“Con permesso…”, la Cassazione si pronuncia sui requisiti richiesti dall’art. 4-bis ord.pen. in tema di permesso

La Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 10551/20, depositata il 23 marzo si pronuncia sui requisiti richiesti, in tema di permessi premio, dall’art. 4-bis ord.pen., dopo la nota pronuncia della Corte Costituzionale.

Il caso. La vicenda sottoposta all’attenzione della Suprema Corte tra origine dal ricorso formulato avverso ordinanza resa da Tribunale di Sorveglianza in relazione ad un reclamo proposto in tema di permesso premio, lui negato, da un detenuto. La pena in espiazione in regime di cumulo, ergastolo, comprendeva reati ricompresi nella fra quelli menzionati nell’articolo 4bis comma l’ordinamento penitenziario. Il ricorrente non risulta aver collaborato con la giustizia e, a parere del Tribunale di Sorveglianza, neppure sussistevano i presupposti in fatto della collaborazione impossibile o inesigibile articolo 4- bis comma 1- bis , e il ricorrente risultava aver dato corso alla propria condotta, ovviamente riferita ai reati lui ascritti, al fine di agevolare l'associazione mafiosa di riferimento. Alla luce delle considerazioni svolte il Tribunale di sorveglianza riteneva ferma l’inaccessibilità al permesso derivante dai contenuti della previsione di legge di cui all'articolo 4- bis comma 1 ordinamento penitenziario. Il ricorrente deduceva, nel proprio ricorso, l’erronea applicazione di legge o vizio di motivazione, sostenendo come non potesse dirsi ostativo il reato commesso in virtù di omessa contestazione dell’aggravante di cui all’articolo 7 del d.l. 152/91. La Corte, decidendo sul ricorso formulato, disponeva annullamento con rinvio dell’ordinanza, sulla scorta della recentissima pronuncia del Giudice delle leggi in tema di costituzionalità dell’articolo 4- bis . ord.pen La pronuncia della Corte Costituzionale. Come è noto la materia è stata riscritta” dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 253/2019 che si è occupata dalla legittimità della norma per contrasto con gli articoli 3 e 27 comma 3 della Carta fondamentale. La pronuncia resa dal Giudice delle leggi, attraverso una sentenza additiva, ha profondamente innovata la materia eliminando, in radice, qualsiasi giudizio automatico in tema di fruibilità di permessi o misure anticipatorie della remissione in libertà od alternative o sostitutive della detenzione. La Corte Costituzionale con tale sentenza ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 4- bis , comma 1, l. 26 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui non prevede che ai detenuti per i delitti di cui all’articolo 416- bis c.p. e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell’articolo 58-ter del medesimo ord. pen., allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti e ha altresì dichiarato, in via consequenziale, ai sensi dell’articolo 27, L. 11 marzo 1953, n. 87 Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale , l’illegittimità costituzionale dell’articolo 4 -bis , comma 1, ord. pen., nella parte in cui non prevede che ai detenuti per i delitti ivi contemplati, diversi da quelli di cui all’articolo 416- bis c.p. e da quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell’articolo 58-t er del medesimo ord.pen., allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti. Le regole probatorie. Sulla scorta dell’augusto insegnamento reso dalla Corte Costituzionale, gli ermellini rilevano come non possa più configurarsi alcuna presunzione legale assoluta di pericolosità sociale - tale da inibire la concessione del permesso - correlata alla scelta di non prestare collaborazione con la giustizia. La collaborazione effettiva non può - dunque - essere più ritenuta quale unica prova legale di avvenuta rescissione del legame con il contesto criminale di provenienza. Detta presunzione assoluta è stata espunta dal quadro normativo e, a ben vedere, sostituita da una presunzione relativa di perduranza del rapporto con il contesto in cui è maturata la commissione del particolare reato, in chiave di attuale pericolosità soggettiva, con analoga portata preclusiva del permesso vincibile a determinate condizioni e con determinate regole probatorie. Regole probatorie che, di fatto, impongono al detenuto richiedente di fornire la prova della inesistenza di detti collegamenti e rapporti. La soluzione applicata. In ragione della segnalata differenza di oggetto della prova, abrogata per incompatibilità la previsione di legge articolo 4- bis comma 1- bis in tema di collaborazione impossibile o inesigibile, gli Ermellini affermano come in presenza di un simile accertamento positivo spettante ex lege al Tribunale la scelta di non prestare collaborazione assume un significato del tutto neutro, il che - nella logica proposta dalla Corte Costituzionale - consente di circoscrivere la dimostrazione probatoria al parametro della 'esclusione di attualità dei collegamenti. Lì dove vi sia l'opzione del silenzio con richiesta di accesso al beneficio basata in via esclusiva sulla assenza di attuale pericolosità la dimostrazione probatoria è - come si è notato - più complessa ed include il parametro aggiuntivo sia pure di problematica aderenza a canoni epistemologici basati sulla materialità dell'oggetto della prova , della assenza del pericolo di ripristino di tali collegamenti.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 12 dicembre 2019 – 23 marzo 2020, n. 10551 Presidente Iasillo – Relatore Magi In fatto e in diritto 1. Il Tribunale di Sorveglianza di L’Aquila con ordinanza del 20 novembre 2018 ha respinto il reclamo in tema di permesso premio proposto da G.O. . 1.1 In motivazione si evidenzia, in sintesi, che a il cumulo in espiazione, con pena dell’ergastolo, comprende reati ricompresi nella disposizione di legge di cui all’art. 4bis, comma 1, ord.pen. b G.O. non ha collaborato con la giustizia c non sussistono i presupposti in fatto della collaborazione impossibile o inesigibile art. 4 bis, comma 1 bis , e la condotta risulta in fatto commessa al fine di agevolare l’associazione mafiosa di riferimento, sicché resta ferma la inaccessibilità al permesso derivante dai contenuti della previsione di legge di cui all’art. 4 bis, comma 1, ord.pen 2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione - a mezzo del difensore - G.O. , deducendo erronea applicazione di legge e vizio di motivazione. Secondo il ricorrente il reato commesso non poteva dirsi ostativo in virtù della mancata contestazione della circostanza aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7. Si evidenzia, altresì, da parte del ricorrente, la pendenza di giudizio incidentale di legittimità costituzionale relativo al dubbio di ragionevolezza della presunzione assoluta di assenza di pericolosità rapportato alla scelta collaborativa. 3. In presenza di un ricorso che non va dichiarato inammissibile per aspetti formali relativi alla tardività o alla legittimazione, la decisione del Tribunale di Sorveglianza va annullata con rinvio, in rapporto all’esito del giudizio incidentale di legittimità costituzionale evocato nell’atto di ricorso. Con decisione numero 253 del 2019 del 4 dicembre 2019 la Corte Costituzionale ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale della previsione di legge di cui all’art. 4 bis ord.pen., proprio in riferimento all’istituto del permesso premio ed al regime legale della ostatività. Trattandosi di sentenza dichiarativa di illegittimità costituzionale - sia pure parziale - i contenuti della medesima devono essere oggetto di valutazione anche di ufficio, ai sensi della previsione di legge di cui all’art. 609 c.p.p., comma 2 tra le molte, v. Sez. U. n. 33040 del 26.2.2015 ric. Jazouli Sez. VI n. 14995 del 26.3.2014, ric. Lampugnano Sez. VI n. 37102 del 19.7.2012, ric. Checcucci . 3.1 Va brevemente illustrato il contenuto della decisione Corte Cost. numero 253 del 2019, pubblicata in data 4 dicembre 2019 ed avente ad oggetto la disciplina del permesso premio in rapporto alle condizioni legali di accesso a tale beneficio penitenziario. Il dispositivo testualmente recita dichiara l’illegittimità costituzionale della L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 4-bis, comma 1, Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà , nella parte in cui non prevede che, ai detenuti per i delitti di cui all’art. 416-bis c.p. e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell’art. 58-ter del medesimo ordin. penit., allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti dichiara, in via consequenziale, ai sensi della L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 27 Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale , l’illegittimità costituzionale della L. n. 354 del 1975, art. 4-bis, comma 1, nella parte in cui non prevede che ai detenuti per i delitti ivi contemplati, diversi da quelli di cui all’art. 416-bis c.p. e da quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell’art. 58-ter del medesimo ordin. penit., allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti. 3.2 La decisione è intervenuta sulla intera previsione di cui all’art. 4 bis, comma 1 ed ha, in relazione ai suoi contenuti argomentativi, ritenuto contrastante con le norme costituzionali art. 3 Cost. e art. 27 Cost., comma 3 la presunzione legale assoluta di pericolosità sociale - tale da inibire la concessione del permesso - correlata alla scelta di non prestare collaborazione con la giustizia. La collaborazione effettiva non può - dunque - essere più ritenuta quale unica prova legale di avvenuta rescissione del legame con il contesto criminale di provenienza. Detta presunzione assoluta è stata espunta dal quadro normativo e, a ben vedere, sostituita da una presunzione relativa di perduranza del rapporto con il contesto in cui è maturata la commissione del particolare reato, in chiave di attuale pericolosità soggettiva, con analoga portata preclusiva del permesso vincibile a determinate condizioni e con determinate regole probatorie. Su tali aspetti occorre brevemente soffermarsi. 3.3 In presenza di una opzione del condannato orientata a mantenere il silenzio” sui fatti delittuosi avvenuti prima della condanna, la Corte Costituzionale introduce un particolare regime dimostrativo, orientato a contrastare la presunzione relativa. Non è - infatti sufficiente - l’acquisizione di elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata parametro contenuto nell’attuale testo di legge, al comma 1bis ma occorre estendere la dinamica probatoria alla particolare condizione, sia pure correlata alla precedente, della inesistenza del pericolo di un loro ripristino, tenuto conto delle concrete circostanze personali e ambientali di entrambi tali elementi - esclusione sia dell’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata che del pericolo di un loro rispristino grava sullo stesso condannato che richiede il beneficio l’onere di fare specifica allegazione . Non è un caso, dunque, che lo stesso dispositivo della sentenza n. 253 menzioni espressamente le due proposizioni probatorie cui si è fatto cenno attualità dei collegamenti/pericolo del loro ripristino con portata certamente additiva, tale da determinare la costruzione di un sistema differenziato quanto alle valutazioni giurisdizionali posteriori alla decisione di incostituzionalità. Ciò in rapporto all’oggetto del giudizio incidentale che era - appunto rappresentato dalla presunzione legale assoluta di pericolosità sociale posta a carico dei condannati non collaboranti. La decisione della Corte Costituzionale non riguarda, pertanto, le disposizioni in tema di collaborazione impossibile o inesigibile tenute espressamente al di fuori dell’oggetto del giudizio che non solo restano vigenti ma che continuano ad avere una portata precettiva concreta, sia in ragione della diversità parziale delle regole dimostrative della assenza di pericolosità profilo strettamente normativo , sia in ragione di una percepibile differenza ontologica, posto che l’accertamento in positivo della impossibilità o inesigibilità della collaborazione consente di qualificare in termini univoci e non connotati da alcun minimo disvalore la scelta del detenuto di non fornire informazioni alla autorità giudiziaria. 3.4 Ne deriva, quanto all’esame delle ricadute, che non può certo dirsi - specie in ragione della segnalata differenza di oggetto della prova - abrogata per incompatibilità la previsione di legge art. 4 bis, comma 14 bis in tema di collaborazione impossibile o inesigibile. In presenza di simile accertamento positivo spettante ex lege al Tribunale la scelta di non prestare collaborazione assume un significato del tutto neutro, il che nella logica proposta dalla Corte Costituzionale - consente di circoscrivere la dimostrazione probatoria al parametro della esclusione di attualità dei collegamenti”. Lì dove vi sia l’opzione del silenzio con richiesta di accesso al beneficio basata in via esclusiva sulla assenza di attuale pericolosità la dimostrazione probatoria è come si è notato - più complessa ed include il parametro aggiuntivo sia pure di problematica aderenza a canoni epistemologici basati sulla materialità dell’oggetto della prova , della assenza del pericolo di ripristino di tali collegamenti. 4. In presenza di simile cornice, vi è pertanto da chiedersi in che misura il novum normativo possa incidere sulle opzioni definitorie della fase di legittimità. A parere del Collegio ove si discuta dell’accesso al permesso premio - con diniego confermato dal Tribunale prima della sentenza dichiarativa di incostituzionalità - il procedimento va rimesso alla fase del merito innanzi al Tribunale e previo annullamento con rinvio in ragione del fatto che il novum portato dalla decisione numero 253 del 2019 introduce una opzione decisoria aggiuntiva che il reclamante può chiedere di attivare causa petendi nuova, per definizione non proponibile in precedenza, di accesso al beneficio richiesto, in rapporto al diverso assetto sinora evidenziato ed alla eliminazione della presunzione assoluta . In altre parole, pur tenendosi conto della natura devolutiva del reclamo, che comunque trasferisce l’intera potestà decisoria al Tribunale v. Sez. I n. 5322 del 2018, ric. Magrì su ogni aspetto rilevante, la sopravvenienza di un nuovo oggetto del giudizio di merito correlato alla richiesta iniziale della parte con necessaria verifica delle proposizioni probatorie richiamate dalla Corte Cost. rende doverosa la riapertura della fase di merito, anche in ragione della natura tendenzialmente retroattiva salvo il limite delle situazioni esaurite delle decisioni dichiarative della illegittimità costituzionale tra le molte Sez. I n. 33080 del 2016 ric. Arifaj, rv 267396 . Lì dove, per converso, la pronunzia impugnata abbia riguardato il tema della perdurante pericolosità sociale è evidente che il novum contenuto nella decisione n. 253/2019 è dè tutto assente atteso che pur tenendosi conto della elisione della presunzione legale assoluta l’accesso al beneficio sarebbe precluso ed il ricorso per cassazione segue l’ordinaria regola di valutazione dei suoi contenuti. Da quanto detto sopra deriva l’annullamento della decisione impugnata - che non ha affrontato i tema della pericolosità in concreto - con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di L’Aquila e ciò al fine di consentire al reclamante di introdurre in sede di merito i temi divenuti proponibili a seguito della decisione n. 253 del 2019 della Corte Costituzionale. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnate e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di L’Aquila.