Istanza di affidamento terapeutico del soggetto già destinatario di un provvedimento di revoca di misura alternativa

Nell’affidamento in prova terapeutico, fondato sull’accertato stato di dipendenza del condannato e l’idoneità del programma riabilitativo ai fini della sua risoluzione, assume rilievo la cura dello stato patologico dell’interessato. Pertanto, il divieto di cui all’art. 58-quater, comma 2, ord. pen. secondo cui le misure alternative di cui al comma 1 non possono essere concesse, per la durata di cui al comma 3, al condannato nei cui confronti sia stata disposta la revoca di una misura alternativa non opera nel caso in cui la revoca stessa abbia riguardato l’affidamento terapeutico.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 75/2020, depositata il 3 gennaio. Il caso. Il Tribunale di sorveglianza dichiarava inammissibile, per difetto delle condizioni di legge, la richiesta di detenzione domiciliare avanzata dal condannato, nei cui confronti era stata disposta la revoca della misura alternativa dell’affidamento in prova. Ed era dunque vietato per 3 anni concedere i benefici, ex art. 58- quater , comma 2, ord. pen Il condannato, avverso tale decreto propone ricorso per cassazione ritenendo che la decisione sopra detta, assunta senza l’instaurazione del contraddittorio, fuori dai casi consentiti, sarebbe affetta da nullità assoluta. Ammissibilità dell’istanza di affidamento in prova terapeutico. Al riguardo, i Giudici di legittimità sottolineano che l’istanza di misura alternativa non avrebbe potuto ritenersi infondata ictu oculi , ma si sarebbe dovuto procedere, a pena di nullità assoluta, previa fissazione dell’udienza camerale. Ai sensi dell’art. 58- quater ord. pen., l’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio, l’affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare e la semilibertà non possono essere concessi, per la durata di 3 anni che decorrono dall’adozione del provvedimento di rigore, al condannato nei cui confronti sia stata disposta la revoca di una misura alternativa secondo le previsioni degli artt. 47, comma 11, 47- ter , comma 6, e 51, comma 1, ord. pen Ma, sembra che tale disciplina non si riferisca al caso in cui si decida della concessione dell’affidamento terapeutico come nel caso in esame, di cui all’art. 94 Testo Unico stupefacenti. Quest’ultimo articolo, infatti, secondo un orientamento giurisprudenziale, opera un generico rinvio alla disciplina dell’ordinamento penitenziario e sarebbe in forza di tale rinvio che l’art. 47, comma 11, ord. pen. si renderebbe immediatamente applicabile all’affidamento terapeutico, privo di una diversa e autonoma disciplina in tema di revoca. Tale ragionamento non sembra essere condiviso, però, dai Supremi Giudici rifacendosi al caso in esame , i quali, al contrario, ritengono che la preclusione stabilita dall’art. 58-quater, comma 2, ord. pen., secondo cui le misure alternative di cui al comma 1 non possono essere concesse, per la durata di cui al comma 3, al condannato nei cui confronti sia stata disposta la revoca di una misura alternativa, non operi ove la revoca stessa abbia riguardato l’affidamento in prova in casi particolari ai sensi dell’art. 94 Testo Unico stupefacenti. Sulla base di tali considerazioni, il decreto impugnato deve essere annullato con rinvio al Tribunale di sorveglianza per valutare nel merito l’istanza di detenzione domiciliare avanzata dal condannato.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 29 novembre 2019 – 3 gennaio 2020, n. 75 Presidente Di Tomassi – Relatore Centofanti Ritenuto in fatto 1. Con il decreto in epigrafe, adottato ai sensi dell’art. 666 c.p.p., comma 2 e art. 678 c.p.p., il Presidente del Tribunale di sorveglianza di Perugia dichiarava inammissibile, per difetto delle condizioni di legge, l’istanza di detenzione domiciliare avanzata da A.F. , nei confronti del quale era stata disposta, in data 11 ottobre 2018, la revoca della misura alternativa dell’affidamento in prova in casi particolari di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 94. Era pertanto operante, a giudizio del Presidente del Tribunale, il divieto triennale di concessione di benefici, stabilito dall’art. 58-quater, comma 2, Ord. pen. in combinato disposto con i commi 1 e 3 . 2. Avverso tale decreto A. ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, denunciando, nel motivo unico, erronea applicazione della legge penale nonché carenza e illogicità di motivazione. Il ricorrente sostiene che la decisione, assunta senza l’instaurazione del contraddittorio, fuori degli stretti casi consentiti, sarebbe affetta da nullità assoluta. Il preteso difetto delle condizioni di legge, astrattamente integrante uno di tali casi, non sarebbe, infatti, per nulla evidente. Esisterebbe, anzi, un nutrito orientamento della giurisprudenza di legittimità - dal ricorrente condiviso e di cui egli sollecita la riaffermazione in questa sede - in base al quale la norma limitativa contenuta nell’art. 58-quater Ord. pen. sarebbe insuscettibile d’interpretazione analogica in malam partem e non si applicherebbe ai casi d’intervenuta revoca dell’affidamento in prova in casi particolari. 3. Il Procuratore generale requirente ha concluso come in epigrafe. Il ricorrente ha replicato mediante apposita memoria, insistendo nell’annullamento del provvedimento impugnato. Considerato in diritto 1. Il ricorso appare fondato. 2. Questa Corte ha di recente escluso, in fattispecie esattamente sovrapponibile, la ricorrenza del caso, viceversa erroneamente ritenuto nel provvedimento impugnato, della manifesta infondatezza per difetto delle condizioni di legge caso che in uno alla reiterazione, senza nova, dell’istanza già rigettata abilita il giudice, o il presidente del collegio, ai sensi dell’art. 666 c.p.p., comma 2, a definire il procedimento di sorveglianza senza formalità e in assenza di contraddittorio Sez. 1, n. 15553 del 10/12/2018, dep. 2019, Pillai . Il presupposto ritenuto dirimente nel provvedimento stesso - ossia l’effetto preclusivo, ex art. 58-quater Ord. pen., che, rispetto alla concessione di misure alternative, sarebbe derivato dall’intervenuta revoca dell’affidamento in prova in casi particolari di cui all’art. 94 T.U. stup. - si rivelava controverso a livello interpretativo. Sul punto dell’efficacia impediente di una tale revoca si registra infatti un orientamento negativo della giurisprudenza di legittimità tutt’altro che episodico Sez. 1, n. 32286 del 10/05/2018, dep. 2019, Hsiang Sez. 1, n. 38039 del 26/05/2017, Brancucci Sez. 1, n. 1457 del 21/10/2016, dep. 2017, Pilia , cui si contrappone l’indirizzo di segno contrario Sez. 1, n. 31053 del 12/01/2017, Pilia, Rv. 270619 Sez. 1, n. 39230 del 28/01/2014, Caranci, Rv. 261184 Sez. 1, n. 13607 del 10/03/2009, Conti, Rv. 243497 Sez. 1, n. 29143 del 06/07/2007, Cerretani, Rv. 237332 . L’istanza di misura alternativa, per ciò solo, non avrebbe potuto ritenersi infondata ictu oculi, e si sarebbe dovuto procedere, a pena di nullità assoluta, previa fissazione dell’udienza camerale Sez. 1, n. 32279 del 29/03/2018, Focoso, Rv. 273714 Sez. 1, n. 35045 del 18/04/2013, Giuffrida, Rv. 257017 . 3. Il Collegio non intende tuttavia arrestarsi a tale rilievo processuale, ritenendo di dover condividere, per le ragioni di seguito esposte, la soluzione esegetica favorevole ad escludere l’operatività della preclusione in scrutinio. Sicché l’accoglimento del ricorso deve essere pronunciato anche in rapporto ai profili sostanziali con esso sollevati. 4. Secondo i principi enunciati dalla Corte costituzionale, l’affidamento in prova in casi particolari, pur inserendosi come species del genus dell’affidamento in prova già previsto dall’ordinamento penitenziario, rappresenta una risposta differenziata dell’ordinamento penale conformata alla e giustificata dalla singolarità della situazione dei suoi destinatari, vale a dire le persone tossicodipendenti o alcoldipendenti sentenza n. 377 del 1997, che richiama anche la pregressa ordinanza n. 367 del 1995 . Nell’affidamento in prova terapeutico, fondato su presupposti specifici e autonomi l’accertato stato di dipendenza del condannato e l’idoneità del programma riabilitativo ai fini della sua risoluzione , assume, quindi, un rilievo preminente, pur nel generale scopo rieducativo della misura, la cura dello stato patologico e l’affrancazione dell’interessato dalla relativa condizione Sez. 1, n. 13542 del 03/03/2010, Silva, Rv. 246833 . Alla garanzia della esecuzione del programma terapeutico sono volte, del resto, le specifiche prescrizioni da impartire e i relativi controlli, sul fondamento che, nel caso della persona dipendente da sostanze di abuso, la prima e fondamentale azione di risocializzazione da perseguire sia l’emancipazione dalla situazione in cui affonda la criminogenesi, come acutamente rilevato da Sez. 1, n. 3476 del 25/11/2009, dep. 2010, Bonillo, Rv. 245692. A tale ultima decisione si devono le ulteriori considerazioni per cui - se la ragione del divieto di cui all’art. 58-quater, comma 2, Ord. Pen. poggia oltre che in una generica efficacia deterrente della sanzione con riguardo alla possibile violazione delle prescrizioni, essenzialmente nella presunzione legislativa che chi abbia violato le prescrizioni di un regime totalmente o parzialmente extracarcerario si dimostri inidoneo ad un trattamento alternativo che ha un contenuto in qualche modo analogo, e suppone l’adesione del soggetto all’iter di risocializzazione propostogli - detta ragione non può assistere l’estensione del divieto, conseguente alla revoca di una misura alternativa ordinaria, all’affidamento terapeutico, perché in questo caso il programma, appunto terapeutico, di recupero è essenziale alla misura e il preminente intento di cura dello stato di tossicodipendenza non potrebbe ritenersi ragionevolmente paralizzato dall’esito negativo di una prova” di tutt’altro genere, in nulla mirata sul medesimo stato di dipendenza l’ammissibilità dell’istanza di affidamento in prova in casi particolari, avanzata da soggetto già destinatario nell’anteriore triennio di un provvedimento di revoca di misura alternativa, costituisce acquisizione da allora non più smentita nella giurisprudenza di questa Corte Sez. 1, n. 6287 del 23/10/2014, dep. 2015, Santamaria, Rv. 262825 Sez. 1, n. 586 del 10/12/2010, dep. 2011, Ferrante, Rv. 249441 Sez. 1, n. 21081 del 27/05/2010, Senato, Rv. 247580 Sez. 1, n. 20892 del 13/05/2010, Filippi, Rv. 247424 . La medesima ratio - a ben vedere, e diversamente da quanto in passato talora ritenuto - non può non valere anche in direzione inversa, ossia allorché venga in considerazione la richiesta di concessione di una misura alternativa ordinaria a seguito di revoca disposta, nei confronti del richiedente e da meno di tre anni, della misura dell’affidamento terapeutico. A conforto della mancata inclusione di quest’ultimo, rispetto a situazioni di revoca pregressa, nel novero delle misure pregiudicanti , al pari di quelle pregiudicate , sta la medesima natura disomogenea degli istituti qui in considerazione. Se la filosofia, sottesa al sistema di cui all’art. 94 T.U. stup., è improntata al massimo favore per il fine di recupero del condannato affetto da dipendenza patologica da alcol o da droghe, tanto la struttura della misura alternativa, che le prescrizioni allo scopo dettate, sono a questo obiettivo strettamente funzionali. In questo contesto, il fallimento di essa non riveste alcun significato necessariamente predittivo dell’incapacità del condannato di conformarsi alle caratteristiche proprie di benefici aventi ben diverso baricentro e accomunati da finalità di rieducazione comune . Questo non significa che il giudice di sorveglianza, nell’analizzare il singolo caso e le sue peculiarità, non possa trarre dallo svolgimento concreto della misura terapeutica, e dal mancato buon esito della stessa, elementi pregnanti di giudizio, eventualmente nel senso dell’inaffidabilità del condannato rispetto a modalità di espiazione implicanti una nuova proiezione esterna del detenuto, specie se dalla dipendenza non affrancato. Quel che si assume è che una valutazione di siffatto contenuto, la quale ben potrà derivare dal ragionato esercizio della discrezionalità giudiziale, non è da considerare un portato ineludibile della pregressa decisione di revoca della misura specializzata e non può essere oggetto di presunzione assoluta. Quest’ultima, specie quando limiti diritti fondamentali della persona, è costituzionalmente inaccettabile se non risponde a dati di comune e diffusa esperienza riassunti nella formula dell’id quod plerumque accidit , ossia allorché sia realistico formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa Corte Cost., sentenze nn. 48 del 2015 e 139 del 2010 . E ciò è quanto si verificherebbe nel caso in esame, ove venissero elevate ad indice invincibile di sfiducia ordinamentale, in vista dell’applicazione di una misura alternativa, condotte pregresse rispetto ad essa ontologicamente del tutto eccentriche. 5. Occorre a questo punto verificare se tale esegesi - che appare al Collegio dotata di robusto ancoraggio sistematico, in linea con i più attenti e analitici indirizzi ricostruttivi della disciplina di settore - sia effettivamente coerente con la formulazione letterale delle disposizioni. 5.1. Secondo il combinato disposto dei primi tre commi dell’art. 58-quater Ord. pen., l’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio, l’affidamento in prova al servizio sociale nei casi previsti dall’art. 47, la detenzione domiciliare e la semilibertà non possono essere concessi, per la durata di tre anni decorrenti dall’adozione del provvedimento di rigore, al condannato nei cui confronti sia stata disposta la revoca di una misura alternativa secondo le previsioni dei precedenti art. 47, comma 11, art. 47-ter, comma 6 e art. 51, comma 1. Per quel che riguarda l’instaurazione dei regimi alternativi alla detenzione in senso proprio, balza subito evidente la corrispondenza biunivoca, che tali disposizioni istituiscono, a partire da un’intervenuta antecedente revoca, tra le misure temporaneamente precluse per effetto di quest’ultima e le misure idonee a determinare l’effetto preclusivo. Poiché, rispetto alla misura pregiudicata , è testuale il riferimento al solo affidamento in prova ordinario, regolato dall’art. 47 Ord. pen. - tanto che è pacifico, ormai, come già sottolineato, che l’ostatività non si riferisca al caso in cui si decida della concessione dell’affidamento terapeutico, che rinviene fonte autonoma di disciplina il T.U. stupefacenti, e segnatamente il suo art. 94 - il dato esegetico letterale lascia in realtà propendere proprio per la tesi che analoga limitazione valga anche ai fini dell’individuazione della misura pregiudicante . E, del resto, se il legislatore avesse voluto stabilire altrimenti al riguardo, sarebbe stato ragionevolmente più esplicito, ovverosia avrebbe fatto diretto riferimento, nella situazione inversa, alla revoca dell’affidamento in prova in quanto concesso anche nelle particolari forme previste dalla legge speciale. 5.2. Si obietta, in proposito da ultimo, Sez. 1, n. 31053 del 2017, citata , che l’art. 94, comma 6, T.U. stup. opera un generico rinvio, per quanto non diversamente stabilito , alla disciplina di ordinamento penitenziario. Sarebbe dunque in forza di tale rinvio che l’art. 47, comma 11, Ord. pen. si renderebbe immediatamente applicabile all’affidamento terapeutico, privo di una diversa e autonoma disciplina in tema di revoca, sicché il riferimento normativo operato dall’art. 58-quater, comma 2, verrebbe ad individuare entrambe le misure nel segno della comune ostatività. Tale ragionamento non può essere condiviso. 5.3. Esso segna, anzitutto, un ampliamento della latitudine operativa di una disposizione penale in malam partem, che urta con la sua natura di norma di stretta interpretazione, insuscettibile come tale di applicazione al di fuori delle ipotesi espressamente previste Sez. 1, n. 38040 del 09/04/2019, Qosja Dritan, Rv. 276845 . Siffatta estensione interpretativa deve ritenersi non ammessa anche perché distonica rispetto al canone esegetico per cui, in caso di disposizione precettiva, che richiami altra disposizione, il richiamo non può essere - ipso iure, e senza adeguati elementi sistematici di supporto - diretto a ricomprendere le discipline ulteriori, che alla disposizione richiamata facciano parimenti riferimento. 5.4. Non si può, in secondo luogo, dimenticare che il rinvio, operato dalla legge speciale ai casi ordinari di revoca dell’affidamento, incontra il limite della compatibilità delle due regolamentazioni, come risulta dall’inciso testuale sopra menzionato per quanto non diversamente stabilito e dalla logica formale dell’integrazione tra disciplina ordinaria e disciplina speciale. In questa prospettiva - se è vero che la revoca dell’affidamento in casi particolari mutua dallo schema ordinario le forme procedimentali e i presupposti sostanziali, tra i quali ultimi rileva ai sensi, appunto, dell’art. 47, comma 11, Ord. pen. la contrarietà della condotta dell’affidato alla legge e alle prescrizioni dettate , tale che la condotta stessa appaia incompatibile con la prosecuzione della prova - è lo speciale contenuto di quelle prescrizioni che rende peculiare l’istituto della revoca nelle ipotesi previste dall’art. 94 T.U. stup Si è detto che tali prescrizioni rivestono specifica valenza riabilitativa e terapeutica, perseguendo la finalità precipua di recuperare il condannato liberandolo dalla dipendenza dalle sostanze di abuso. Il fallimento, o anche solo il mancato efficace perseguimento di un tale obiettivo, in rapporto anche alla compliance dimostrata dall’affidato rispetto al trattamento e sempre fuori di ogni automatismo v. Sez. 1, n. 27711 del 06/06/2013, De Martino, Rv. 256479 Sez. 1, n. 27854 del 22/05/2013, Manca, Rv. 255820 Sez. 1, n. 14668 del 19/03/2008, Uliano, Rv. 239405 , è dunque principalmente alla base di una decisione di revoca della misura di cui all’art. 94 T.U. stup., anche indipendentemente da comportamenti del condannato di segno propriamente trasgressivo. Ecco allora che l’istituto della revoca assume, nel caso in esame, valenza sanzionatoria solo eventuale. Il che rende l’istituto stesso, anche sotto questo aspetto, non propriamente ragguagliabile al modello ordinario di riferimento e ne impedisce l’integrale assimilazione in punto di disciplina degli effetti. Non solo, dunque, mancano elementi idonei di contesto a sostegno dell’interpretazione estensiva del richiamo che l’art. 58-quater Ord. pen. opera al comma 11 del precedente art. 47, ma dall’analisi logico-sistematica l’interprete agevolmente ne ricava di contrari, in grado di validare in via definitiva l’opzione ermeneutica di tipo testuale. 6. In conclusione, deve ritenersi che la preclusione stabilita dall’art. 58-quater, comma 2, Ord. Pen. - secondo cui le misure alternative di cui al comma 1 non possono essere concesse, per la durata di cui al comma 3, al condannato nei cui confronti sia stata disposta la revoca di una misura alternativa - non operi ove la revoca abbia riguardato l’affidamento in prova in casi particolari ai sensi dell’art. 94 T.U. stup 7. Il decreto impugnato deve essere annullato sulla base di tutte le considerazioni esposte, con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Perugia che, secondo le forme stabilite dall’art. 666 c.p.p., comma 3 e ss., richiamato dall’art. 678 c.p.p., valuterà nel merito l’istanza di detenzione domiciliare avanzata dal condannato. P.Q.M. Annulla il decreto impugnato e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Perugia.