M. , si rigetta la questione in rito relativa alla validità del decreto di rinvio a giudizio comune agli imputati S. e M. e si ribadisce che non può parlarsi di violazione del divieto di un secondo giudizio in rapporto alla intervenuta condanna definitiva per il delitto di associazione mafiosa. Come esposto in primo grado vi è infatti parziale diversità di oggetto e di ambito temporale nonché incremento specifico delle fonti dimostrative, specie con riferimento alle dichiarazioni rese da D.S.R. , rievocate in sentenza. Viene pertanto integralmente confermata la prima decisione. 3. Avverso la sentenza di secondo grado sono stati proposti i seguenti ricorsi. 3.1 G.M. introduce unico atto di ricorso articolato in più motivi. 3.1.1 Al primo motivo viene riproposta la questione relativa alla nullità del decreto di rinvio a giudizio emesso in data 8 febbraio 2016 con deduzione di vizio del procedimento. La originaria istanza di ricusazione del GUP è stata accolta dalla Corte di Appello in data 5 ottobre 2017. Secondo la tesi difensiva ciò avrebbe dovuto determinare la regressione del procedimento alla fase della udienza preliminare, non potendosi ritenere valido l’atto posto in essere medio tempore dal giudice destinatario della decisione di accoglimento della domanda di ricusazione. La difesa evoca la categoria giuridica della incompetenza funzionale allo scopo di evidenziare come l’atto in questione sia affetto da nullità ai sensi dell’art. 178 c.p.p., comma 1, lett. a, nullità peraltro sempre eccepita nelle diverse fasi del giudizio di merito. Si contesta l’affermazione per cui tale vizio non colpirebbe il decreto di rinvio a giudizio, posto che la carenza di potere dovuta all’accoglimento della ricusazione non può non estendersi a tale atto, che non è meramente interlocutorio, potendo in alternativa essere emessa la decisione di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 425 c.p.p 3.1.2 Al secondo motivo si deduce ulteriore vizio del procedimento relativo al giudizio di secondo grado, rubricato come violazione di legge art. 606, comma 1, lett. b e vizio di motivazione art. 606, comma 1, lett. e in riferimento a quanto previsto dagli artt. 523 e 599 bis del codice di rito. La difesa evidenzia che il PG alla udienza del 18 dicembre 2018 non avrebbe rassegnato le conclusioni per la posizione di G.M. , dopo aver una prima volta alla udienza del 5 dicembre 2018 espresso consenso all’accordo ex art. 599 bis c.p.p., proposto dalla difesa, con consenso ritrattato dal P.G. alla successiva udienza del 13 dicembre 2018 Si deve notare, in proposito, che nel caso di specie si procede per reati espressamente esclusi dall’applicazione di tale istituto dall’art. 599-bis c.p.p., comma 2 ndr . Tale modalità di trattazione del procedimento di secondo grado sarebbe, in tesi, illegittima posto che a il consenso già manifestato alla proposta di concordato non poteva essere revocato essendosi già perfezionato l’accordo b il P.G. si è limitato a ritrattare il precedente assenso ma non ha rassegnato le conclusioni. 3.1.3 Al terzo motivo si deduce erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla intervenuta affermazione di penale responsabilità. Il ricorrente evidenzia che non è stata offerta una corretta lettura dei contenuti dichiarativi della principale fonte di prova, rappresentata dal collaborante D.S.R. , con deduzione di travisamento. Costui aveva inquadrato la posizione del G. in un rapporto esclusivo con lo S. per la vendita di droghe leggere e non in un gruppo più ampio. La medesima fonte escludeva che nel traffico di droga fosse coinvolto C.E. . I rilievi difensivi non avrebbero trovato adeguata risposta in sentenza. 3.1.4 Al quarto motivo si deduce erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla esclusione delle circostanze attenuanti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 e art. 74, comma 6. Sul punto vi sarebbe stata una inadeguata motivazione per relationem alla posizione di altri coimputati. 3.1.5 Al quinto motivo si deduce erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7. Non vi sarebbe adeguato confronto tra la motivazione e le emergenze processuali, attesa la assoluzione di numerosi imputati dalla contestazione relativa al reato associativo di stampo mafioso. 3.2 S.G. introduce unico atto di ricorso con più motivi. 3.2.1 Al primo motivo deduce vizio del procedimento in riferimento alle conseguenze dell’accoglimento della istanza di ricusazione del GUP. Si ribadisce la nullità del decreto di rinvio a giudizio emesso in data 8 febbraio 2016, per i motivi già esposti nella trattazione del primo motivo del ricorso proposto da G.M. . 3.2.2 Al secondo motivo deduce ulteriore vizio del procedimento relativo al giudizio di secondo grado, rubricato come violazione di legge art. 606, comma 1, lett. b e vizio di motivazione art. 606, comma 1, lett. e in riferimento a quanto previsto dagli artt. 523 e 599 bis del codice di rito. Si tratta di motivo del tutto analogo al secondo motivo proposto da G.M. , alla cui illustrazione si rinvia. 3.2.3 Al terzo motivo deduce erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla affermazione di penale responsabilità per il reato di associazione mafiosa. La Corte di secondo grado non avrebbe fornito risposta alle doglianze articolate nell’atto di appello, realizzando riferimenti a contributi come quello del N. , in realtà non escusso nel presente giudizio. Si contesta l’utilizzo di una tecnica redazionale che richiama integralmente i contenuti della decisione di primo grado, pure in presenza di motivi di appello che rendevano necessario un autonomo sviluppo delle argomentazioni da parte del giudice di secondo grado. 3.2.4 Al quarto motivo deduce erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla affermazione di penale responsabilità per i reati di associazione finalizzata allo smercio di stupefacenti capo 2 e per i reati-scopo capo 3 . Anche in tal caso l’andamento della doglianza riproduce quello esposto nel trattare la posizione di G.M. , cui si opera rinvio. 3.2.5 Al quinto motivo si deduce erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in riferimento al diniego delle circostanze attenuanti di cui all’art. 74, comma 6 e art. 73, comma 5 Le doglianze sono analoghe a quelle del quarto motivo proposto nell’interesse di G.M. . 3.2.6 Al sesto motivo si deduce erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7. Non vi sarebbe adeguato confronto tra la motivazione e le emergenze processuali, nè personalizzazione del ragionamento giustificativo della decisione. 3.3 M.G.A. introduce due atti di ricorso, il primo a firma del difensore avv. Sinatra, il secondo a firma del difensore avv. Tuccio. 3.3.1 D primo ricorso, al primo motivo deduce vizio del procedimento in riferimento alle conseguenze dell’accoglimento della istanza di ricusazione. Si ribadisce la nullità del decreto di rinvio a giudizio emesso in data 8 febbraio 2016, per i motivi già esposti nella trattazione del ricorso proposto da G.M. . 3.3.2 Al secondo motivo deduce erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla intervenuta affermazione di penale responsabilità per il reato associativo di cui al capo n. 2 art. 74 e per i reati fine di cui al capo 3 art. 73 . La difesa del ricorrente, essenzialmente, lamenta il travisamento dei contenuti dichiarativi provenienti dal collaborante D.S. , che non avrebbe incluso nel gruppo dedito allo spaccio il M. , peraltro assolto dalla imputazione relativa al delitto di cui all’art. 416 bis c.p Viene riproposta la tesi per cui il M. era una sorta di autonomo spacciatore” senza vincoli e senza affectio di gruppo. I contatti con il R. - che non si negano - andavano dunque inquadrati in tale cornice e non potevano dirsi dimostrativi di alcuna continuità di azione, essendosi il M. rifornito - come nell’episodio che ha condotto al suo arresto - anche da altri fornitori. Non vi sarebbe, dunque, alcun serio indicatore fattuale circa l’esistenza del gruppo e circa la consapevolezza del M. di farne parte, aspetti su cui la Corte di secondo grado fornisce risposta illogica e svincolata dalle risultanze processuali. 3.3.3 Terzo, quarto e quinto motivo riguardano il diniego delle attenuanti art. 73, comma 5 e art. 74, comma 6 , la sussistenza della aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 e il diniego della continuazione con l’episodio già giudicato. Si rappresenta, anche in tal caso, l’avvenuta adozione di una tecnica redazionale non individualizzata e svincolata dall’esame delle risultanze istruttorie. 3.3.4 Quanto al secondo atto di ricorso, lo stesso risulta articolato in otto motivi. Al primo deduce erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla intervenuta affermazione di penale responsabilità per il reato associativo di cui al capo n. 2 art. 74 e per il reato di cui al capo 3 art. 73 . La Corte di secondo grado avrebbe realizzato una mera riproduzione, senza alcuna valutazione autonoma, dei contenuti della decisione di primo grado e di quelli di una memoria depositata dalla Procura Generale territoriale. Si ripropone il tema del travisamento delle dichiarazioni del D.S. e le ulteriori doglianze contenute nel primo atto di ricorso. Anche i contatti telefonici intervenuti con il R. non sarebbero stati correttamente interpretati. 3.3.5 Al secondo motivo, la denunzia di travisamento si estende alla deposizione del teste G. ed ai contenuti di un titolo cautelare emesso in diverso procedimento. Si insiste sulla autonomia” del M. rispetto al R. ed al preteso gruppo associativo, proprio in riferimento alla vicenda dell’acquisto di 500 grammi di cocaina, che sarebbe avvenuta con modalità non correlate alla organizzazione censita in questo giudizio. La Corte di secondo grado avrebbe sostanzialmente omesso di valutare i contenuti testimoniali acquisiti mediante la rinnovazione istruttoria. 3.3.6 Al terzo e al quarto motivo si deduce assenza di motivazione in riferimento alle doglianze contenute nei motivi di appello e relative al capo n. 3. 3.3.7 Al quinto, sesto, settimo, ottavo e nono motivo si deduce erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in riferimento ai temi circostanziali, al trattamento sanzionatorio e al diniego di riconoscimento della continuazione. Considerato in diritto 1. Le posizioni processuali dei ricorrenti G.M. , M.G.A. e S.G. sono state oggetto di separazione alla odierna udienza del 26 febbraio 2020, in riferimento ai contenuti del primo motivo di ricorso, comune a tali imputati. Ciò perché - ad avviso del Collegio - sul tema in diritto posto dai ricorrenti e relativo agli effetti dell’accoglimento dell’istanza di ricusazione nel caso in esame sulla validità o efficacia del decreto di rinvio a giudizio sono insorti contrasti interpretativi che impongono la rimessione del tema alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 618 c.p.p., comma 1. 1.1 Preliminarmente, va affermato che i ricorsi qui in esame non vanno dichiarati inammissibili per motivi formali e richiedono adeguata trattazione, sia in riferimento al prospettato vizio del procedimento che in relazione ai motivi residui, trattandosi di doglianze che, nei vari punti trattati, sollevano questioni in diritto che non appaiono manifestamente infondate. Le argomentazioni che seguono si incentrano, tuttavia, sull’analisi del contrasto interpretativo individuato dal Collegio sul tema degli effetti della ricusazione accolta, ritenendosi preliminare tale aspetto, oggetto del primo motivo di ciascun ricorso. 2. In fatto, va ulteriormente rievocata la sequenza procedimentale, anche al fine di rendere chiaro il rilievo della questione di diritto che involge la interpretazione delle disposizioni di legge di cui agli artt. 37 e 42 c.p.p In pendenza della fase della udienza preliminare - alla udienza del 14 dicembre 2015 - è stata proposta istanza di ricusazione, da parte di taluni imputati, nei confronti del GUP del Tribunale di Caltanissetta Dott. L.F. . In particolare, gli imputati G.M. , S.G. e M.G.A. - odierni ricorrenti e condannati nei due giudizi di merito come riportato in premessa - avevano rappresentato che in diverso procedimento il GUP Dott. L. aveva di fatto anticipato il giudizio sia sulla esistenza della associazione di stampo mafioso che sulla associazione dedita al traffico delle sostanze stupefacenti, con specifico riferimento a talune condotte poste in essere dai ricusanti. Il decreto di rinvio a giudizio risulta - come si è detto - emesso in data 8 febbraio 2016 e solo dopo la prima decisione del giudice della ricusazione che aveva ritenuto inammissibili le istanze. Dunque, nel pieno rispetto di quanto previsto dall’art. 37 c.p.p., comma 2. La decisione definitiva sulle istanze di ricusazione è stata emessa dalla Corte di Appello di Caltanissetta proc. n. 7/17 Ric. solo in data 28 settembre 2017, atteso che le prime due pronunzie di inammissibilità risultano annullate da questa Corte di Cassazione con le sentenze nn. 41398 del 2016 e n. 38609 del 2017 . Con detta ordinanza del 28 settembre 2017 è stata accolta la istanza di ricusazione in riferimento alle posizioni di M.G.A. e S.G. in riferimento al reato di associazione finalizzata al traffico delle sostanze stupefacenti di cui al capo n. 2 capo oggetto della posteriore affermazione di penale responsabilità nel presente procedimento . Va peraltro rilevato, quanto alla posizione di G.M. , che pur essendo costui stato rinviato a giudizio in riferimento al capo n. 2 D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 da diverso GUP con decreto del 3 febbraio 2016, unitamente a N.B. , il che esclude la piena comunanza della posizione processuale con M. e S. , lo stesso G.M. è stato tuttavia rinviato a giudizio con il decreto ex art. 429 c.p.p. nelle more emesso dal GUP ricusato Dott. L. in data 8 febbraio 2016 in riferimento al capo n. 3 pure oggetto di condanna il che ad avviso del Collegio impone la estensione a detto imputato della questione di diritto che si intende sottoporre all’esame delle Sezioni Unite sul tema v. Sez. U. n. 13626 del 2011, Digiacomantonio . 2.1 Va pertanto constatato che in pendenza della procedura incidentale di ricusazione - in data 8 febbraio 2016 - risulta emesso il decreto di rinvio a giudizio da parte del GUP Dott. L. nei confronti degli attuali ricorrenti M. e S. in riferimento a tutti i capi di imputazione oggetto della successiva affermazione di penale responsabilità e nei confronti di G.M. in riferimento al capo di imputazione n. 3. Va anche evidenziato che nessuna indicazione di mantenimento di efficacia degli atti posti in essere dal giudice ricusato è presente nella decisione emessa dalla Corte di Appello in data 28 settembre 2017 ai sensi dell’art. 42 c.p.p., comma 2 , decisione in atti. Ciò rende rilevante la trattazione del primo motivo di ciascuno dei ricorsi, con le precisazioni e le considerazioni che seguono. 3. Il quesito in diritto che il Collegio intende sottoporre all’organo di composizione dei conflitti può essere così esposto se, in caso di accoglimento della istanza di ricusazione del GUP, il decreto che dispone il giudizio - emesso in pendenza della decisione definitiva sulla domanda di ricusazione - possa o meno mantenere efficacia. 3.1 Una ricognizione dei recenti arresti di questa Corte di legittimità su tale argomento porta a riconoscere - ad avviso del Collegio - l’esistenza di un contrasto interpretativo, anche posteriore alle due decisioni emesse dalle Sezioni Unite ric. Digiacomantonio e ric. Tanzi, i cui contenuti verranno in breve richiamati. Va in premessa ricordato che l’apertura di una procedura incidentale di ricusazione del giudice non comporta - in quanto tale - la sospensione del procedimento principale, come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte nella decisione del 2002 n. 31421 ric. Conti, intervenuta a chiarire il significato della disposizione di legge di cui all’art. 37 c.p.p., comma 2, secondo cui il giudice ricusato non può pronunciare nè concorrere a pronunciare sentenza fino a che non sia intervenuta l’ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione. In tale pronunzia si è evidenziato che la sospensione del procedimento principale può essere disposta esclusivamente dal giudice competente a decidere sulla ricusazione - ai sensi dell’art. 41 c.p.p., comma 2, - fermo restando il divieto per il giudice ricusato di pronunziare o concorrere a pronunziare sentenza. Sempre in detto arresto si sottolinea come il legislatore del 1988 abbia volutamente spezzato ogni legame tra proposizione della istanza di ricusazione e sospensione del procedimento anche allo scopo di tutelare l’incolumità del processo nel suo complesso, a fronte di possibili abusi della facoltà processuale tesa ad introdurre la procedura incidentale. 3.2 Non vi è dubbio, pertanto, circa l’assenza di effetti sospensivi, nel caso oggetto della presente decisione, posto che la Corte di Appello destinataria delle domande di ricusazione non ha emesso alcun provvedimento di sospensione e le istanze vennero - in prima deliberazione - dichiarate inammissibili. Il decreto di rinvio a giudizio, dei cui effetti si discute, risulta emesso - come si è detto - in pendenza della decisione finale sulla ricusazione e solo dopo la prima pronunzia di inammissibilità dell’istanza di ricusazione da parte della Corte di Appello di Caltanissetta. Da ciò deriva, in prima approssimazione valutativa, che nessuna questione può dirsi ancora aperta per quanto concerne la disposizione di cui all’art. 37 c.p.c., comma 2, atteso che da un lato il procedimento principale non era stato sospeso dal giudice della ricusazione, dall’altro il decreto di rinvio a giudizio non può ritenersi atto con connotazione funzionale assimilabile alla sentenza, posto che non ha vocazione definitoria della regiudicanda ma realizza un primo vaglio sulla sostenibilità dell’accusa tale da consentire, se positivo, la instaurazione del dibattimento si veda in tal senso anche Sez. 5, Sentenza n. 23712 del 31/03/2010 Cc. - dep. 18/06/2010 - Rv. 247505 - 01 3.3 L’avvenuto accoglimento, nel procedimento che ci occupa, delle istanze di ricusazione del GUP, avvenuto, come si è evidenziato, quando nel procedimento principale era in fase di avanzata trattazione il giudizio di primo grado, ha tuttavia posto il tema, diverso seppur correlato, della conservazione - o meno - della efficacia di tale atto, ai sensi dell’art. 42 codice di rito, comma 2. Sia che si ragioni in termini - dogmatici - di invalidità che in termini di inefficacia sopravvenuta dell’atto, è evidente che a venire in rilievo è, pertanto, la interpretazione della disposizione di legge che regolamenta la sorte degli atti compiuti dal giudice in pendenza della procedura incidentale di ricusazione, lì dove la domanda della parte venga, alfine, accolta. Ed è su tale aspetto, oggetto dei ricorsi, che a parere del Collegio è sorto un contrasto interpretativo. 3.4 La disposizione di legge testualmente recita, quanto alla sorte degli atti del procedimento principale il provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione o di ricusazione dichiara se ed in quale parte gli atti compiuti precedentemente dal giudice astenutosi o ricusato conservano efficacia . Vi è pertanto, in una prima approssimazione descrittiva dei contenuti della disposizione, la presa d’atto da parte del legislatore - proprio in virtù della assenza di una sospensione ex lege del procedimento principale - della possibile esistenza di atti del procedimento compiuti, in pendenza della decisione sulla ricusazione, dal giudice ricusato. Ove la ricusazione venga accolta, pertanto, la legge da un lato prevede all’art. 42, comma 1 il divieto di compiere alcun atto del procedimento, dall’altro introduce una possibile clausola di salvezza degli atti compiuti nelle more dell’accoglimento se , rimettendo all’organo giudicante che ha accolto la domanda il potere di individuarli. 3.5 Detta disposizione ha dato luogo a difformità interpretative, che possono riassumersi nel modo che segue. Appare indispensabile riferirsi ai contenuti di due ulteriori arresti delle Sezioni Unite di questa Corte, rappresentati dalle decisioni entrambe depositate nell’anno 2011 ric. Tanzi e ric. Digiacomantonio. Per quanto qui rileva, nella decisione n. 23122 del 2011 ric. Tanzi le Sezioni Unite hanno affrontato il tema della avvenuta emissione - in pendenza della procedura incidentale di ricusazione - di un atto a contenuto decisorio nella specie una decisione di revoca di una misura alternativa emessa dal Tribunale di Sorveglianza in violazione dei contenuti della disposizione di legge di cui all’art. 37 c.p.p., comma 2 e cioè il provvedimento è stato adottato prima che fosse intervenuta l’ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione . L’oggetto specifico del contrasto oggetto di risoluzione era, pertanto, rappresentato dalla individuazione della esatta interpretazione dei contenuti dell’art. 37 c.p.p., comma 2. Le Sezioni Unite Tanzi hanno, sul punto, ritenuto che la decisione emessa in pendenza della procedura incidentale di ricusazione non può dirsi - per ciò solo - affetta da invalidità, potendo tale effetto derivare solo dall’avvenuto accoglimento della domanda, aderendo all’indirizzo sino a quel momento prevalente l’indirizzo nettamente prevalente individua invece nell’esito del giudizio sulla dichiarazione di ricusazione una causa di validità o nullità secundum eventum della decisione irritualmente adottata in pendenza della ricusazione medesima l’inammissibilità o il rigetto la rendono valida l’accoglimento invalida . Quanto agli effetti dell’accoglimento della istanza di ricusazione, la medesima decisione anche in rapporto alla considerazione per cui le disposizioni in tema di astensione e ricusazione concorrono a realizzare i principi fondamentali di terzietà e imparzialità del giudice - distingue, di seguito, tra le diverse tipologìe di atti processuali, affermando che mentre una decisione emessa dal giudice fondatamente ricusato la cui condizione sia stata accertata con accoglimento della domanda è da ritenersi nulla per difetto di capacità particolare ai sensi dell’art. 178 c.p.p., comma 1, lett. a , gli altri atti processuali emessi dal giudice vanno qualificati come inefficaci. Tale affermazione, peraltro, non viene ulteriormente sviluppata, atteso che nel caso concreto che aveva dato luogo al ricorso era stata emessa una decisione sia pure su una questione inerente la fase della esecuzione della pena. 3.6 Al contempo, va ricordato che la decisione n. 13626 del 16.12.2010 dep. 2011 Digiacomantonio ha preso in esame la disciplina legale di cui all’art. 42 c.p.p., comma 2, con particolare riferimento al caso in cui la decisione di accoglimento della ricusazione non abbia indicato gli atti compiuti nel procedimento principale utilizzabili o efficaci. Nell’affrontare il tema, le Sezioni Unite Digiacomantonio - in un caso concreto caratterizzato da questioni relative al recupero di atti istruttori - introducono alcune considerazioni sulla ratio legis posta a fondamento della disposizione, affermando, tra l’altro, che vi è quindi una sorta di presunzione di inefficacia degli atti posti in essere dallo iudex suspectus prima dell’accoglimento della dichiarazione di astensione o della ricusazione, che può essere rimossa con la declaratoria di efficacia di tutti o di alcuni atti dal giudice della ricusazione, che abbia verificato se malgrado la riconosciuta carenza di imparzialità del giudice, vi siano atti che non abbiano subito alterazione, così da poter essere conservati . Si postula, pertanto, la possibile esistenza di atti del procedimento principale immuni da forme di condizionamento del giudice, in ciò individuando il criterio regolativo cui il giudice della ricusazione è tenuto ad attenersi. Si afferma, inoltre, che tale indicazione, da parte del giudice che accoglie la domanda di ricusazione, è da ritenersi obbligatoria è perfettamente comprensibile che in presenza di situazioni nelle quali l’imparzialità è violata o, semplicemente, appare compromessa, la legge processuale disponga il controllo dell’efficacia degli atti compiuti dal giudice astenutosi o ricusato quale ineliminabile garanzia che il loro contenuto non è stato pregiudicato dalla situazione di sospetto che ha motivato l’accoglimento della richiesta di astensione o di ricusazione . Ne deriva, seguendo tale impostazione, che radica nel giudice investito della decisione sulla ricusazione il potere-dovere di sciogliere il nodo sulla efficacia degli atti, la considerazione per cui la mancanza di una declaratoria di efficacia degli atti determina, come si è detto, la inefficacia di tutti gli atti compiuti dal giudice prima dell’accoglimento della dichiarazione di astensione o dell’accoglimento della istanza di ricusazione le parti potrebbero non essere d’accordo con tale decisione . Ma nella predetta sentenza Digiacomantonio si aggiunge che Non è prevista la impugnabilità del provvedimento emesso ex art. 42 c.p.p., comma 2 La inoppugnabilità del provvedimento in discussione però, se non temperata da un sistema di rivedibilità o di sindacabilità della decisione del giudice dell’astensione e della ricusazione, finirebbe con il sottrarre definitivamente gli atti a contenuto probatorio dichiarati erroneamente inefficaci, o ritenuti tali per mancata pronuncia da parte del giudice dell’astensione e/o della ricusazione, all’apprezzamento del giudice del dibattimento che, fondandosi sul contraddittorio tra le parti, è il vero dominus nel sistema processuale vigente degli atti a contenuto probatorio. Del resto, se la decisione del giudice dell’astensione e della ricusazione non fosse sindacabile dal giudice del processo, le norme processuali, che prevedono la inoppugnabilità del provvedimento ex art. 42 c.p.p., comma 2, non si sottrarrebbero ad una censura di illegittimità costituzionale . Se da un lato, in estrema sintesi, si afferma il principio per cui l’assenza di indicazione da parte della Corte di Appello in caso di ricusazione accolta rende inefficaci tutti gli atti compiuti - nelle more - nel procedimento principale, dall’altro si rende possibile l’approdo ad una soluzione diversa con recupero di utilizzabilità dei predetti atti proprio in virtù della sindacabilità da parte del giudice del processo del provvedimento emesso ex art. 42 c.p.p., comma 2 e ciò sia per atti a contenuto probatorio dichiarati erroneamente inefficaci, sia per quelli ritenuti tali per mancata pronuncia da parte del giudice dell’astensione e/o della ricusazione . Proprio per quanto sopra nella sentenza di Digiacomantonio si è rigettato il ricorso pur in presenza di un caso di accoglimento della astensione o ricusazione senza che il giudice avesse indicato quali atti compiuti nel procedimento principale fossero efficaci. Nella massima ufficiale, rv 249299, la decisione è stata riportata nel modo che segue in assenza di una espressa dichiarazione di conservazione di efficacia degli atti nel provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione o di ricusazione, gli atti compiuti in precedenza dal giudice astenutosi o ricusato devono considerarsi inefficaci la Suprema Corte ha precisato che la nozione di efficacia indica, nella specie, la possibilità di inserimento degli atti, compiuti dal giudice astenutosi o ricusato, nel fascicolo per il dibattimento, e che la valutazione di efficacia od inefficacia, operata dal giudice che decide sull’astensione o sulla ricusazione, pur autonomamente non impugnabile, è successivamente sindacabile, nel contraddittorio tra le parti, dal giudice della cognizione . 4. Le letture fornite in epoca posteriore alla pubblicazione di detti arresti dalle Sezioni semplici di questa Corte, specie in riferimento ai contenuti della citata sentenza Digiacomantonio non appaiono tra loro conformi e rendono necessario - a parere del Collegio - un ulteriore approfondimento del tema da parte delle Sezioni Unite. Non è univoca, in particolare, la considerazione dello stesso ambito della decisione Digiacomantonio, posto che in alcuni arresti si è ritenuto che i principi ivi enunciati ed in particolare l’affermazione per cui in assenza di indicazione espressa da parte del giudice della ricusazione tutti gli atti compiuti medio tempore sarebbero inefficaci siano applicabili ai soli atti aventi natura strettamente probatoria, con la conseguenza di ritenere dotati di efficacia - pure in assenza di indicazione espressa ex art. 42 c.p.p., - altri atti giurisdizionali parimenti emessi dal giudice la cui ricusazione sia stata accolta. 4.1 Tale soluzione risulta di recente espressa da due sentenze del 2019 delle quali si ritiene opportuno riportare la massima e parte della motivazione. La massima della sentenza della V Sezione penale n. 44120 del 09/05/2019 Rv. 277848 riporta la decisione nel seguente modo In tema di ricusazione e astensione, non sono inefficaci gli atti a contenuto non probatorio compiuti dal giudice ricusato o astenuto, dei quali il provvedimento di accoglimento dell’istanza non abbia espressamente dichiarato la conservazione di efficacia ai sensi dell’art. 42 c.p.p., comma 2, la cui previsione riguarda i soli atti a contenuto probatorio, fermo restando il potere del nuovo giudice di assumere determinazioni diverse da quelle adottate dal giudice sostituito fattispecie relativa all’ordinanza ammissiva del giudizio abbreviato e al provvedimento di sospensione dei termini cautelari pronunciato dal giudice astenuto ai sensi dell’art. 304 c.p.p., comma 2, dei quali il ricorrente aveva sostenuto l’inefficacia innanzi ai giudici della cautela . Nella motivazione della predetta sentenza si afferma tra l’altro che lo sviluppo motivazionale della sentenza Digiacomantonio chiarisce, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa del ricorrente, che l’esame del massimo organo di nomofilachia era sì limitato allo specifico tema del destino da riservare agli atti destinati a produrre effetti giuridici ai fini dell’individuazione del materiale su cui fondare la decisione, ma con il risultato di offrire una lettura complessiva della portata del capoverso del citato art. 42. A tacer d’altro, infatti, nello spiegare perché il codice di rito riservi al giudice demandato a valutare una dichiarazione di astensione o di ricusazione il compito di selezionare gli atti che debbono conservare efficacia, la sentenza de qua sottolinea apertis verbis che è proprio quel giudice che conosce i profili di incompatibilità del giudice astenutosi, e che può quindi valutare con precisione gli effetti di tale rilevata incompatibilità sugli atti di natura probatoria assunti in precedenza - coerentemente, al principio di diritto sopra riportato le Sezioni Unite aggiungono il dictum secondo cui la dichiarazione di inefficacia degli atti può essere sindacata, nel contraddittorio tra le parti, dal giudice della cognizione, con conseguente eventuale utilizzazione degli atti medesimi . All’ufficio cui è rimessa la valutazione sui presupposti di una dichiarazione di ricusazione, in definitiva, si chiede di verificare se e quali atti di natura probatoria possano essere stati condizionati da un approccio non imparziale alla regiudicanda da parte del primo giudice ed il giudice che a questo subentri potrà anche rivedere gli esiti della verifica anzidetta, pervenendo - sentite le parti - ad attribuire una possibilità di utilizzazione ad atti inizialmente espunti. E non è chi non veda come le nozioni stesse di utilizzazione od utilizzabilità di un atto processuale siano immanenti alla destinazione dell’atto medesimo a fini di prova. Se ne ricava la conferma, pertanto, che gli atti diversi da quelli evidenziati dispiegano ancora gli effetti propri, salva pur sempre la possibilità del nuovo giudice - nella pienezza dei poteri che senz’altro gli si deve attribuire - di assumere determinazioni diverse si pensi al caso di una richiesta di giudizio abbreviato subordinato ad integrazioni istruttorie, che il primo giudice abbia rigettato e che, al contrario, il nuovo assegnatario reputi rituale ed accoglibile . La massima della sentenza della III Sezione penale n. 35205 del 16/07/2019 Rv. 277501 riporta la decisione nel seguente modo In tema di ricusazione, in assenza di una espressa dichiarazione di conservazione di efficacia nel provvedimento che accoglie la relativa dichiarazione, sono inefficaci soltanto gli atti a contenuto probatorio compiuti dal giudice ricusato nella fattispecie, la Corte ha ritenuto l’efficacia dell’ordinanza di ammissione del giudizio abbreviato e di quella di sospensione dei termini di custodia cautelare emessa, ai sensi dell’art. 304 c.p.p., dal giudice ricusato . Nella motivazione della predetta sentenza si afferma, tra l’altro, che Non vi sono ragioni di contrasto con l’orientamento in precedenza affermato nè con i principi affermati dalle Sezioni Unite n. 13626 del 2010, che, anzi, vanno, in questa occasione, ribaditi, sicché alcun contrasto giurisprudenziale, anche potenziale, è ravvisabile. Conclusivamente non ritiene il Collegio che vi siano i presupposti per la rimessione della decisione alle Sezioni Unite. Passando all’esame delle questioni di merito sollevate, ferma la successione degli atti come supra, rileva, in primo luogo, il Collegio che la questione posta dal ricorrente è stata affrontata da recenti pronunce di questa Corte di legittimità il cui indirizzo interpretativo si intende ribadire. Nel caso in cui non vi sia stata indicazione degli atti che conservano efficacia, come nel caso in esame, la pronuncia di legittimità n. 34811 del 2016 Sez. 5, n. 34811 del 15/06/2016, Lo Giudice, Rv. 267742 - 01 , all’esito di una esegesi interpretativa delle norme che qui vengono in rilievo, ha affermato che il principio fissato dalle Sezioni Unite, sentenza n. 13626 del 16/12/2010, Digiacomantonio ed altri, Rv. 249299, riguarda esclusivamente ed unicamente gli atti a contenuto probatorio, e ciò non in quanto il caso esaminato dalla citata sentenza riguardasse atti a contenuto istruttorio, bensì in quanto a detta conclusione si perviene all’esito di un’analisi accurata del concetto di conservazione di efficacia degli atti, intesa quale possibilità di inserimento degli stessi nel fascicolo del dibattimento, considerando detta fase come prodromica a quella della valutazione di utilizzabilità. E, in tal senso, non possono sussistere dubbi in merito al fatto che gli atti inseribili nel fascicolo del dibattimento, e successivamente utilizzabili, siano esclusivamente quelli a contenuto probatorio. Tale conclusione trova, sempre secondo la citata pronuncia di legittimità, avvallo nella pronuncia della Corte Costituzionale ord. n. 25 del 2010 che ha stabilito che il provvedimento ex art. 42, comma 2, vale a delimitare l’area del possibile recupero dell’attività istruttoria già espletata, recupero che può avvenire soltanto se gli atti a contenuto probatorio siano stati inseriti nel fascicolo del dibattimento e ciò, anche, in coerenza con la ratio della norma che mira ad evitare il recupero di atti emessi dal giudice suspectus, atti che necessariamente debbono essere individuati in quelli a contenuto probatorio. Dunque, secondo la sentenza richiamata, non vi è alcun dubbio che il principio stabilito dalle citate Sezioni Unite, secondo cui in assenza di una espressa dichiarazione di conservazione di efficacia degli atti nel provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione o di ricusazione, gli atti compiuti in precedenza dal giudice astenutosi o ricusato devono considerarsi inefficaci , riguardi esclusivamente gli atti a contenuto probatorio. L’impostazione della citata sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte era stata anticipata da altra precedente sentenza Sez. 2, n. 42351 del 09/11/2005, Del Conte, Rv. 232936 , che aveva affermato come l’accoglimento da parte della Corte d’Appello di una istanza di ricusazione non comportava l’inefficacia di tutti gli atti del giudizio, ma solo di quelli compiuti dall’emissione del provvedimento di accoglimento della dichiarazione di astensione o di ricusazione in poi, i cui effetti si producono dunque ex nunc e non ex tunc, e ciò in conformità a quanto previsto dall’art. 42 c.p.p., comma 2, che disciplina le modalità di conservazione dell’efficacia degli atti compiuti in precedenza dal giudice astenutosi o ricusato. Ciò in quanto, come si argomenta nella motivazione di detta sentenza, l’art. 42 c.p.p., comma 2, non prevede alcuna ipotesi di nullità, ma stabilisce che il provvedimento che accoglie l’astensione o la ricusazione dichiari se e in quale parte gli atti compiuti precedentemente dal giudice astenutosi o ricusato conservano efficacia . L’espressione conservano efficacia , quindi, non può che significare che la pronunzia si riferisce all’efficacia degli atti dal momento dell’emissione del provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione o di ricusazione in poi, con la conseguenza evidente che, quanto al caso in esame, gli effetti del provvedimento di ammissione al giudizio abbreviato e l’ordinanza di sospensione dei termini di custodia cautelare, avrebbero prodotto gli effetti sino alla data del provvedimento che accoglie la richiesta di ricusazione. Dunque, si deve ribadire che l’inefficacia degli atti è solo quella che colpisce gli atti a contenuto probatorio . 4.2 In senso contrario, vi è la sentenza della VI Sezione di cui sotto il cui contenuto viene esaminata anche dalla sentenza n. 44120 del 09/05/2019 di cui sopra . La massima della sentenza della VI Sezione penale n. 10160 del 18/02/2015 Rv. 262804 riporta la decisione nel seguente modo In assenza di una espressa dichiarazione di conservazione di efficacia degli atti nel provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione o di ricusazione, gli atti compiuti in precedenza dal giudice astenutosi o ricusato devono considerarsi inefficaci fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che legittimamente il Gip, subentrato a quello astenutosi, avesse disposto con decreto l’archiviazione del procedimento dichiarando inammissibile l’opposizione della persona offesa, senza aver prima revocato il provvedimento - adottato dal precedente giudice prima di astenersi - di fissazione dell’udienza camerale a seguito dell’opposizione . Nella motivazione della predetta sentenza si evidenzia, tra l’altro, che Deve preliminarmente escludersi che, in assenza di specifico salvataggio pronunciato dall’autorità che accoglie l’istanza di astensione dei provvedimenti emessi in precedenza dal giudice astenuto, il nuovo giudice designato sia vincolato alle determinazioni assunte dal collega titolare del procedimento in precedenza, sviluppandosi la cognizione nella pienezza dei suoi poteri, in assenza di vincolo derivante dalle precedenti determinazioni. Come è già stato autorevolmente osservato invero, la pregiudiziale salvezza dei provvedimenti assunti in precedenza si pone in diretta contraddizione con l’accertamento della causa di astensione, poiché garantirebbe la persistenza di atti emessi da giudice la cui imparzialità è posta in dubbio, sicché tali provvedimenti, ove non espressamente convalidati dal giudice che valuta la richiesta di astensione, devono considerarsi inefficaci Sez. U, n. 13626 del 16/12/2010 - dep. 05/04/2011, Digiacomantonio e altri, Rv. 249299 , nel senso opposto a quanto ritenuto nel ricorso. La circostanza richiamata rende all’evidenza manifestamente infondata l’eccezione svolta dall’interessato sulla vincolatività del precedente provvedimento . 4.3 Appare pertanto evidente che - allo stato - si riscontrano tra le Sezioni semplici letture tra loro diverse dei contenuti del medesimo arresto giurisprudenziale Sez. U. Digiacomantonio il che determina la necessità, ad avviso del Collegio, di un nuovo intervento regolativo sul tema. Tale intervento, ad avviso del Collegio, risulta vieppiù necessario anche in ragione della necessità di raccordo sistematico tra i contenuti degli arresti delle Sezioni Unite prima illustrati - Conti, Digiacomantonio e Tanzi - in un contesto legislativo che, come è noto, assegna art. 618 c.p.p., comma 1 bis un particolare valore di orientamento ai precedenti giurisprudenziali in ragione della particolare fonte di produzione, rappresentata appunto dalle Sezioni Unite di questa Corte. Invero in tutte le predette sentenze delle Sezioni Unite si sottolinea l’importanza del fatto che nell’attuale normativa sulla ricusazione e astensione sia esclusa - in pendenza della decisione sulla fondatezza della domanda e allo scopo di scoraggiare intenti dilatori e per garantire la ragionevole durata del processo - ogni automatica limitazione dei poteri del giudice sospetto al quale è solo preclusa la pronuncia della sentenza si veda in proposito l’ordinanza n. 156/93 della Corte Cost, che, nel dichiarare la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità dell’art. 41 c.p.p., sollevata dal Pretore di Forlì in relazione agli artt. 3, 25, 97 e 112 Cost., sottolinea l’erroneo presupposto dal quale muoveva il giudice rimettente, quello cioè che la presentazione della dichiarazione di ricusazione comporterebbe l’automatica sospensione dell’attività processuale . Tale assetto, come si è detto, determina da un lato la prosecuzione della attività processuale nel procedimento principale aspetto trattato, in rapporto ai contenuti dell’art. 37 c.p.p., dalla sentenza Sez. U Tanzi senza che per ciò solo possano porsi questioni di invalidità o inefficacia degli atti compiuti e persino della decisione emessa, secondo il citato arresto Tanzi prima ricordato, che comunque ricollega la caducazione della decisione adottata -nel procedimento principale - all’esito dell’incidente di ricusazione dall’altro pone inevitabilmente la necessità di meglio chiarire - anche in rapporto alle diverse fasi in cui il procedimento penale si articola - lo statuto di efficacia di atti emessi medio tempore dal giudice ‘sospettò nel caso in cui la procedura incidentale anche in tempi estremamente dilatati, come nel caso in esame si sia conclusa con l’accoglimento della istanza di ricusazione aspetto trattato dalla più volte citata Sez. Un. Digiacomantonio . Il contrasto interpretativo, a parere del Collegio, verte in particolare su alcuni aspetti essenziali relativi alla ricognizione - ferma restando la cornice normativa di cui all’art. 42 c.p.p. - del rapporto che intercorre tra i poteri della Corte di Appello che abbia accolto la domanda di ricusazione e quelli del giudice diverso da quello ricusato innanzi a cui risulti pendente - e davanti a cui debba proseguire - il procedimento principale. Ove si leggano i contenuti della decisione Digiacomantonio come orientati a regolamentare esclusivamente la sorte degli atti a rilievo probatorio compiuti innanzi al giudice sospetto”, è evidente che anche l’affermazione iniziale contenuta in detto arresto quella per cui in assenza di una indicazione espressa da parte della Corte di Appello tesa al loro mantenimento in essere, tutti gli atti compiuti medio tempore sono da ritenersi inefficaci non esplicherebbe alcuna valenza per gli atti del procedimento ad es. le decisioni relative a misure cautelari e al loro mantenimento in essere, il decreto di rinvio a giudizio, le ordinanze ammissive di riti speciali etc. diversi da quelli di raccolta della prova, atti i cui effetti - pure in mancanza di una salvezza espressa nel provvedimento di accoglimento della ricusazione - sarebbero oggetto di autonoma considerazione da parte del nuovo” giudice del procedimento principale che ben potrebbe affermarne l’efficacia come è avvenuto nel caso qui in esame . Ove, per converso, si ritenga che l’arresto Sez. U Digiacomantonio abbia, nelle sue premesse esplicative, compiuto riferimento generale agli atti del procedimento in quanto tali da ritenersi inefficaci ove non intervenga la decisione di mantenimento da parte del giudice della ricusazione” ed abbia solo successivamente sviluppato i principi di diritto in direzione degli atti a contenuto probatorio affermandone, peraltro, il possibile recupero di efficacia anche in assenza di statuizione espressa da parte della Corte di Appello , il nuovo” giudice del procedimento principale non avrebbe alcun autonomo potere di ritenere efficaci atti del procedimento diversi da quelli in cui si realizza la raccolta della prova , ma dovrebbe esclusivamente prendere atto della loro inefficacia, se non espressamente indicati nella decisione di accoglimento della ricusazione. Ma se si ritenesse che nella decisione di accoglimento della ricusazione si possa indicare l’efficacia anche degli atti di natura non probatoria compiuti dal giudice poi ricusato, non si comprenderebbe perché il giudice del dibattimento non possa, poi, sindacare anche per tali atti l’eventuale erronea dichiarazione della loro inefficacia o debba necessariamente ritenerli inefficaci solo per la mancata pronuncia da parte del giudice dell’astensione e/o della ricusazione sull’efficacia di tali atti. E ciò in relazione proprio a quanto si è affermato nella stessa sentenza Digiacomantonio sulla circostanza che se la decisione del giudice dell’astensione e della ricusazione non fosse sindacabile dal giudice del processo, le norme processuali, che prevedono la inoppugnabilità del provvedimento ex art. 42 c.p.p., comma 2, non si sottrarrebbero ad una censura di illegittimità costituzionale . 4.4 Nel caso qui scrutinato, appare opportuno evidenziare, al fine di chiarire ulteriormente il rilievo della questione, che si discute di un atto del procedimento posto in essere dal GUP - il decreto che dispone il giudizio, compiuto in pendenza della procedura incidentale e non indicato come efficace nella decisione di accoglimento della ricusazione, ma ritenuto espressamente valido da entrambe le sentenze di merito - atto che da un lato risulta ontologicamente diverso dalla sentenza posto che non ha attitudine a definire la regiudicanda , ma dall’altro presuppone una valutazione circa l’assenza delle condizioni cui la legge ricollega la necessaria emissione della sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 425 c.p.p Si deve a tal proposito sottolineare che una tale valutazione è stata implicitamente effettuata anche dai due giudici ricusati di cui alle due sentenze del 2019 n. 35205 e 44120 di cui sopra si è detto. Infatti, in entrambi i casi si è proceduto con giudizio abbreviato e in un caso si è anche respinta la richiesta di giudizio abbreviato condizionato quindi i due giudici hanno ritenuto implicitamente di non poter emettere sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 425 c.p.p. e tutti questi atti posti in essere dai giudici, poi, ricusati sono stati ritenuti efficaci nelle predette due sentenze. Infine, si deve rilevare che nessun pregiudizio vi sarebbe per l’imputato che ricusi il G.U.P. qualora volesse chiedere il giudizio abbreviato. Infatti - come è avvenuto per le due sentenze del 2019 di cui sopra - il Giudice ricusato potrebbe compiere tutti gli atti necessari, ma non potrebbe emettere sentenza fino a che non sia stata rigettata o dichiarata inammissibile la dichiarazione di ricusazione. La assenza di indicazioni espresse circa il mantenimento degli effetti del decreto che dispone il giudizio, nel corpo della decisione del giudice della ricusazione mantenimento degli effetti di tale atto è stato, al contrario, riconosciuto espressamente da entrambe le sentenze di merito che hanno giudicato gli odierni ricorrenti , è aspetto che rende rilevante il descritto contrasto interpretativo, non potendo esservi dubbi sulla natura non probatoria dell’atto di cui si discute. L’adesione ad uno o all’altro degli orientamenti in contrasto può dunque determinare conclusioni tra loro opposte circa il mantenimento della efficacia dell’atto giurisdizionale che ha determinato la instaurazione della fase dibattimentale. P.Q.M. Rimette i ricorsi alle Sezioni Unite. Si dà atto che il presente provvedimento, redatto dal relatore Consigliere Magi Raffaello, è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento alla firma dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a .