Sequestro per equivalente: quali effetti produce nel giudizio penale l’annullamento della pretesa erariale da parte del giudice tributario?

Il profitto, confiscabile anche per equivalente, del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, va individuato nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell'Amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase, con la conseguenza che lo stesso non è configurabile, e non è quindi possibile disporre o mantenere il sequestro funzionale all'ablazione, in caso di annullamento della cartella esattoriale da parte della commissione tributaria, con sentenza anche non definitiva, e di correlato provvedimento di sgravio da parte dell'Amministrazione finanziaria.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 5711/20 depositata il 13 febbraio. Il caso. Il Tribunale della libertà di Vicenza rigettava la richiesta di riesame del decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca proposta da L.Z., amministratrice della società A. S.r.l., indagata del reato di cui all’art. 3 d.lgs. n. 74/2000, ovvero Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici . In particolare, secondo la prospettazione accusatoria, in toto accolta dai Giudici della cautela, l’indagata, nella sua qualità di legale rappresentante, avrebbe effettuato plurime cessioni di beni per svariati milioni di euro nei confronti di altre società, ma senza esporre l’IVA, mediante la falsa attestazione dello status di esportatore abituale degli acquirenti. Donde, avendo fraudolentemente indicato, nelle dichiarazioni IVA 2012-2013-2014, operazioni commerciali imponibili per importi notevolmente inferiori al reale volume d’affari, avrebbe così realizzato una evasione dell’imposta parti a quasi 4 milioni di euro, omettendo di dichiarare la reale IVA a debito – ovvero quella risultante dalle fatture fraudolentemente identificate come non imponibili – e, al contrario, esponendo crediti IVA inesistenti dei quali otteneva altresì il rimborso. Il ricorso per Cassazione. Avverso l’ordinanza reiettiva de qua ricorreva per Cassazione l’indagata lamentando, in primis , inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 12- bis d.lgs. n. 74/2000 il Tribunale avrebbe erroneamente confermato il sequestro nonostante l’assenza – rectius , il venir meno – della pretesa tributaria, dovuto alla contestuale presenza, da un lato, di una archiviazione da parte dell’Agenzia delle Entrate per le ipotesi di illecito afferenti le vendite effettuate nei confronti di alcune società e, dall’altro, di annullamento da parte della Commissione Tributaria Provinciale degli avvisi di accertamento afferenti gli anni 2012 e 2014 e di una sospensione, da parte della medesima Autorità tributaria, del medesimo avviso relativo all’anno 2013. La diversità della piattaforma probatoria valutata in sede amministrativa e penale. In tema di reati tributari, chiarisce la Suprema Corte, il profitto, confiscabile anche per equivalente, non è configurabile – e, pertanto, non è possibile disporre o mantenere il sequestro funzionale all’ablazione definitiva – in caso di annullamento della cartella esattoriale da parte della Commissione Tributaria, con sentenza anche non definitiva, e di correlato provvedimento di sgravio da parte dell’Amministrazione finanziaria. Tale principio generale tuttavia non risulta applicabile al caso di specie, in quanto non solo nessun accertamento è stato effettuato dall’Agenzia delle Entrate in relazione ai fatti oggetto della presente vicenda cautelare ma, per di più, l’annullamento richiamato dal ricorrente si fonda sul processo verbale di accertamento dell’Agenzia delle Dogane, autonomo e cronologicamente antecedente rispetto alle indagini effettuate dalla G.d.F. che hanno poi determinato l’avvio del procedimento penale. Donde, sulla scorta della differenza tra la piattaforma probatoria valutata in sede amministrativa e quella rilevante in sede penale, nessun effetto concreto può esplicare nel procedimento penale l’intervenuto annullamento degli avvisi di accertamento da parte della Commissione tributaria provinciale. Ancor più considerando che il ricorrente non si è neppure prodigato ad allegare precise circostanze precipuamente finalizzate ad evidenziare la medesimezza degli elementi probatori oggetto di valutazione nelle due differenti sedi. I limiti del giudizio di legittimità in materia cautelare reale. Il ricorso per Cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi ricomprendere sia gli errores in iudicando che gli errores in procedendo , sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice. Fermo restando che, precisano ulteriormente i Supremi Giudici, in tema di sequestro preventivo non è necessario valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, essendo sufficiente la sussistenza del fumus commissi delicti , ovvero l’astratta sussumibilità in una determinata ipotesi di reato del fatto contestato.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 20 novembre 2019 – 13 febbraio 2020, n. 5711 Presidente Lapalorcia – Relatore Corbetta Ritenuto in fatto 1. Con l’impugnata ordinanza, il Tribunale della libertà di Vicenza rigettava la richiesta di riesame proposta nell’interesse di Z.L. avverso il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per i reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 3 commessi negli anni fiscali 2012, 2013 e 2014, fino alla concorrenza di 3.907.537,28 Euro, corrispondente all’iva non applicata alle vendite effettuate. Secondo l’ipotesi accusatoria, la Z. , nella veste di amministratore della Alpegest srl, avrebbe effettuato cessioni di beni per oltre diciotto milioni di Euro nei confronti delle società Quadrifoglio srl, Cassiopea srl, LSC srl, Azzurra srl, Commerciale Vittoria srl, Gran Risparmio srl, La Perla nera l’800 srl, Di Vinus srl, Fara srl, cessioni effettuate senza esposizione di iva, mediante la falsa attestazione dello status di esportatore abituale degli acquirenti. In particolare, la Alpegest srl ha indicato fraudolentemente nelle dichiarazioni IVA 2012, 2013 e 2014 operazioni commerciali imponibili per importi di gran lunga inferiori al reale volume d’affari, realizzando così un’evasione di imposta dell’importo di 3.907.537,28 Euro, in quanto, avendo la società gestita dall’indagata omesso di dichiarare la reale IVA a debito risultante dalla considerazione, come imponibili, di fatture viceversa emesse come non imponibili, ha esposto crediti IVA inesistenti dei quali ha ottenuto il rimborso. 2. Avverso l’indicata ordinanza, l’indagata, per mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione affidato a sei motivi. 2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis. Assume la ricorrente che il Tribunale avrebbe erroneamente confermato il sequestro, pur in assenza della pretesa tributaria, in quanto, per un verso, l’agenzia delle entrate, ha autonomamente archiviato le ipotesi di illecito ad oggetto le vendite effettuate nei confronti della società LSC, Azzurra, Gran Risparmio, Fara e, per altro verso, Alpegest ha impugnato i tre avvisi di accertamento avanti alla commissione tributaria provinciale di Vicenza, la quale, allo stato, ha annullato la pretesa tributaria in relazione agli anni di imposta 2012 e 2014, mentre con riguardo all’annualità 2013 ha sospeso l’esecuzione dell’avviso di accertamento. Come affermato dalla giurisprudenza puntualmente indicata nel ricorso, l’annullamento integrale degli avvisi di accertamenti e il conseguente sgravio del debito tributario comporterebbero perciò la revoca del sequestro per equivalente, essendo venuto meno il debito fiscale e quindi il profitto del reato contestato. 2.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b in relazione all’art. 125 c.p.p., comma 3, D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 3 e art. 335 c.p.p Deduce la ricorrente di essere indagata, per gli stessi fatti, nell’ambito di due distinti procedimenti in cui le si contesta, nel primo, i delitti D.Lgs. n. 74 del 2000, ex artt. 2 e 8 e nel secondo, che ha dato origine al sequestro, il delitto D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 3, il quale, peraltro, è configurabile fuori dai casi previsti dall’art. 2 di conseguenza, non avendo il p.m. modificato l’accusa, il delitto D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 3 non sarebbe astrattamente configurabile, e, sul punto, il Tribunale avrebbe omesso di motivare perché sarebbero configurabili l’art. 2 e l’art. 3. Aggiunge la ricorrente che, nella sostanza, l’accusa consisterebbe nell’avere Alpegest emesso fatture soggettivamente inesistenti nei confronti delle società cartiere , interposte tra sé e i propri clienti effettivi allo scopo di non pagare l’iva sulle forniture, e ciò in ragione della presenza, appunto, delle società interposte, che avrebbero emesso false fatture, di talché il fatto sarebbe astrattamente riconducibile nella previsione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8. Infine, sarebbe violato anche il disposto dell’art. 335 c.p.p., comma 2, perché il p.m., avendo acquisito nuovi elementi idonei a mutare la qualificazione giuridica dei fatti, tanto da ipotizzare, appunto, il delitto D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 3, non ha provveduto ad aggiornare le originarie iscrizioni nel registro degli indagati. 2.3. Con il terzo motivo si lamenta la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b in relazione all’art. 125 c.p.p., comma 3, e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 3. Ad avviso della ricorrente, non sarebbe configurabile il delitto D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 3 perché non corrisponde al vero che la Zonin abbia indicato, nelle dichiarazioni iva, elementi attivi inferiori a quelli effettivi, avendo la società, per contro, indicato gli elementi attivi corrispondenti ai ricavi conseguiti, compresi quelli ottenuti per effetto delle cessioni ai presunti falsi esportatori abituali al proposito, la motivazione sarebbe mancante, nè potrebbe valere l’affermazione secondo cui la ricorrente ha indicato nel rigo relativo alle operazioni imponibili un dato inferiore a quello reale e nel rigo delle operazioni non imponibili un dato superiore a quello corretto, ciò non attenendo ai ricavi, che sono stati tutti dichiarati. 2.4. Con il quarto motivo si censura la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 3, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, comma 2, artt. 17 e 18, D.L. n. 746 del 1983, art. 2. La ricorrente contesta la sussistenza della fattispecie in esame, non avendo la società ottenuto alcun vantaggio fiscale in quanto il credito iva risultante dalla dichiarazione è perfettamente spettante, trattandosi di iva a credito pagata dalla società sugli acquisti effettuati la società, a sua volta, non ha applicato l’iva sulla vendite ai clienti di cui alla contestazione e quindi, non avendola ricevuta, non era nemmeno tenuta a versarla. Di conseguenza, non essendovi evasione, non sarebbe configurabile la fattispecie in questione, stante l’assenza di una condotta fraudolenta, che non dà origine a nessun vantaggio fiscale. L’ordinanza impugnata, pertanto, si porrebbe in contrasto sia con il principio di neutralità dell’iva, sia con il disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, comma 2, e D.L. n. 746 del 1983, art. 2, in base ai quali delle dichiarazioni mendaci contenute nella lettere di intento rispondono esclusivamente gli emittenti e non anche i destinatari. 2.5. Con il quinto motivo si deduce la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b con riferimento al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 3. Sostiene la ricorrente che, nel caso in esame, il delitto in questione non è configurabile perché non sussiste alcuna falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie, che rappresenta in maniera veritiera e coerente le operazioni contestate come si sono concretamente svolte, e non rientrando i documenti di trasporto nella nozione di scritture contabili obbligatorie. L’ordinanza impugnata, inoltre, si pone in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, la quale esclude la sussistenza del delitto D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 3 nel caso in cui le fatture siano emesse in regime di non imponibilità e riportate in modo corrispondente nelle scritture contabili. 2.6. Con il sesto motivo si eccepisce la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b con riferimento al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 3. Secondo la prospettazione difensiva, difetterebbe, nella specie, anche l’utilizzo dei mezzi fraudolenti, avendo il Tribunale operato un’errata interpretazione della documentazione consegnata dalla società ai verificatori. Invero, i clienti che acquistavano da Alpegest gestivano in autonomia i trasporti e la società predisponeva due documenti uno di trasporto vero e proprio e uno con clausola fca e dicitura bis , che era ad per interno e che, firmato dal trasportatore al momento della presa in consegna della merce, costituiva una sorta di quietanza aggiunge la ricorrente che i verificatori hanno acquisito entrambi i documenti, che sono stati conservati dalla società, a dimostrazione del fatto che la società medesima non ha gestito i trasporti della merce. 3. In data 30/10/2019 il difensore di Z.L. ha depositato memoria, con cui sviluppa le argomentazioni dedotte con il primo motivo di ricorso, all’uopo allegando la sentenza della commissione tributaria provinciale di Vicenza del 14/03/2019, dep. il 27/06/2019, e la nota dell’Agenzia delle Entrate della direzione provinciale di Vicenza inviata il 30/09/2019, e insiste per l’annullamento del provvedimento impugnato. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. Il primo motivo è infondato. 2.1. È ben vero, come ricordato dal ricorrente, che, in tema di reati tributari, il profitto, confiscabile anche per equivalente, del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, va individuato nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’Amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase, con la conseguenza che lo stesso non è configurabile, e non è quindi possibile disporre o mantenere il sequestro funzionale all’ablazione, in caso di annullamento della cartella esattoriale da parte della commissione tributaria, con sentenza anche non definitiva, e di correlato provvedimento di sgravio da parte dell’Amministrazione finanziaria. Sez. 3, n. 39187 del 02/07/2015 - dep. 28/09/2015, Lombardi Stronati, Rv. 264789 Sez. 3, n. 19994 del 21/09/2016 - dep. 27/04/2017, Bifulco, Rv. 269763 . 2.2. Nel caso in esame, però, il principio ora ricordato non è pertinente perché, come rilevato dal Tribunale, vi è un dato dirimente, obliterato dalla ricorrente nessun accertamento è stato effettuato dall’agenzia delle entrate in relazione ai fatti oggetto della presente vicenda cautelare. 2.3. Nè può essere invocato l’annullamento degli avvisi di accertamento relativi alle annualità 2012 e 2014 perché, come correttamente evidenziato dal Tribunale, quell’annullamento si fonda sul processo verbale di accertamento dell’Agenzia delle dogane emesso il 29/11/2016, che è cronologicamente antecedente alle indagini effettuate dalla G.d.F. che hanno determinato l’avvio del presente procedimento penale. Di conseguenza, stante la diversità della piattaforma probatoria valutata in sede amministrativa e penale - circostanza in relazione alla quale la ricorrente non prende posizione, perché avrebbe dovuto quantomeno allegare precise circostanze volte ad evidenziare la medesimezza degli elementi probatori valutati in sede penale e amministrativa - ne discende che nessun effetto esplica nel presente procedimento l’intervenuto annullamento degli avvisi di accertamento da parte della Commissione tributaria provinciale. 2.4. Quanto, poi, ai documenti depositati con memoria del 30/10/2019, si osserva che, come affermato a più riprese da questa Corte con riferimento alle misure cautelari personali - ma gli stessi principi valgono, per identità di ratio, anche in tema di misure reali -, l’ambito conoscitivo del giudice del riesame è circoscritto alla valutazione delle acquisizioni coeve all’emissione dell’ordinanza genetica, delle sopravvenienze favorevoli all’indagato art. 309 c.p.p., comma 5 e degli ulteriori elementi addotti dalle parti nel corso dell’udienza art. 309 c.p.p., comma 9 , anche se non presentati al giudice che emise la misura Sez. 6, n. 39871 del 12/07/2013 - dep. 25/09/2013, P.M. in proc. Notarianni, Rv. 256445 Sez. 1, n. 34616 del 13/07/2007 - dep. 12/09/2007, Speziale e altro, Rv. 237764 , con la conseguenza che, come nel caso in esame, eventuali elementi sopravvenuti al momento della chiusura della discussione dinanzi al tribunale del riesame non assumono alcun rilievo nel successivo giudizio di legittimità, potendo, invece, essere fatti valere con una nuova richiesta di revoca o di modifica della misura cautelare al giudice competente Sez. 3, n. 23151 del 24/01/2019 - dep. 27/05/2019, pmt in c. Zamparini, Rv. 2759820 . 3. Il secondo motivo è infondato. 3.1. Secondo quanto accertato dal Tribunale, a seguito della c.n.r. redatta dall’agenzia delle dogane il 29/11/2016, fu aperto a carico dell’indagata il procedimento penale n. 833/88/16 ipotizzando il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8 in data 12/06/2017 il p.m. avanzò istanza di archiviazione, che fu rigettata dal g.i.p. con ordinanza del 07/12/2017 emessa ai sensi dell’art. 409 c.p.p., comma 5, con la quale si ordinò lo svolgimento di indagine coatte, affidate alla G.d.F. di Vicenza, il cui esito portò all’apertura del presente procedimento in relazione alla violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 3. 3.2. Non appare perciò sussistere alcuna violazione dell’art. 335 c.p.p., che, in ogni caso, non si vede - nè la ricorrente l’ha argomentato - come possa riverberarsi sul provvedimento oggetto di impugnazione. 4. In premessa alla trattazione degli ulteriori motivi, con cui si contesta, a vario titolo, il fumus del delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 3, giova premettere che, secondo il costante orientamento assunto dalla giurisprudenza di legittimità, il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008 - dep. 26/06/2008, Ivanov, Rv. 239692 di recente, Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016 - dep. 02/02/2017, Faiella, Rv. 269296 Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017 - dep. 20/04/2017, Napoli, Rv. 269656 . Si rammenta inoltre che, in tema di sequestro preventivo, non è necessario valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico del soggetto nei cui confronti è operato il sequestro, essendo sufficiente che sussista il fumus commissi delicti, vale a dire l’astratta sussumibilità in una determinata ipotesi di reato del fatto contestato Sez. 1, n. 18491 del 30/01/2018 - dep. 27/04/2018, Armeli, Rv. 273069 Sez. 2, n. 5656 del 28/01/2014 - dep. 05/02/2014, P.M. in proc. Zagarrio, Rv. 258279 . Di conseguenza, in sede cautelare, non possono essere censurati nè vizi di motivazione - salvo come si è detto, quelli così radicali da rendere la motivazione del tutto apparente - nè profili ricostruttivi del fatto. 5. Ciò posto, secondo quanto accertato dal Tribunale, le cessioni effettuate nei confronti di Quadrifoglio srl, Cassiopea srl, LSC srl, Azzurra srl, Commerciale Vittoria sri, Gran Risparmio srl, La Perla nera l’800 srl, Di Vinus srl, Fara srl sono state trattate da Alpegest s.r.l. alla stregua di operazioni non imponibili IVA con conseguente mancata contabilizzazione della relativa IVA a debito , in ragione della falsa attestazione dello status di esportatori abituali rivestito dai cessionari, come risulta dalla dichiarazioni di intento rilasciate dagli stessi ad Alpegest srl. La falsità di dette dichiarazioni, attestanti lo status di esportatore abituale che costituisce il presupposto fattuale per effettuare le operazioni non imponibili, è stato desunto dal fatto che tali società sono prive di dipendenti, di sedi operative e di mezzi strumentali non hanno presentato dichiarazioni fiscali, nè comunicato le operazioni effettuate con soggetti esteri. È stato altresì accertato che Alpegest srl, oltre alla fattura di vendita, predisponeva un documento ufficiale di trasporto, con clausola FCA acronimo di free on carrier , in base alla quale il venditore mette a disposizione la merce presso un vettore concordato con il compratore, che si assume i rischi e i costi del trasporto. Dall’analisi delle e-mail e della documentazione contabile rinvenuta presso la società, è invece emerso che Alpegest sri, diversamente da quanto risultante dai documenti ufficiali, gestisse direttamente il trasporto presso la successiva destinazione, dando alle società acquirenti precise indicazioni operative in relazione, ad esempio, al nome dell’autista o alla targa del mezzo di trasporto e predisponendo un secondo documento di trasporto che accompagnava la merce, in cui si indicava come mittente il destinatario finale della consegna, impartendo raccomandazioni ai vettori di non allegare al carico di documento di trasporto FCA, il quale era archiviato in contabilità. 6. Va inoltre rilevato che il g.i.p. - in ciò avallato dal Tribunale - ha emesso il decreto di sequestro sulla base della formulazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 3 vigente al momento dei fatti, e quindi prima delle modifiche apportate dalla novella di cui al D.Lgs. n. 128 del 2015. A tal proposito, si osserva che la nuova formulazione della norma non ha comportato alcuna abolitio criminis, stante la continuità normativa tra le due disposizioni, circostanza peraltro nemmeno contestata dalla ricorrente. E difatti, mentre la fattispecie previgente era articolata in tre segmenti distinti - la falsa dichiarazione dei redditi o Iva, la falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie posta a base del predetto mendacio, l’utilizzazione di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l’accertamento - per effetto della novella la struttura dell’illecito è stata semplificata, tramite l’eliminazione dell’elemento della falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e una più articolata descrizione delle condotte artificiose. Correttamente, pertanto, è stata ritenuta applicabile la previgente disciplina proprio maggiormente selettiva nella descrizione del fatto, che prevede, quale elemento costitutivo, anche la falsa rappresentazione delle scritture contabili, che non è più richiesto dalla fattispecie in vigore. 7. Alla luce delle coordinate ermeneutiche sopra indicate con riferimento alla sussistenza del fumus, in sede cautelare, del delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 3, il terzo motivo è manifestamente infondato, laddove, evidenziando come non corrispondente al vero che la Z. abbia indicato nelle dichiarazioni iva elementi attivi inferiori a quelli effettivi, pretende una diversa ricostruzione del fatto, non ammissibile in questa sede. Invero, il Tribunale ha rilevato che nelle dichiarazioni Iva, nel quadro VE22, relativo alle operazioni commerciali imponibili , è indicato un importo di gran lunga inferiore a quello dovuto, mentre nel quadro VE31 sono annotate, tra le operazioni non imponibili a seguito di dichiarazione di intento , tutte le transazioni commerciali con le società indicate nel capo di incolpazione. Come correttamente ritenuto dal Tribunale, il combinarsi di tali iscrizioni realizza perciò l’indicazione in dichiarazione di elementi attivi inferiori a quelli reali, richiesta quale elemento costitutivo del fatto punito D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 3. 8. Anche il quarto motivo è manifestamente infondato. Sulla scorta del modus operandi utilizzato dal Alpegest srl sopra esposto, il Tribunale ha evidenziato come la predetta società srl abbia conseguito un notevole vantaggio fiscale, avendo indicato, nelle dichiarazioni relative agli anni di imposta 2012, 2013 e 2014, operazioni imponibili per un ammontare di gran lunga inferiore rispetto a quella reale, dichiarando IVA a debito di importo non corrispondente al vero, esponendo al contempo di crediti IVA, rimborsati da parte dell’erario per una somma complessiva di 3.907.537,28 Euro. 9. Il quinto motivo è manifestamente infondato. Anche in tal caso, le censure attaccano la ricostruzione del fatto, laddove il Tribunale ha accertato la falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie, elemento costitutivo del fatto contestato, avendo la ricorrente in esse annotato come non imponibili operazioni che, come si è detto, erano in realtà soggette al pagamento dell’IVA 10. Il sesto motivo è manifestamente infondato perché, anche in tal caso, si pretende una diversa lettura dei dati probatori. Il tribunale, invero, ha ravvisato la sussistenza degli altri mezzi fraudolenti , quale ulteriore elemento della condotta incriminata dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 3, consistenti nel sistema del doppio documento di trasporto gli uni, recanti l’acronimo FCA, utilizzati per far apparire la società estranea al trasporto della merce gli altri, recanti l’indicazione FCA bis, in cui si indicava come mittente il destinatario finale della consegna. Come accertato dal Tribunale, la corrispondenza delle e-mail acquisite attesta la sistematicità delle raccomandazioni impartite ai vettori di non far viaggiare la merce con il documento ufficiale. Con motivazione tutt’altro che apparente, e quindi incensurabile in sede cautelare, il Tribunale ha spiegato che, mediante quell’espediente, la Alpegest srl volesse celare che era lei stessa a curare direttamente il trasporto della merce, il quale, diversamente da quanto indicato nei documenti di trasporto ufficiali, non poteva essere effettuato dalle società acquirenti, che, nella prospettiva dell’accusa, non disponevano di mezzi a tale scopo. 10. Per i motivi indicati, il ricorso deve perciò essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.