Oltrepassa la velocità in un centro abitato e uccide tre ciclisti: l’assenza di catarifrangenti è circostanza priva di rilievo

Un uomo si era reso responsabile della morte di tre persone, investite mentre era alla guida del proprio veicolo in stato di ebrezza alcolica, a una velocità oraria stimata pari 137 km/h nonostante la velocità massima consentita fosse stata di 30.

Dopo aver ricapitolato i principi costantemente ribaditi dalla giurisprudenza di legittimità, nell’ambito della circolazione stradale, il Collegio, nella sentenza n. 6575/20, depositata il 20 febbraio, nel dichiarare inammissibile il ricorso proposto dal condannato nei due gradi di merito, ha affermato che l’assenza di catarifrangenti, sui velocipedi condotti dalle tre vittime del sinistro, rappresenta una circostanza irrilevante, sia ai fini della colpevolezza, che sull’efficienza causale, nel più generale contesto in cui è occorso l’incidente la presenza di un centro abitato rendeva prevedibile la presenza, se non di ciclisti, almeno di pedoni. La vicenda. Un uomo veniva condannato, nei due gradi di merito, per il reato previsto e punito all’articolo 589 del codice penale, avendo investito, colposamente, tre persone che erano a bordo di velocipedi, cagionandone la morte, lungo un tratto di strada dove la velocità massima consentita era pari a 30 km/h, mentre lo stesso prevenuto aveva proceduto la guida alla velocità stimata di circa 137 km/h, peraltro conducendo il veicolo in stato di ebrezza alcolica. L’uomo ricorre per la cassazione della pronuncia di seconde cure, tuttavia la IV Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza numero 6575 del 20 febbraio 2020, ha dichiarato detto ricorso inammissibile l’uomo si era limitato a riprodurre le medesime questioni già devolute in grado d’appello e dagli stessi giudici già esaminate e disattese, con motivazione coerente ed adeguata, e senza che il ricorrente avesse provveduto a sottoporle ad una autonoma confutazione. La mancanza di specificità dei motivi. Il collegio, richiamando alcuni propri precedenti, ha ribadito che il vizio di aspecificità dei motivi deve essere finanche valutato per la mancanza di correlazioni tra le ragioni argomentate dalla decisione che si impugna, e quelle poste a base dell’impugnazione, in quanto quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere in tale vizio di aspecificità che, in virtù del disposto dell’art. 591, comma I, lettera c , del codice di rito penale, comporta l’inammissibilità del ricorso. Lo stesso collegio ha aggiunto che l’inammissibilità dl ricorso per Cassazione ricorre anche quando questo si basi sui medesimi motivi proposti in appello e, in tale sede, respinti, sia per l’insindacabilità delle valutazioni di merito, adeguatamente e logicamente motivate, che per la genericità delle doglianze che, in tal modo prospettate, solo in modo apparente denunciano un errore logico o giuridico determinato Cass., Sez. III, 18 luglio 2014, n. 44882 . La valutazione delle circostanze fattuali in relazione alla velocità tenuta. Il Collegio di legittimità, inoltre, ha precisato che i motivi, nella specie formulati dal ricorrente, risultano altresì manifestamente infondati, evidenziando che l’uomo si era posto alla guida dell’automobile in conclamate condizioni di ebrezza alcolica, percorrendo una strada senza illuminazioni, attigua un centro abitato e in orario notturno, circostanze che gli imponevano di mantenere una velocità adeguatamente prudenziale e, a prescindere dalla circostanza che sul luogo dell’impatto vigesse un limite di 20 - 30 km/h, o anche quello più generale di 60, di tutto il tratto stradale in questione, l’uomo conduceva il veicolo a una velocità comunque eccessiva. L’elevata velocità, unitamente all’annebbiamento dei sensi collegato all’ebrezza alcolica, e comprovato dall’assenza di tracce di frenata, hanno fatto sì che l’uomo avvertisse la presenza delle tre vittime unicamente al momento dell’impatto con le stesse. Per l’effetto, secondo il giudice di legittimità, risultano corrette le motivazioni impresse sulle due sentenze di merito, e che hanno ritenuto esistente sia il profilo afferente alla colpa generica che quello della colpa specifica, e ritenendo irrilevanti l’assenza di catarifrangenti dei velocipedi. Tale ultima circostanza, infatti, non è risultata determinante né sull’efficienza causale del sinistro né sulla colpevolezza, in quanto la presenza del centro abitato rendeva del tutto prevedibile la presenza, se non di ciclisti, almeno di pedoni. Il principio dell’affidamento ed i relativi temperamenti giurisprudenziali. Nel ricorso, a discolpa dell’imputato, era stato evocato il principio dell’affidamento, specificato nel senso di mancata prevedibilità della condotta tenuta dalle persone offese e che, secondo la stessa difesa, avrebbero attraversato la strada in modo imprudente. Il principio dell’affidamento, nell’ambito della circolazione stradale, secondo il collegio della IV Sezione Penale, che richiama la costante giurisprudenza di legittimità, trova un temperamento nell’opposto principio secondo cui l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui, a condizione che questo rientri nel limite della prevedibilità. Il collegio rammenta il principio secondo cui il guidatore, che nota sul percorso la presenza di pedoni, i quali tardano a scansarsi, ha l’onere di rallentare la velocità e, se del caso, finanche di fermarsi, e ciò per prevenire inavvertenze ed indecisioni pericolose dei medesimi pedoni, che si presentano, in modo ragionevole, come prevedibili e probabili in particolare, circostanza che i pedoni attraversino la strada in modo improvviso, ovvero si attardino nell’attraversarla, rappresenta un rischio tipico e, per l’effetto, prevedibile, della circolazione stradale. Ulteriore principio, plurime volte ribadito dalla Corte di legittimità, in tema di omicidio e lesioni colposi, realizzati nell’ambito della circolazione stradale, ed al fine di escludere la responsabilità del guidatore per l’investimento del pedone, è quello secondo il quale il comportamento del pedone deve porsi quale causa eccezionale ed atipica, imprevista e imprevedibile dell’evento, e che da sola risulti sufficiente a produrlo.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 28 gennaio – 20 febbraio 2020, n. 6575 Presidente Esposito – Relatore Riverso Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Napoli, pronunciando nei confronti dell’odierno ricorrente D.P.G. , con sentenza dell’11/12/2018 ha confermato la sentenza con cui in data 23/6/2016 il GM del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, dichiarato non doversi procedere in relazione al reato di cui all’art. 186 C.d.S. di cui al capo a per l’intervenuta prescrizione dello stesso, lo aveva condannato, concessegli le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti ed unificati i reati sotto il vincolo della continuazione, alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione in quanto ritenuto responsabile del reato p. e p. dagli artt. 81 e 589 c.p., perché, con colpa consistita in negligenza, imperizia ed imprudenza, alla guida dell’auto targata sulla strada provinciale , all’altezza del nuovo cimitero comunale, in violazione degli artt. 140, 141, 142, 186 C.d.S., determinava la morte di S.K. , S.G. e S.D. , in particolare investiva i predetti che procedevano regolarmente alla guida delle loro biciclette, evento determinatosi a causa della esclusiva condotta di guida dell’imputato, in quanto. in un tratto stradale con velocità massima consentita di 30 km/h procedeva alla velocità di 137 km/h e conduceva il suddetto veicolo in stato di ebbrezza da abuso di alcool. In omissis . 2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il D.P. , deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1. Con un primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla condanna per il reato di cui all’art. 589 c.p. assumendo che la Corte partenopea abbia utilizzato mere formule di stile disattendendo le argomentazioni avanzate dalla difesa richiamando pedissequamente le dissertazioni esposte nella sentenza di primo grado, senza effettuare una valutazione autonoma e rigorosa del costrutto accusatorio. Ci si duole, in particolare, che i giudici del gravame del merito abbiano ritenuto raggiunta la prova della penale responsabilità del D.P. sulla scorta delle dichiarazioni testimoniali rese dai c.c. di omissis e sulle valutazioni espresse dal consulente tecnico non ritenendo, invece, attendibile, la tesi difensiva volta a dimostrare la totale estraneità del D.P. rispetto alla condotta incriminata. L’impalcatura motivazionale della sentenza sarebbe costituita da una piattaforma probatoria che non consente, ad avviso del ricorrente di addivenire alla affermazione della penale responsabilità al di là di ogni ragionevole dubbio del D.P. in merito ai fatti per cui si procede. Si pone l’accento sul fatto che, dalle dichiarazioni rese dagli agenti intervenuti sul luogo dell’accaduto, M. e So. , è emerso che al momento dell’incidente, la strada non era illuminata e che le tre bici erano vecchie e non munite di appositi catarifrangenti, ovvero dei riflettori di luce, indispensabili onde consentire agli automobilisti l’individuazione e/o il riconoscimento dei velocipedi in movimento, soprattutto nei tratti di strada privi di illuminazione, come quella nel caso di specie. Sul punto, vi sarebbe un’evidente lacuna motivazionale nella impugnata sentenza, atteso che, si ometterebbe in radice la valutazione di una serie di elementi oggettivi quali la non visibilità sulla strada in questione, l’assenza di catarifrangenti sulle bici che, ad avviso del ricorrente, ben avrebbero potuto influire in maniera decisiva nella dinamica del sinistro. Si lamenta che la Corte partenopea nulla dica in relazione alla imprudenza delle vittime rispetto alla totale assenza di riflettori di luce sulle bici che avrebbero certamente consentito al D.P. di notare le vittime evitando così l’impatto. Senza motivare alcunché sul punto, si sostiene in ricorso, la Corte arriverebbe ad asserire che la causazione del sinistro sia integralmente ascrivibile alla imprudente condotta del D.P. . Ancora, sebbene il CT abbia relazionato che il D.P. al momento dell’impatto viaggiasse ad una velocità di 130 km/h su un tratto di strada con limite di 50 km/h, non va sottaciuto che nel punto esatto dell’impatto, il limite era ben oltre superiore ai 50 km/h. Pertanto, la Corte partenopea sarebbe caduta in errore allorquando in sentenza afferma che il limite di velocità in quel tratto di strada fosse di 30km/h, in quanto tale limite era imposto unicamente in determinati punti della strada in questione e non anche nel tratto di strada ove si verificò l’impatto. Detta circostanza sarebbe stata erroneamente valutata atteso, che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare che nel punto ove è avvenuto il sinistro, era invece imposto un limite di velocità diverso e superiore a quello indicato di 30 km/h. In altre parole, per il ricorrente, occorreva analizzare - e non sarebbe stato fatto - l’inevitabilità dell’evento per effetto di una condotta di guida diligente. Il comportamento avuto dalle vittime, ben avrebbe dovuto essere ampiamente valutato nel contesto della serie causale dell’evento, onde ridefinire secondo diversi e più ampi parametri l’atteggiamento dell’utente della strada. Ebbene, in merito, la sentenza impugnata nulla o poco direbbe, cadendo in un palese difetto motivazionale oltre che in una erronea applicazione di legge. Con un secondo motivo si deducono violazione di legge e difetto assoluto di motivazione in relazione agli artt. 62 bis e 133 c.p Ci si duole che i giudici del gravame del merito abbiano irrogato una pena severa, ritenendo l’imputato meritevole di un trattamento sanzionatorio troppo elevato rispetto ai fatti così come contestati. Ed invero, la Corte territoriale avrebbe omesso di valutare attentamente tutti i parametri di cui all’art. 133 c.p., atteso che, da una valutazione attenta e scrupolosa di questi ultimi, ben avrebbe potuto concedere le circostanze attenuanti generiche in misura prevalente e, per l’effetto, irrogare una pena più mite del tutto proporzionata alla realtà dei fatti per cui è processo. Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 1. Ritiene il Collegio che i motivi proposti siano inammissibili in quanto il ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, si è nella sostanza limitato a riprodurre le stesse questioni già devolute in appello, e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata, senza in alcun modo sottoporle ad autonoma e argomentata confutazione. Ed è ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c , alla inammissibilità della impugnazione in tal senso Sez. 2, n. 29108 del 15/7/2011, Cannavacciuolo non mass. conf. Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, Sammarco, Rv. 255568 Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253849 Sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109 Sez. 4, n. 34270 del 3/7/2007, Scicchitano, Rv. 236945 Sez. 1, n. 39598 del 30/9/2004, Burzotta, Rv. 230634 Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, Palma, Rv. 221693 . E, ancora di recente, questa Corte di legittimità ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l’appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l’insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato Sez. 3, n. 44882 del 18/7/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608 . 2. In ogni caso, i motivi in questione sono manifestamente infondati, in quanto tesi ad ottenere una rilettura degli elementi di prova che non è consentita in questa sede, e pertanto il proposto ricorso vada dichiarato inammissibile. Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell’episodio e dell’attribuzione dello stesso alla persona dell’imputato non sono, infatti, proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata. Il ricorso, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto, e pertanto immune da vizi di legittimità. La Corte territoriale aveva già chiaramente confutato, nel provvedimento impugnato la tesi oggi riproposta, evidenziando come nel caso di specie, il D.P. si sia posto alla guida dell’autovettura, in conclamate condizioni di ebbrezza alcolica, percorrendo una strada priva di illuminazione, attigua ad un centro abitato, in orario notturno - tutte circostanze che gli imponevano di mantenere una velocità adeguatamente prudenziale e indipendentemente dal fatto che sul luogo dell’impatto vi fosse un limite di 20-30 km/h o anche quello più generale di 60 km/h di tutto il tratto stradale in questione - ad una velocità certamente eccessiva stimata dal consulente del PM in circa 100 km/h. Tale velocità elevata, in uno con l’annebbiamento dei sensi dovuto all’ebbrezza alcolica, come si evince dall’assenza di tracce di frenata, hanno fatto sì che il D.P. si avvedesse delle vittime solo al momento dell’impatto con le stesse. Logiche e congrue, nonché corrette in punto di diritto -e pertanto immuni dalle denunciate censure di legittimità- si presentano le motivazioni delle due sentenze di merito, che hanno ritenuto sussistente tanto il profilo di colpa generica che quello di colpa specifica contestati all’imputato, a nulla rilevando, sul punto, la assenza di catarinfrangenti dei velocipedi, circostanza non determinante sull’efficienza causale del sinistro, nè sulla colpevolezza, in quanto la presenza di centri abitati rendeva del tutto prevedibile la presenza, se non di ciclisti, di pedoni. 3. La sentenza impugnata, dunque, appare collocarsi correttamente nell’alveo della consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità in relazione al cosiddetto principio di affidamento -complessa questione teorica, ricca di implicazioni applicative - evocato in ricorso a favore dell’imputato assumendosi la non prevedibilità del comportamento tenuto dalla persona offesa, che avrebbe attraversato la strada imprudentemente. Ebbene, va ricordato che il principio di affidamento, in tema di circolazione stradale, trova un temperamento, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità, nell’opposto principio secondo il quale l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui purché questo rientri nel limite della prevedibilità cfr. ex multis le recenti Sez. 4 n. 51747 del 27/11/2019, Ripepi e 10062 del 14/2/2019, Nostrani, non massimate e le conformi Sez. 4, n. 27513 del 10/05/2017, Mulas, Rv. 269997 alla cui articolata e condivisibile motivazione si rimanda, in un caso in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi la sentenza con la quale era stata ritenuta la responsabilità per lesioni del conducente di un ciclomotore che aveva investito un pedone mentre attraversava al di fuori delle strisce pedonali, in un tratto rettilineo ed in condizioni di piena visibilità, per la condotta di guida non idonea a prevenire la situazione di pericolo derivante dal comportamento scorretto del pedone, rischio tipico e ragionevolmente prevedibile della circolazione stradale e Sez. 4, n. 5691 del 2/2/2016, Tettamanti, Rv. 265981 . Nell’affermare il medesimo principio, con altra condivisibile pronuncia Sez. 4, n. 12260 del 9/1/2015, Moccia ed altro, Rv. 263010 , questa Corte di legittimità aveva annullato la sentenza con la quale era esclusa la responsabilità del guidatore per omicidio colposo di un pedone, il quale, sceso dalla portiera anteriore dell’autobus in sosta lungo il lato destro della carreggiata, era passato davanti all’automezzo ed era stato investito dall’imputato, che aveva rispettato il limite di velocità ma non aveva provveduto a moderarla in ragione delle condizioni spazio-temporali di guida e, segnatamente, della presenza in sosta del pullman . Peraltro, la giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha condivisibilmente statuito, fin da tempo risalente, che il conducente che noti sul percorso la presenza di pedoni che tardano a scansarsi, deve rallentare la velocità e, occorrendo, anche fermarsi e ciò allo scopo di prevenire inavvertenze e indecisioni pericolose dei pedoni stessi che si presentino ragionevolmente prevedibili e probabili così questa Sez. 4 sent. 8859/1988 , in quanto la circostanza che i pedoni attraversino la strada improvvisamente o si attardino nell’attraversare costituisce un rischio tipico e quindi prevedibile della circolazione stradale. Sempre in tema di pedoni, questa Corte ha più volte affermato che, in tema di reati colposi omicidio o lesioni posti in essere nell’ambito della circolazione stradale, per escludere la responsabilità del conducente per l’investimento del pedone è necessario che la condotta di quest’ultimo si ponga come causa eccezionale ed atipica, imprevista e imprevedibile dell’evento, che sia stata da sola sufficiente a produrlo così questa Sez. 4, sent. n. 10635/2013 e, nello stesso senso sent. 33207/2013 secondo cui il conducente del veicolo va esente da responsabilità per l’investimento di un pedone quando la condotta della vittima configuri, per i suoi caratteri, una vera e propria causa eccezionale, atipica, non prevista nè prevedibile, da sola sufficiente a produrre l’evento, circostanza questa configurabile ove il conducente medesimo, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, si sia trovato nell’oggettiva impossibilità di notare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso ed imprevedibile . Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia di secondo grado, il ricorrente chiede una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell’ennesimo giudice del fatto. 4. I motivi di ricorso sono manifestamente infondati, in quanto assolutamente privi di specificità in tutte le loro articolazioni e del tutto assertivi, anche per quanto concerne la dosimetria della pena e la mancata ritenuta prevalenza delle pur concesse circostanze attenuanti generiche. La Corte territoriale ha dato atto con motivazione logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto - e pertanto immune dal denunciato vizio di legittimità - di avere valutato che la pena irrogata dal giudice di primo grado fosse congrua, proporzionata ed adeguata all’entità obiettiva dei fatti che hanno causato la morte di tre persone alla allarmante personalità dell’imputato, e che non si ravvisassero in atti elementi nuovi e diversi da quelli già valutati dal giudice di primo grado che ha benevolmente concesso all’imputato le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, oltre alla sospensione condizionale della pena - per pervenire ad un diverso bilanciamento. La sentenza impugnata si colloca pertanto nell’alveo del consolidato e condivisibile dictum di questa Corte di legittimità secondo cui le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto Sez. Un., n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931 conf. Sez. 2 n. 31543 dell’8/6/2017 Pennelli, Rv. 270450 Sez. 4, n. 25532 del 23/5/2007, Montanino Rv. 236992 Sez. 3, n. 26908 del 22/4/2004, Ronzoni, Rv. 229298 . E nel giudizio ex art. 69 c.p., così come nella determinazione, in misura inferiore a quella massima consentita dalla legge, della riduzione di pena dovuta al giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, il giudice può valorizzare anche i precedenti penali relativi a reati depenalizzati o estinti, trattandosi di fattispecie che rimangono significative di una predisposizione dell’imputato a violare la legge penale cfr. Sez. 5, n. 45423 del 6/10/2004, Mignogna ed altri, Rv. 230579 . 5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000 , alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di duemila Euro alla Cassa delle Ammende.