Il provvedimento di cumulo emesso dal PM ha carattere amministrativo e non giurisdizionale

Il provvedimento di esecuzione e di cumulo emesso dal pubblico ministero ai sensi degli artt. 656 e 663 c.p.p. ha carattere meramente amministrativo e non giurisdizionale. Dunque, ferma restando la revocabilità dell’atto da parte del medesimo organo competente a emetterlo, al fine di tenere costantemente aggiornata la posizione processuale del condannato, il giudice dell’esecuzione, il cui intervento può essere richiesto dal condannato senza limiti di tempo, deve procedere ex art. 665 c.p.p. all’esame delle doglianze del condannato.

Sul tema la sentenza della Cassazione n. 3775/20, depositata il 28 gennaio. Il caso. Il Tribunale, in funzione di giudice dell’esecuzione, dichiarava inammissibile l’istanza avanzata nell’interesse dal condannato, volta ad ottenere l’applicazione del criterio moderatore ex art. 78 c.p., in relazione alla sentenza della Corte d’Appello, di riforma soltanto per il trattamento sanzionatorio rispetto a quella di primo grado. Tale ultima sentenza non era stata compresa nel provvedimento di cumulo emesso dalla Procura generale della Corte d’appello. Avverso la decisione propone ricorso in Cassazione il condannato a mezzo del proprio difensore, chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato, essendo stata preclusa al condannato la possibilità di ottenere un vaglio di legittimità Del computo delle pene detentive da espiare, perché unilateralmente determinata dal Pubblico ministero, senza che si sia tenuto conto della necessità di procedere all’applicazione degli art. 73 e 78 c.p., come già disposto in relazione alle sentenze relative ai delitti commessi nello stesso periodo. Principio. La Cassazione, ritenendo fondato il motivo, osserva che il giudice dell’esecuzione ha dichiarato inammissibile l’istanza avanzata nell’interesse del condannato, volta ad ottenere l’applicazione dei criteri moderatori ex artt. 73 e 78 c.p. in relazione alla sentenza della Corte d’Appello, per cui il Pm aveva emesso l’ordine di carcerazione. Nella richiesta veniva inoltre evidenziato che per le altre sentenza concernenti reati commessi nello stesso periodo di tempo era stato applicato il criterio moderatore, pertanto se ne domandava l’applicazione anche in relazione a tale ultima sentenza. Osservano i Giudici che il giudice dell’esecuzione ha errato ove ha dichiarato de plano l’inammissibilità dell’istanza perché rivolta direttamente al giudice dell’esecuzione anziché al PM. Alla luce di ciò, la Cassazione afferma il seguente principio di diritto il codice di procedura penale, pur avendo adottato il principio della piena giurisdizionalizzazione del procedimento esecutivo – il quale ha come presupposto inscindibile l’intervento del giudice dell’esecuzione-, ha tuttavia lasciato inalterato il carattere meramente amministrativo e non giurisdizionale al provvedimento di esecuzione e di cumulo emesso dal Pubblico ministero ex artt. 656 e 663 c.p.p Ne consegue che, ferma restando la revocabilità o rimozione ufficiosa dell’atto da parte del medesimo organo competente a emetterlo, al fine di tenere costantemente aggiornata e corretta la posizione processuale del condannato, il giudice dell’esecuzione, il cui intervento può essere richiesto dal condannato senza limiti di tempo, deve procedere ex art. 665 c.p.p. all’esame delle doglianze del condannato che attengono al corretto esercizio del ridetto potere del Pubblico Ministero . Chiarito ciò, il decreto va annullato con rinvio al Tribunale affinché proceda ad un nuovo esame dell’istanza del condannato.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 17 gennaio 2020 – 29 gennaio 2020, n. 3775 Presidente Rocchi – Relatore Aprile Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di Tivoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, dichiarava inammissibile l’istanza avanzata nell’interesse di C.M. volta ad ottenere l’applicazione del criterio moderatore di cui all’art. 78 c.p. in relazione alla sentenza della Corte d’appello di Roma del 12 dicembre 2017 irrevocabile il 4 aprile 2019 di riforma soltanto per il trattamento sanzionatorio della sentenza del Tribunale di Tivoli del 9 dicembre 2010 fatto del , in relazione al quale era stato emesso l’ordine di carcerazione n. 134/2019 SIEP da parte del Pubblico ministero di Tivoli in data 17 aprile 2019, con le altre sentenze già inserite nel provvedimento di cumulo emesso dalla Procura generale della Corte d’appello di Roma in data 15 maggio 2019 n. 599/2019, atto che non ricomprendeva tale ultima sentenza. 2. Ricorre C.M. , a mezzo del difensore avv. Antonio Stellato, che chiede l’annullamento del provvedimento impugnato, denunciando la violazione di legge e il vizio della motivazione per essere stata preclusa al condannato la possibilità di ottenere un vaglio di legittimità del computo delle pene detentive da espiare, perché unilateralmente determinata dal Pubblico mistero, senza che si sia tenuto conto della necessità di procedere all’applicazione degli artt. 73 e 78 c.p., come già disposta con ordinanza della Corte d’appello di Roma del 20 febbraio 2018 in relazione alle sentenze relative ai delitti commessi nello stesso periodo. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato per le ragioni che saranno esposte. 1.1. Il giudice dell’esecuzione ha dichiarato inammissibile con procedura de plano, a norma dell’art. 666 c.p.p., comma 2, l’istanza avanzata in data 12/6/2019 nell’interesse del condannato volta a ottenere l’applicazione dei criteri moderatori di cui agli artt. 73 e 78 c.p. in relazione alla sentenza della Corte d’appello di Roma del 12 dicembre 2017, irrevocabile il 4 aprile 2019, per la quale il Pubblico ministero di Tivoli aveva emesso l’ordine di carcerazione in data 17 aprile 2019. Nell’istanza avanzata nell’interesse del condannato veniva, tra l’altro, evidenziato che per altre sentenze concernenti reati commessi nello stesso periodo di tempo era stato applicato il sopra citato criterio moderatore, sicché se ne richiedeva la applicazione anche in relazione a tale ultima sentenza. Il giudice dell’esecuzione, ricevuta la istanza, l’inviava in data 26/6/2019 al Pubblico ministero per il parere il Pubblico ministero concludeva in pari data per il rigetto, facendo presente che era stato correttamente applicato il criterio moderatore di cui all’art. 78 c.p. nel provvedimento di cumulo emesso dalla Procura generale di Roma e che la nuova sentenza non risulta ancora in esecuzione , evidenziando comunque la competenza della Corte d’appello di Roma e la contestuale trasmissione degli atti alla Procura generale presso detto ufficio. 2. Va anzitutto evidenziato che non è in discussione la competenza del giudice dell’esecuzione di Tivoli posto che, come il medesimo provvedimento evidenzia, la sentenza della Corte d’appello di Roma del 12 dicembre 2017 riguarda la riforma soltanto in relazione al trattamento sanzionatorio della sentenza del Tribunale di Tivoli del 9 dicembre 2012 e che si tratta dell’ultimo provvedimento divenuto esecutivo. 2.1. Ciò premesso, il giudice dell’esecuzione di Tivoli ha errato nell’applicazione della legge processuale quando ha dichiarato de plano l’inammissibilità dell’istanza perché rivolta direttamente al giudice dell’esecuzione anziché al Pubblico ministero il quale sarebbe l’unico soggetto competente, quale organo amministrativo, alla determinazione delle pene da espiare a norma dell’art. 663 c.p.p. Sez. 1, n. 36236 del 23/09/2010, Zagami, Rv. 248298 . 3. Il decreto impugnato va annullato perché il giudice dell’esecuzione non ha correttamente inteso il principio di diritto che ha voluto richiamare e che si trova così riportato nelle massime ufficiali della Suprema Corte il provvedimento di cumulo, emesso a norma dell’art. 663 c.p.p., ha natura amministrativa e non giurisdizionale e, pertanto, è suscettibile di essere revocato o rimosso, al fine di tenere costantemente aggiornata la posizione processuale del condannato, e non diventa mai definitivo, salvo che su di esso si sia pronunciato il giudice dell’esecuzione, il cui intervento può essere richiesto dal condannato senza limiti di tempo Sez. 1, n. 36236 del 23/09/2010, Zagami, Rv. 248298 principio recentemente ribadito da Sez. 1, n. 26321 del 27/05/2019, Pg in proced. Pantellaro, Rv. 276488 in precedenza Sez. 1, n. 9708 del 09/01/2007, Facella, Rv. 236240 . Detto principio, costantemente ribadito per confermare la natura non giurisdizionale dell’attività svolta dal Pubblico ministero ex art. 663 c.p.p., si poggia, in effetti, su un più ampio percorso logico giuridico che valorizza il ruolo del giudice dell’esecuzione, così definendo la svolta giurisdizionale compiuta dal nuovo codice di procedura penale per ciò che riguarda il procedimento di esecuzione. In effetti, la giurisprudenza che si è occupata della questione immediatamente dopo l’entrata in vigore del codice del 1989 ha affermato che il nuovo codice di procedura penale pur avendo adottato il principio della piena giurisdizionalizzazione del procedimento esecutivo - il quale ha come presupposto inscindibile l’intervento del giudice dell’esecuzione, - ha tuttavia lasciato inalterato il carattere meramente amministrativo e non giurisdizionale che la giurisprudenza aveva, in passato, costantemente riconosciuto al provvedimento di cumulo emesso dal pubblico ministero ex art. 582 c.p.p. del 1930. Ne consegue che si può continuare a ritenere che si tratta di un provvedimento - qualunque sia l’organo del pubblico ministero competente ad emanarlo ai sensi dell’art. 663, comma 2 in relazione all’art. 665 nuovo c.p.p., comma 4 - suscettibile d’essere revocato o rimosso da parte del medesimo organo al fine di tenere costantemente aggiornata la posizione processuale del condannato, che, come tale, non diventa mai definitivo, salvo che su di esso si sia pronunciato il giudice dell’esecuzione il cui intervento può essere richiesto dal condannato senza limiti di tempo Sez. 1, n. 429 del 20/02/1990, Ruta, Rv. 183670 . 3.1. Ora, la circostanza che il condannato, ricevuto l’ordine di carcerazione che non conteneva alcuna indicazione sull’applicazione del principio moderatore di cui all’art. 78 c.p., abbia inteso proporre direttamente l’incidente d’esecuzione, senza sollecitare una rimeditazione del provvedimento da parte del Pubblico ministero, non costituisce affatto una violazione delle regole processuali da cui possa trarsi la declaratoria di inammissibilità dell’istanza perché estranea all’ambito giurisdizionale, trattandosi piuttosto della normale e coerente attivazione dei rimedi giurisdizionali avverso il provvedimento, avente natura amministrativa, emesso dal Pubblico ministero a norma dell’art. 656 c.p.p. che, a giudizio del ricorrente, violerebbe il disposto dell’art. 78 c.p A fronte di tale specifica censura, contenuta nell’incidente di esecuzione, il giudice dell’esecuzione non poteva limitarsi a pronunciare il non liquet poiché la domanda, contrariamente a quanto da esso ritenuto, rientra proprio nelle sue competenze sicché doveva procedere a sindacare il provvedimento di carcerazione emesso dal Pubblico ministero che si assumeva viziato sotto il profilo dell’art. 78 c.p Non si può di certo pretendere che, di fronte a un atto amministrativo destinato a incidere sul diritto soggettivo della libertà personale, il condannato sia costretto a sollecitarne la rimeditazione da parte del Pubblico Ministero, anziché impugnarlo direttamente davanti all’autorità giudiziaria competente chiamata a decidere nel contraddittorio pieno ex art. 666 c.p.p., comma 3. 3.2. Deve in proposito affermarsi il seguente principio di diritto il codice di procedura penale, pur avendo adottato il principio della piena giurisdizionalizzazione del procedimento esecutivo - il quale ha come presupposto inscindibile l’intervento del giudice dell’esecuzione -, ha tuttavia lasciato inalterato il carattere meramente amministrativo e non giurisdizionale al provvedimento di esecuzione e di cumulo emesso dal Pubblico ministero ex artt. 656 e 663 c.p.p Ne consegue che, ferma restando la revocabilità o rimozione ufficiosa dell’atto da parte del medesimo organo competente a emetterlo, al fine di tenere costantemente aggiornata e corretta la posizione processuale del condannato, il giudice dell’esecuzione, il cui intervento può essere richiesto dal condannato senza limiti di tempo, deve procedere ex art. 665 c.p.p. all’esame delle doglianze del condannato che attengono al corretto esercizio del ridetto potere del Pubblico ministero . 3.3. Il decreto impugnato va, pertanto, annullato con rinvio al Tribunale di Tivoli perché, fissata l’udienza camerale, proceda a nuovo esame dell’istanza del condannato. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Tivoli.