Casa mobile e baracca per avere un tetto sulla testa: abuso da condannare

Sanzione definitiva per un uomo e una donna. Respinta la tesi difensiva, finalizzata a leggere l’abuso compiuto come una soluzione di emergenza adottata da due persone indigenti che si trovavano ad affrontare una temporanea emergenza abitativa.

Condanna inevitabile per la persona che è in condizioni di povertà e ricorre a una casa mobile e ad una baracca per avere un tetto sopra la testa. Impossibile riconoscere lo stato di necessità, nonostante la situazione di disagio economico-sociale lamentata Cassazione, sentenza n. 1734/20, sez. III Penale, depositata oggi . Necessità. Concordi i Giudici del Tribunale e della Corte d’Appello, che sanzionano l’abuso compiuto da un uomo e una donna che hanno risolto il problema abitativo con l’installazione di una ‘casa mobile’ e di una baracca . Per entrambi la pena è fissata in venticinque giorni d’arresto e 25mila euro di ammenda . Dinanzi ai magistrati della Cassazione, però, il legale dell’uomo e della donna richiede il riconoscimento della scriminante dello stato di necessità , spiegando che i suoi clienti si trovavano ad affrontare una situazione di grave indigenza ed erano chiamati a soddisfare una temporanea esigenza abitativa . Questa visione viene però respinta dai Giudici del ‘Palazzaccio’, i quali confermano invece la condanna così come sancita in appello. In particolare, viene osservato in terzo grado che mancano i presupposti per ipotizzare che uomo e donna dovessero affrontare un pericolo grave, anche perché essi avrebbero potuto porsi alla ricerca di una diversa soluzione abitativa . E a questo proposito non vi è alcuna prova che essi abbiano infruttuosamente esperito tutti gli ordinari strumenti che l’ordinamento appresta a tutela delle situazioni di disagio economico e sociale .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 6 novembre 2019 – 17 gennaio 2020, n. 1734 Presidente Ramacci – Relatore Mengoni Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 4/6/2019, la Corte di appello di Firenze confermava la pronuncia emessa il 9/2/2018 dal Tribunale di Lucca, con la quale Mi. St. e Je. Po. erano stati dichiarati colpevoli della contravvenzione di cui agli artt. 81 cpv. cod. pen., 44, comma 1, lett. c , D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, 181, comma 1, D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 con esclusione di una recinzione con pali in legno e condannati alla pena 25 giorni di arresto e 25.000,00 Euro di ammenda ciascuno. 2. Propongono congiunto ricorso per cassazione i due imputati, a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi - mancanza e/o illogicità della motivazione. La Corte di appello, in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, non avrebbe riconosciuto la scriminante dello stato di necessità, della quale, per contro, ricorrerebbero i presupposti, attese le condizioni di grave indigenza dei ricorrenti, chiamati a soddisfare una temporanea esigenza abitativa - le stesse censure, poi, sono mosse con riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche in misura prevalente, che si assume non equo, nonché all'entità del trattamento sanzionatorio, ritenuta eccessiva. Considerato in diritto 3. I ricorsi - che non investono profili oggettivi di responsabilità - risultano inammissibili sebbene le doglianze proposte in questa sede, infatti, siano state congruamente affrontate dalla Corte di appello, in linea con quanto già statuito dal primo Giudice, i relativi argomenti non sono affrontati nelle impugnazioni in esame, che agli stessi non dedicano alcuna effettiva considerazione. 4. In particolare, quanto all'invocato stato di necessità, i ricorrenti si limitano a richiamare generiche condizioni di grave indigenza che li avrebbero costretti a provvedere ad una temporanea esigenza abitativa , con installazione di una casa mobile e di una baracca questo assunto, tuttavia, non si misura affatto con la motivazione in esame, che ha sottolineato l'assenza degli elementi costitutivi dello stato di necessità ex art. 54 cod. pen., quali l'attualità e l'inevitabilità del pericolo grave alla persona. Il Collegio, al pari del primo Giudice, ha al riguardo evidenziato che i ricorrenti ben avrebbero potuto porsi alla ricerca di un diversa soluzione abitativa, non essendovi peraltro alcuna prova che gli stessi avessero infruttuosamente esperito tutti gli ordinari strumenti che l'ordinamento appresta a tutela delle situazioni di disagio economico e sociale, come quella denunciata dai ricorrenti. Argomento congruo, fondato su concreti elementi istruttori ed aderente alla costante giurisprudenza di legittimità tra le altre, Sez. 3, n. 2280 del 24/1172017, Lo Buono, Rv. 271769 , questo appena richiamato, che le impugnazioni neppure menzionano, tantomeno contestano. E fermo restando, peraltro, che la temporanea esigenza abitativa invocata dai ricorrenti era stata già adeguatamente esclusa dal primo Giudice, alla luce delle caratteristiche dell'abuso, con considerazioni - ancora - estranee ad ogni censura in sede di merito. 5. Alle medesime conclusioni, di seguito, perviene la Corte in punto di circostanze attenuanti generiche e di trattamento sanzionatorio. Il Collegio di appello, pronunciandosi sulla medesima questione, ha infatti evidenziato che le circostanze ex art. 62-bis cod. pen. erano state già riconosciute in primo grado nella massima ampiezza pena base pari ad un mese di arresto e 32.000,00 Euro di ammenda, ridotta a venti giorni di arresto e 22.000,00 Euro di ammenda , non potendo, pertanto, esser ulteriormente valorizzate. Quanto alla pena irrogata, poi, la stessa risulta ben più prossima ai minimi che ai massimi edittali, atteso anche il modestissimo aumento irrogato a titolo di continuazione, non consentendosi pertanto alcun intervento correttivo, anche alla luce del numero di abusi riscontrati. 6. I ricorsi, pertanto, debbono essere dichiarati inammissibili. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen. ed a carico di ciascun ricorrente, l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.