Imprenditore pressa ex dipendente per convincerla a non testimoniare nel contenzioso tra lui e l’INPS: condannato

Decisiva la ricostruzione fatta dalla donna. Ciò ha permesso di appurare le condotte tenute dall’uomo, condotte che si sono concretizzate in ripetuti messaggi e in veri e propri pedinamenti e hanno creato forte apprensione nella vittima. L’imprenditore dovrà non solo pagare 350 euro di ammenda ma versare anche un risarcimento all’ex dipendente.

Contenzioso aperto tra l’Inps e un imprenditore che prova in tutti i modi a convincere l’ex dipendente – licenziata, peraltro – a non presentarsi a testimoniare. Inevitabile per l’uomo la condanna per il reato di molestie Cassazione, sentenza n. 10813/20, sez. I Penale, depositata il 30 marzo . Contenzioso. Tre mesi difficili per una donna, pedinata e tempestata di massaggi da un uomo. Nessuna questione sentimentale in ballo, però il legame tra i due è rappresentato da un rapporto di lavoro ormai chiuso. Lui è infatti titolare di una impresa di pulizie e lei ha lavorato per diverso tempo, fino al licenziamento, per quella società. Alla base della ‘ossessione’ manifestata dall’uomo c’è però una ragione molto prosaica vuole spingere l’ex dipendente a non testimoniare nel contenzioso tra lui e l’INPS. Ricostruita la vicenda, grazie innanzitutto ai racconti della vittima, in Tribunale il suo ex datore di lavoro viene ritenuto colpevole del reato di molestie e viene punito con 350 euro di ammenda”, a cui si va ad aggiungere anche il risarcimento del danno in favore della donna. Interferenza. A rendere definitiva la condanna dell’uomo provvede la Cassazione. Inutili le obiezioni proposte dal difensore. Inequivocabile il comportamento tenuto dall’imprenditore, che ha messo in atto vere e proprie molestie nei confronti dell’ex dipendente per farla desistere dal presentarsi a deporre” nel contenzioso che lo vede contrapposto all’INPS. In particolare, l’uomo ha interferito nella vita privata” della donna, sia mediante l’uso del telefono” che seguendola a piedi e in auto”, e ciò ha comportato in lei forti condizioni di apprensione”.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 29 gennaio – 30 marzo 2020, n. 10813 Presidente Iasillo – Relatore Binenti Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Isernia, con la sentenza indicata in epigrafe, condannava An. Lo. alla pena di Euro 350,00 di ammenda, nonché al risarcimento del danno cagionato alla parte civile Si. Sc., ritenendolo responsabile della contravvenzione di cui all'art. 660 cod. pen. commessa in pregiudizio della predetta Sc., in Venafro e Sesto Campano dal febbraio all'aprile del 2014. 2. Secondo quanto ritenuto accertato dal giudice di merito, Si. Sc. aveva lavorato alle dipendenze dell'impresa di pulizie di An. Lo Il rapporto di lavoro era terminato a seguito del licenziamento della donna. Successivamente, questa veniva convocata come teste in una causa fra l'imputato e l'INPS. A ciò seguivano le molestie di Lo. ai danni della Sc. nell'intento di farla desistere dal presentarsi a deporre. L'imputato, nello stesso periodo, anche mediante l'uso del telefono e seguendo sia a piedi che in auto la persona offesa, interferiva nella sua vita privata, creando, per l'atteggiamento aggressivo della condotta molesta, forti condizioni di apprensione nella donna. La prova di tali fatti veniva desunta dalle dichiarazioni rese da Si. Sc., ritenute intrinsecamente attendibili e riscontrate da quanto riferito dagli altri testimoni escussi, Li. Ma., An. Fa. e Ar. Ca 3. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione An. Lo., tramite il difensore, denunziando violazione degli artt. 192, commi 1 e 2, e 533 cod. prov. pen., nonché vizi della motivazione sotto diversi profili. Rileva che la motivazione poiché incoerente e priva di valutazioni non ha considerato quanto segue dai tabulati acquisiti non emergevano nel periodo dell'imputazione contatti telefonici fra l'imputato e Si. Sc. si riscontrava solo l'invio di due messaggi Ma. Li. madre della parte civile aveva riferito su un pedinamento con la macchina del giugno del 2014 e pertanto al di fuori dal periodo della contestazione le dichiarazioni di An. Fa. erano risultate inficiate da contestazioni dovute ai cambi di versione volti a nascondere la natura solo casuale degli incontri in auto e dell'incrinarsi dei buoni rapporti fra l'imputato e la parte civile solamente a seguito delle pressioni di quest'ultima per essere riassunta l'intera ricostruzione di Si. Sc. era rimasta priva di idonee descrizioni e risultava, in forza di quanto sopra, animata da rancore, non riscontrata e anzi smentita dai dati dei tabulati telefonici. Considerato in diritto 1. Il ricorso va dichiarato inammissibile per le ragioni di seguito illustrate. 2. Sono state allegate le trascrizioni per intero delle deposizioni testimoniali, ma ciò solo non può rendere ammissibili in sede di legittimità le doglianze che ad esse si riferiscono, quando, come nella specie, si svolgono critiche che si limitano soltanto a citare le pagine che dovrebbero provare l'inattendibilità delle accuse. In questo modo, invero, si finisce per demandare alla Corte di cassazione una nuova verifica di merito del compendio probatorio attraverso il riesame dei verbali, al fine, preliminarmente, di individuare la reale sussistenza e l'effettivo tenore dei contenuti ai quali descrittivamente allude il ricorso e, in secondo luogo, di apprezzare la reale rilevanza di quanto eventualmente riscontrato. Gli unici brevi passaggi dichiarativi dei testi Ca. e Ma. letteralmente riportati nel ricorso riguardano contenuti a conferma delle accuse. Inoltre, va rilevato che le censure, quando collocano un episodio riferito dalla Ma. appena dopo il periodo fissato dall'imputazione, equivocano il significato attribuito a tale ulteriore apporto dichiarativo, posto che non si tratta della prova autonoma del fatto, ma di un elemento a riscontro del racconto della persona offesa circa il modo di comportarsi dell'imputato nei suoi confronti. Per quanto riguarda l'allegazione dei dati dei tabulati telefonici al fine di mostrare l'assenza di contatti fra l'utenza dell'imputato e quella della persona offesa , analogamente si invocano solamente apprezzamenti non consentiti su un'acquisizione neppure citata a supporto dalla motivazione di merito. La deduzione dovrebbe prestarsi a introdurre un dato da valutare in questa sede autonomamente a smentita delle accuse. Il rilievo non riguarda, almeno allo stesso modo, i messaggi aventi anch'essi contenuto di carattere molesto. Tali messaggi risultano citati nella motivazione con il conforto però delle altre risultanze testimoniali. Né, per altro verso, si specifica a quale utenza possano essersi riferite le dichiarazioni di Sc. che hanno parlato di dette telefonate. Sicché, neppure non si ha contezza dell'esaustività degli accertamenti citati. Anche in tal caso, dunque, ci si allontana dalla verifica in sede di legittimità concernente i vizi della motivazione su punti da poter ritenere davvero decisivi. Per il resto, nel ricorso si susseguono generiche asserzioni critiche in ordine al giudizio di attendibilità della persona offesa che, oltre a ribadire indimostrati intenti vendicativi, citano mancanze descrittive che non hanno in sé alcuna attitudine a smentire gli apprezzamenti di merito sul punto, avuto riguardo alla rappresentazione delle condotte nel periodo delle imputazione e alla loro attuazione con messaggi, inseguimenti in auto e a piedi, pressioni per non testimoniare , secondo un iter che si confronta con gli altri riscontri testimoniali. 3. L'inammissibilità del ricorso che deriva da tutto quanto sopra evidenziato preclude la possibilità di rilevare di ufficio l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione Sez. U., n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Rv. 266818 . 4. Dalla dichiarazione di inammissibilità discende la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, considerati i profili di colpa, della somma determinata in Euro tremila in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.