Contestazione a catena e misura cautelare. A volte ritornano

Per la ricorrenza della contestazione a catena tra fatti di reato tra i quali sussiste connessione occorrono due presupposti costituiti dall’anteriorità dei fatti di reato giudicati dalla seconda delle due ordinanze di custodia cautelare e dalla desumibilità degli atti posti a fondamento dello stesso provvedimento restrittivo al momento dell’emissione della pregressa misura custodiale.

La retrodatazione della misura custodiale non vale per la fase del dibattimento, nella quale il termine decorre dal decreto di citazione a giudizio, ed ove non è prevista la possibilità di una retrodatazione del secondo decreto di citazione al primo, anche se riferito allo stesso reato per cui è stato emanato l’altro ciò in quanto l’art. 297, comma 3, c.p.p. è inapplicabile alla fase del dibattimento in mancanza di specifica disposizione di legge. L’articolo 297 comma 3 c.p.p La norma recita gli effetti della custodia cautelare decorrono dal momento della cattura, dell'arresto o del fermo. 2. Gli effetti delle altre misure decorrono dal momento in cui l'ordinanza che le dispone è notificata a norma dell'articolo 293. 3. Se nei confronti di un imputato sono emesse più ordinanze che dispongono la medesima misura per uno stesso fatto, benché diversamente circostanziato o qualificato, ovvero per fatti diversi commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza in relazione ai quali sussiste connessione ai sensi dell'articolo 12, comma 1, lettere b e c , limitatamente ai casi di reati commessi per eseguire gli altri, i termini decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza e sono commisurati all'imputazione più grave. La disposizione non si applica relativamente alle ordinanze per fatti non desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per il fatto con il quale sussiste connessione ai sensi del presente comma – omissis . Il tenore della norma a me par chiaro gli effetti della misura custodiale, che nel nostro sistema è misura da applicarsi in via residuale posto che essa interviene privando il cittadino della libertà, bene dotato di protezione Costituzionale di grado massimo, decorrono dal momento della sua esecuzione, ed il termine inziale da computarsi ai fini della decadenza della misura per effetto della scadenza del termine di fase è da computarsi, nel caso di indagato o imputato attinto da più misure, dall’esecuzione della prima misura, sia che il fatto sia il medesimo, anche se diversamente circostanziato o qualificato, sia che esso sia differente, purché commesso anteriormente al fatto per il quale è stata emessa misura cautelare personale, sempre che esso sia connesso ex art. 12, comma 1, lett. b e c . La disposizione non si applica nel caso di fatti che non siano desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per il fatto con il quale sussiste connessione ovviamente connessione relativa al disposto dell’articolo 12 lettere b e c . Dunque ai fini di negare l’applicazione dell’istituto previsto dall’articolo 297 comma 3 c.p.p., sempre a mio modestissimo avviso, dovrebbero ricorrere questi presupposti fatti differenti, non collegati da connessione, nel senso indicato dal Legislatore, impossibilità di desumere dagli atti inerenti il primo procedimento la esistenza di fatti, differenti, atti a richiedere ed ottenere misura custodiale compiuti anteriormente al momento della richiesta della misura custodiale in essere. Il tutto, nel caso concreto, rapportato ad un’ipotesi di reato contestata ex articolo 416 bis c.p. che, francamente, pare essere il caso più eclatante della possibile ricorrenza di contestazioni a catena. Il contenuto del ricorso. Il ricorrente si doleva dell’esistenza degli indici sufficienti e necessari a richiedere l’applicazione del disposto dell’articolo 297 terzo comma c.p.p. che il Giudice aveva invece ritenuto quale inesistenti, ponendo in luce vizio di motivazione in riferimento alla mancanza di percorso argomentativo che desse esaustivamente conto degli elementi indiziari che giustificavano l’emissione dell’ordinanza custodiale censurata e delle connotazioni di novità che caratterizzavano la stessa, nonché dell’incongruità del percorso argomentativo seguito dal giudice emittente il provvedimento che non forniva esaustive ragioni atte ad imporre l’esclusione di ipotesi di contestazione a catena. La risposta della Corte. La lettura della sentenza è tutt’altro, almeno per me, che agevole. L’esito della pronuncia, rigetto del ricorso, si fonda sulle due massime che sono state indicate in apertura al presente commento. Si tratta, con riferimento alla prima delle due massime, di un approdo giurisprudenziale pacifico che però si scontra con due dati che non possono essere sottaciuti il primo è relativo alla necessità di effettuare una verifica approfondita in fatto di quali siano i fatti desumibili dagli atti già in possesso dell’autorità procedente al momento dell’emissione della seconda ordinanza cautelare, ed il secondo dato dall’inesistenza di simile richiesta nel tenore dell’articolo 297 comma 3 c.p.p. La seconda massima richiamata, espressamente indicata nel corpo della motivazione della Suprema Corte, risale ad un precedente del 1998, individuato quale genesi di un filone giurisprudenziale consolidato”, insuperato principio di diritto”. Un premio a chi saprà trovarne la diretta ed incontestabile derivazione dal tenore della norma positiva.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 26 novembre 2019 – 21 febbraio 2020, n. 6936 Presidente Saraceno – Relatore Centonze Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento in epigrafe il Tribunale del riesame di Bologna, intervenendo ex art. 310 c.p.p., confermava il rigetto, pronunciato dal Tribunale di Reggio Emilia il 07/06/2019, dell’istanza volta alla declaratoria di inefficacia della misura della custodia cautelare in carcere applicata a V.P. con provvedimento emesso dallo stesso Tribunale il 22/03/2018, ai sensi dell’art. 297 c.p.p., comma 3. L’ordinanza cautelare in carcere emessa il 22/03/2018 veniva pronunciata nel contesto di una complessa sequenza procedimentale di cui occorre dare sinteticamente conto per quanto di interesse in questa sede. L’indagato V.P. , una prima volta, veniva sottoposto a custodia cautelare carceraria, per i reati di cui agli artt. 416-bis, 648 e 648-ter c.p., dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna con ordinanza emessa il 15/01/2015, annullata dal Tribunale del riesame di Bologna, il 20/02/2015, per difetto di gravità indiziaria una seconda volta, per i reati di cui al D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12-quinquies, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 1992, n. 352, e D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, convertito, con modificazioni, dalla L. 12 luglio 1991, n. 203, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna con ordinanze emesse il 29/08/2015 e il 14/1/2016. Nei due separati procedimenti il Giudice dell’udienza preliminare disponeva il rinvio a giudizio dinanzi al Tribunale di Reggio Emilia, che all’udienza del 17/04/2017 procedeva alla riunione dei processi. Nel corso del dibattimento il pubblico ministero procedeva alla modifica del capo di imputazione di cui all’art. 416-bis c.p., indicando nell’08/02/2018 la data di cessazione della permanenza. L’imputato chiedeva la definizione del processo relativo al reato associativo con le forme del rito abbreviato al quale era ammesso con ordinanza del 13/03/2018. Il 22/03/2018 il Tribunale dichiarava l’inefficacia, per decorrenza del termine massimo di fase, della misura custodiale per i reati di cui alla L. n. 352 del 1992, art. 12-quinquies. In pari data emetteva ordinanza di custodia cautelare in carcere per il reato ex art. 416-bis c.p. nell’ambito del giudizio celebrato con le forme del rito abbreviato, poi annullata dal Tribunale del riesame in data 04/04/2018. A seguito di impugnazione del p.m. la Corte di cassazione in data 15/06/2018 disponeva l’annullamento con rinvio dell’ordinanza del riesame. Nelle more del giudizio di rinvio, in data 31/10/2018, il Tribunale di Reggio Emilia pronunciava sentenza di condanna per il delitto associativo, permanente fino alla data dell’08/12/2018 quindi, con ordinanza del 23/11/2018, pronunciata in esito al giudizio di rinvio conseguente al citato annullamento da parte della Corte di cassazione, il Tribunale di Bologna rigettava il riesame proposto avvero l’ordinanza del 22/03/2018 e la Corte di cassazione in data 30/04/2019 rigettava il ricorso avverso tale ultimo provvedimento. In questa cornice, deve rilevarsi che il ricorso in esame trae origine dall’istanza di scarcerazione presentata da V.P. , in relazione all’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Tribunale di Reggio Emilia il 22/03/2018, per il reato di cui all’art. 416-bis c.p., per la quale si deduceva l’intervenuta decorrenza del termine previsto per la fase del giudizio abbreviato, in riferimento al provvedimento restrittivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna il 29/08/2015, che, come detto, era stato applicato all’indagato per i reati ex D.L. n. 306 del 1992, art. 12-quinquies e D.L. n. 152 del 1991, art. 7. In tale ambito, la difesa del ricorrente invocava l’applicazione della retrodatazione dei termini di custodia cautelare del provvedimento emesso il 22/03/2018 a quelli relativi al provvedimento emesso il 29/08/2015, ai sensi dell’art. 297 c.p.p., comma 3. Nel respingere l’appello proposto da V. , il Tribunale del riesame di Bologna rilevava l’infondatezza delle deduzioni difensive - secondo cui l’ordinanza di custodia cautelare del 22/03/2018 era stata emessa dal Tribunale di Reggio Emilia in violazione dell’art. 297 c.p.p., comma 3. osservando che non sussisteva alcuna ipotesi di contestazione a catena tra i fatti giudicati nel presente procedimento ex art. 416-bis c.p. e quelli oggetto del provvedimento restrittivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna il 29/08/2015 ex D.L. n. 306 del 1992, art. 12-quinquies e D.L. n. 152 del 1991, art. 7. Il Tribunale del riesame di Bologna, innanzitutto, evidenziava che, quando sono emesse più ordinanze che dispongono la medesima misura cautelare nei confronti dello stesso imputato per fatti connessi, la regola prevista dall’art. 297 c.p.p., comma 3, non opera nel caso in cui i provvedimenti restrittivi posti in correlazione siano stati adottati in fasi processuali differenti Sez. 6, n. 12752 del 23/02/2017, Presta, Rv. 269679-01 . Tale situazione processuale, secondo il Giudice dell’appello bolognese, era riscontrabile nel caso in esame, atteso che la prima ordinanza di custodia cautelare, adottata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna il 29/08/2015, risultava emessa nella fase delle indagini preliminari mentre, la seconda ordinanza cautelare, adottata dal Tribunale di Reggio Emilia il 22/03/2018, risultava emessa nel giudizio abbreviato celebrato davanti allo stesso Tribunale, a conclusione del quale V. veniva condannato. Sotto un diverso profilo, il Tribunale del riesame di Bologna evidenziava che l’inapplicabilità dell’istituto della contestazione a catena discendeva dal fatto che, ai fini della retrodatazione dei termini cautelari prevista dall’art. 297 c.p.p., comma 3, il presupposto dell’anteriorità dei fatti oggetto del secondo provvedimento coercitivo non rileva quando tale ordinanza riguardi il reato di cui all’art. 416-bis c.p. e la condotta di partecipazione si sia protratta dopo l’emissione della prima misura Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Librato, Rv. 235910-01 . Anche tale ulteriore condizione era riscontrabile nel caso in esame, atteso che il reato associativo per il quale il Tribunale di Reggio Emilia aveva emesso l’ordinanza cautelare del 22/03/2018 risultava commesso fino all’08/02/2018 indicata quale data di cessazione della permanenza del reato di cui all’art. 416-bis c.p., a seguito della modifica della contestazione effettuata dal pubblico ministero -, in un’epoca successiva all’emissione del pregresso provvedimento, pronunciato il 29/08/2015. Sulla scorta di questi elementi processuali, il Tribunale del riesame di Bologna confermava l’ordinanza impugnata. 2. Avverso questa ordinanza V.P. , a mezzo dell’avv. Gaetano Pecorella, ricorreva per cassazione, deducendo tre motivi di ricorso. Con il primo motivo si deduceva il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento agli artt. 125 e 310 c.p.p., conseguente al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto degli elementi indiziari che giustificavano l’emissione dell’ordinanza custodiale censurata e delle connotazioni di novità che la caratterizzavano - tenuto conto dell’emissione di un preesistente provvedimento restrittivo -, sui quali il Tribunale del riesame di Bologna si era espresso in termini assertivi, omettendo di esaminare il rapporto di connessione esistente tra i reati valutati nei due ambiti cautelari. La conferma dell’incongruità del percorso argomentativo seguito dal Tribunale del riesame di Bologna si traeva dal fatto che, nell’ordinanza impugnata, si confondeva la declaratoria di nullità dell’ordinanza ex art. 125 c.p.p. con la pronuncia di annullamento di cui all’art. 309 c.p.p., affermandosi che non si poteva emettere la prima delle due pronunzie, invocata dalla difesa di V. . Con il secondo motivo si deduceva il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento agli artt. 125 e 310 c.p.p., conseguente al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che imponevano di escludere l’ipotesi di una contestazione a catena , rilevante ai sensi dell’art. 297 c.p.p., comma 3, tra l’ordinanza cautelare emessa il 22/03/2018 e quella sottostante, adottata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna il 29/08/2015. Con il terzo motivo, proposto in correlazione con la doglianza precedente, si deduceva il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento all’art. 13 Cost., comma 5, conseguente al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto dell’insussistenza di un’ipotesi di contestazione a catena , che era stata esclusa dal Tribunale del riesame di Bologna senza tenere conto della custodia cautelare in carcere patita da V. prima della celebrazione del rito abbreviato con cui era stato giudicato dal Tribunale di Reggio Emilia. Queste ragioni imponevano l’annullamento dell’ordinanza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso proposto da V.P. è infondato. 2. Osserva preliminarmente il Collegio che l’applicazione della regola della retrodatazione dei termini di custodia cautelare, prevista dall’art. 297 c.p.p., comma 3, di cui la difesa di V.P. invoca l’applicazione, presuppone l’esistenza di una pluralità di provvedimenti restrittivi adottati nei confronti dello stesso soggetto per reati diversi. Nel caso in esame, l’applicazione di tale regola deve essere valutata in relazione all’ordinanza cautelare emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna il 29/08/2015 e all’ordinanza cautelare emessa dal Tribunale di Reggio Emilia il 22/03/2018. Riscontrate tali condizioni, l’applicazione della retrodatazione dei termini prevista dall’art. 297 c.p.p., comma 3, postula che i fatti dell’ordinanza cautelare rispetto alla quale si invoca l’operatività di tale meccanismo processuale siano stati commessi anteriormente all’emissione del primo provvedimento restrittivo - in questo caso costituito dall’ordinanza cautelare emessa il 29/08/2015 - e si fondino su un compendio indiziario desumibile al momento dell’adozione dell’originaria misura custodiale. Per la ricorrenza di un’ipotesi di contestazione a catena tra fatti di reato tra i quali sussiste connessione, dunque, occorrono due presupposti, costituiti dall’anteriorità dei fatti di reato giudicati dalla seconda delle due ordinanze di custodia cautelare e dalla desumibilità degli atti posti a fondamento dello stesso provvedimento restrittivo al momento dell’emissione della pregressa misura custodiale. Ne discende che l’istituto della contestazione a catena ex art. 297 c.p.p., comma 3, non opera quando i fatti di reato giudicati dalla seconda ordinanza di custodia cautelare risultano posteriori rispetto a quelli giudicati dal preesistente provvedimento restrittivo e quando, al momento dell’emissione di tale misura, non erano ancora desumibili gli elementi indiziari che consentivano l’attribuzione all’indagato delle condotte ascrittegli con il titolo cautelare successivo Sez. 2, n. 17918 del 03/04/2014, Alla, Rv. 259713-01 Sez. 4, n. 7080 del 31/01/2014, Sgura, Rv. 259324-01 Sez. 2, n. 41610 del 28/10/2005, Diaz, Rv. 232600-01 . In questa cornice, occorre verificare se i presupposti richiesti dall’art. 297 c.p.p., comma 3, per l’affermazione dell’ipotesi di contestazione a catena invocata dalla difesa del ricorrente, ricorrono nel caso in esame, tenuto conto dell’articolata sequenza procedimentale che ha riguardato la posizione di V.P. . 3. Tanto premesso, deve rilevarsi che costituisce un dato processuale incontroverso quello secondo cui le due ordinanze cautelari presupposte disposte dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna il 29/08/2015 e dal Tribunale di Reggio Emilia il 22/03/2018 - risultano adottate in fasi processuali differenti, atteso che, la prima, veniva emessa nella fase delle indagini preliminari, mentre, la seconda, veniva emessa nel giudizio abbreviato a conclusione del quale V.P. veniva condannato alla pena di diciannove anni di reclusione. Ne discende che, nel caso di specie, non ricorrevano i presupposti richiesti per l’applicazione della regola della retrodatazione dei termini di custodia cautelare prevista dall’art. 297 c.p.p., comma 3, costituiti da una pluralità di provvedimenti restrittivi emessi nei confronti dello stesso soggetto per reati diversi nell’ambito della medesima fase processuale. Costituisce, del resto, un dato incontroverso quello secondo cui i provvedimenti restrittivi in relazione ai quali si invocava l’applicazione della disciplina della contestazione a catena venivano emessi, in fasi distinte, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna e dal Tribunale di Reggio Emilia. Deve, in proposito, rilevarsi che la necessità che i provvedimenti restrittivi, in relazione ai quali si invoca l’applicazione dell’istituto della retrodatazione dei termini di custodia cautelare previsto dall’art. 297 c.p.p., comma 3, siano emessi nella stessa fase costituisce l’espressione di un orientamento ermeneutico consolidato, a proposito del quale è opportuno citare il principio di diritto, correttamente richiamato nell’ordinanza impugnata, secondo cui Quando sono emesse più ordinanze che dispongono la medesima misura cautelare personale nei confronti dello stesso imputato per fatti connessi, la regola della retrodatazione della durata dei termini di custodia cautelare prevista dall’art. 297 c.p.p., comma 3, non opera nel caso in cui ad un’ordinanza pronunciata nel corso delle indagini preliminari ne segua una seconda emessa in fase dibattimentale Sez. 6, n. 12752 del 23/02/2017, Presta, Rv. 269679-01 si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 2, n. 20962 dell’11/02/2014, Di Marino, Rv. 259688-01 Sez. 2, n. 1129 del 13/12/2007, dep. 2008, Mossuto, Rv. 238906-01 . Pertanto, la retrodatazione dei termini cautelari può essere invocata solo durante la fase delle indagini preliminari e non nel corso del dibattimento, operando tale meccanismo esclusivamente per la prima delle due fasi processuali. Tale preclusione risponde a una precisa opzione di politica legislativa, che trae il suo fondamento dal fatto che il controllo su ogni possibile elusione dei termini di custodia cautelare deve essere operato dal giudice in quella particolare fase, costituita dalle indagini preliminari, che vede il pubblico ministero quale dominus del procedimento mentre, non sussiste un’analoga esigenza nelle restanti fasi Sez. 1, n. 50000 del 27/11/2009, Carcione, Rv. 245976-01 Sez. 6, n. 6841 del 18/02/2004, Asero, Rv. 227879-01 Sez. 3, n. 40913 del 02/10/2001, Rana, Rv. 220388-01 . Questo orientamento ermeneutico, del resto, si inserisce nel solco di un filone giurisprudenziale consolidato, che è possibile esplicitare richiamando il risalente, insuperato, principio di diritto La retrodatazione della misura custodiale non vale per la fase del dibattimento, nella quale il termine decorre dal decreto di citazione a giudizio, ed ove non è prevista la possibilità di una retrodatazione del secondo decreto di citazione al primo, anche se riferito allo stesso reato per cui è stato emanato l’altro ciò in quanto l’art. 297 c.p.p., comma 3, è inapplicabile alla fase del dibattimento in mancanza di specifica disposizione di legge Sez. 6, n. 437 del 06/02/1998, C., Rv. 210276 . Ne deriva conclusivamente che, nel caso di specie, il meccanismo della retrodatazione dei termini di custodia cautelare di cui all’art. 297 c.p.p., comma 3 non poteva operare in presenza di una prima ordinanza - emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna il 29/08/2015 pronunciata nel corso delle indagini preliminari e di una seconda ordinanza emessa dal Tribunale di Reggio Emilia il 22/03/2018 - adottata nel giudizio abbreviato celebrato nei confronti del ricorrente. 3.1. In questa cornice, prive di rilievo appaiono le censure difensive residue, relative al rapporto tra i reati oggetto delle due ordinanze cautelari, il cui vaglio finalizzato a verificare se fosse ravvisabile una connessione tale da affermare la ricorrenza di un’ipotesi di contestazione a catena ex art. 297 c.p.p., comma 3, appare superato dal fatto che i due provvedimenti restrittivi, risultando emessi in fasi processuali distinte, non consentivano l’applicazione della disciplina invocata. Ne discende ulteriormente che, pur risultando corretto, appare superfluo il richiamo effettuato dal Tribunale del riesame di Bologna alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il presupposto dell’anteriorità dei fatti oggetto della seconda ordinanza coercitiva, rispetto all’emissione del primo provvedimento, indispensabile alla configurazione di un’ipotesi di contestazione a catena , non ricorre quando - analogamente a quanto riscontrabile nel caso in esame - il provvedimento posteriore riguardi un reato di associazione mafiosa e la condotta di partecipazione si sia protratta dopo l’emissione della prima ordinanza. Ci si riferisce, ò in particolare, all’orientamento ermeneutico consacrato nel seguente principio di diritto Ai fini della retrodatazione dei termini di decorrenza della custodia cautelare ai sensi dell’art. 297 c.p.p., comma 3, il presupposto dell’anteriorità dei fatti oggetto della seconda ordinanza coercitiva, rispetto all’emissione della prima, non ricorre allorché il provvedimento successivo riguardi un reato di associazione nella specie di tipo mafioso e la condotta di partecipazione alla stessa si sia protratta dopo l’emissione della prima ordinanza Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Librato, Rv. 235910-01 . 4. Per queste ragioni, il ricorso proposto da V.P. deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Consegue a tali statuizioni la trasmissione, a cura della cancelleria, di copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda la Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.