Condannata la maestra rigida, autoritaria ed impaziente in classe

Confermate le responsabilità dell’insegnante di una classe di scuola materna in Puglia. Definitiva la pena fissata in appello tre mesi di reclusione. A inchiodarla i racconti fatti all’epoca dei fatti da alcuni bambini ai loro genitori. La donna mancava di pazienza nell’interagire con gli alunni, soprattutto con i più fragili, lenti o introversi, che umiliava verbalmente poi, utilizzava un martelletto sbattuto sulla cattedra per imporre l’ordine e il silenzio, e urlava e sgridava i bambini con toni di voce molto alti, e minacciava i più vivaci e disobbedienti di rinchiuderli in un armadietto.

Va sanzionato, Codice Penale alla mano, l’insegnante che adotta un metodo educativo rigido ed autoritario. Esemplare la condanna a tre mesi di reclusione per una maestra pugliese di scuola materna, ritenuta colpevole di abuso dei mezzi di correzione” – e non di maltrattamenti” – per l’approccio durissimo avuto coi bambini della classe a lei affidata Cassazione, sentenza n. 7969/20, sez. VI Penale, depositata il 27 febbraio . Incubo. Scenario della triste vicenda è una scuola dell’infanzia in Puglia. Lì l’anno scolastico 2013-2014 si rivela un incubo per alcuni piccoli bambini – età compresa tra i 3 e i 5 anni – di una classe essi manifestano malessere psico-fisico all’idea di andare a scuola e, alla fine, raccontano ai genitori i comportamenti aggressivi tenuti in aula da una delle loro due maestre, Paola – nome di fantasia –. Da quel momento i problemi vissuti dai bambini e dalle loro famiglie diventano un caso giudiziario, con la maestra Paola sotto processo per presunti maltrattamenti” in classe. A procedimento aperto, però, l’ipotesi accusatoria muta in abuso dei mezzi di correzione”. Ciò che non cambia è invece il quadro probatorio grazie ai racconti dei bambini, difatti, si può appurare che la maestra mancava di pazienza nell’interagire con gli alunni, soprattutto con i più fragili, lenti o introversi, che umiliava verbalmente utilizzava un martelletto sbattuto sulla cattedra per imporre l’ordine e il silenzio urlava e sgridava i bambini con toni di voce molto alti aveva dato uno schiaffo a due di loro minacciava i più vivaci e disobbedienti di rinchiuderli in un armadietto”. Per il GUP del Tribunale prima e per i giudici d’Appello poi ci si trova, in sostanza, di fronte a comportamenti non professionali che hanno determinato nei bambini comportamenti anomali e regressivi rispetto al processo di crescita, con manifestazioni di ansia e di pianto, paura, rifiuto della scuola, intolleranza ai rimproveri, disturbi del sonno e alimentari, incontinenza e disagio psicologico”. Consequenziale è la condanna della maestra, colpevole di abuso dei mezzi di correzione” e punita con tre mesi di reclusione”. A dare solidità ai racconti fatti da alcuni minori ai propri genitori nell’immediatezza dei fatti” anche il riscontro esterno offerto dalla dirigente scolastica e dall’altra maestra” a cui era affidata la classe. E non a caso i giudici sottolineano le allarmanti modalità dei fatti, protrattisi per diversi mesi in danno di bambini in tenera età” e la persistente noncuranza dimostrata” da Paola di fronte ai richiami della dirigente e della collega”. Abuso. Inutile la decisione della maestra sotto accusa di portare la vicenda in Cassazione. Nel contesto del ‘Palazzaccio’, difatti, la sua posizione resta immutata, e ciò significa conferma definitiva della condanna per abuso dei mezzi di correzione”, con pena fissata in tre mesi di reclusione. Inequivocabile anche per i giudici di terzo grado il compendio probatorio”, che ha certificato, purtroppo, l’esistenza di specifici comportamenti ed episodi vessatori della maestra come il rivolgersi ai bimbi più fragili, lenti e introversi con termini umilianti, l’utilizzare un martelletto sbattuto sulla cattedra per imporre l’ordine e il silenzio, l’urlare e sgridare i bambini con toni di voce molto alti, usare la forza o schiaffeggiare taluno di essi, minacciare i più vivaci di rinchiuderli in un armadietto , tali da travalicare le finalità proprie del normale processo educativo”. Decisive però non solo le rivelazioni dei bambini ai loro genitori, ma anche le conferme arrivate dalla dirigente scolastica e dalla collega di Paola, conferme riguardanti anche gli effetti nocivi sulla salute psichica dei minori, individuati in atteggiamenti dei bambini, frutto di un evidente stato di ansia e di disagio e in una serie di disturbi psico-somatici”. A fronte di una vicenda così delicata, i giudici della Cassazione tengono ad ampliare l’orizzonte – rivolgendosi indirettamente alle maestre e ai maestri d’Italia – ribadendo che in ambito scolastico il potere educativo o disciplinare, quale che sia l’intenzione dell’insegnante, deve sempre essere esercitato con mezzi consentiti e proporzionati alla gravità del comportamento deviante del minore, senza superare i limiti previsti dall’ordinamento o consistere in trattamenti afflittivi dell’altrui personalità”. Di conseguenza, si può parlare di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina” di fronte al comportamento dell’insegnante che faccia ricorso a qualunque forma di violenza, fisica o morale, ancorché minima ed orientata a scopi educativi”. Ritornando al caso specifico, è ritenuto evidente il reato compiuto da Paola, a fronte dell’ accertato impiego di metodi educativi rigidi ed autoritari, basati sul ricorso a comportamenti violenti o costrittivi” con potenziali effetti pericolosi e dannosi per la salute psichica degli alunni”. Anche tenendo presente, aggiungono i giudici, che in tema di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, la nozione di malattia è ampia, estendendosi fino a comprendere ogni conseguenza rilevante sulla salute psichica del soggetto passivo, dallo stato d’ansia all’insonnia, dalla depressione ai disturbi del carattere e del comportamento”.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 22 gennaio – 27 febbraio 2020, n. 7969 Presidente Criscuolo – Relatore Giorgi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 15/04/2019 la Corte d'appello di Lecce, sez. dist. di Taranto, ha confermato quella 21/02/2017 del G.u.p. del Tribunale di Taranto, che all'esito di giudizio abbreviato condannava Ma. An. Lo. alla pena di mesi tre di reclusione, per il reato di abuso dei mezzi correzione di cui all'art. 571 cod. pen. - così riqualificata l'originaria imputazione di maltrattamenti -, commesso in danno degli alunni fra i 3 e i 5 anni della scuola d'infanzia E. De Amicis di Montesemola, dal settembre 2013 al giugno 2014, cagionando ad essi disagi psico-fisici, come disturbi del sonno, rifiuto della scuola, manifestazioni di pianto, intolleranza ai rimproveri. Quanto all'integrazione degli elementi oggettivo e soggettivo del reato, la Corte ripercorreva, condividendolo, l'iter argomentativo del primo giudice. Questi, pur dando atto del giudizio espresso dal perito d'inaffidabilità delle dichiarazioni rese dai minori in sede d'incidente probatorio, per la tardività dell'atto rispetto agli eventi e per l'ormai sopravvenuta influenza suggestiva esterna o compromissione della capacità a testimoniare degli stessi, aveva fatto leva su quanto accertato alla luce delle originarie e spontanee dichiarazioni rese da alcuni minori le sorelline El., i piccoli An., Gr., Ma., Sp. nell'immediatezza dei fatti ai propri genitori e che avevano trovato un obiettivo e coerente riscontro esterno nelle deposizioni testimoniali della dirigente scolastica En. Sa., e della maestra An. Sp. che coadiuvava la Lo. nella stessa classe. Era infatti, emerso con certezza che l'imputata mancava di pazienza nell'interagire con gli alunni, soprattutto con i più fragili, lenti o introversi, che umiliava verbalmente, utilizzava un martelletto sbattuto sulla cattedra per imporre l'ordine e il silenzio, urlava e sgridava i bambini con toni di voce molto alti, aveva dato uno schiaffo a due di essi, Cr. Ba. e Mi. An., minacciava i più vivaci e disobbedienti di rinchiuderli in un armadietto. Comportamenti non professionali, questi, che avevano determinato nei bambini comportamenti anomali e regressivi rispetto al processo di crescita, con manifestazioni di ansia, paura, disturbi del sonno e alimentari, incontinenza e disagio psicologico. Circa il diniego delle attenuanti generiche la Corte territoriale ribadiva che le allarmanti modalità dei fatti, protrattisi per diversi mesi in danno di bambini in tenera età, e la persistente noncuranza dimostrata di fronte ai richiami della dirigente e della collega giustificavano l'apprezzamento sfavorevole del primo giudice. 2. Avverso la suindicata sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputata, il quale ha dedotto con sei - distinti ma in parte connessi - motivi di ricorso - l'insufficiente e la contraddittoria motivazione per radicale travisamento del fatto , circa l'affermata attendibilità del racconto dei bambini, pur ritenuto dal perito inquinato dall'influenza suggestiva degli interventi genitoriali, e l'effettivo tenore delle dichiarazioni rese dalla maestra Sp., donde l'esigenza non avvertita dai giudici di appello di un'integrazione probatoria sul punto - la violazione dell'art. 195 cod. proc. pen. e l'omessa motivazione per l'utilizzazione delle dichiarazioni de relato dei genitori dei bambini, il cui racconto era stato considerato non genuino e inattendibile dal perito - la violazione di legge e il vizio della motivazione in relazione ai presupposti normativi della declaratoria di responsabilità per il reato di cui all'art. 571 cod. pen., avendo inoltre la Corte d'appello ritenuto sussistente, ai fini della rilevanza penale della fattispecie, il rischio di causazione di malattia nel corpo o nella mente, che non trovava invece alcun riscontro probatorio - la violazione di legge e il vizio motivazionale circa il diniego delle attenuanti generiche nonostante l'incensuratezza dell'imputata. Considerato in diritto 1. I motivi di ricorso si palesano tutti inammissibili siccome per un verso manifestamente infondati e per altro verso aspecifici. 2. Inammissibili devono ritenersi i - distinti ma strettamente connessi -profili di censura sostanzialmente orientati a riprodurre un quadro di argomentazioni già ampiamente vagliate e correttamente disattese dai giudici di merito, ovvero a sollecitare una rivisitazione meramente fattuale delle risultanze processuali, in tal guisa richiedendo, sul presupposto di una valutazione alternativa delle fonti di prova con particolare riguardo alla tesi della totale e radicale inaffidabilità della narrazione dei bambini , l'esercizio di uno scrutinio improponibile in questa sede ciò a fronte della linearità e della logica conseguenzialità che caratterizzano viceversa la scansione delle sequenze motivazionali dell'impugnata decisione. Il giudice d'appello ha linearmente ricostruito, infatti, il compendio probatorio posto a fondamento dell'affermazione di responsabilità dell'imputata, ha confutato i motivi di gravame e ha posto in rilievo i dirimenti profili storico-fattuali della vicenda, facendo leva - sulle spontanee e immediate propalazioni rese dai bambini ai genitori, da questi puntualmente e coerentemente riferite de relato o direttamente verificate, in merito a specifici comportamenti o episodi vessatori della maestra come il rivolgersi ai bimbi più fragili, lenti o introversi con termini umilianti, l'utilizzare un martelletto sbattuto sulla cattedra per imporre l'ordine e il silenzio, l'urlare e sgridare i bambini con toni di voce molto alti, usare la forza o schiaffeggiare taluno di essi, minacciava i più vivaci di rinchiuderli in un armadietto , così da travalicare le finalità proprie del normale processo educativo - sugli obiettivi riscontri probatori della genuinità e conducenza di tali racconti, rinvenuti nelle circostanziate e univoche dichiarazioni della dirigente scolastica e della maestra che si alternava con l'imputata nella stessa classe riscontri che s'estendevano agli effetti nocivi delle denunziate condotte sulla salute psichica dei minori, pure direttamente rappresentati dai genitori e individuati in atteggiamenti frutto di un evidente stato di ansia e di disagio e in una serie di disturbi psico-somatici. Va rimarcato in proposito che, in ambito scolastico, il potere educativo o disciplinare, quale che sia l'intenzione del soggetto attivo, deve sempre essere esercitato con mezzi consentiti e proporzionati alla gravità del comportamento deviante del minore, senza superare i limiti previsti dall'ordinamento o consistere in trattamenti afflittivi dell'altrui personalità, sicché integra il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina il comportamento dell'insegnante che faccia ricorso a qualunque forma di violenza, fisica o morale, ancorché minima ed orientata a scopi educativi Sez. 6, n. 34492 del 14/06/2012, Rv. 253654 Sez. 5, n. 47543 del 16/07/2015, Rv. 265496 Sez. 6, n. 9954 del 03/02/2016, M., Rv. 266434 . Muovendo da tale impostazione, entrambi i giudici di merito hanno sottoposto ad un rigoroso vaglio critico tutti i profili della vicenda e, disattendendo motivatamente la tesi difensiva della radicale inaffidabilità del racconto dei bambini, hanno affermato, con congrue ed esaustive argomentazioni, come l'accertato impiego di metodi educativi rigidi ed autoritari, basati sul ricorso a comportamenti violenti o costrittivi, del tipo di quelli utilizzati dall'imputata, si riveli pericoloso e talora dannoso per la salute psichica degli alunni. E ciò in linea con il costante insegnamento giurisprudenziale di questa Suprema Corte Sez. 6, n. 16491 del 07/02/2005, Rv. 231452 Sez. 3, n. 49433 del 22/10/2009, Rv. 245753 Sez. 6, n. 19850 del 13/04/2016, S., Rv. 267000 , secondo cui, in tema di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, la nozione di malattia è più ampia di quelle concementi l'imputabilità o i fatti di lesione personale, estendendosi fino a comprendere ogni conseguenza rilevante sulla salute psichica del soggetto passivo, dallo stato d'ansia all'insonnia, dalla depressione ai disturbi del carattere e del comportamento. 3. Anche con riguardo al trattamento sanzionatorio, oggetto di specifica doglianza difensiva, le valutazioni fattuali dei giudici di merito, circa la immeritevolezza delle attenuanti generiche, in considerazione della gravità degli episodi protrattisi per diversi mesi, in danno di bambini in tenera età, e della persistente noncuranza dimostrata di fronte ai richiami della dirigente e della collega, sono sorrette da un argomentato apparato motivazionale, perciò insindacabile in sede di controllo di legittimità. 4. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali ed a versare a favore della Cassa delle ammende una somma, che si ritiene congruo determinare in duemila Euro. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 22/01/2020