Espulsione per lo straniero condannato: irrilevante il legame con due figli minorenni

Inutile il richiamo difensivo al diritto all’unità familiare. Confermato il provvedimento emesso dal magistrato di sorveglianza. Decisiva la constatazione che i due figli dello straniero non abbiano cittadinanza italiana.

L’avere due figli minorenni, presenti anch’essi in Italia con la madre, non è elemento sufficiente per mettere in discussione l’espulsione dello straniero irregolare destinato al carcere per via di una condanna definitiva. Pur a fronte dell’importante richiamo difensivo alla tutela della unità familiare , i giudici ritengono decisivo il fatto che i figli non siano cittadini italiani Cassazione, sentenza n. 10846, sez. I Penale, depositata il 30 marzo 2020 . Espulsione. Pomo della discordia è il provvedimento con cui il magistrato di sorveglianza ha ufficializzato l’espulsione di uno straniero irregolare a titolo di sanzione sostitutiva della detenzione prevista a causa di una condanna definitiva. A confermare quel provvedimento è anche il Tribunale di sorveglianza, osservando che la condizione di paternità di due figli minorenni non è ostativa all’espulsione dello straniero, poiché i due minori difettano del requisito della cittadinanza italiana . Per chiudere il cerchio, comunque, viene anche osservato che in presenza di eventuali gravi motivi connessi con lo sviluppo psico-fisico dei minori soggiornanti nel territorio nazionale, tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute degli stessi, il familiare avrebbe potuto chiedere e ottenere dal Tribunale per i minorenni, seppure per un periodo determinato, l’autorizzazione all’ingresso o alla permanenza sul territorio . Cittadinanza. L’ultima carta a disposizione del cittadino straniero è il ricorso in Cassazione, ricorso centrato sul diritto di mantenere saldi ed effettivi legami familiari con i propri figli . In particolare, il legale osserva che il suo cliente ha dimostrato il rapporto di effettiva convivenza intrattenuto con una signora, regolarmente soggiornante in Italia, e con i figli avuti da costei , e ciò comporta in caso di esecuzione del provvedimento di espulsione, una grave lesione del diritto all’unità familiare, tutelato a livello costituzionale e sovranazionale , diritto che riguarda non solo lo straniero ma anche i suoi figli. Per i giudici del ‘Palazzaccio’, però, va ricordato che si può mettere in discussione l’espulsione a fronte di stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado o con il coniuge, di nazionalità italiana. Rilevano, quindi, i legami familiari, con chiaro riferimento al concetto di ‘nazionalità’ che deve intendersi coincidente con quello di ‘cittadinanza’. Ampliando poi l’orizzonte, viene anche ricordato che non può effettuarsi alcun giudizio di comparazione tra la situazione dello straniero coniugato con altro straniero e dello straniero coniugato con un cittadino italiano . Logico, quindi, affermare che il diritto all’unità familiare riguarda gli stranieri legati con prossimi congiunti non solo effettivamente conviventi, ma, soprattutto, aventi cittadinanza italiana, e questa precisazione riguarda anche il vincolo parentale con figli minorenni ma, come in questo caso, non cittadini italiani.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 19 marzo 2019 - 30 marzo 2020, n. 10846 Presidente Iasillo – Relatore Casa Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 18.6.2019, il Tribunale di Sorveglianza di Trento rigettava l'opposizione proposta da OT. Am. avverso il provvedimento del 19.3.2019 con il quale il Magistrato di Sorveglianza della stessa sede aveva disposto la sua espulsione, ai sensi dell'art. 16, comma 5, D.Lgs. n. 286/98, in relazione a cumulo emesso dalla Procura Generale territoriale il 14.5.2016. Osservava, a ragione, il Tribunale di Sorveglianza che le argomentazioni dell'opponente, basate esclusivamente sulla sua condizione di paternità di due figli minori nati nel 2011 e nel 2014 , non erano valorizzagli, ai sensi dell'art. 19 D.Lgs. n. 286/98, alla stregua di ipotesi ostativa all'espulsione, posto che i due predetti minori difettavano del requisito della cittadinanza italiana, prescritto, unitamente a quello della convivenza effettiva, dal comma 2, lett. c , del citato articolo 19 per il coniuge e i parenti entro il secondo grado . Del resto, ad avviso del Giudice a quo, in presenza di eventuali gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico dei minori soggiornanti nel territorio nazionale, tenuto conto dell'età e delle condizioni di salute degli stessi, il familiare avrebbe potuto chiedere e ottenere dal Tribunale per i Minorenni, seppure per un periodo determinato, l'autorizzazione all'ingresso o alla permanenza sul territorio ai sensi dell'art. 31 D.Lgs. n. 286/98. 2. Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso l'interessato, a mezzo del difensore, deducendo, con unico e articolato motivo, erronea interpretazione e applicazione degli artt. 16 e 19 Testo Unico Immigrazione, alla luce dell'art. 8 CEDU e dell'art. 31 stesso Testo Unico. Assume il difensore del ricorrente che il provvedimento impugnato contrasterebbe con il principio di tutela dell'unità familiare sancito dall'art. 8 CEDU e affermato anche dalla giurisprudenza di legittimità, seppure con riferimento ad ipotesi di espulsione amministrativa ex art. 13 D.Lgs. n. 286/98 ovvero a titolo di misura di sicurezza ex art. 86 D.P.R. n. 309/90. L'esigenza di mutuare tale principio, per analogia di ratio, anche con riguardo alla espulsione di cui all'art. 16, comma 5, D.Lgs. n. 286/98, imporrebbe, necessariamente, un approccio esegetico di natura estensiva alle tassative ipotesi ostative all'espulsione previste dall'art. 19 del decreto citato, in modo tale da assicurare al soggetto suscettibile di essere sottoposto ad espulsione il diritto di mantenere saldi ed effettivi legami familiari con i propri figli. Avendo il ricorrente - sostiene il difensore - dimostrato il rapporto di effettiva convivenza intrattenuto con la signora OK. Di., regolarmente soggiornante in Italia, e con i figli avuti da costei OT. Ge. Eh., nato a omissis , e OT. De. Os., nato a omissis , doveva paventarsi, in caso di esecuzione del provvedimento di espulsione, una grave lesione del diritto, proprio e dei suoi figli, all'unità familiare, tutelato a livello costituzionale e sovranazionale. 3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso, osservando, sulla tematica centrale, che il bilanciamento fra le contrapposte esigenze della tutela della sicurezza pubblica e della vita familiare del singolo risulta già effettuato dalla legge, in via generale, nel momento in cui prevede l'espulsione a seguito di una condanna a pena detentiva, al contempo indicando le specifiche ipotesi nelle quali l'espulsione è vietata, e ciò rende legittima la norma anche alla stregua dell'art. 8 della Convenzione Europea e dell'interpretazione che ne è stata data dalla Corte EDU. Considerato in diritto 1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. 2. Occorre premettere che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, l'espulsione dello straniero non appartenente all'Unione Europea, identificato, irregolare, il quale sia stato condannato e si trovi detenuto in esecuzione di pena, anche residua, non superiore a due anni per reati non ostativi, prevista dall'art. 16, comma 5, D.Lgs. n. 286/1998, e successive modificazioni I. n. 189 del 30 luglio 2002 e D.L. n. 146 del 23 dicembre 2013, conv. con mod. dalla L. n. 10 del 21 febbraio 2014 , ha natura sostanzialmente amministrativa e costituisce una misura alternativa alla detenzione atipica , della quale è obbligatoria l'adozione in presenza delle condizioni fissate dalla legge Sez. 1, n. 50871 del 25/5/2018, Tello, n.m. Sez. 1, n. 6814 del 9/7/2015, dep. 2016, Nakai, n.m. Sez. 1, n. 45601 del 14/12/2010, Turtulli, Rv. 249175-01 Sez. 1, n. 17255 del 17/3/2008, Lagji, Rv. 239623 - 01 , salvo che ricorra, quale clausola derogatoria, la condanna per uno o più delitti disciplinati dall'art. 407, comma 2, lett. a , cod. proc. pen. ovvero per i delitti previsti dal Testo Unico in materia di immigrazione. 2.1. La natura amministrativa della misura è stata affermata anche dalla Corte Costituzionale con l'ordinanza n. 226 del 2004, in cui si è ritenuto non essere pertinenti i profili di illegittimità costituzionale allora prospettati in base al presupposto erroneo che l'espulsione integrasse gli estremi di una sanzione penale con la necessità di applicare le garanzie stabilite per la pena dall'ordinamento , e si è ribadito, al contrario, che la natura amministrativa dell'espulsione prevista dall'art. 16, comma 5, del T.U. Immigrazione deriva dall'essere siffatta misura subordinata alla condizione che lo straniero si trovi in taluna delle situazioni che costituiscono il presupposto dell'espulsione amministrativa disciplinata dall'art. 13, alla quale si dovrebbe, comunque e certamente, dare corso al termine dell'esecuzione della pena detentiva, cosicché, nella sostanza, viene solo ad essere anticipato un provvedimento di cui già sussistono le condizioni. 2.1.1. Detta tipologia di espulsione si distingue da quella prevista dall'art. 235 cod. pen., che, in quanto ascrivibile al novero delle misure di sicurezza, è disciplinata dalla specifica normativa prevista in materia dal codice penale che implica, per la sua applicazione, il previo accertamento, in base ai criteri fissati dall'art. 133 cod. pen., della pericolosità sociale del prevenuto art. 203 cod. pen. . 2.1.2. Viceversa, a fondamento della espulsione prevista dall'art. 16, comma 5, T.U.I., è posta l'esigenza, avvertita dal legislatore, di ridurre il sovraffollamento penitenziario. Per tale ragione ne è esclusa l'applicazione a quanti, in relazione alla pena da espiare, si trovino già sottoposti a una misura alternativa in senso proprio, o al regime di arresti domiciliari esecutivi di cui all'art. 656, comma 10, cod. proc. pen., mentre non è di ostacolo ad essa la sola applicazione dei benefici del lavoro esterno e dei permessi premio Sez. 1, n. 5171 del 29/9/2015, dep. 9/2/2016, Meta, Rv. 266218-01 Sez. 1, n. 44143 del 16/2/2016, Ben Fraj Zouhair, Rv. 268290-01 . 2.1.2.1. La legge persegue l'obiettivo facendo in modo che fuoriescano dal circuito penitenziario, e siano subito rimpatriati, i condannati comunque non reintegrabili nella comunità nazionale, perché sprovvisti di titolo per rimanervi, già non avviati a percorsi proficui di risocializzazione e per i quali non sussistano prevalenti esigenze di tutela della loro incolumità e salute o delle loro relazioni familiari esigenze espresse, principalmente, dall'art. 19 T.U.I. così come di recente integrato per effetto della legge n. 110 del 14 luglio 2017 e del decreto-legge n. 113 del 4 ottobre 2018, conv. dalla legge n. 132 del 1. dicembre 2018 , a tal fine espressamente richiamato dal comma 9 del precedente art. 16. Secondo i più recenti approdi della giurisprudenza di legittimità, le ipotesi ostative all'espulsione previste dal citato art. 19 non possono, tuttavia, considerarsi tassative, ma appaiono suscettibili sia d'interpretazione internamente estensiva Sez. 1, n. 44182 del 27/6/2016, Zagoudi, Rv. 268038-01, che al coniugio parifica la convivenza more uxorio , sia d'integrazione analogica alla luce dell'intero tessuto ordinamentale. Detta integrazione può rivelare una matrice sovranazionale - come nelle ipotesi della cd. protezione sussidiaria, spettante, tra l'altro, a fronte di minaccia grave alla vita, derivante da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale Sez. 1, n. 41949 del 4/4/2018, S., Rv. 273973-01 - ovvero derivare da fonte costituzionale, avendo questa Corte già statuito, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 252 del 2001, che l'espulsione in discorso non possa essere eseguita qualora da ciò derivi un irreparabile pregiudizio per la salute dell'individuo, e sia dunque messo a rischio il diritto garantito dall'art. 32 della Carta Sez. 1, n. 16383 del 15/3/2019, Mlouki Hamed, Rv. 275245-01 Sez. 1, n. 38041 del 26/5/2017, Makaadi, Rv. 270975-01 per l'esistenza di limiti ontologici assoluti all'esecuzione dell'espulsione, quand'anche essa assuma i pregnanti connotati della misura di sicurezza, con specifico riferimento al serio pericolo che il destinatario sia sottoposto nel Paese d'origine alla pena di morte, ovvero a trattamento inumani o degradanti, v. anche Sez. 1, n. 49242 del 18/5/2017, Lucky, Rv. 271450-01 . Sul tema della salute, va detto che il legislatore si è di recente conformato ai dettami della giurisprudenza costituzionale e di legittimità, introducendo, con l'art. 1, comma 1, lett. g , del D.L. 4 ottobre 2018 n. 113, convertito, con modifiche, dalla L. 1. dicembre 2018, n. 132 in vigore dal 4 dicembre 2018 , un'ulteriore ipotesi ostativa alla espulsione di cui all'art. 16, comma 5, T.U.I., prevista dalla lett. d-bis del comma 2 dell'art. 19 per gli stranieri che versano in condizioni di salute di particolare gravità, accertate mediante idonea documentazione rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale, tali da determinare un rilevante pregiudizio alla salute degli stessi, in caso di rientro nel Paese di origine o di provenienza. In tali ipotesi, il questore rilascia un permesso di soggiorno per cure mediche, per il tempo attestato dalla certificazione sanitaria, comunque non superiore a un anno, rinnovabile finché persistono le condizioni di salute di particolare gravità debitamente certificate, valido solo nel territorio nazionale . 2.1.2.2. Nessuna modifica, viceversa, ha subito - ad eccezione dell'estensione giurisprudenziale al convivente more uxorio - l'ipotesi ostativa alla espulsione di cui alla lett. c dell'art. 19 in favore degli stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado o con il coniuge, di nazionalità italiana . Pertanto, ai fini dell'applicazione della misura in questione, non rilevano i legami familiari diversi da quelli espressamente contemplati dall'art. 19 del medesimo decreto e, come già affermato dalla Corte Costituzionale, ai fini della norma citata, il concetto di nazionalità deve intendersi coincidente con quello di cittadinanza . E' stato, al riguardo, condivisibilmente affermato Sez. 1, n. 48684 del 29/9/2015, Bachtragga, Rv. 265387 - 01 v. anche le più recenti Sez. 1, n. 25737 del 16/3/2018, Gabsi, n.m. e Sez. 1, n. 25738 del 16/3/2018, Lotfi, n.m. , che dalla natura amministrativa della misura in commento non può discendere l'automatica applicabilità dei parametri di valutazione dettati da altre norme disciplinanti l'immigrazione a fini differenti, quali, ad esempio, quelli stabiliti dall'art. 5, comma 5 e 13 comma 2-bis. Dette disposizioni prevedono che debbano prendersi in considerazione anche la natura e l'effettività dei vincoli familiari dell'interessato e l'esistenza di legami familiari e sociali col suo paese d'origine, ma la prima riguarda soltanto i provvedimenti di rifiuto del rilascio del permesso di soggiorno, della revoca o del diniego di rinnovo del predetto titolo nei riguardi di cittadini stranieri presenti nel territorio per ragioni di ricongiungimento familiare o del familiare ricongiunto, la seconda l'espulsione amministrativa di coloro che versino in tali situazioni, non già di soggetti stranieri condannati e sottoposti ad esecuzione, destinatari dei provvedimenti specificamente regolati dall'art. 16 D.Lgs. n. 286/98. Tale ultima norma contiene, infatti, la regolamentazione specifica dell'istituto e la relativa disciplina costituisce essa stessa un contemperamento tra esigenze contrapposte - quella dello Stato all'allontanamento del condannato straniero sulla base di norme di ordine pubblico e quella dello straniero a trattenersi per conservare i legami familiari e personali -, tanto da aver previsto per esigenze umanitarie una serie di esenzioni dalla soggezione all'espulsione, che, fatte salve praticabili vie d'interpretazione estensiva integratrice, conservano, pur sempre, un carattere tendenzialmente eccezionale, come tale insuscettibile di interpretazione analogica, e ciò al fine di scongiurare facili scappatoie che renderebbero il regime di regolamentazione dell'immigrazione facilmente aggirabile e che costituiscono un ragionevole bilanciamento tra gli interessi in gioco, frutto di valutazioni discrezionali del legislatore. Trattasi di valutazioni - va ribadito in questa sede - che non paiono confliggere né con i precetti costituzionali, né con quelli comunitari Sez. 1, n. 24710 del 22/5/2008, Sendane, Rv. 240596 . 2.1.2.2.1. Ed invero, va evidenziato che il regime dell'espulsione del condannato cittadino straniero, come risultante dal combinato disposto degli artt. 16, comma 5 e 19 D.Lgs. n. 286/98, è stato già ritenuto coerente con le disposizioni dell'art. 8 CEDU come interpretato alla giurisprudenza comunitaria, che salvaguarda l'unità familiare, intesa quale vincolo tra genitori e figli o tra parenti legati da consanguineità e convivenza effettiva, e che impone allo Stato di contenere le limitazioni all'esercizio del diritto alla famiglia ed ai rapporti familiari, potendole stabilire soltanto in forza di una disposizione di legge e nei limiti di quanto imposto per assicurare la sicurezza nazionale, l'ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale o la protezione dei diritti e delle libertà altrui . E, come già richiamato nella pronuncia Sez. 3, n. 18527 del 3/2/2010, Nabil, Rv. 246974, al riguardo la Corte di Strasburgo, nella sentenza El Boujaidi c. Francia, 26 settembre 1997 nonché nelle successive 30 giugno 2005, Bove c. Italia 7 aprile 2009, Cherif ed altri c. Italia 12 gennaio 2010 Khan A.W c. Regno Unito , ha precisato che, nel garantire l'ordine pubblico e nel controllare i flussi in ingresso ed il soggiorno degli stranieri, gli Stati hanno diritto di espellere coloro, tra questi, che delinquono, dovendo rispettare, quando tale misura incida su diritto protetto dall'art. 8 CEDU, il principio di proporzione con lo scopo che intendono perseguire e valutare comparativamente i contrapposti interessi, quello collettivo e quello personale dello straniero. 2.1.2.2.2. Né può riscontrarsi alcun contrasto tra l'art. 19 citato e i parametri costituzionali in materia di famiglia e di eguaglianza artt. 2, 3 e 29 Cost. . Giova rammentare che la Corte Costituzionale, con ordinanza n. 361 del 26 settembre 2007, si è già occupata della tematica, dichiarando manifestamente infondato l'incidente relativo all'art. 19 D.Lgs. n. 286/98 nella parte in cui dispone il divieto di espulsione esclusivamente in favore degli stranieri conviventi con parenti entro il quarto grado - oggi entro il secondo grado - o con il coniuge di nazionalità italiana , escludendo analogo divieto in favore degli stranieri conviventi con parenti o con il coniuge già residenti in Italia e regolarmente muniti di permesso di soggiorno, ma privi della cittadinanza italiana la Corte ha, quindi, ritenuto, nel caso della norma in esame, coincidente il concetto di nazionalità con quello di cittadinanza . Richiamando la precedente decisione su identica questione, contenuta nell'ordinanza n. 158 del 2006, ha riconosciuto che il legislatore può legittimamente porre dei limiti all'accesso degli stranieri nel territorio nazionale effettuando 'un corretto bilanciamento dei valori in gioco', esistendo in materia un'ampia discrezionalità legislativa, limitata soltanto dal vincolo che le scelte non risultino manifestamente irragionevoli , profilo già comunque escluso nella materia dalla sentenza n. 353 del 1997. Per quel che qui maggiormente rileva, il Giudice delle Leggi ha affermato che, in ordine alla violazione dell'art. 3 Cost., non può effettuarsi alcun giudizio di comparazione tra la situazione dello straniero coniugato con altro straniero e dello straniero coniugato con un cittadino italiano, trattandosi di situazioni fra loro eterogenee . Inoltre, nella richiamata ordinanza n. 158 del 2006 la stessa Corte aveva rilevato come il D.Lgs. n. 286 del 1998 appresti, agli artt. 28 e seguenti, una specifica tutela del diritto dello straniero, regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato, a mantenere l'unità del suo nucleo familiare, prevedendo la possibilità del ricongiungimento, nella sussistenza delle condizioni di cui all'art. 29, a favore del coniuge e dei figli minori a carico, mentre la pronuncia di incostituzionalità sollecitata avrebbe finito per vanificare i fini sottesi alla legge per il ricongiungimento familiare, dal momento che sarebbe stato consentito in ogni caso allo straniero coniugato e convivente con altro straniero di aggirare le norme in materia di ingresso e soggiorno, con evidente sacrificio degli altri interessi, ritenuti meritevoli di tutela e considerati dal D.Lgs. n. 286 del 1998. 3. A tali chiare indicazioni esegetiche, cui questa Corte ritiene, ancora una volta, di doversi uniformare per confermare la coerenza con i valori costituzionali del regime dell'espulsione quale sanzione sostitutiva, il ricorrente non ha opposto censure congruenti, concentrando il suo argomentare sulla generica pretesa lesione del suo diritto all'unità familiare, diritto, che, invece, l'art. 19, comma 2, lett. c , D.Lgs. n. 286/98 - come si è detto - tutela certamente, sia pure riservandolo agli stranieri legati con prossimi congiunti non solo effettivamente conviventi, ma, soprattutto, aventi cittadinanza italiana. Come sopra ricordato, la Corte Costituzionale non ha ravvisato alcun contrasto fra tale disposizione e l'art. 3 Cost., affermando l'incomparabilità tra la situazione dello straniero coniugato oggi anche convivente more uxorio con altro straniero e dello straniero coniugato oggi anche convivente more uxorio con un cittadino italiano, per l'evidente eterogeneità delle situazioni, l'ultima delle quali implica un radicamento ragionevolmente maggiore sul territorio dal quale si dovrebbe essere allontanati. Tale incomparabilità, per analogia di ratio, deve ravvisarsi anche sostituendo al legame con il coniuge o convivente more uxorio non cittadino italiano il vincolo parentale con figli non cittadini italiani. Il ricorrente, dal canto suo, non contesta che il provvedimento impugnato abbia affermato che i due figli minori non hanno cittadinanza italiana, per cui è corretta la conclusione del Tribunale di Sorveglianza circa il fatto che il ricorrente medesimo non è convivente con parenti italiani entro il secondo grado. 4. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza e per aspecificità, dal che consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non configurandosi ipotesi di esonero, al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo indicare in Euro tremila. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.