Quando il rigetto della richiesta di emissione del decreto penale di condanna è abnorme?

Non è abnorme il rigetto della richiesta di emissione del decreto penale di condanna che disponga la restituzione degli atti al PM, salvo che il provvedimento sia fondato esclusivamente su ragioni di opportunità.

Lo sostiene la Corte di Cassazione nella sentenza n. 7582/20, depositata il 26 febbraio. La vicenda. Il GIP rigettava la richiesta di emissione del decreto penale di condanna, ritenendo che sulla pena dovesse operarsi una riduzione ex art. 459, comma 2, c.p.p. nonché la diminuzione delle attenuanti generiche. Avverso detta decisione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale propone ricorso per cassazione deducendo l’abnormità del provvedimento, poiché avrebbe determinato una illegittima regressione del procedimento. Sull’abnormità del decreto penale di condanna. Con particolare riferimento al decreto penale di condanna, i Supremi Giudici ritengono che non è abnorme il rigetto della richiesta di emissione del decreto penale di condanna che disponga la restituzione degli atti al PM, salvo che il provvedimento sia fondato esclusivamente su ragioni di opportunità. Nel caso in esame, quindi, il rigetto della richiesta di emissione del decreto penale di condanna, motivano con la presenza di un errore di calcolo della pena, non po' considerarsi abnorme. Ciò anche perché l’esercizio dell’azione penale nelle forme ordinarie è attività che il PM può immediatamente esercitare, dando così u nuovo impulso al procedimento penale. Sulla base di queste considerazioni, il Collegio dichiara il ricorso inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 22 – 26 febbraio 2020, n. 7582 Presidente Gallo – Relatore Pacilli Ritenuto in fatto Con ordinanza del 5 novembre 2019 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro ha rigettato la richiesta di emissione di decreto penale di condanna, avendo ritenuto che sulla pena base dovesse, dapprima, operarsi la riduzione ex art. 459 c.p.p., comma 2, e, poi, la diminuzione per le attenuanti generiche mentre nella richiesta di emissione di decreto penale, dapprima, si era operata la riduzione per le attenuanti generiche e, poi, quella ex art. 459 c.p.p., comma 2 . Avverso l’ordinanza anzidetta il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro ha proposto ricorso per cassazione, deducendo l’abnormità del provvedimento, in quanto avrebbe determinato un’illegittima regressione del procedimento. Difatti, sarebbe errato l’ordine seguito dal giudice e, comunque, il risultato del calcolo sarebbe uguale se si effettui la riduzione per il rito prima anziché dopo la riduzione per le circostanze attenuanti. Il giudice poi avrebbe dovuto valutare la congruità della pena finale, a prescindere dai singoli passaggi interni di calcolo, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità con riguardo al patteggiamento. Inoltre, procedendo ad un’interpretazione sistematica dell’art. 459 c.p.p., comma 2, inquadrandolo all’interno della disciplina dei riti alternativi premiali, non si comprenderebbe la ragione per cui solo nel procedimento per decreto la riduzione di pena, prevista per le peculiarità del rito, dovrebbe essere applicata prima e non dopo gli aumenti o le diminuzioni di pena, operate sulla pena edittale in ragione della presenza di eventuali circostanze aggravanti o attenuanti. All’odierna udienza camerale, celebrata ai sensi dell’art. 611 c.p.p., si è proceduto al controllo della regolarità degli avvisi di rito all’esito, questa Corte Suprema, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile, perché proposto per motivo manifestamente infondato. 1.1 L’ordinamento non preveda un mezzo d’impugnazione avverso il provvedimento con cui il G.i.p., non accogliendo la richiesta di emissione di decreto penale di condanna e non dovendo pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell’art. 129 c.p.p., restituisce gli atti al Pubblico ministero a norma dell’art. 459 c.p.p., comma 3. In forza del principio di tassatività dei mezzi d’impugnazione, previsto dall’art. 568 c.p.p., comma 1, il ricorso in esame sarebbe dunque da ritenersi inammissibile, a meno che - come deduce il ricorrente - ci si trovi di fronte ad un atto abnorme. 1.2 In assenza di definizione normativa del concetto di atto abnorme, suscettibile d’autonoma impugnazione - che, per la difficoltà di tipizzazione, anche il legislatore del 1988 ha preferito non disciplinare nel codice di rito, lasciando alla giurisprudenza il compito di delinearne i confini - questa Corte, con plurime decisioni assunte a Sezioni Unite v. in particolare Sez. U, n. 17 del 10/12/1997, Di Battista, Rv. 209603 Sez. U, n. 26 del 24/11/1999, Magnani, Rv. 215094 Sez. U, n. 22909 del 31/05/2005, Minervini Sez. U, Sentenza n. 5307/2008 del 20/12/2007, Battistella Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, Toni e a. ha individuato la categoria, connotandola, per un verso, in negativo - nel senso che non può definirsi abnorme l’atto che costituisce mera violazione di norme processuali - e, per altro verso, in positivo. Da quest’ultimo punto di vista si è affermato che è affetto da vizio di abnormità, sotto un primo profilo cd. strutturale , il provvedimento che, per singolarità e stranezza del suo contenuto risulti avulso dall’intero ordinamento processuale, ovvero quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste al di là di ogni ragionevole limite. Sotto altro profilo, si è posto in luce come sussista abnormità c.d. funzionale quando l’atto, pur non essendo estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo così, in motivazione, Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, Toni e a., Rv. 243590 . In particolare, con riferimento al decreto penale di condanna, si è ritenuto che non è abnorme il rigetto della richiesta di emissione del decreto penale di condanna che disponga la restituzione degli atti al P.M., salvo che il provvedimento sia fondato esclusivamente su ragioni di opportunità Sez. 3, n. 5442 del 6/12/2017, dep. 2018, Montevecchi, Rv. 272580, che ha escluso l’abnormità del provvedimento di rigetto, fondato sull’applicabilità della causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis c.p. Sez. 6, n. 23829 del 12/5/2016, C, Rv. 267272, relativa al rigetto per inadeguatezza della pena pecuniaria a sanzionare la condotta di omesso versamento delle somme, dovute dall’imputato al coniuge a titolo di mantenimento Sez. 6, n. 6663 dell’1/12/2015, dep. 2016, R., Rv. 266111, in cui il rigetto era stato motivato con la ritenuta insussistenza dei presupposti per la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria Sez. 4, n. 45683 del 18/09/2014, Mirra, Rv. 261063, che ha ritenuto legittimo il provvedimento di restituzione degli atti giustificato dalla valutazione di incongruità della pena richiesta in relazione alla gravità della violazione contestata Sez. 6, n. 14764 del 18/03/2014, Pappalardo, Rv. 261473, che non ha qualificato abnorme il rigetto per l’inosservanza del termine di sei mesi per la presentazione della richiesta . 1.3 Nel caso in esame, dunque, il rigetto della richiesta di emissione di decreto penale di condanna, motivato con l’asserita presenza di un errore di calcolo della pena, non è abnorme. Difatti, l’esercizio dell’azione penale nelle forme ordinarie è attività che il P.M. potrà immediatamente esercitare, così dando nuovo impulso al procedimento. Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso del Pubblico Ministero deve essere dichiarato inammissibile. 2. La declaratoria di inammissibilità del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, trattandosi di Parte pubblica ricorrente. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso.