Il “sistema binario” d’impugnazione della sentenza di patteggiamento

È ammissibile il ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., con riferimento alle misure di sicurezza, personali o patrimoniali, che non abbiano formato oggetto dell’accordo fra le parti.

Lo ha chiarito la Cassazione con sentenza n. 3516/20 depositata il 28 gennaio. Il caso. L’imputato, condannato per il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990 e per resistenza a pubblico ufficiale, ricorre per cassazione lamentando, in particolare, la disposta confisca della somma di 195 euro, evidenziando come tale somma non costituisca in realtà profitto del reato. Sistema binario” d’impugnazione. Nell’esaminare il motivo di ricorso, la Cassazione ritiene di dover rilevare quanto stabilito di recente dalle Sezioni Unite circa l’ammissibilità del ricorso per cassazione avverso le statuizioni concernenti le misure di sicurezza e le sanzioni amministrative accessorie contenute nella sentenza di patteggiamento, alla luce dei limiti di impugnabilità previsti all’art. 448, comma 2- bis , c.p.p A tal proposito, è stato affermato il principio secondo cui è ammissibile il ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., con riferimento alle misure di sicurezza, personali o patrimoniali, che non abbiano formato oggetto dell’accordo delle parti . Da tale arresto si evince il discrimen tra il regime dell’impugnazione della sentenza di applicazione della pena in relazione alle statuizioni interne al patto, che recepiscono l’accordo negoziale presupposto dal provvedimento, e le statuizioni esterne, rispetto alle quali non vi è stato alcun accordo o alcuna espressa rinuncia, quali quelle concernenti le sanzioni amministrative accessorie e le misure di sicurezza, personali o patrimoniali, venendosi così a creare un sistema binario d’impugnazione. Rispetto alle statuizioni interne, la sentenza di patteggiamento è impugnabile negli stretti limiti di cui all’art. 448, comma 2- bis , c.p.p., rispetto a quelle esterne occorre assicurare piena tutela al diritto di difesa, consentendo il ricorso per cassazione ordinario ex art. 606 c.p.p. Nel caso in esame, in applicazione del principio sopra esposto, la Cassazione dichiara l’ammissibilità dello scrutinio sulla questione sottoposta dal ricorrente e afferma la fondatezza della violazione di legge da lui eccepita in merito alla confisca della somma sequestrata all’atto di arresto.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 18 dicembre 2019 – 28 gennaio 2020, n. 3516 Presidente Tronci – Relatore Bassi Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento in epigrafe, il Tribunale di Genova ha applicato nei confronti di M.M. , su sua richiesta, la pena di mesi dieci di reclusione in relazione alla violazione del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, ed al delitto di resistenza a pubblico ufficiale, ritenuto reato più grave ex art. 81 c.p., disponendo altresì la confisca della somma di 195 Euro, trovata in possesso del ricorrente all’atto dell’arresto. 2. A sostegno del ricorso, negli atti separati presentati dai due difensori di fiducia, M.M. deduce, con il primo motivo, la mancanza di motivazione in ordine alla congruità della pena-base e dell’aumento per la continuazione con il secondo motivo, la violazione di legge e la mancanza di motivazione quanto all’individuazione del reato di resistenza a pubblico ufficiale come violazione più grave con il terzo motivo, la violazione di legge in relazione alla disposta confisca della somma di 195 Euro, evidenziando come essa non può ritenersi costituire profitto del reato, avendo la contestazione ad oggetto la cessione di una dose di crack per il controvalore di 20 Euro ed avendo il Tribunale disposto l’ablazione sulla scorta di una valutazione espressa in termini di mera verosimiglianza circa la natura di provento di illecita attività . Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato con limitato riguardo al motivo concernente la disposta confisca, mentre deve essere dichiarato inammissibile nel resto. 2. Mette conto di rammentare come, secondo quanto dispone l’art. 448 c.p.p., comma 2-bis come novellato dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, comma 50 , Il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza . 2.1. Ne discende l’inammissibilità dei due primi motivi con i quali il ricorrente censura la motivazione della sentenza con riguardo alla determinazione della pena ed alla individuazione della violazione più grave ai fini dell’art. 81 c.p., comma 2. 2.2. Nè v’è materia per alcuna violazione di legge in relazione all’individuazione della violazione più grave ai fini della continuazione là dove, tenuto conto delle pene comminate dalla legge in relazione alle due contestazioni, non è revocabile in dubbio la maggiore gravità del reato di resistenza. L’art. 337 c.p. è difatti punito con la pena da sei mesi a cinque anni di reclusione, mentre l’ipotesi di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, è sanzionata con la pena da sei mesi a quattro anni di reclusione, oltre alla pena pecuniaria. 3. Come anticipato, risulta di contro fondato il terzo motivo in tema di confisca. 3.1. Occorre premettere come, di recente, le Sezioni Unite di questa Corte di cassazione siano state chiamate a sciogliere due questioni concernenti l’ammissibilità del ricorso per cassazione avverso le statuizioni concernenti le misure di sicurezza e le sanzioni amministrative accessorie contenute nella sentenza di patteggiamento, alla luce dei limiti all’impugnabilità di tale tipologia di decisione introdotti nell’art. 448 c.p.p., comma 2-bis. Le questioni sono state entrambe decise dal più ampio consesso di questa Corte nell’udienza in camera di consiglio del 26 settembre 2019. Secondo l’informazione provvisoria di decisione diffusa all’esito della decisione, in relazione al quesito se l’art. 448 c.p.p., comma 2 bis, come introdotto dalla L. n. 103 del 2017, art. 1, comma 50, osti all’ammissibilità del ricorso per cassazione contro la sentenza di applicazione di pena con la quale si deduce il vizio di motivazione in ordine all’applicazione di misura di sicurezza, personale o patrimoniale Sez. 6, ord. n. 17770 del 16/01/2019, ric. Savin ed altri , le Sezioni Unite - su conclusioni conformi del Procuratore generale presso la Corte di cassazione - hanno dato soluzione affermativa, sancendo il principio secondo cui è ammissibile il ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., con riferimento alle misure di sicurezza, personali o patrimoniali, che non abbiano formato oggetto dell’accordo delle parti . Le Sezioni Unite risultano dunque avere recepito l’impostazione seguita nell’ordinanza di rimessione secondo cui, preso atto del disposto dell’art. 448 c.p.p., comma 2-bis, si è distinta la situazione nella quale la misura di sicurezza - personale o patrimoniale - abbia formato oggetto del patto fra le parti da quella in cui detta statuizione ne sia invece estranea, in quanto applicata dal giudice giusta previsione di legge, evidenziando che - ove le parti inseriscano nel patto accidentalia negotii appunto concernenti le misure di sicurezza -, la sentenza con cui il giudice recepisce l’accordo è impugnabile solo nei limiti previsti dall’art. 448, comma 2-bis, mentre - nelle ipotesi in cui il giudice disponga una misura di sicurezza, patrimoniale e personale, sulla quale le parti non abbiano convenuto nulla - il potere di impugnazione non può non ricomprendere anche il sindacato sulla motivazione del provvedimento secondo la norma generale di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1. Come notato dalla Sezione remittente, la sentenza di applicazione di pena che recepisca un accordo a contenuto complesso in cui le parti hanno concordato anche l’applicazione della misura di sicurezza esonera il giudice da un onere motivazionale specifico sul punto ed è dunque impugnabile nei limiti di cui all’art. 448 c.p.p., comma 2-bis, mentre la sentenza di patteggiamento nella quale il giudice applichi una misura di sicurezza non concordata ha l’obbligo di motivare specificamente sul punto e la decisione risulta pertanto impugnabile con il ricorso per cassazione anche per vizio di motivazione. 3.2. Secondo la linea ermeneutica quale si evince dall’informazione provvisoria, le Sezioni Unite risultano avere dunque tracciato un discrimen fra il regime dell’impugnazione della sentenza di applicazione della pena in relazione alle statuizioni interne al patto, cioè che recepiscono l’accordo negoziale presupposto dal provvedimento - relative alla definizione giuridica del fatto, all’individuazione delle circostanze e al relativo giudizio di bilanciamento, nonché alla quantificazione della pena - ed alle statuizioni esterne al patto, cioè rispetto alle quali non vi sia stato alcun accordo o alcuna espressa rinuncia, quali le decisioni in ordine alle sanzioni amministrative accessorie anch’esse riportabili al concetto di pena e alle misure di sicurezza, personali o patrimoniali. Quanto alle prime statuizioni interne al patto , la sentenza di patteggiamento è impugnabile negli stretti limiti di cui all’art. 448 c.p.p., comma 2-bis, avendo le parti raggiunto un accordo su taluni punti, con un rilevante sconto di pena e con contestuale preventiva accettazione - quanto alle statuizioni pattizie - del regime impugnatorio e quindi degli stretti limiti imposti dall’indicata norma, con conseguente preclusione allo scrutinio sulla motivazione posta a base delle statuizioni, sempre salva la possibilità di impugnare in caso di misura di sicurezza illegale. Quanto alle seconde statuizioni esterne al patto , una lettura costituzionalmente orientata della norma impone di assicurare piena tutela al diritto di difesa e quindi di consentire il ricorso per cassazione ordinario ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comprensivo anche della possibilità di dedurre il vizio di motivazione. Ne deriva un sistema binario d’impugnazione avverso la sentenza di applicazione della pena, a seconda se si tratti di statuizioni interne o esterne all’accordo fra le parti. 4. Tenuto conto del principio di diritto anticipato nell’informazione provvisoria dalle Sezioni Unite e passando alla disamina del caso di specie, risulta pienamente ammissibile lo scrutinio di questa Corte in ordine alla statuizione concernente la misura di sicurezza patrimoniale della confisca, in quanto non costituente oggetto dell’accordo fra le parti id est esterna al patto e pertanto sindacabile nei termini di cui all’art. 606 c.p.p., dunque anche in relazione al vizio di motivazione. 4.1. Ne discende l’ammissibilità e la fondatezza dell’eccepita violazione di legge in relazione alla disposta confisca della somma sequestrata all’imputato all’atto dell’arresto. Ed invero, M. è imputato del reato di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, per avere ceduto una dose di crack per il controvalore di 20 Euro. Risulta evidente come, in relazione ai restanti 175 Euro, faccia difetto il nesso di pertinenzialità fra res e delitto, d’altronde ritenuto sussistente dal giudice a quo sulla scorta di una motivazione del tutto evanescente. Nè d’altronde vi sarebbe materia per giustificare la confisca in casi particolari , essendo il delitto di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, estraneo al novero dei reati-presupposto dell’istituto di cui all’art. 240-bis c.p P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata con riferimento alla statuizione di confisca limitatamente all’importo di 175 Euro di cui dispone la restituzione all’avente diritto dichiara inammissibile nel resto il ricorso.