Il giudice può accertare lo stato di mal conservazione degli alimenti anche senza analisi di laboratorio

Ai fini della configurabilità del reato di cui all’articolo 5, lett.b , l. n. 283/62, il cattivo stato di conservazione degli alimenti – che il giudice può accertare pure in assenza di analisi di laboratorio mediante il ricorso ad altri elementi di prova – deve intendersi realizzato nel caso di evidente inosservanza di cautele igieniche e tecniche necessarie ad assicurare che le sostanze alimentari si mantengano in condizioni adeguate, prodromiche alla successiva vendita.

La Corte di Cassazione, con la pronuncia numero 2690/2020, depositata il 23 gennaio u.s., si pronuncia in tema di violazione in tema di conservazione degli alimenti destinati alla vendita. Il fatto. Il Tribunale di Benevento condannava alla pena dell’ammenda un soggetto accusato del reato di cui all’articolo 5, comma 1, lett.b e 6 legge 283/1962, perché, in qualità di amministratore di un esercizio commerciale, deteneva – ai fini della vendita – 3 chilogrammi di funghi congelati/surgelati in cattivo stato di conservazione, in quanto si presentavano scuri e molli al tatto in un unico blocco congelato. Avverso siffatta pronuncia la difesa ha proposto appello, poi convertito in ricorso per Cassazione, ove viene lumeggiata una grave lacuna probatoria in ragione della mancata sottoposizione ad analisi chimica del prodotto congelato e – presuntivamente – mal conservato. Il ricorso è inammissibile. I Giudici di Legittimità della Terza Sezione non possono accogliere le doglianze difensive per la manifesta infondatezza delle questioni sollevate, tanto da dover dichiarare l’inammissibilità del gravame proposto. In particolare, con la sentenza in disamina, gli Ermellini rammentano che la contravvenzione contestata all’imputato vieta l’impiego nella produzione, vendita, detenzione per la vendita, somministrazione o, comunque, distribuzione per il consumo di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione. Ciò posto, viene richiamato un importante precedente delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione sentenza numero 443/2001 , a tenore del quale ai fini della configurabilità del reato non v’è la necessità di un cattivo stato di conservazione riferito alle caratteristiche intrinseche delle sostanze alimentari, essendo sufficiente che esso concerna le modalità estrinseche con cui si realizza, che debbono uniformarsi alle prescrizioni normative, se sussistenti, ovvero, in caso contrario, a regole di comune esperienza. Non sono necessarie, pertanto, analisi di laboratorio o perizie, giacchè l’Organo Decidente può fondare il proprio giudizio di penale responsabilità del soggetto agente anche sulla scorta di altri elementi probatori, tra cui, come nel caso di specie, la testimonianza degli addetti ai controlli ispettivi. Con la pronuncia in commento, viene ribadito, quindi, il principio secondo cui ai fini della configurabilità del reato di cui all’articolo 5, lett.b legge 283/62, il cattivo stato di conservazione degli alimenti – che il giudice può accertare pure in assenza di analisi di laboratorio mediante il ricorso ad altri elementi di prova – deve intendersi realizzato nel caso di evidente inosservanza di cautele igieniche e tecniche necessarie ad assicurare che e sostanze alimentari si mantengano in condizioni adeguata prodromiche alla successiva vendita. Pertanto, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende e alle spese del procedimento.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 6 dicembre 2019 – 23 gennaio 2020, n. 2690 Presidente Sarno – Relatore Ramacci Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Benevento, con sentenza del 12 marzo 2018 ha affermato la penale responsabilità di B.G.G. , che ha condannato alla pena dell’ammenda, per il reato di cui alla L. n. 283 del 1962, art. 5, comma 1, lett. b e art. 6 perché, in qualità di amministratore unico della ditta commerciale Telesina s.r.l. , deteneva per vendere 3 chilogrammi di funghi congelati/surgelati in cattivo stato di conservazione, in quanto si presentavano scuri e molli al tatto in un unico blocco congelato in omissis . Avverso tale pronuncia il predetto ha proposto appello convertito in ricorso per Cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p 2. Con un primo motivo di impugnazione, deduce la nullità della sentenza impugnata per non avere il giudice ammesso l’imputato all’oblazione, tempestivamente richiesta all’udienza del 15 gennaio 2018. Osserva, a tale proposito, di essere stato rimesso in termini per l’opposizione al decreto penale di condanna emesso nei suoi confronti per i fatti oggetto di imputazione e di avere evidenziato, già nella richiesta di rimessione in termini, la propria volontà di avanzare domanda di oblazione. Aggiunge che il provvedimento di restituzione nel termine per proporre opposizione non gli veniva notificato, diversamente dal decreto di giudizio immediato per l’udienza del 16 gennaio 2017, poi rinviata senza espletare le formalità di apertura del dibattimento e che, alla successiva udienza del 15 gennaio 2018, il difensore evidenziava al giudice la sussistenza della domanda di oblazione e, ciò nonostante, questi procedeva oltre, definendo il giudizio. Rileva che, non essendo mai stato notificato il provvedimento di restituzione in termini, disponendo direttamente il giudizio immediato, egli avrebbe potuto avanzare istanza di oblazione anche nel corso del giudizio di opposizione e che, diversamente, il Tribunale avrebbe dovuto rimettere gli atti all’ufficio del GIP, il quale avrebbe dovuto disporre la notifica del provvedimento di restituzione in termini, dando così all’imputato la possibilità di avanzare domanda di oblazione. 3. Con un secondo motivo di impugnazione deduce che la conservazione dei funghi era stata effettuata a norma del D.P.R. n. 376 del 1995 e che il colore scuro e la consistenza riscontrata all’atto del controllo sarebbe dovuta al trattamento preventivo previsto dal regolamento e non anche alle modalità di conservazione. Aggiunge che, nel caso specifico, i verbalizzanti avrebbero dovuto comunque procedere un prelievo di campioni ed all’analisi degli stessi al fine di verificare non tanto la nocività, quanto, piuttosto, se le condizioni degli alimenti erano dovute al trattamento preventivo previsto dal citato D.P.R. n. 376 del 1995, art. 9, comma 4 a nulla rilevando, ai fini della valutazione dell’effettivo stato di conservazione, l’aspetto esteriore dell’alimento. Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Occorre rilevare, con riferimento al primo motivo di impugnazione, che l’art. 464 c.p.p., comma 2 stabilisce che il giudice, se è presentata domanda di oblazione contestuale all’opposizione, decide sulla domanda stessa prima di emettere i provvedimenti a norma del comma 1, mentre il successivo comma 3 prevede che nel giudizio conseguente all’opposizione, l’imputato non possa, tra l’altro, presentare domanda di oblazione. Ciò posto, si osserva che, dalla sentenza impugnata, risulta che si è proceduto a giudizio immediato a seguito di opposizione a decreto penale, senza nulla specificare riguardo alla domanda di oblazione ed alla precedente rimessione in termini. Nell’atto di impugnazione, invece, la difesa dell’imputato prospetta quanto indicato in premessa, senza tuttavia specificare esattamente quando ed in quali specifici termini sarebbe stata presentata la domanda di oblazione. Invero, si afferma nell’atto di impugnazione che l’imputato, se avesse avuto conoscenza del decreto penale, avrebbe certamente proposto opposizione, con eventuale contestuale richiesta di oblazione e che, nella proposizione della istanza di restituzione in termine aveva anticipato la propria volontà di avanzare domanda di oblazione . In seguito, si afferma che la difesa avrebbe evidenziato al giudice, all’udienza del 15 gennaio 2018, la sussistenza della domanda di oblazione . 3. La censura, come è dato rilevare dalla mera lettura, risulta sollevata in maniera vaga e contraddittoria, poiché dapprima si evidenzia la mera eventualità e volontà di presentare istanza di oblazione per poi sostenere implicitamente la sussistenza di una formale istanza, senza tuttavia specificarne gli estremi, lamentando che il giudice del merito non ne avrebbe tenuto conto. Tale evenienza evidenzia, di per sé, l’inammissibilità del motivo di ricorso. In ogni caso, deve rilevarsi che dall’esame degli atti, non precluso a questa Corte in ragione della natura processuale della censura, emerge che nella richiesta di restituzione in termini del 2/9/2015 viene fatto un generico riferimento all’oblazione nei contenuti testuali dianzi descritti. La richiesta è stata accolta dal GIP, che l’ha considerata anche come sostanziale opposizione . L’udienza di trattazione conseguentemente fissata ha poi subito due rinvii per impedimento dell’imputato e per astensione dalle udienze e, dai relativi verbali, non risulta alcun riferimento all’oblazione. All’udienza del 15/1/2018, come emerge dalla trascrizione della fonoregistrazione, la difesa formula istanza di oblazione ed il giudice replica chiedendo al difensore se fosse in possesso di procura speciale. Questi risponde affermando di non esserne in possesso e che, nella opposizione tardiva , vi aveva fatto cenno e che però gli era sfuggito di farsi integrare il mandato . Come emerge dunque anche dall’esame degli atti, nessuna formale richiesta di oblazione è stata proposta, avendo la difesa, non in possesso della necessaria procura speciale, rappresentato soltanto la eventualità di presentarla, dimostrandosi peraltro ben consapevole del fatto che la richiesta avrebbe dovuto essere formulata contestualmente all’opposizione. 4. Anche il secondo motivo di ricorso risulta manifestamente infondato. Va ricordato che, come è noto, la contravvenzione in esame vieta l’impiego nella produzione, vendita, detenzione per la vendita, somministrazione o, comunque, distribuzione per il consumo, di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione. Secondo le Sezioni Unite di questa Corte Sez. U, n. 443 del 19/12/2001 dep. 2002 , Butti e altro, Rv. 220717 si tratta di un reato di danno, perché la disposizione è finalizzata non tanto a prevenire mutazioni che, nelle altre parti della L. n. 283 del 1962, art. 5 sono prese in considerazione come evento dannoso, quanto, piuttosto, a perseguire un autonomo fine di benessere, assicurando una protezione immediata all’interesse del consumatore affinché il prodotto giunga al consumo con le cure igieniche imposte dalla sua natura. Conseguentemente, si è escluso che la contravvenzione si inserisca nella previsione di una progressione criminosa che contempla fatti gradualmente più gravi in relazione alle successive lettere indicate dall’art. 5, perché, rispetto ad essi, è figura autonoma di reato, cosicché, ove ne ricorrano le condizioni, può anche configurarsi il concorso in senso conforme, Sez. 3, n. 37858 del 4/4/2017, Martiniello, Rv. 271045 Sez. 3, n. 35234 del 28/6/2007, Lepori, Rv. 237518, difforme Sez. 3, n. 2649 del 16/12/2003 dep. 2004 , Gargelli, Rv. 226874 . Le Sezioni Unite, sempre nella decisione in precedenza richiamata, hanno anche precisato che, ai fini della configurabilità del reato, non vi è la necessità di un cattivo stato di conservazione riferito alle caratteristiche intrinseche delle sostanze alimentari, essendo sufficiente che esso concerna le modalità estrinseche con cui si realizza, che devono uniformarsi alle prescrizioni normative, se sussistenti, ovvero, in caso contrario, a regole di comune esperienza conf. Sez. 3, n. 33313 del 28/11/2012 dep.2013 , Maretto, Rv. 257130 Sez. 3, n. 15094 del 11/3/2010, Greco, Rv. 246970 Sez. 3, n. 35234 del 28/6/2007, Lepori, Rv. 237518, cit. ed altre prec. conf. . Conformandosi al primo dei principi appena ricordati, altra pronuncia Sez. 3, n. 35828 del 7/7/2004, Cicolella, Rv. 229392 ha successivamente chiarito che la natura di reato di danno attribuita dalle Sezioni Unite alla contravvenzione in esame non richiede la produzione di un danno alla salute, poiché l’interesse protetto dalla norma è quello del rispetto del cd. ordine alimentare, volto ad assicurare al consumatore che la sostanza alimentare giunga al consumo con le garanzie igieniche imposte per la sua natura conf. Sez. 3, n. 40772 del 5/5/2015, Torcetta, Rv. 264990 . Si è inoltre affermato come sia comunque necessario accertare che le modalità di conservazione siano in concreto idonee a determinare il pericolo di un danno o deterioramento delle sostanze Sez. 3, n. 439 del 4/11/2011 dep. 2012 , Duclos, Rv. 251630 Sez. 3, n. 15049 del 09/01/2007, Bertini, Rv. 236332 escludendo, tuttavia, la necessità di analisi di laboratorio o perizie, ben potendo il giudice di merito considerare altri elementi di prova, come le testimonianze di soggetti addetti alla vigilanza, quando lo stato di cattiva conservazione sia palese e, pertanto, rilevabile da una semplice ispezione Sez. 3, n. 35234 del 28/6/2007, Lepori, Rv. 237518, cit. Conf. Sez. 3, n. 12346 del 4/3/2014, Chen, Rv. 258705 ed affermando che il cattivo stato di conservazione dell’alimento può assumere rilievo anche per il solo fatto dell’obiettivo insudiciamento della sola confezione, conseguente alla sua custodia in locali sporchi e, quindi, igienicamente inidonei alla conservazione Sez. 3, n. 9477 del 21/1/2005, Ciccariello, Rv. 230851 ed è configurabile anche nel caso di detenzione in condizioni igieniche precarie Sez. 3, n. 41074 del 7/7/2011, Nassar, Rv. 251298 . Tali principi sono stati successivamente ribaditi Sez. 3, n. 39037 del 10/5/2018, Malcaus, Rv. 273919 Sez. 3, n. 6108 del 17/01/2014, Maisto, Rv. 258861 . 5. Ciò posto, va osservato che, nel caso in esame, il giudice del merito ha dato atto del contenuto dei rilievi fotografici e dei verbali di ispezione e sequestro, rilevando come i funghi si presentassero in un unico blocco congelato e quelli in superficie anneriti e molli al tatto, senza peraltro essere etichettati e tracciabili, tanto da essere stati ritenuti non idonei alla commercializzazione. Si tratta di un accertamento in fatto effettuato in maniera del tutto coerente e logica e, in quanto tale, non censurabile in questa sede. A tali dati fattuali oggettivi la difesa obietta affermando che il congelamento ed il surgelamento dei funghi è consentito dal D.P.R. 14 luglio 1995, n. 376 Regolamento concernente la disciplina della raccolta e della commercializzazione dei funghi epigei freschi e conservati e che le condizioni in cui versava il prodotto erano conseguenza non della cattiva conservazione, bensì del trattamento imposto dall’art. 9, comma 4, citato D.P.R Osserva a tale proposito il Collegio che è ben vero che il regolamento richiamato consente art. 9 la conservazione dei funghi con diverse modalità, tra le quali figurano il surgelamento ed il congelamento, ma è di tutta evidenza che tale eventuale trattamento non consente di prescindere dall’osservanza di cautele generali volte ad assicurare la corretta conservazione dell’alimento e, sopratutto, dalla disciplina generale degli alimenti che il regolamento espressamente richiama e che, nella fattispecie, si assume violata. Del tutto destituito di fondamento risulta, inoltre, il richiamo all’art. 9, comma 4 del regolamento medesimo, che la difesa richiama al fine di giustificare le condizioni dei funghi. Invero, la menzionata disposizione prevede che i funghi di cui ai commi 1 e 3 cioè quelli elencati nell’Allegato II al regolamento e quelli provenienti da altri paesi debbono essere sottoposti a trattamenti termici per tempi e temperature atti ad inattivare le spore del Clostridium botulinum, e/o acidificati a valori di pH inferiori a 4,6 e/o addizionati di inibenti atti ad impedire la germinazione delle spore , ma il successivo comma 5 stabilisce che la disposizione di cui al comma 4 non si applica ai funghi congelati, surgelati o secchi, i quali, dunque, non devono essere sottoposti a tali trattamenti. Ne consegue che anche l’ulteriore censura, concernente la mancata effettuazione di campionamento ed analisi al fine di accertare se le condizioni dei funghi dipendessero dal trattamento è del tutto infondata, perché tale trattamento non era dovuto e, pertanto, se l’imputato l’avesse comunque effettuato, riducendo i funghi nelle condizioni in cui vennero trovati all’atto del controllo, ciò non escluderebbe la sua responsabilità, senza considerare che l’effettuazione del trattamento non risulta in alcun modo dimostrata, essendosi il ricorrente limitato esclusivamente ad una apodittica affermazione, peraltro formulata solo con l’atto di impugnazione. 6. Va dunque ribadito che ai fini della configurabilità del reato di cui alla L. n. 283 del 1962, art. 5, lett. b il cattivo stato di conservazione degli alimenti, che può essere accertato dal giudice del merito senza necessità di specifiche analisi di laboratorio, sulla base di dati obiettivi risultanti dalla documentazione relativa alla verifica verbale ispettivo, documentazione fotografica etc. e dalle dichiarazioni dei verbalizzanti, è ravvisabile nel caso di evidente inosservanza di cautele igieniche e tecniche necessarie ad assicurare che le sostanze alimentari si mantengano in condizioni adeguate per la successiva somministrazione. 7. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 2.000,00. L’inammissibilità del ricorso per cassazione per manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e, pertanto, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui all’art. 129 c.p.p., ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more del procedimento di legittimità Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, Ciaffoni, Rv. 256463, Sez. 4, n. 18641 del 20/1/2004, Tricorni, Rv. 228349 Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D. L, Rv. 217266 . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 duemila in favore della Cassa delle ammende.