Non vi è incompatibilità a pronunciarsi per il giudice che abbia posto in essere una valutazione di tipo procedurale e non di merito

Va escluso che vi sia incompatibilità a pronunciarsi ex art. 34 c.p.p. come giudice dell'esecuzione - in sede di rinvio dalla Cassazione, per mancata instaurazione del contraddittorio nel procedimento di esecuzione - per lo stesso giudice che aveva dichiarato l'inammissibilità de plano dell'istanza ai sensi dell'art. 666, comma 2, c.p.p

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Prima Penale, con la sentenza n. 5042 depositata il 6 febbraio 2020. Pretesa incompatibilità del giudice dell’esecuzione. In sede di rinvio da precedente annullamento, disposto dalla Corte di Cassazione, il giudice dell'esecuzione pronunciava ordinanza di rigetto dell'incidente di esecuzione ex art. 670 c.p.p. avanzata dal ricorrente, proposto al fine di dichiarare la non esecutività della sentenza emessa dal Tribunale con cui l'imputato era stato condannato, nonché al fine di restituire l'istante nel termine per impugnare detta sentenza. Nel segmento processuale antecedente, il medesimo giudice persona fisica si era pronunciato con decreto di inammissibilità del plano sulla stessa richiesta, trascurando quindi di instaurare il previo contraddittorio tale vizio procedurale aveva quindi condotto la Suprema Corte a pronunciare l'annullamento con rinvio al giudice dell'esecuzione. Il ricorrente, nell’impugnare questa volta l’ordinanza di rigetto, lamenta che il giudice dell'esecuzione abbia violato il dovere di astenersi dal trattare il procedimento, pur avendo in precedenza emesso decreto di inammissibilità sulla medesima istanza, basata sulle identiche argomentazioni dell'ordinanza di rigetto impugnata. Ciò violerebbe, secondo il ricorrente, il principio generale -correlato al giusto processo - che impone al giudice che si sia già pronunciato su un certo thema decidendum di astenersi dal tornare a pronunciarsi nel merito. L’incompatibilità non sussiste per il compimento di atti procedurali. Secondo la Suprema Corte, va escluso che vi sia incompatibilità a pronunciarsi come giudice dell'esecuzione - in sede di rinvio dalla Cassazione, per mancata instaurazione del contraddittorio nel procedimento di esecuzione - per lo stesso giudice che aveva dichiarato l'inammissibilità de plano dell'istanza ai sensi dell'art. 666, comma 2, c.p.p. La giurisprudenza della Corte ha già affermato, in termini generali, che in caso di annullamento con rinvio di un'ordinanza pronunciata dal giudice dell'esecuzione, non è configurabile l'incompatibilità del giudice che ha emesso il provvedimento annullato a pronunciarsi nuovamente in sede di rinvio. La situazione del giudice la cui ordinanza o decreto sono stati annullati dalla Corte di Cassazione non è analoga né paragonabile a quella nella quale il giudice abbia formulato un vero e proprio giudizio di merito sulla responsabilità dell'imputato, unica situazione a poter dare luogo ad incompatibilità ex art. 34 c.p.p. I principi della Corte Costituzionale sul punto. Sul tema, la giurisprudenza della Corte Costituzionale ha fissato taluni principi. In primo luogo, le norme in materia di incompatibilità sono funzionali ad evitare che la decisione sul merito possa essere condizionata dalla c.d. forza di prevenzione - ossia la naturale tendenza a confermare una decisione già presa o a mantenere un atteggiamento già assunto - scaturente da valutazioni cui il giudice sia stato precedentemente chiamato in ordine alla medesima res iudicanda . Inoltre, la situazione pregiudicante non è determinata dalla mera conoscenza degli atti, ma dalla valutazione contenutistica su aspetti che riguardano il merito dell'ipotesi di accusa di conseguenza, non sono pregiudicanti le determinazioni assunte in ordine allo svolgimento del processo, sia pure in seguito ad una valutazione delle risultanze processuali. Infine, le valutazioni di merito pregiudicanti devono appartenere a fasi diverse del processo. Il pre-giudizio decisionale”. Riflessi tali principi nel caso di specie, le conseguenze sono evidenti. Non rileva che il giudice dell'esecuzione avesse anticipato le argomentazioni sulle quali ha basato l'ordinanza reiettiva in esame, né tanto meno il vizio di legittimità riconosciuto in sede di annullamento della precedente declaratoria di inammissibilità de plano. Si tratta, difatti, di un error in procedendo , avendo il giudice dell'esecuzione trascurato di instaurare il previo contraddittorio, necessario quando la decisione reiettiva non si basi sulla manifesta infondatezza dell'istanza per difetto delle condizioni di legge o non costituisca mera riproposizione di una richiesta già rigettata. Tanto che, nel rilievo del vizio procedurale, la Corte in sede di rinvio non ha reso alcuna valutazione circa il merito della decisione, che è rimasto impregiudicato. L'assunzione della decisione da parte del giudice dell'esecuzione non integra alcun vizio poiché non vi è stata alcun pre-giudizio decisionale .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 7 maggio 2019 – 6 febbraio 2020, n. 5042 Presidente Tardio – Relatore Liuni Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 27/11/2018, il giudice dell’esecuzione del Tribunale di Milano, in sede di rinvio da precedente annullamento, ha rigettato l’incidente di esecuzione ex art. 670 c.p.p. proposto nell’interesse di M.G. , al fine di dichiarare la non esecutività della sentenza emessa dal medesimo Tribunale in data 20/5/2015, irrevocabile il 22/6/2016, con cui l’imputato era stato condannato - in absentia - alla pena di mesi 8 di reclusione per i reati ex artt. 612 bis e 477 - 482 c.p., nonché al fine di restituire l’istante nel termine per impugnare detta sentenza. 1.1 Il giudice dell’esecuzione ha rilevato che nel caso di specie, essendosi il processo svolto in assenza dell’imputato, non può avere luogo la declaratoria di non esecutività della sentenza, nè la restituzione nel termine per impugnare ex art. 175 c.p.p., rimedi tipici del precedente regime contumaciale, essendo invece espressamente previsto il rimedio della rescissione del giudicato, come ha statuito la pronuncia di Sez. U. n. 36848 del 17/7/2014, Rv. 259992. 1.2 Il GE ha anche escluso che l’incidente di esecuzione possa convertirsi nella richiesta di rescissione del giudicato, in quanto trattasi di istituti che implicano presupposti e conseguenze giuridiche diverse. 2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore del condannato, avv. Fortunato R. Russo, indicando i seguenti motivi di impugnazione. 2.1 Violazione di legge e correlato vizio di motivazione, con riferimento all’art. 125 c.p.p., comma 3 art. 34 c.p.p. e art. 36 c.p.p., comma 1, lett. g artt. 3 e 11 Cost., art. 6 CEDU. 2.1.1 Preliminarmente, il ricorrente lamenta che il giudice dell’esecuzione abbia violato il dovere di astenersi dal trattare il presente procedimento, pur avendo in precedenza emesso decreto di inammissibilità de plano sulla stessa richiesta, basato sulle identiche argomentazione dell’odierna ordinanza di rigetto. Tale questione era stata tempestivamente sollevata dalla difesa del M. , ma il giudice dell’esecuzione l’ha rigettata con ordinanza allegata al ricorso. Ritiene il ricorrente che, contrariamente a quanto sostenuto dal GE, sia ricavabile dalla giurisprudenza costituzionale e comunitaria, oltre che dal sistema processuale, un principio generale - correlato al giusto processo - che impone il divieto al giudice che si sia già pronunciato su un certo thema decidendum di tornare a pronunciarsi in merito. In caso contrario, il ricorrente pone la questione di costituzionalità dell’art. 34 c.p.p. e art. 36 c.p.p., comma 1, lett. g con riferimento agli artt. 3 e 11 Cost., e all’art. 6 CEDU. 2.1.2 Vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e . Il ricorrente censura che l’impugnata ordinanza sia priva di reale motivazione, per essere questa ricalcata sulla motivazione del decreto di inammissibilità precedentemente reso e annullato per mancata instaurazione del contraddittorio. Ma tale operazione è arbitraria, in quanto la motivazione di una ordinanza poggia su presupposti differenti, dovendosi esprimere su tutte le questioni di merito poste all’attenzione del giudicante, con particolare riguardo all’erroneità della dichiarazione di assenza del M. , il quale invece non ha mai avuto alcuna conoscenza del processo a suo carico. Pertanto, nel caso in esame vi è una motivazione soltanto apparente. 2.2 Con un secondo motivo di ricorso, si censura la violazione della L. 28 aprile 2014, n. 67, art. 15 bis. Il ricorrente ha allegato che il processo a suo carico ha avuto il seguente svolgimento a a seguito della notifica dell’informazione di garanzia, il M. aveva nominato un difensore di fiducia, avv. Gernando Rosa, eleggendo domicilio presso il medesimo l’avv. Rosa decedeva il 4/12/2011, con conseguente decadenza della nomina e dell’elezione di domicilio. b Il 24/5/2012 il Pubblico ministero emetteva l’avviso di conclusione delle indagini e lo notificava all’indagato presso il precedente domicilio, sicché la notificazione non andava a buon fine, come attestava l’ufficiale giudiziario nella relata di notifica. c Nel luglio 2012, il PM - attesa la decadenza dell’elezione di domicilio delegava la polizia giudiziaria a procedere alla compiuta identificazione dell’indagato con invito a eleggere domicilio e a nominare un difensore di fiducia in caso di irreperibilità del M. , la PG doveva effettuare le ricerche di rito onde procedere all’emissione del decreto di irreperibilità. d Il 19/3/2013 il PM emetteva decreto di irreperibilità, sul presupposto della completezza delle ricerche dell’interessato in pari data emetteva un nuovo avviso di chiusura delle indagini preliminari, contenente la nomina di un difensore di ufficio presso il cui studio professionale notificava al M. tale avviso. Tutti gli atti successivi, fino alla sentenza di primo grado, sono stati notificati al M. presso il difensore di ufficio, in qualità di domiciliatario. e Si procedeva all’udienza preliminare, della quale non veniva notificato alcun avviso, dichiarando l’imputato non presente e dando atto del già emesso decreto di irreperibilità in data 25/2/2014 il GUP emetteva il decreto che dispone il giudizio, al quale allegava l’ordinanza dichiarativa della contumacia del M. . In detta ordinanza si dava atto della regolarità della notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare, benché il ricorrente abbia rimarcato nell’incidente di esecuzione che non risulta agli atti alcuna notifica di tale avviso. f In data 22/3/2014, il GUP disponeva la notifica al M. del decreto che dispone il giudizio, presso il difensore di ufficio. Da tali scansioni procedurali, il ricorrente ha dedotto l’erroneità della dichiarazione di assenza ex art. 420 bis c.p.p. da parte del Tribunale in data 21/5/2014, trattandosi di processo al quale era applicabile la disciplina previgente della contumacia, L. n. 67 del 2014, ex art. 15 bis. Infatti, la dichiarazione di contumacia effettuata dal GUP nell’udienza preliminare con ordinanza del 25/2/2014, unitamente al dato che non è stato rinnovato il decreto di irreperibilità - come si sarebbe dovuto fare, in quanto il precedente decreto di irreperibilità emesso dal PM era valido soltanto per la fase delle indagini - ha reso operativa la deroga prevista dal citato art. 15 bis, comma 2 realizzando entrambe le condizioni per l’applicazione della previgente disciplina del processo contumaciale e dei conseguenti obblighi di notifica ex art. 548 c.p.p 2.3 Il terzo motivo di ricorso per violazione di legge si impernia sulle plurime nullità che incidono sulla validità del titolo esecutivo, e sul correlato vizio di motivazione, omessa in particolare sul punto della mancata notifica al M. del titolo esecutivo, cioè della sentenza del 20/5/2015. In merito a quest’ultima e al giudizio di primo grado, il ricorrente - ribadita l’erroneità della dichiarazione di assenza, che peraltro avrebbe dovuto comportare non la mera rilevazione dell’assenza quanto la sospensione del processo ex art. 420 quater c.p.p., una volta verificata la mancata effettiva conoscenza del processo da parte del M. - ha eccepito che la sentenza di condanna, preannunciata dall’avviso di deposito in data 9/12/2015, è stata notificata all’imputato mediante raccomandata del 15/1/2016, ritornata al mittente il 28/1/2016, e successivamente notificata al difensore di ufficio in data 6/5/2016. 2.4 Con l’ultimo motivo di ricorso si evidenzia che, eccependo la nullità del titolo esecutivo per mancata conoscenza dell’interessato per causa a lui non imputabile, la richiesta della difesa è da considerarsi a tutti gli effetti una impugnazione, ai sensi dell’art. 670 c.p.p., comma 2, contenendo tutti gli elementi dell’appello avverso la sentenza ma una indagine sul punto è stata omessa da parte del giudice dell’esecuzione. Considerato in diritto 1. Il ricorso è basato su motivi manifestamente infondati. L’impugnata ordinanza, pur nella sua sintetica motivazione, non patisce alcuno dei vizi denunciati. 1.1 Va preliminarmente escluso che vi sia incompatibilità a pronunciarsi come giudice dell’esecuzione - in sede di rinvio dalla Cassazione, per mancata instaurazione del contraddittorio nel procedimento di esecuzione - per lo stesso giudice che aveva dichiarato l’inammissibilità de plano dell’istanza, ai sensi dell’art. 666 c.p.p., comma 2. Invero, nessuna disposizione in tal senso è prevista nell’art. 34 c.p.p. a presidio della pretesa incompatibilità, nè su tale specifico profilo risultano pronunce di incostituzionalità, analoghe alla sentenza n. 183 del 3 luglio 2013, che ha sancito la necessità di attribuire ad un diverso giudice dell’esecuzione l’esame delle istanze in executivis dirette al riconoscimento della continuazione o del concorso formale di reati, dopo una sentenza di annullamento con rinvio. La giurisprudenza di questa Corte ha già affermato, in termini generali, che in caso di annullamento con rinvio di un’ordinanza pronunciata dal giudice dell’esecuzione, non è configurabile l’incompatibilità del giudice che ha emesso il provvedimento annullato a pronunciarsi nuovamente in sede di rinvio Sez. 4, n. 43026 del 30/09/2015, Tessitore, Rv. 264750 . 1.2 La questione di costituzionalità sollecitata dal ricorrente, concernente l’art. 34 c.p.p., è manifestamente infondata la situazione del giudice la cui ordinanza o decreto sono stati annullati dalla Corte di Cassazione non è analoga nè paragonabile a quella nella quale il giudice abbia formulato un vero e proprio giudizio di merito sulla responsabilità dell’imputato, unica situazione a poter dare luogo ad incompatibilità ex art. 34 c.p.p., come ribadito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 183 del 2013. La dichiarazione di incostituzionalità è stata in tal caso limitata alla specifica ipotesi, venuta in considerazione in quel giudizio, del giudice dell’esecuzione che interviene in materia di reato continuato o concorso formale di reati, valutazioni tipicamente di merito e come tali comportanti incompatibilità. Ben diversa è la valutazione demandata al giudice dell’esecuzione nel caso in esame, circoscritta ad una questione meramente processuale. Invero, sul tema la giurisprudenza della Corte Costituzionale ha fissato i seguenti principi I le norme in materia di incompatibilità sono funzionali ad evitare che la decisione sul merito possa essere o apparire condizionata dalla forza della prevenzione - ossia dalla naturale tendenza a confermare una decisione già presa o a mantenere un atteggiamento già assunto - scaturente da valutazioni cui il giudice sia stato precedentemente chiamato in ordine alla medesima res iudicanda Corte Cost., sentenza n. 183 del 9/7/2013, § 4 II la situazione pregiudicante non è determinata dalla mera conoscenza degli atti, ma dalla valutazione contenutistica su aspetti che riguardano il merito dell’ipotesi di accusa III non sono pregiudicanti le determinazioni assunte in ordine allo svolgimento del processo, sia pure in seguito a una valutazione delle risultanze processuali IV le valutazioni di merito pregiudicanti devono appartenere a fasi diverse del processo. 1.3 Alla stregua di tali principi, la relativa censura, nonché la sollecitata questione di costituzionalità, sono destituite di fondamento, nè rileva che nella specie il giudice dell’esecuzione avesse anticipato le argomentazioni sulle quali ha basato l’ordinanza reiettiva oggi in esame. Invero, il vizio di legittimità riconosciuto in sede di annullamento della precedente declaratoria di inammissibilità de plano è stato unicamente un error in procedendo, avendo il giudice dell’esecuzione trascurato di instaurare il previo contraddittorio, necessario quando la decisione reiettiva non si basi sulla manifesta infondatezza dell’istanza per difetto delle condizioni di legge o non costituisca mera riproposizione di una richiesta già rigettata. E infatti, nel rilievo del vizio procedurale, questa Corte non ha reso alcuna valutazione circa il merito della decisione, che è rimasto impregiudicato. L’assunzione della decisione da parte dello stesso giudice dell’esecuzione non integra alcun vizio, poiché non vi è stato alcun pre-giudizio decisionale , ed avendo il giudicante rilevato - con motivazione succinta, ma non illogica nè erronea in termini astratti - che nella specie si verte in tema di processo in assenza, e non di processo contumaciale, sicché risulta errato il ricorso all’incidente di esecuzione ex art. 670 c.p.p 2. Con la seconda censura il ricorrente ha dedotto l’erroneità della dichiarazione di assenza da parte del Tribunale ex art. 420 bis c.p.p., trattandosi di processo al quale era applicabile la disciplina previgente della contumacia, L. n. 67 del 2014, ex art. 15 bis. 2.1 Va innanzitutto evidenziato che tale doglianza non poteva avanzarsi con incidente di esecuzione, ma avrebbe dovuto articolarsi con l’appropriato rimedio della rescissione del giudicato, ai sensi dell’art. 629-bis c.p.p. Sez. U, n. 36848 del 17/07/2014, Burba, Rv. 259992, ove si faceva riferimento al previgente art. 625 ter c.p.p. Sez. 5, n. 10433 del 31/01/2019, Donati, Rv. 277240 . Ancor più a monte, l’asserita erroneità della dichiarazione di assenza doveva farsi valere nel processo, immediatamente, ad opera del difensore, trattandosi di una nullità a regime intermedio attinente all’intervento dell’imputato, ai sensi dell’art. 178 c.p.p., lett. c . Nè potrebbe invocarsi l’ultrattività del regime previgente a tenore della L. n. 67 del 2014, art. 15 bis poiché la dichiarazione di assenza dell’imputato è stata fatta in data 21/5/2014, quindi prima della disciplina transitoria introdotta con la L. 11 agosto 2014, n. 118. 2.2 Quanto al merito della dedotta violazione, si rileva che il processo in sede dibattimentale è stato definito con sentenza in data 20/5/2015, nella piena vigenza della nuova disciplina del processo in assenza, introdotta con la L. 28 aprile 2014, n. 67 entrata in vigore il 17/5/2014 la dichiarazione di assenza, si ripete, era stata fatta in data 21/5/2014, prima che fosse introdotta la disciplina transitoria di cui all’art. 15 bis. Il ricorrente ritiene che la dichiarazione di contumacia assunta nella fase dell’udienza preliminare dovesse perpetuarsi anche nella fase dibattimentale, pur integralmente svolta nella vigenza del nuovo regime dell’assenza, e peraltro ritualmente dichiarata in apertura del dibattimento. Nell’ordinanza dichiarativa della contumacia resa nell’udienza preliminare, il GUP osservava che il Pubblico ministero aveva emesso decreto di irreperibilità e nominato al M. un difensore d’ufficio, una volta verificato il decesso del precedente difensore di fiducia, domiciliatario dell’indagato. Secondo il GUP, peraltro, inutilmente il Pm aveva decretato l’irreperibilità del M. in quanto, una volta divenute impossibili le notifiche nel domicilio eletto per morte del difensore domiciliatario , esse avrebbero dovuto eseguirsi de plano mediante consegna al difensore, ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4, non essendo ravvisabile alcun caso fortuito o di forza maggiore, mentre era onere dell’interessato mantenere il contatto con il difensore di fiducia, ed essendo stato reso edotto delle conseguenze derivanti dalla sopravvenuta impossibilità di notifica nel domicilio eletto. Tutti gli atti successivi, fino alla sentenza di primo grado, sono stati correttamente notificati al M. presso il difensore di ufficio, ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4, in conseguenza della mancata variazione del domicilio originariamente eletto e divenuto successivamente inidoneo. 3. Le ulteriori doglianze del ricorrente imperniate sul silenzio del giudice dell’esecuzione in merito agli altri vizi procedurali lamentati dal M. sono inconferenti, poiché presuppongono che erroneamente il processo si sia svolto in assenza, mentre avrebbe dovuto seguire il regime del processo contumaciale, il che deve escludersi, per quanto fin qui illustrato. Vale la pena rimarcare - come si ricava dallo stesso ricorso, a pag. 18 che il M. ha avuto comunicazione dell’avviso di deposito in data 9/12/2015 della sentenza di condanna, avviso che è stato notificato all’imputato mediante raccomandata del 15/1/2016, ritornata al mittente il 28/1/2016, e successivamente notificato al difensore di ufficio in data 6/5/2016. Quanto alla doglianza che, se anche fosse stato corretto il ricorso al processo in absentia, il giudice avrebbe comunque dovuto sospendere il processo ex art. 420 quater c.p.p., e non procedere oltre senza verificare la mancata effettiva conoscenza del procedimento da parte dell’imputato, si torna al rilievo iniziale per cui il rimedio a tale vizio non è l’intrapreso incidente di esecuzione ex art. 670 c.p.p., bensì l’apposito istituto della rescissione del giudicato ex art. 629 bis c.p.p. che ha la finalità di ovviare ai casi di provata incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo. Infatti, non è in tal caso invocabile il principio affermato da questa Sez. 1, n. 1552 del 12/11/2018 - dep. 2019, PMT c/ Guerrazzi, Rv. 274795, per cui Integra un’ipotesi di non esecutività della sentenza, deducibile ai sensi dell’art. 670 c.p.p., l’omessa notificazione dell’avviso di deposito con l’estratto della sentenza di condanna emessa nei confronti di un imputato erroneamente dichiarato assente, anziché contumace, in un processo in cui, ai sensi della L. 28 aprile 2014, n. 67, art. 15 bis, comma 2, continuano a trovare applicazione le disposizioni anteriori all’entrata in vigore di tale legge, atteso che, anche nel caso in cui il difensore non abbia eccepito dinanzi al giudice della cognizione la violazione dell’indicata disciplina transitoria, la situazione sostanziale di contumacia dell’imputato impone comunque la notificazione dei predetti atti, a norma dell’art. 548 c.p.p., comma 3, ratione temporis vigente . Invero, difettano nella fattispecie in esame i presupposti di tale principio, ossia l’accertamento dell’erronea dichiarazione di assenza anziché di contumacia, nonché dell’applicabilità della disciplina transitoria ex art. 15 bis citata Legge, dovendosi per l’appunto tali profili analizzare mediante la rescissione del giudicato. 4. Anche l’ultimo motivo di ricorso è manifestamente infondato, pretendendosi che l’eccezione di nullità del titolo esecutivo per mancata conoscenza dell’interessato per causa a lui non imputabile, presentata al giudice dell’esecuzione con il ricorso ex art. 670 c.p.p. possa considerarsi a tutti gli effetti una impugnazione, ai sensi dell’art. 670 c.p.p., comma 2, contenendo tutti gli elementi dell’appello avverso la sentenza. La commistione di istituti che implica tale doglianza è evidente con il ricorso per incidente di esecuzione ci si duole della mancata o inefficace formazione del titolo esecutivo, e soltanto all’esito positivo di tale verifica il giudice dell’esecuzione lo dichiara con ordinanza che sospende l’esecuzione e, se occorre, ordina la rinnovazione della notificazione non validamente eseguita, che rimette in termini il condannato per proporre impugnazione. La progressione procedimentale è chiaramente descritta nei primi due commi dell’art. 670 c.p.p., sicché non può affermarsi la coesistenza nel ricorso per incidente di esecuzione anche dell’impugnazione tardiva. È già stato rilevato da questa Corte, e si intende dare continuità a tale arresto, che l’incidente di esecuzione non è un mezzo di impugnazione, cosicché non può trovare applicazione il principio di conservazione di cui all’art. 568 c.p.p., comma 5, che si riferisce unicamente alle impugnazioni Sez. 1, n. 39321 del 18/07/2017, Hercules, Rv. 270840, che richiama Sez. U, n. 36848 del 17/07/2014, Burba, Rv. 259990 . Per altro verso, anche tale profilo è stato sinteticamente ma congruamente affrontato dal giudice dell’esecuzione nell’impugnata ordinanza, laddove ha escluso che l’incidente di esecuzione possa convertirsi nella richiesta di rescissione del giudicato, trattandosi di rimedi tra loro incompatibili in quanto implicano presupposti e conseguenze giuridiche diversi. 5. In conclusione, il ricorso risulta inammissibile, da ciò conseguendo la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una congrua somma in favore della Cassa delle Ammende, non risultando l’assenza di profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, a tenore della sentenza della Corte Costituzionale n. 183 del 13/6/2000. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.