Il permesso premio non può essere negato in automatico al detenuto che non collabora

Non è possibile negare in automatico il permesso premio a colui che è detenuto per reati a stampo mafioso e per altri reati ostativi, facendo discendere dalla mancata collaborazione con la giustizia l’attualità dei suoi collegamenti con la criminalità organizzata, senza operare una valutazione concreta della situazione.

Così ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 52139/19, depositata il 30 dicembre. Mancata collaborazione. Il Tribunale di sorveglianza rigettava il reclamo di un detenuto avverso il provvedimento con cui il Magistrato di sorveglianza aveva dichiarato inammissibile la sua richiesta di concessione di un permesso premio, in quanto sottoposto al regime di cui all’art. 41-bis ord. pen., comma 2, per reati di cui all’art. 4-bis ord. pen Il Tribunale, infatti, aveva fatto discendere dalla mancanza collaborazione del detenuto il suo collegamento ancora attuale con la criminalità organizzata e per questo aveva negato in automatico il permesso. Avverso l’ordinanza propone ricorso in Cassazione il difensore del detenuto deducendo violazione di legge e sottolineando, nei motivi aggiunti, che la pronuncia della Corte Costituzionale n. 253/2019 ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 4-bis ord. pen. nella parte in cui preclude, per presunzione assoluta, l’accesso al beneficio del permesso premio al condannato che non collabori con l’Autorità giudiziaria. Pericolosità sociale occorre una valutazione concreta. La Cassazione, ritenendo il ricorso meritevole di accoglimento, osserva che la sopracitata sentenza della Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4- bis ord. pen. ove non prevede che ai detenuti per i delitti di cui all’art. 416-bis c.p. e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo, possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia, ove siano stati acquisiti elementi che escludano, sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti. Rilevano i Giudici che l’oggetto della censura di incostituzionalità è la presunzione assoluta della mancanza di rescissione dei collegamenti con la criminalità organizzata che si fa discendere dalla mancanza di collaborazione. L’assenza di collaborazione, infatti, non può risolversi in un aggravamento delle modalità di esecuzione della pena, cosa che altrimenti contrasterebbe con l’art. 3 Cost. provocherebbe una deformante trasfigurazione della libertà di non collaborare . Inoltre, è in contrasto con il comma 3 dell’art. 27 Cost. il fatto che la richiesta di permesso premio sia stata ritenuta inammissibile senza che sia stata operata dal Magistrato di sorveglianza una valutazione concreta della condizione del detenuto. Dunque, alla luce del fatto che la sopradetta pronuncia costituzionale ha sottratto dal meccanismo di cui all’art. 4-bis la disciplina della concessione del beneficio dei permessi premio art. 30-ter ord. pen. , la Cassazione annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di sorveglianza per un nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 11 – 30 dicembre 2019, n. 52139 Presidente Mazzei – Relatore Santalucia Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di sorveglianza di Torino ha rigettato il reclamo di R.F.E. avverso il provvedimento con cui il Magistrato di sorveglianza di Novara ha dichiarato l’inammissibilità della richiesta di concessione di un permesso premio in quanto sottoposto al regime di cui all’art. 41-bis ord. pen., comma 2, in espiazione della pena dell’ergastolo per reati di cui all’art. 4-bis ord. pen. e in grado di mantenere contatti con l’associazione di appartenenza, ancora attiva sul territorio senza aver prestato collaborazione con la giustizia. 1.1. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 149 del 2018, ha circoscritto i rilievi di incostituzionalità dell’art. 58-quater ord. pen. ai condannati all’ergastolo per i delitti di cui agli artt. 289-bis e 630 c.p., ed ha quindi implicitamente ammesso la legittimità del regime di cui all’art. 4-bis ord. pen. in tutti gli altri casi. In assenza della collaborazione con la giustizia, o delle situazioni ad essa equiparate, i benefici penitenziari non possono essere concessi. 2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il difensore di R.F. , che ha articolato più motivi. 2.1. Con il primo motivo ha dedotto vizio di violazione di legge. Già sulla scorta di quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 149 del 2018 si sarebbe dovuto rilevare, in vista di un’interpretazione costituzionalmente orientata, il contrasto del sistema di preclusioni assolute con i principi costituzionali. 2.2. Con il secondo motivo ha prospettato la questione di costituzionalità dell’art. 4-bis ord. pen., in relazione al principio costituzionale della finalità rieducativa della pena,e all’art. 117 Cost., in relazione all’art. 3 della Convenzione Edu. 3. Il Procuratore generale, intervenuto con requisitoria scritta, ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. 4. Successivamente il difensore ricorrente ha proposto motivi aggiunti con cui ha insistito nella richiesta di annullamento dell’impugnata ordinanza alla luce della recente sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 4-bis ord. pen. nella parte in cui preclude, per presunzione assoluta, l’accesso al beneficio del permesso premio al condannato, per uno dei delitti di cui al comma 1 dello stesso articolo, che non collabori con l’Autorità giudiziaria. Considerato in diritto 1. Il ricorso merita accoglimento per le ragioni di seguito esposte. 2. Come ricordato dal ricorrente con i motivi aggiunti, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 253 del 2019, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, anche in via consequenziale, della L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 4-bis, comma 1, Ord. pen. , nella parte in cui non prevede che, ai detenuti per i delitti di cui all’art. 416-bis c.p. e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, oltre che per i delitti diversi ivi contemplati, possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia, allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti. 3. Oggetto della censura di incostituzionalità è la presunzione assoluta della mancata rescissione dei collegamenti con la criminalità organizzata che si fa discendere dalla mancata collaborazione. Alla luce degli artt. 3 e 27 Cost., infatti, l’assenza di collaborazione non può risolversi in un aggravamento delle modalità di esecuzione della pena come conseguenza della mancata partecipazione a una finalità di politica criminale e investigativa dello Stato. In questo modo l’art. 4-bis ord. pen. realizza una deformante trasfigurazione della libertà di non collaborare . Ed è parimenti contrario all’art. 27 Cost., comma 3, il fatto che la richiesta di permesso premio debba essere dichiarata inammissibile in limine, senza che il Magistrato di sorveglianza possa operare una valutazione in concreto della condizione del detenuto, perché un siffatto meccanismo può arrestare sul nascere il percorso risocializzante. La Corte costituzionale ha così sottratto all’applicazione, del meccanismo ostativo di cui all’art. 4-bis la disciplina relativa alla concessione del beneficio del permesso premio di cui all’art. 30-ter ord. pen 4. La dichiarazione di illegittimità costituzionale comporta che si debba annullare l’ordinanza impugnata per dare modo al Tribunale di sorveglianza, a cui si rinviano gli atti, di valutare se ricorrano, nonostante la mancata collaborazione con la Giustizia, le altre condizioni di legge per la concessione del richiesto permesso premio. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Torino.