Sussistenza del delitto di falso giuramento

L’assoluzione con formula piena di un imputato accusato di falso giuramento viene confermata dalla Corte di Cassazione che sottolinea come non vi siano elementi a sostegno dell’ipotesi delittuosa, se non quelli contenuti nelle dichiarazioni accusatorie della parte civile.

Sul tema la Corte di legittimità con la sentenza n. 10370/20, depositata il 19 marzo. Il caso. La Corte d’Appello di Brescia, in riforma della pronuncia impugnata, assolveva l’imputato con formula piena ai sensi dell’art. 530, comma 2, c.p.p. perché il fatto non sussiste, in relazione al reato di falso giuramento art. 371 c.p. . La parte civile, che si era vista revocare le relative statuizioni, ha proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione. Sussistenza del reato. Il Collegio coglie l’occasione per ricordare che l’art. 371 c.p. prevede un delitto contro l’amministrazione della giustizia, trattandosi di fattispecie incriminatrice lesiva dell’interessa della collettività al corretto funzionamento della giustizia. Ciò posto, viene sottolineato che la singola persona che abbia subito un danno, diretto o indiretto, assume la qualifica di persona danneggiata dal reato e, secondo la giurisprudenza, pur non applicandosi alle dichiarazioni della persona offesa le regole dettate dall’art. 192, comma 3, c.p.p. – sicchè tali dichiarazioni possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato – è necessaria la previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, verifica ancor più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone . Tale principio viene poi corredato dall’affermazione per cui laddove la persona offesa si sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere alla verifica di riscontri esterni. La Corte territoriale ha correttamente applicato tali principi al caso in esame giungendo così all’assoluzione dell’imputato sulla base di tutti gli elementi emersi nel corso del processo. Per questi motivi, il ricorso viene dichiarato inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 28 novembre 2019 – 19 marzo 2020, n. 10370 Presidente Tronci – Relatore Giordano Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Brescia, in riforma della sentenza di condanna appellata dall’imputato, in presenza di reato per il quale era intervenuta la prescrizione e ai fini della verifica della fondatezza della domanda risarcitoria della parte civile, a norma dell’art. 578, c.p.p., ha assolto, con formula ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, perché il fatto non sussiste, V.L. dal reato di cui all’art. 371 c.p. commesso il omissis ed ha revocato le statuizioni civili in favore di M.G. . L’imputato, nel corso del procedimento di opposizione proposto dal M. avverso decreto ingiuntivo, aveva prestato giuramento decisorio, ritenuto falso, nel quale aveva affermato di avere effettuato, in favore del M. , il prestito della somma di Euro dodicimila, ottenendo la scrittura ricognitiva del debito poi posta a fondamento del decreto ingiuntivo. 2. La parte civile ricorrente denuncia, con ricorso di seguito sintetizzato ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione, vizio di violazione di legge e connesso vizio di motivazione. Sono erronee le valutazioni, agganciate alla sussistenza di un rapporto di inimicizia tra la parte civile e l’imputato, operate dalla Corte distrettuale che ha ritenuto necessario riscontri esterni, ai fini del giudizio di attendibilità delle dichiarazioni rese da M.G. sulla insussistenza del prestito in contanti, documentato con apposita scrittura privata valutazioni, comunque, incentrate sulla erronea interpretazione dei dati istruttori che avevano comprovato, a livello indiziario, le modalità di sottoscrizione della scrittura, incompatibili con la erogazione della somma indicata, e la insussistenza di condizioni economiche del M. giustificative del prestito. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi manifestamente infondati. 2. La tesi della falsità del giuramento decisorio prestato da V.L. in merito alla causale di erogazione della somma portata dal decreto ingiuntivo si fonda sulle dichiarazioni rese dall’odierna parte civile, M.G. , che la Corte distrettuale ha ritenuto non esaustive al fine di fondare il giudizio di colpevolezza. In particolare, la Corte distrettuale ha valorizzato, per disattendere la tesi di M.G. , secondo la quale egli non aveva contezza del contenuto della scrittura, le correzioni che, sulla data di restituzione della somma non a trenta giorni ma a dodici mesi , erano state apportate su sua precisa richiesta, nonché la presenza, sulla scrittura stessa, di ben tre sottoscrizioni del M. , che - rileva la sentenza impugnata - non sono compatibili con la mancata lettura del testo, allegata dal M. stesso. I giudici di appello, pur evidenziando la particolare difficoltà del momento in cui l’atto venne sottoscritto dal M. - ovvero il giorno stesso del suicidio del padre del M. , caduto in un grave momento di difficoltà dell’azienda di famiglia - e la complessità del rapporto tra V.L. ed il padre del M. V. era coinvolto come mediatore nelle trattative per il reperimento di un acquirente dell’azienda, che ne prevedevano il compenso a provvigione e con espressa restituzione, a compensazione, delle somme che aveva ricevuto mensilmente , hanno ritenuto che tale situazione non fosse, comunque, idonea ad inficiare la ricostruzione dei fatti che, attraverso il giuramento decisorio, V.L. aveva attestato, ovvero la natura di prestito della somma consegnata in contanti a M.G. che, invece, sosteneva di avere sottoscritto la dichiarazione, senza conoscerne il contenuto, dietro la falsa rappresentazione che attestava la consegna delle somme mensilmente erogate a V.L. dal padre per le attività di procacciamento dell’acquirente dell’azienda. Per smentire, poi, le affermazioni del M. e di alcuni suoi familiari, sentiti come testi, secondo le quali non sussisteva, al momento della pretesa erogazione del prestito, una impellenza finanziaria che costringesse il M. a ricorrere al V. , i giudici di appello hanno evidenziato, sulla base di precisi dati documentali, la grave situazione finanziaria che attanagliava sia l’azienda che personalmente M.G. i conti correnti di questi e dell’azienda erano infatti bloccati dalle banche l’azienda aveva sospeso il pagamento degli stipendi il padre della ex moglie del M. ed una zia avevano erogato forti prestiti, garantiti dia ipoteca, all’azienda stessa. Tale situazione, secondo le ineccepibili argomentazioni dei giudici a quibus, rendeva verosimile il ricorso del M. ad un amico appunto il V. per ottenere liquidi, operazione alla quale il V. si era prestato pur senza prevedere il pagamento di interessi, in ragione dei rapporti di amicizia con la famiglia M. , rapporti definitivamente compromessi, secondo la parte civile, a seguito della spedizione del decreto ingiuntivo, neppure preceduta da un tentativo di bonario conseguimento di quanto dovuto. La Corte di merito, pur non negando le descritte specificità della vicenda in primo luogo la consegna della somma proprio il giorno del funerale del padre di M.G. la mancata pattuizione di interessi la esistenza di sottostanti rapporti economici tra V.L. ed il padre dell’odierno ricorrente - da qui la formula ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, - ha ritenuto che non fossero acquisiti elementi sufficienti ai fini della conferma del giudizio di colpevolezza incentrato, in buona sostanza, sulle dichiarazioni accusatorie della parte civile conclusione che, secondo il ricorrente, è inficiata da erroneità dal momento che il contenuto delle dichiarazioni rese dalla parte civile non necessita di riscontri. 3. Ritiene il Collegio che tale deduzione sia manifestamente infondata. Premesso che il reato di cui all’art. 371 c.p. è delitto contro l’amministrazione della giustizia, trattandosi di fattispecie incriminatrice lesiva dell’interesse della collettività al corretto funzionamento della giustizia, per cui la persona singola, che abbia subito un danno diretto o indiretto, può assumere solo la qualifica di persona danneggiata dal reato cfr. Sez. 7, Ordinanza n. 8160 del 19/12/2013, dep. 2014, Ortega, Rv. 261463 è ben nota la regola di giudizio di questa Corte S. U., Sentenza n. 41461 del 19/07/2012, Bellarte, Rv. 253214 secondo la quale, pur non applicandosi alle dichiarazioni della persona offesa le regole dettate dall’art. 192 c.p.p., comma 3, - sicché tali dichiarazioni possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato - è necessaria la previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, verifica ancor più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. Cionondimeno, precisa la sentenza indicata, nel caso in cui la persona offesa sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere alla verifica di risconti esterni. Di questa regola giudizio ha fatto corretta applicazione la Corte distrettuale, in presenza di una conclamata situazione di contrasto, per ragioni economiche, tra il ricorrente ed il V. , contrasto che non è collegato solo alla costituzione di parte civile nel presente procedimento, ma che si era già determinato nel giudizio civile nel corso del quale M.G. aveva deferito il giuramento decisorio alla controparte e, prima ancora, nei rapporti tra le parti, a seguito della spedizione del decreto ingiuntivo da parte di V.L. . La scrittura azionata con il decreto ingiuntivo reca infatti plurime sottoscrizioni di M.G. , che, sia pure apposte in un momento di grande emotività come intuibilmente quello correlato al suicidio del padre ed alle gravi difficoltà economiche dell’azienda , depone nel senso della scarsa attendibilità della sua affermazione di non averne letto il contenuto, nel quale si dava precisamente atto del prestito della somma, tenuto conto, altresì, che lo stesso contenuto ha subito plurime modifiche, in base alle sue richieste sul termine di restituzione. Da qui il corretto incedere della Corte distrettuale che, senza aporie logiche e attraverso una ponderata e prudente valutazione delle dichiarazioni della parte civile, ne ha disatteso il contenuto accusatorio pervenendo, così, all’assoluzione dell’imputato. Come illustrato al punto 2. che precede, i giudici di appello, tenendo doverosamente ed accuratamente conto di tutti gli elementi emersi nel corso del processo, hanno spiegato, con iter argomentativo esaustivo, logico, correttamente sviluppato e saldamente ancorato all’esame delle singole emergenze processuali, le ragioni per le quali le dichiarazioni rese dal M. , che non hanno trovato alcun riscontro processuale in relazione a fatti apprezzabili come rilevanti in relazione alla tipologia di reato, non sono da ritenere intrinsecamente e oggettivamente attendibili e, a fronte di tale completo ed esaustivo giudizio, deve arrestarsi la valutazione della Corte di legittimità, che non può proporre una propria ed alternativa versione alla ricostruzione della vicenda ed al giudizio motivatamente espresso dalla Corte di merito sulla impossibilità di riconoscere piena credibilità al M. ed attendibilità alle sue dichiarazioni. Conclusivamente, ritiene il Collegio che risultano ineccepibili, e fondate sulla completa analisi della documentazione e del compendio dichiarativo, le argomentazioni attraverso le quali la Corte di appello ha proceduto alla valutazione delle dichiarazioni rese dalla parte civile ricorrente e del contenuto della scrittura privata di riconoscimento del debito posta a fondamento del decreto ingiuntivo e, quindi, della causale di erogazione della somma sulla quale era incentrato il giuramento decisorio deferito al V. nel giudizio di opposizione, giudizio che potrebbe definirsi falso solo a condizione di condividere le affermazioni della parte civile. 4. Consegue alla dichiarazione di inammissibilità la condanna della ricorrente parte civile al pagamento delle spese processuali ed al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma liquidata come in dispositivo, essendo imputabile a colpa la causa di inammissibilità. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.