Nessun dubbio sulla responsabilità della donna finita sotto processo. Evidente il fastidio da lei arrecato alla conoscente, che ha subito un danno morale connesso al turbamento della sua tranquillità e che ora percepirà 2mila euro come risarcimento.
Prendere di mira una – poco amata - conoscente e recarsi quasi ogni sera a colpire la persiana in legno della sua abitazione, giusto per darle fastidio, vale una condanna penale. Esemplare la decisione, confermata ora dai giudici del ‘Palazzaccio’, con cui una donna è stata ritenuta colpevole di “molestia”, con annesso obbligo di versare 2mila euro alla persona offesa a mo’ di risarcimento Cassazione, sentenza numero 3259/20, sez. I Penale, depositata oggi . Colpi. Scenario dell’assurda vicenda è la provincia di Trapani. Lì finiscono sotto i riflettori i rapporti, non proprio idilliaci, tra due donne, entrambe originarie della Romania. A perdere la testa è Giada – nome di fantasia – che pensa di trovare soddisfazione nell’arrecare fastidio alla – poco amata – connazionale. Così, prima incide una croce sulla persiana dell’abitazione di Paola – nome di fantasia –, e poi decide di recarsi quasi ogni sera alla porta di quella stessa casa, giusto per poter dare qualche ripetuto colpo sulla persiana già sfregiata. I fastidiosi episodi serali si ripetono con una frequenza che inquieta Paola, spingendola ad adire le vie legali. E così la tensione tra le due donne diventa un caso giudiziario, chiuso in secondo grado con la condanna di Giada, che, contrariamente a quanto deciso dal Tribunale, viene ritenuta colpevole di “condotta molesta” nei confronti di Paola. Turbamento. A confermare la decisione dei giudici di secondo grado provvede ora la Cassazione, rendendo definitiva la condanna di Giada, obbligata anche a versare a Paola 2mila euro a titolo di risarcimento. Decisivo l’elemento probatorio rappresentato dai video registrati dalla telecamera di sorveglianza che Paola aveva installato sulla propria casa. Per i Giudici, però, ciò che conta è “la ripetitività della condotta molesta” messa in pratica da Giada, e che ha provocato il “danno morale” lamentato da Paola e costituito dal “turbamento della sua tranquillità” anche “in orario serale”.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 10 dicembre 2019 – 27 gennaio 2020, numero 3259 Presidente Tardio – Relatore Binenti Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Palermo, con la sentenza indicata in epigrafe, riformando quella di assoluzione resa in primo grado e appellata dalla parte civile Da. Ma. Br., riteneva Anumero Lu. responsabile ai soli effetti civili della condotta prevista dall'articolo 660 cod. penumero commessa in Trapani in data antecedente e prossima al 2 maggio 2014 e al 24 maggio 2014 , condannandola al risarcimento del danno in favore di detta parte civile che liquidava in Euro duemila. 2. I giudici di secondo grado rilevavano che la prova della responsabilità poteva desumersi dalle dichiarazioni di Da. Ma. Br. nuovamente esaminata nel giudizio di appello , risultando da esse che Anumero Lu. non solo aveva inciso una croce sulla persiana in legno dell'abitazione di Da. Ma. Br., ma anche aveva in più occasioni battuto, in orario serale, diversi colpi sulla medesima persiana, così da porre in essere una condotta molesta - di certo non occasionale - idonea a realizzare il reato di cui all'articolo 660 cod. penumero 3. Propone ricorso per cassazione l'imputata, a mezzo del difensore, lamentando violazione degli articolo 660, 185 cod. penumero e 192 cod. proc. penumero Rileva che le dichiarazioni di Da. Ma. Br. non sono state verificate con il dovuto rigore considerando la sua posizione di persona offesa costituita parte civile e le difficoltà espressive dimostrate nel corso della sua audizione. La teste non aveva affermato di aver visto l'imputata battere i colpi la sera sulla persiana né le fotografie prodotte potevano dimostrare che i danni presenti nella suddetta persiana dovuti a incisioni fossero stati cagionati dall'imputata. Sicché, non avrebbero potuto ravvisarsi gli estremi del reato di cui all'articolo 660 cod. penumero , né il danno per il quale era stato disposto il risarcimento danno comunque non quantificabile nello sproporzionato importo fissato tenendo conto dell'individuazione di patimenti non associabili al graffio subito dalla persiana. Considerato in diritto 1. Il ricorso va dichiarato inammissibile per le ragioni di seguito illustrate. 2. Nessuna delle doglianze si misura adeguatamente con il contenuto della motivazione. Essa innanzitutto non trascura la particolare posizione assunta da Br. in quanto parte civile, dando infatti conto dell'espletamento di un particolare vaglio della attendibilità, oltre che della lettura dei contenuti dichiarativi considerando le difficoltà espressive in lingua italiana. Nessun rilievo specifico sconfessa la motivazione sul punto. Inoltre, la precisa esposizione della ricostruzione della teste pone chiaramente in evidenza che la stessa ha continuato a riferire di non avere sorpreso l'imputata mentre in più occasioni in orario serale sferrava i colpi alla sua finestra. Si rileva invece che la Br. ha specificato di avere potuto ugualmente vedere detti gesti molesti della Lu. grazie alle immagini della telecamera che aveva appositamente installato. E anche sotto questo profilo le censure non si confrontano con le spiegazioni intervenute, fermandosi a considerare unicamente la mancanza dell'immediata osservazione della condotta. Proprio da tale erroneo approccio dipende la negazione - in forza di considerazioni tutte assolutamente generiche - della ripetitività della condotta di natura molesta, della conseguente integrazione del fatto costituente reato e della stessa sussistenza e significatività del danno. Né si considera, con riferimento alla quantificazione di tale danno, che l'indicazione di quello morale appare posta in rapporto a patimenti dovuti non semplicemente all'incisione della croce nella persiana avente effetti in sé sulla cosa , ma al turbamento della tranquillità della parte civile che si protraeva in orario serale. Risulta, pertanto, con tutta evidenza l'aspecificità e, comunque, la manifesta infondatezza di tutti i rilievi che vengono posti a fondamento del ricorso. 3. Dalla conseguente dichiarazione di inammissibilità del ricorso deriva la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, considerati i profili di colpa, della somma determinata in Euro tremila in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila Euro alla cassa delle ammende.