Confermata la condanna per l’uomo sotto processo di oltre 60 anni, colpevole di avere all’improvviso abbracciato la vicina di casa, provocando un imprevisto contatto tra i due corpi, con tanto di toccamento del seno. Decisivo per i Giudici il fatto che la donna fu colta di sorpresa dal comportamento dell’uomo e non ebbe alcuna possibilità di difendersi.
Un abbraccio troppo invadente può valere una condanna per violenza sessuale. A constatarlo un uomo di oltre 60 anni, punito per l’atteggiamento eccessivamente affettuoso avuto nei confronti di una vicina di casa Cassazione, sentenza numero 378/20, sez. III Penale, depositata oggi . Abbraccio. Il fattaccio si verifica nella provincia di Lecco, dove un attempato signore prima invita nella propria abitazione la vicina di casa e poi pensa bene di salutarla in un modo troppo affettuoso, cioè con «un abbraccio» che comporta «il contatto fisico tra i due corpi, compresi i genitali, e il toccamento laterale del seno». Immaginabile la reazione della donna, che aveva allungato la mano per stringere quella del vicino e compiere così un saluto formale. Per lei l’episodio non è qualificabile come un mero equivoco ecco spiegata la querela che fa finire sotto processo l’uomo. Violenza. Il racconto fatto dalla donna è ritenuto sufficiente non solo dal Gup del Tribunale ma anche dai giudici d’Appello per ritenere il vicino di casa colpevole di «violenza sessuale». E questa visione è condivisa e confermata anche dalla Cassazione. Nessun dubbio sulla «natura sessuale» degli atti compiuti dall’uomo, nessun dubbio sulla dinamica del fatto, ciò che conta, secondo i giudici del ‘Palazzaccio’, è «la repentinità del gesto» compiuto dall’uomo che «ha colto di sorpresa la vicina» che «non poté difendersi». Difatti si è appurato che «la donna stava tendendo la mano per salutare l’uomo quando fu improvvisamente afferrata per un braccio e attirata in un abbraccio in cui vi fu il contatto fisico tra i due corpi, compresi i genitali, e il toccamento laterale del seno». Evidente, quindi, secondo i Giudici, «la materialità del delitto di violenza sessuale» subito dalla donna.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 30 ottobre 2019 – 9 gennaio 2020, numero 378 Presidente Izzo – Relatore Corbetta Ritenuto in fatto 1. Con l'impugnata sentenza, la Corte di appello di Milano confermava la decisione resa dal g.u.p. del Tribunale di Lecco all'esito del giudizio abbreviato e appellata dall'imputato, che, riconosciuta l'attenuante di cui all'articolo 609-bis, comma 3, cod. penumero con giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti, aveva condannato Da. Ca. alla pena di giustizia, condizionalmente sospesa, per il delitto di cui agli articolo 81 cpv., 61 numero 5, 609-bis, commi 1 e 3, commesso in danno di una vicina di casa. 2. Avverso l'indicata sentenza, l'imputato, per mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione affidato a due motivi. 2.1. Con il primo motivo si eccepisce la violazione dell'articolo 606, comma 1, lett. b ed e cod. proc. penumero in relazione agli articolo 42, commi 1 e 2, 43 cod. penumero , 192, 530, commi 1 e 2, 533, comma 1, cod. proc. penumero in relazione alla sussistenza del delitto di violenza sessuale. Assume il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ravvisato gli elementi oggettivi e soggettivi del reato in esame. Pur non contestando la natura sessuale degli atti, ad avviso del ricorrente difetterebbero i requisiti della violenza e dell'assenza di consenso da parte della persona offesa sotto altro profilo, sarebbe quantomeno carente la prova del dolo, che non emergerebbe dalla modalità del fatto come descritto dalla persona offesa nella querela sporta dalla persona offesa il 30/04/2018, nonché dalle sommarie informazioni rese dalla medesima il 03/05/2018 e da La. Ba. il 04/05/2018, atti il cui contenuto è integralmente riportato alle p. 7-10 del ricorso. Da tali atti emergerebbero gli errori in cui sono incorsi i giudici di merito, e cioè a la persona offesa afferma in querela che l'imputato la informò che la moglie non era in casa, e, quindi, non corrisponde al vero che l'imputato abbia indotto la donna ad entrare in casa propria con l'inganno b la persona offesa non fu costretta ad entrare nell'abitazione dell'imputato c la donna non avrebbe manifestato un chiaro dissenso a fronte degli approcci dell'imputato. 2.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell'articolo 606, comma 1, lett. b ed e cod. proc. penumero in relazione all'articolo 61 numero 5 cod. penumero Ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale non avrebbe espressamente esaminato il motivo di appello con cui si censurava la ritenuta sussistenza dell'aggravante in esame. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile perché reitera le medesime doglianze già dedotte in entrambi i gradi del giudizio di merito e che sono state sempre state disattese con motivazione adeguata, immune da vizi logici e aderente alle emergenze processuali, con la quale il ricorrente omette un effettivo confronto critico. 2. Va rilevato che il ricorrente non contesta l'attendibilità della persona offesa - e, quindi la ricostruzione del fatto come operata dai giudici di merito -, né la natura sessuale degli atti realizzati dal Ca essendo le doglianze circoscritte all'insussistenza sia dell'elemento materiale del reato per mancanza di violenza e in difetto della prova del dissenso, sia dell'elemento soggettivo. 3. Ciò posto, il primo motivo è manifestamente infondato. 3.1. Per costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di violenza sessuale, l'elemento oggettivo consiste sia nella violenza fisica in senso stretto, sia nella intimidazione psicologica che sia in grado di provocare la coazione della vittima a subire gli atti sessuali, sia - ed è quanto rileva nella vicenda in esame - anche nel compimento di atti di libidine subdoli e repentini, compiuti senza accertarsi del consenso della persona destinataria, o comunque prevenendone la manifestazione di dissenso Sez. 3, numero 6945 del 27/01/2004 - dep. 19/02/2004, Manta, Rv. 228493 . In altri termini, ai fini della configurabilità del reato di cui all'articolo 609-bis cod. penumero , non è necessaria una violenza che ponga il soggetto passivo nell'impossibilità di opporre una resistenza, essendo sufficiente che l'azione si compia in modo insidiosamente rapido, tanto da superare la volontà contraria del soggetto passivo Sez. 3, numero 6340 del 01/02/2006 - dep. 17/02/2006, Giuliani, Rv. 233315 , così ponendola nell'impossibilità di difendersi Sez. 3, numero 27273 del 15/06/2010 - dep. 14/07/2010, NI., Rv. 247932 . 3.2. Nel caso in esame, i giudici di merito si sono attenuti ai principi ora richiamati, avendo accertato che, a causa la repentinità degli atti realizzati dall'imputato, la persona offesa fu colta di sorpresa e non potè difendersi, essendosi accertato che la donna, mentre stava tendendo la mano per salutare l'imputato, fu improvvisamente afferrata per un braccio ed attirata in un abbraccio in cui vi fu il contatto fisico tra i due corpi, compresi i genitali, e il toccamento laterale del seno ciò che integra la materialità del delitto di violenza sessuale, sia pure nella riconosciuta forma attenuata. 4. Quanto all'asserita mancanza di dolo, la questione non era stata devoluta con l'atto di appello, di talché essa non può essere dedotta per la prima volta nel giudizio di legittimità. 5. Il secondo motivo è manifestamente infondato per mancanza di interesse. Invero, come evidenziato dalla Corte territoriale, il giudice di primo grado ha riconosciuto la circostanza di cui all'articolo 609-bis, comma 3, cod. penumero con giudizio di prevalenza rispetto all'aggravante ex articolo 61 numero 5 cod. penumero e alla recidiva. Di conseguenza, l'eventuale insussistenza dell'aggravante - la cui applicazione è stata esclusa, unitamente alla recidiva, dalla ritenuta prevalenza dell'attenuante ex articolo 609-bis, comma 3, cod. penumero - non avrebbe comportato un più favorevole trattamento sanzionatorio, né, comunque, il ricorrente ha prospettato un concreto interesse a tal proposito. 6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'articolo 616 cod. proc. penumero , non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. sent. numero 186 del 13/06/2000 , alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.