Nessun dubbio sulla colpevolezza di un cittadino, che si è sfogato su Facebook accusando innanzitutto il vicesindaco del suo paese di avere intascato i soldi provenienti dal gettito fiscale a carico della comunità. Impossibile parlare di critica eccessiva.
Punibili gli sfoghi – eccessivi e poco eleganti – online dei cittadini contro gli amministratori comunali. A maggior ragione quando, come in questa vicenda, l’accusa – non catalogabile certo come mera critica – è quella di essersi messi in tasca i soldi provenienti dal gettito fiscale versato dai cittadini nelle casse del Comune Cassazione, sentenza numero 628/20, sez. V Penale, depositata oggi . Scritti. Scenario della vicenda è un paese in provincia di Messina. A fare scalpore – e a dare il ‘la’ al caso giudiziario – sono gli scritti condivisi su Facebook da un cittadino, scritti con cui vengono posti sotto accusa il vicesindaco e i componenti della giunta comunale. A loro viene rivolto l’epiteto di “imbroglioni”, poiché, secondo la persona sotto processo, hanno «intascato il denaro oggetto di ‘prelievo forzoso’ a carico dei cittadini». Per il vicesindaco è evidente che lo scritto presente on line è offensivo. E questa considerazione è condivisa dai giudici di merito che ritengono il cittadino colpevole del reato di diffamazione. In sostanza, viene ritenuto inequivocabile il contenuto delle frasi postate su Facebook, cioè «l’insinuazione» che l’amministratore comunale avesse intascato «le somme oggetto di prelievo fiscale» a carico della comunità del paese. Accusa. Sulla stessa linea si attesta anche la Cassazione, confermando la condanna del cittadino, colpevole di diffamazione. Impossibile, spiegano i Giudici del ‘Palazzaccio’, ipotizzare, come fatto dalla difesa, che i messaggi postati online fossero solo frutto della «volontà di muovere un’aspra critica all’operato degli amministratori comunali». Ciò che è emerso, invece, è l’evidente intenzione di sostenere un’accusa grave, e ciò che «gli amministratori comunali si fossero appropriati di denaro pubblico, proveniente dal prelievo fiscale» a carico dei cittadini. Respinta, di conseguenza, anche l’ipotesi difensiva di un ridimensionamento dell’episodio per i giudici, difatti, è evidente la gravità del comportamento tenuto on line dal cittadino, comportamento «al limite del calunnioso». Unica piccola vittoria però per il cittadino responsabile dei messaggi su Facebook è la cancellazione dell’obbligo di risarcire il vicesindaco decisiva la sua tardiva costituzione quale parte civile.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 19 novembre 2019 – 10 gennaio 2020, numero 628 Presidente De Gregorio – Relatore Pistorelli Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Messina ha confermato, anche agli effetti civili, la condanna di Fa. Gi. per il reato di diffamazione aggravata, commesso ai danni di Ca. Anumero pubblicando sulla bacheca pubblica del portale facebook due messaggi offensivi della reputazione di quest'ultimo, all'epoca vice-sindaco del Comune di Valdina. 2. Avverso la sentenza ricorre l'imputato articolando ter motivi. Con il primo deduce erronea applicazione della legge penale e vizi della motivazione. In tal senso il ricorrente denunzia anzitutto l'omessa pronunzia da parte della Corte sulla configurabilità del dolo del reato, profilo che pure aveva costituito oggetto di contestazione con il gravame di merito. In secondo luogo lamenta la illogicità della motivazione della sentenza in merito alla ritenuta insussistenza dell'esimente dell'esercizio del diritto di critica politica. In proposito il ricorrente osserva come il giudice dell'appello abbia riconosciuto che tale critica possa assumere anche toni aspri quando destinatario sia chi ricopre cariche pubbliche, escludendo di conseguenza l'illiceità dell'epiteto imbroglioni rivolto dall'imputato alla persona offesa ed ai suoi colleghi di giunta. Contraddittoriamente avrebbe invece ritenuto sussistente il reato per le insinuazioni di aver intascato il danaro oggetto di prelievo forzoso a carico dei cittadini, ritenendo che sostanzialmente le stesse contenessero la velata accusa di malversazione a proprio vantaggio delle somme oggetto di prelievo fiscale. In realtà tale conclusione sarebbe viziata dall'errata, se non fantasiosa, interpretazione degli scritti dell'imputato, che si era limitato a criticare gli amministratori del Comune di Valdina e suoi avversari politici di non aver rinunziato all'indennità di carica e di non aver abbassato le imposte comunali, come invece promesso nel corso della competizione elettorale. Con il secondo motivo analoghi vizi vengono denunziati in merito al denegato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'articolo 131-bis c.p., mentre con il terzo si lamenta violazione di legge in merito all'ammissione della costituzione di parte civile del Ca., da ritenersi tardiva in quanto intervenuta successivamente all'espletamento degli adempimenti di cui all'articolo 484 c.p.p. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei limiti di seguito esposti. 2. Il primo motivo è invero infondato. La Corte territoriale ha ritenuto che il contenuto dei messaggi postati dall'imputato rivelasse la volontà di muovere non tanto un'aspra critica all'operato degli amministratori comunali, bensì quella di accusarli di essersi appropriati di danaro pubblico, insinuando che gli stessi si fossero intascati risorse provenienti dal prelievo fiscale. In tal senso la sentenza ha dunque escluso la stessa configurabilità dell'esimente di cui all'articolo 51 c.p., sostanzialmente negando la sussistenza della veridicità del fatto posto alla base dell'invocato esercizio del diritto di critica. Tali conclusioni non appaiono censurabili trovando effettivo riscontro nel tenore testuale dei messaggi incriminati, che non contengono alcun esplicito od implicito riferimento al significato che invece gli attribuisce il ricorrente, le cui obiezioni sul punto risultano dunque meramente congetturali e comunque versate in fatto. Quanto al dolo del reato, trattasi di profilo in riferimento al quale non erano stati esplicitati in maniera specifica con i motivi d'appello le ragioni in fatto e in diritto a sostegno dell'affermata sua insussistenza. 3. Quanto alle doglianze proposte con il secondo motivo va evidenziato che, non solo in maniera del tutto generica era stata prospettata nel giudizio d'appello la ricorrenza della causa di non punibilità di cui all'articolo 131-bis c.p., ma che altrettanto generiche risultano le censure svolte in proposito con il ricorso. Il ricorrente, infatti, non ha tenuto conto di come la Corte abbia implicitamente escluso la particolare tenuità del fatto laddove ha motivatamente valutato la sua intrinseca gravità sottolineando la natura al limite del calunnioso delle accuse lanciate dall'imputato, nonché apprezzato negativamente la loro reiterazione. Apparato giustificativo con il quale il ricorso non si è in alcun modo confrontato, mentre in proposito va ribadito che, con riguardo alla citata esimente, la motivazione può risultare anche implicitamente dall'argomentazione con la quale il giudice d'appello abbia considerato gli indici di gravità oggettiva del reato e il grado di colpevolezza dell'imputato Sez. 5, numero 15658/19 del 14/12/2018, D., Rv. 275635 . 4. Colgono invece nel segno le censure svolte con il terzo motivo. 4.1 Va allora ricordato che ai sensi dell'articolo 79 c.p.p., comma 1, c.p.p., la costituzione di parte civile può avvenire per l'udienza preliminare e, successivamente, fino a che non siano compiuti gli adempimenti previsti dall'articolo 484, c.p.p., norma, quest'ultima, secondo cui, prima di dare inizio al dibattimento, il presidente controlla la regolare costituzione delle parti e che deve essere letta unitamente a quanto previsto dagli articolo 491 e 492 del codice di rito. L'articolo 491 c.p.p., comma 1, in particolare, stabilisce, tra l'altro, che le questioni concernenti la costituzione di parte civile sono precluse se non sono proposte subito dopo compiuto per la prima volta l'accertamento della costituzione delle parti. Secondo l'articolo 492 c.p.p., infine, il presidente, compiute le attività indicate negli articolo 484 c.p.p. e ss., dichiara aperto il dibattimento. 4.2 Dalle norme sopra indicate, come è stato condivisibilmente evidenziato da una parte della giurisprudenza di legittimità, risulta chiaramente che la costituzione di parte civile deve avvenire, a pena di decadenza, fino a che non siano compiuti gli adempimenti relativi alla regolare costituzione delle parti. È in tale fase infatti che bisogna stabilire quali siano le parti legittimate a stare in giudizio cfr. Sez. 3, numero 25133 del 15/04/2009, Greco, Rv. 243906 . Se ne deduce che, come affermato dai più recenti arresti del Supremo Collegio, la costituzione di parte civile deve avvenire, a pena di decadenza, fino a che non siano stati compiuti gli adempimenti relativi alla regolare costituzione delle parti, e non fino al diverso termine coincidente con l'apertura del dibattimento, come ritenuto da entrambi i giudici del merito nel caso di specie ex plurimis Sez. 6, numero 10958 del 24/2/2015, P.C. in proc. L, Rv. 262988 . Deve, pertanto escludersi che la costituzione di parte civile possa avvenire in coincidenza con l'apertura del dibattimento ovvero prima dell'apertura del dibattimento, ma dopo che si siano esauriti gli adempimenti relativi alla regolare costituzione delle parti. 4.3 Nel caso di specie alla prima udienza tenutasi il 9 febbraio 2016 la parte offesa non è comparsa ed il giudice ha provveduto alla verifica della regolare costituzione delle parti, per poi rinviare al 12 aprile successivo il processo senza fare espressamente salvi i diritti di costituzione e dimostrando così di ritenere conclusi gli adempimenti di cui all'articolo 484 c.p.p. Tardiva, come tempestivamente eccepito dall'imputato già nel primo grado di giudizio dove aveva richiesto invano l'esclusione della parte civile, deve dunque ritenersi la costituzione avvenuta all'udienza di rinvio a prescindere che solo successivamente si sia proceduto all'apertura del dibattimento. Conseguentemente la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio quanto alla conferma delle statuizioni civili, che a loro volta devono essere revocate in ragione della rilevata inammissibilità per tardività della costituzione della parte civile. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili, che revoca. Rigetta nel resto il ricorso.