Condanna per furto pluriaggravato in abitazione e (non) violazione del divieto di reformatio in peius

Non viola il divieto di reformatio in peius il giudice dell’impugnazione che, considerata un’altra fattispecie quale reato più grave, individui la pena base detentiva identica a quella stabilita nel minimo edittale dal giudice di primo grado, in riferimento ad altra imputazione considerata più grave, sempre che venga irrogata in concreto una sanzione finale non superiore a quella in precedenza inflitta .

Lo ha sostenuto la Corte di Cassazione nella sentenza n. 8409/20, depositata il 2 marzo. Il caso. La Corte d’Appello, in parziale riforma della sentenza del GIP rideterminava la pena dell’imputato per i plurimi reati di furto aggravato in abitazione e per il delitto di detenzione di arma. Avverso tale decisione, l’imputato propone ricorso per cassazione lamentando la mancata concessione delle attenuanti generiche, nonché violazione del divieto di reformatio in peius . Reformatio in peius. Per i Supremi Giudici, in particolare, non si ravvisa alcuna violazione del suddetto principio di reformatio in peius nella valutazione della Corte distrettuale che ha lasciato immutata la pena base di 3 anni di reclusione per il reato di furto pluriaggravato, ritenuto il reato più grave. Pertanto, può affermarsi che non viola il divieto di reformatio in peius il giudice dell’impugnazione che, considerata un’altra fattispecie quale reato più grave, individui la pena base detentiva identica a quella stabilita nel minimo edittale dal giudice di primo grado, in riferimento ad altra imputazione considerata più grave, sempre che venga irrogata in concreto una sanzione finale non superiore a quella in precedenza inflitta , come nel caso in esame. In definitiva, il ricorso è dichiarato inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 16 dicembre 2019 – 2 marzo 2020, n. 8409 Presidente Morelli – Relatore Pezzullo Ritenuto in fatto Con sentenza del 19.12.2018 la Corte d’Appello di Torino, in parziale riforma della sentenza del locale GIP del 23.02.2018, riqualificato il reato di cui al capo 6 in quello di cui alla L. n. 497 del 1974, artt. 10, 12 e 14, rideterminava la pena nei confronti di P.N. in anni quattro e mesi quattro di reclusione ed Euro 1600 di multa, per plurimi furti aggravati in abitazione, oltre che per il delitto di detenzione e porto di arma comune da sparo. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, affidato ad un unico motivo, con il quale lamenta il vizio di motivazione con riferimento alla mancata concessione delle attenuanti generiche e alla pena inflitta per il reato più grave, a seguito di riqualificazione del capo 6 , nonché violazione del divieto di reformatio in peius invero, la Corte territoriale, non ha considerato idonee, ai fini della concessione delle circostanze ex art. 62 bis c.p., nè l’incensuratezza dell’imputato, nè l’ammissione parziale degli addebiti, sintomatica della resipiscenza dello stesso tale erronea valutazione non ha consentito all’accesso al bilanciamento tra circostanze, al fine di mitigare la pena inflitta per il reato più grave di cui al capo 1 , all’esito della riqualificazione del capo 6 in particolare, il trattamento sanzionatorio appare, nel complesso, violatore del principio del divieto di reformatio in peius, risultando sostanzialmente immutata la pena base, in relazione alla riqualificazione del capo 6 in un reato considerevolmente meno grave. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile, siccome manifestamente infondato. 1.Ed invero, non appare censurabile la valutazione della Corte territoriale, che ha ritenuto di non riconoscere le circostanze attenuanti generiche all’imputato, in considerazione del contesto delinquenziale di elevata pericolosità sociale, in cui sono stati programmati i furti, in case di persone agiate per sottrarre oggetti di antiquariato e di valore, nonché delle circostanze che l’imputato risulta partecipe di conversazioni in cui si è discusso di armi, si è reso responsabile di cinque furti in abitazioni con violenza sulle cose e risulta organico in un gruppo che operava ai limiti dell’associazione a delinquere. In tale ambito, ha concluso la Corte territoriale, non sussistono spazi per concedere le circostanze attenuanti generiche, considerato che la confessione resa fu necessitata e, dunque, non può essere valorizzata ai fini di un contenimento della pena. 1.1. Tale complessiva valutazione appare immune da censure, in considerazione dei principi più volte affermati da questa Corte, secondo cui le circostanze attenuanti generiche hanno lo scopo di estendere le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all’imputato, in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull’apprezzamento dell’entità del reato e della capacità a delinquere dello stesso, sicché il riconoscimento di esse richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo Sez. III, 27/01/2012, n. 19639 . La concessione o meno delle attenuanti generiche, in particolare, rientra nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo. Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, rv. 248737 . 2. Non si ravvisa, inoltre, alcuna violazione del principio di reformatio in peius, nella valutazione della Corte territoriale, che, in sostanza, ha lasciato immutata la pena base di anni tre di reclusione per il reato di furto pluriaggravato cui al capo 1, ritenuto, all’esito della riqualificazione del reato sub 6 , reato più grave, avente appunto come pena minima all’epoca dei fatti quella di anni tre di reclusione. Invero, non può ritenersi sussistente una reformatio in peius per il sol fatto che la pena base per il reato di cui al capo 1 sia la medesima di quella considerata dal primo giudice, non risultando maggiore rispetto a quella considerata in primo grado e risultando tale pena quella irrogabile nel minimo nell’ambito della forbice edittale prevista per il reato di furto pluriaggravato. 2.1. Può, dunque, in proposito affermarsi il principio, secondo cui non viola il divieto di reformatio in peius il giudice dell’impugnazione che, considerando quale reato più grave un’altra fattispecie, individui una pena base detentiva di identica entità, rispetto a quella stabilita nel minimo edittale dal giudice di primo grado, in relazione all’altra imputazione considerata più grave, sempre che venga irrogata in concreto una sanzione finale non superiore a quella in precedenza inflitta, come nel caso in esame. 2.2. Invero, il primo giudice aveva considerato quale pena base per il capo 6 quella di anni 3 di reclusione ed Euro 12.000 di multa, sino a giungere con gli aumenti ex art. 81 c.p. e la riduzione ex art. 442 c.p.p. ad anni sei di reclusione ed Euro 12.000,00 di multa, laddove la Corte territoriale, all’esito della riqualificazione del capo 6 in altra fattispecie meno grave in tema di armi, ha determinato la pena base per il reato più grave sub 1 in anni tre di reclusione ed in misura inferiore per la multa, ossia in Euro 1000,00 di multa, sino a quantificare la pena finale con gli aumenti e la riduzione in anni quattro e mesi quattro di reclusione ed Euro 1600,00 di multa. 3. In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali, nonché, trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile a colpa del ricorrente al versamento, a favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3000,00, ai sensi dell’art. 616 c.p.p P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.