Motociclo in marcia, un uomo prova a bloccarne la corsa: è violenza privata

Violenza privata confermata la condanna per un uomo, che ha cercato prima di fermare un mezzo e poi di inseguirlo. Alla base dell’assurda azione la pretesa riguardante un credito lavorativo. Decisivo per i Giudici il fatto che l’uomo sotto processo ha fatto in modo da impedire, seppur solo in minima parte, la libertà di movimento del conducente del motociclo.

Provare a bloccare col proprio corpo la marcia di un veicolo – un motociclo, nello specifico – vale una condanna penale per violenza privata”. Irrilevante il fatto che il conducente del mezzo sia riuscito a ‘liberarsi’ con una manovra ad hoc Cassazione, sentenza n. 16/2020, Sezione Quinta Penale, depositata il 2 gennaio . Blocco. A fare da sfondo all’episodio incriminato è il recupero di un credito lavorativo . Ad agire è, ovviamente, l’ex dipendente che punta ad ottenere l’emolumento preteso, ma prende di mira il fratello della persona che lo aveva segnalato alla ditta per cui aveva poi lavorato. In strada il lavoratore si prepara ad aggredire l’uomo per una sorta di ‘vendetta trasversale’, ma l’azione non riesce perché la persona finita nel mirino viene avvertita per tempo e riesce ad ottenere l’intervento dei carabinieri che lo scortano in caserma. La questione però non è chiusa lì. All’uscita della caserma, difatti, l’uomo prende la propria motocicletta e si avvia verso casa, ma lungo il tragitto è costretto a evitare il lavoratore che a piedi cerca di impedirgli di proseguire la marcia, minacciandolo di morte e prova anche a realizzare inutilmente un breve inseguimento quasi cinematografico. Evitato lo scontro fisico, però, arriva lo strascico giudiziario. Il conducente della motocicletta denuncia la persona che ha provato a bloccarlo. E i Giudici, prima in Tribunale e poi in Appello, condannano il lavoratore per il delitto di tentata violenza privata . Violenza. A chiudere la vicenda legale arriva ora la decisione della Cassazione, che conferma in toto la pronuncia di secondo grado, sancendo la condanna definitiva del lavoratore. Per i Giudici del ‘Palazzaccio’ non vi sono dubbi sulla lettura dell’episodio incriminato sacrosanto, cioè, parlare di violenza privata . Ciò perché l’uomo sotto processo ha compiuto, si è appurato, atti idonei diretti in modo non equivoco a interrompere la marcia del motociclo, non riuscendo nel suo intento solo perché il conducente, manovrando il mezzo, si era sottratto al tentativo di blocco . E, allargando poi l’orizzonte, i magistrati ribadiscono che l’impedire la libertà di movimento di un utente della strada costituisce quella violenza considerata punibile dal codice penale come violenza privata . Per chiudere il cerchio, infine, viene anche respinta la tesi difensiva secondo cui era possibile riconoscere la particolare tenuità” del fatto su questo fronte i Giudici sottolineano che l’episodio delittuoso si è inserito in un più ampio contesto , quello relativo al recupero di un credito lavorativo, intervenendo però su soggetti non parte di quel contenzioso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 21 novembre 2019 – 2 gennaio 2020, n. 16 Presidente Morelli – Relatore Scarlini Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 24 settembre 2018, la Corte di appello di Messina confermava la sentenza del Tribunale di Patti che aveva ritenuto Gi. Co. colpevole del delitto di cui agli artt. 56, 610 cod. pen., consumato ai danni di Ig. Ca., irrogando la pena indicata in dispositivo. 1.1. In risposta ai motivi di appello, la Corte territoriale osservava che - l'episodio per cui è processo si inseriva in un risalente clima d'astio determinato dalla pretesa dell'imputato, e dei suoi familiari, di vedersi corrispondere un emolumento dovuto al medesimo imputato da una ditta alla quale il fratello della persona offesa l'aveva segnalato - quel giorno la persona offesa, Ig. Ca., era stato avvisato da un cliente dello studio del fratello, presso il quale lavorava, che l'imputato lo aspettava fuori per aggredirlo il cliente, escusso, aveva confermato la circostanza aveva chiamato i carabinieri che l'avevano scortato in caserma uscito dalla caserma, si era avviato verso casa a bordo della sua motocicletta ma, giunto nei pressi, aveva dovuto evitare l'imputato che, a piedi, aveva cercato di impedirgli di proseguire la marcia, minacciandolo altresì di morte si era infine sottratto anche da un suo breve inseguimento. - si era pertanto configurato il contestato delitto di tentata violenza privata - il complessivo contesto in cui si era inserito il ricordato episodio delittuoso non consentiva l'applicazione dell'art. 131 bis cod. pen., non potendosi considerare il fatto di particolare tenuità. 2. Propone ricorso l'imputato, a mezzo del suo difensore, articolando le proprie censure in tre motivi. 2.1. Con il primo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta responsabilità del prevenuto la cui prova si era fondata solo su fatti e circostanze che avevano preceduto l'accaduto, lumeggiandone l'antefatto. 2.2. Con il secondo motivo lamenta la violazione di legge in ordine alla ritenuta configurabilità del tentativo mentre l'azione consumata dal prevenuto al più era rimasta allo stadio degli atti preparatori. 2.3. Con il terzo motivo denuncia la violazione di legge ed il difetto di motivazione in riferimento al mancato riconoscimento della causa di non punibilità prevista dall'art. 131 bis cod. pen., non calibrata su tutti i criteri previsti dall'art. 133 cod. pen Considerato in diritto Il ricorso proposto nell'interesse dell'imputato è inammissibile. 1. I primi due motivi sono versati in fatto e non tengono così conto dei limiti del sindacato di legittimità che non può consistere nella riconsiderazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, invece, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali per tutte Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n. 6402, Dessimone, Rv. 207944 ed ancora Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 - 06/02/2004, Elia, Rv. 229369 . I motivi proposti tendono, appunto, ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento. La Corte di appello, infatti, congruamente fondando la propria argomentazione sugli acquisiti elementi di prova, aveva osservato come - la ricostruzione offerta dalla persona offesa aveva trovato logico riscontro nella deposizione del teste che aveva riferito di averla avvertita dell'atteggiamento minaccioso dell'imputato - la condotta dell'imputato così come era stata riportata era correttamente qualificabile nel contestato delitto di tentata violenza privata posto che il prevenuto aveva compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a interromperne la marcia, sul motociclo che la persona offesa stava conducendo, non riuscendo nel suo intento perché questi, manovrando il mezzo, si era sottratto al tentativo di blocco che l'impedire la libertà di movimento di un utente della strada costituisca quella violenza che configura il delitto punito dall'art. 610 cod. pen. è orientamento costante di questa Corte fra le ultime pronunce, Sez. 5, n. 33253 del 09/03/2015, Caltabiano, Rv. 264549 . La condotta tenuta dall'imputato, così ricostruita, non era pertanto rimasta alla mera fase degli atti preparatori, concretando invece il descritto tentativo compiuto. 2. Anche il terzo motivo, sulla applicabilità dell'art. 131 bis cod. pen. è versato in fatto e sul medesimo punto la Corte di merito aveva congruamente motivato rilevando come l'episodio delittuoso si fosse inserito in un più ampio contesto - di recupero di un credito lavorativo, intervenendo però su soggetti che non risultano essere stati parte del medesimo - che non consentiva di giudicare il fatto di particolare tenuità. Questa Corte ha poi ricordato che, ai fini dell'applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131-bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità dell'offesa dev'essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all'art. 133, comma 1, cod. pen., ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti Sez. 6, n. 55107 del 08/11/2018, Milone, Rv. 274647 . 3. All'inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, versando il medesimo in colpa, della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.