Non vale il principio di conservazione degli atti se è palese e specifica la volontà della parte di esperire un determinato atto di gravame

In virtù del generale principio di tipicità dei mezzi di impugnazione, ogni qual volta dall’analisi dell’atto si tragga la conclusione che la parte abbia effettivamente voluto esperire quello specifico mezzo di gravame, dalla stessa esattamente denominato, non consentito dalla legge, consegue l’inammissibilità dell’impugnazione.

La Corte di Cassazione, con la pronuncia numero 1589/20, depositata il 16 gennaio u.s., si è espressa in tema di conversione dell’atto di impugnazione, specificando i tratti prodromici all’effettività del principio di conservazione degli atti. Il fatto. La Corte d’Appello di Napoli, in funzione di Giudice dell’Esecuzione, in accoglimento del ricorso proposto dal Procuratore Generale, disponeva la revoca della sospensione condizionale della pena concessa nei riguardi di un soggetto che, nelle more, non aveva provveduto al prescritto ordine di demolizione di un manufatto abusivo cui era subordinata l’efficacia del beneficio sanzionatorio. Avverso tale provvedimento ricorre il difensore dell’interessato, lamentando che il giudice dell’esecuzione avrebbe omesso di valutare l’intervenuta prescrizione al momento della notifica dell’estratto contumaciale della sentenza di appello, da prendere in considerazione ai fini della valutazione dell’opportunità o meno di revocare il beneficio della sospensione condizionale della pena. Il ricorso è inammissibile. I Giudici di legittimità, con la sentenza in commento, non si occupano della quaestio sollevata dal ricorrente, dovendo preliminarmente – e in via del tutto assorbente - analizzare la vicenda dal punto di vista formale. Osserva, infatti, la Corte che – stante la previsione di cui all’art. 667, comma 4, c.p.p. – che deve intendersi applicabile anche ai provvedimenti emessi de plano dal giudice dell’esecuzione attraverso per il richiamo contenuto nell’art. 676 c.p.p., il provvedimento emesso dalla Corte d’Appello di Napoli avrebbe dovuto essere impugnato mediante opposizione dinanzi allo stesso Giudicante e non per il mezzo di ricorso per Cassazione. Invero, non può certo parlarsi di ricorso per saltum , essendo siffatta impugnazione solo esperibile avverso i provvedimenti definibili come sentenza di primo grado” art. 569, comma 1, c.p.p. . Dunque, a questo punto, evidenziano gli Ermellini, l’unica valutazione che resta da operare è quella sulla possibilità di convertire l’atto di gravame del ricorso per Cassazione nell’atto di opposizione. Ebbene, nel caso di specie, dall’esame specifico della emergente volontà della parte impugnante rispetto all’atto di gravame proposto, si conclude per l’impossibilità di procedere alla conversione, con la conseguente dichiarazione di inammissibilità del ricorso in quanto strumento di impugnazione non contemplato dalla legge. Al riguardo, la Corte evidenzia che in virtù del generale principio di tipicità dei mezzi di impugnazione, ogni qual volta dall’analisi dell’atto si tragga la conclusione che la parte abbia effettivamente voluto esperire il mezzo di gravame, dalla stessa esattamente denominato, non consentito dalla legge, consegue l’inammissibilità dell’impugnazione. Alla stregua di tale ricostruzione, la Corte di Cassazione acclara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 14 novembre 2019 – 16 gennaio 2020, n. 1589 Presidente Sarno – Relatore Gentili Ritenuto in fatto Con ordinanza del 22 maggio 2019 la Corte di appello di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, in accoglimento del ricorso proposto dal locale Procuratore generale, ha disposto la revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena che era stato confermata in favore di D.C.G. con la sentenza della medesima Corte distrettuale con la quale, in parziale riforma di una precedente sentenza del Tribunale di Napoli, la stessa era stata condannata alla pena, già originariamente sospesa, di mesi tre di arresto ed Euro 22.000,00 di ammenda, essendo stata ritenuta colpevole del reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c . Il giudice della esecuzione, rilevato che il beneficio della sospensione condizionale della pena era stato subordinato alla demolizione delle opere abusivamente edificate entro il termine di trenta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza emessa a carico della predetta e che la condizione in questione non si era verificata avendo la D.C. omesso di dare corso nel predetto termine alla demolizione in questione, ha disposto la revoca della sospensione condizionale della pena. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, la D.C. , osservando che il Giudice dell’esecuzione aveva omesso di considerare che al momento in cui alla ricorrente era stato notificato regolarmente l’estratto contumaciale della sentenza di appello, il reato ad essa contestato era già da tempo prescritto al riguardo la ricorrente ha osservato che, sebbene non sia consentito al Giudice dell’esecuzione rilevare i fatti estintivi del reato verificatisi anteriormente alla dichiarazione di definitività della sentenza, tuttavia egli può tenere conto, incidenter tantum, dell’avvenuta estinzione del reato, laddove sia, come nel caso in esame, chiamato a revocare taluni benefici, concessi con la sentenza di condanna, in via subordinata all’adempimento da parte del prevenuto di determinati obblighi correlati alla commissione del reato a lui contestato. Considerato in diritto Il ricorso proposto è inammissibile e come tale lo stesso deve essere definito in sede processuale. Deve, infatti, rilevarsi che, in linea di principio, stante la previsione contenuta nell’art. 667 c.p.p., comma 4, - disposizione che deve intendersi applicabile, anche per il richiamo ad essa contenuto nell’art. 676 c.p.p., ai provvedimenti emessi de plano dal giudice della esecuzione - questi non sono immediatamente suscettibili di ricorso per cassazione, essendo gli stessi esclusivamente soggetti, in prima battuta, alla revisione derivante dalla opposizione avverso di essi, presentata dal soggetto che vi abbia interesse, di fronte alla stesso giudice che abbia emesso il provvedimento in questione. Di fronte alla immediata proposizione del ricorso per cassazione in una fattispecie quale la presente, considerato che i provvedimenti in questione non sono ovviamente neppure soggetti alla cosiddetta impugnazione per saltum essendo questa ipotesi applicabile alla sola tipologia provvedimentale sentenza di primo grado e non ad altro genere di provvedimenti cfr. art. 569 c.p.p., comma 1 , questa Corte è posta, sulla base dei precedenti giurisprudenziali applicabili alla materia, di fronte ad una alternativa o qualificare il ricorso erroneamente proposto di fronte ad essa quale ricorso in opposizione e, perciò, in ossequio al principio di conservazione degli atti, rimettere il fascicolo innanzi allo stesso giudice della esecuzione per quanto di sua competenza, cioè per la decisione da adottare in sede di opposizione all’originaria provvedimento in tal senso, fra le altre, infatti Corte di cassazione, Sezione V penale, 27 settembre 2018, n. 42623 Corte di cassazione, Sezione V penale, 16 aprile 2015, n. 16018 , senza che debba essere condotta alcuna indagine, peraltro meramente cartolare, volta ad accertare se la parte impugnante avesse voluto o meno effettivamente esperire il mezzo di gravame non consentito dalla legge Corte di cassazione, Sezione III penale, 2 ottobre 2019, n. 40381 , ovvero dichiarare immediatamente la inammissibilità del ricorso, stante il generale principio di tipicità dei mezzi di impugnazione, ogni qual volta dall’esame dell’atto si tragga la conclusione che la parte abbia effettivamente voluto esperire il mezzo di gravame, dalla stessa esattamente denominato, non consentito dalla legge Corte di cassazione, Sezione II penale, 25 settembre 2018, n. 41510 idem Sezione III penale, 16 maggio 2018, n. 21640 . Ritiene il Collegiò - considerato che nella specie la difesa della D.C. , munita di procura speciale rilasciata per la proposizione del ricorso per cassazione , ha espressamente qualificato il proprio atto impugnatorio come ricorso per cassazione , articolando motivi di impugnazione che, per essere sviluppati con riferimento alla violazione di legge, risultano essere pienamente compatibili con le censure esperibili in sede di legittimità - che sia preferibile, fra i due orientamenti sopra descritti, applicare quello più rigoroso che conduce alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Diversamente argomentando, infatti, il giudice di sostituirebbe in sostanza alla parte nello scegliere lo strumento impugnatorio, con le possibili distorsioni di sistema che la generalizzazione di un tale modus procedendi, potrebbe determinare anche in relazione alla posizione di equidistanza che il giudicante deve avere fra le parti, posizione alla quale appaiono, pertanto, estranei interventi che non sono meramente interpretativa ma sostanzialmente integrativi se non sostitutivi della volontà di una di esse. Nè, si rileva, la soluzione adottata da questa Corte si pone in contraddizione con la previsione contenuta nell’art. 568 c.p.p., comma 5, in base alla quale L’impugnazione è ammissibile indipendentemente dalla qualificazione a essa data dalla parte che l’ha proposta. Se l’impugnazione è proposta ad un giudice incompetente, questi trasmette gli atti al giudice competente , atteso che l’applicazione della disposizione sopra riportata presuppone che, ad onta della denominazione ad essa attribuita dalla parte, la impugnazione abbia le caratteristiche proprio del mezzo di gravame proponibile di fronte ad un giudice di verso da quello, invece, prescelto dal ricorrente e che, pertanto, in sede di interpretazione dell’atto sia possibile attribuire all’atto stesso una qualificazione diversa da quella apparente. Laddove, invece, il mezzo di impugnazione abbia le caratteristiche, sostanziali e formali, dello strumento di rivalutazione processuale esperibile, in via astratta, di fronte al giudice prescelto, ed emerga in termini di chiarezza che esso sia stato consapevolmente utilizzato per come lo stesso appare dalla parte ricorrente, non entra in gioco la tematica relativa all’incompetenza del giudice adito, essendo questo astrattamente competente, ma esclusivamente la questione della inammissibilità del mezzo di impugnazione effettivamente e consapevolmente adottato dalla parte ricorrente. In una tale fattispecie non viene, quindi, in discussione la necessità di procedere alla trasmissione degli atti al giudice competente, ma solo la valutazione della ammissibilità o meno nel caso concreto del mezzo processuale da parte dei giudice in astratto competente per quello. Valutazione che, quanto al caso di specie, per le ragioni dianzi esposte in ordine allo strumento processuale esperibile avverso i provvedimenti resi de plano dal giudice della esecuzione, deve essere espressa nei termini della inammissibilità del ricorso, con la conseguente condanna della ricorrente, visto l’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.