Travisamento della prova: i criteri per accertare il nesso causale per l’omicidio colposo del lavoratore

La Cassazione interviene in un ambito particolarmente complesso, poiché involge tematiche, sostanziali e procedurali, eminentemente tecniche.

Più in dettaglio, dopo aver chiarito quali siano i limiti di apprezzamento ai quali devono sottostare gli Ermellini quando esplorino il rapporto tra elementi istruttori e giustificazione della decisione, investiga la corretta ricostruzione del legame tra condotta omissiva ed evento, con specifica attenzione alla violazione delle norme prevenzionali in materia di sicurezza degli ambienti di lavoro. Il caso. L’inchiesta riguarda un sinistro mortale, di cui era stato vittima il conducente di un mezzo che avrebbe dovuto scaricare i rifiuti presso un sito di stoccaggio straordinario in Campania nell’accedere all’area di ricovero dei materiali, tuttavia, il lavoratore veniva trafitto dalla sbarra di ferro posta a protezione dell’ingresso che, penetrando dall’ipocondrio sinistro, gli trapassava il tronco, cagionandone la morte il responsabile dell’installazione della sbarra e della sicurezza del sito erano tratti a giudizio per il delitto di omicidio in violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, contestato in cooperazione di separate condotte colpose. Il Tribunale di primo grado condannava i due imputati, previo riconoscimento delle attenuanti generiche, alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione, oltre al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile costituita il primo, per aver omesso di far possedere alla barriera metallica i requisiti strutturali di stabilità in fase di apertura il secondo, per non aver valutato adeguatamente il rischio derivante dal prestare attività lavorativa nell’area di stoccaggio il cui accesso era protetto dalla predetta barra, omettendo altresì di fornire al lavoratore gli opportuni presidi di sicurezza individuale. La Corte di Appello di Napoli confermava integralmente la prima sentenza, condannando gli imputati all’ulteriore refusione delle spese del grado in favore della parte privata. Ricorrono entrambi per Cassazione, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, lamentando violazione di legge, per aver i giudici territoriali accertato la responsabilità del primo, sebbene emergesse chiaramente dall’istruttoria la funzione della sbarra impedire l’accesso ai non autorizzati al sito, nell’orario di chiusura , collocata prima della destinazione a deposito di rifiuti dell’area, e mancando la prova del nesso causale, motivando, peraltro, in modo lacunoso error in iudicando , per non aver considerato l’intervento della forza maggiore, consistente nell’eccezionale vento che avrebbe spostato la sbarra nelle ore antecedenti l’accaduto erronea interpretazione del c.d. dell’art. 40, comma 2, c.p. e del d.lgs. n. 626/1994, per aver ignorato le doglianze difensive relative al quadro normativo in vigore, in subiecta materia, all’epoca del sinistro, travisando, in proposito, le emergenze dibattimentali. La sentenza. Il Collegio – su parere conforme del Procuratore generale – rigetta entrambe le impugnazioni, condannando i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. L’Estensore sceglie uno stile espositivo organico, che ha il merito di tenere distinti i punti nodali attraverso i quali si snoda il ragionamento giudiziale. Avendo già chiarito, sin dal rituale riepilogo del pregresso giudizio a quo , che i motivi dedotti con gli articolati atti introduttivi sono stati riportati nei limiti strettamente necessari, aggiunge un’ulteriore premessa, circa la possibilità di sottoporre alla Suprema Corte censure riguardanti un’impropria e immotivata lettura di quanto emerso dalle prove acquisite nei gradi di merito. I limiti del sindacato di legittimità in punto di prove. L’iter motivo prende le mosse proprio dall’individuazione dei limiti dello scrutinio di ultima istanza, con particolare riguardo al denunciato vizio di motivazione. La IV Sezione, sul punto, richiama l’orientamento giurisprudenziale ormai granitico, per il quale tale approfondimento può riguardare unicamente rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento si cita sul punto, tra le altre, Cass., Sez. III Pen., 20.6.2007, n. 35397 . In questa prospettiva, poi, non trova accoglimento l’asserito travisamento della prova, vizio che non attiene ad una inammissibile rivalutazione del fatto o del contributo conoscitivo portato al processo dai mezzi di prova assunti – di fatto, sollecitata dagli impugnanti – ma al solo esame degli argomenti di prova risultanti in atti, per verificarne la coerente trasfusione nella parte motiva della pronuncia, che, invece, è immune da fallacie o aporie, superando così il vaglio sulla tenuta logica del provvedimento. La concretizzazione del rischio dell’evento. Analogo esito ha la verifica dell’ulteriore gruppo di doglianze, relativo alla sussistenza di rapporto di causalità tra le omissioni ascritte agli imputati e l’incidente in cui è morta la vittima. Ed infatti, come già chiarito più volte dalla Corte di legittimità, il principio di colpevolezza richiede sempre la previa verifica, in concreto, sia della sussistenza della violazione [] di una regola cautelare [] sia della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso [] sia la sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento dannoso , soggiungendo che la prognosi di prevedibilità non può che riferirsi alla classe di eventi in cui si colloca quello oggetto del processo in proposito, si richiama Cass., SS. UU. Pen., n. 38343 del 2014 . Conseguentemente, nessun rilievo può avere la finalità con la quale la sbarra era stata montata, perché tale decisione avrebbe dovuto, in ogni caso, essere presa nella consapevolezza – e con la finalità – che l’intervento non potesse mai mettere in pericolo l’incolumità di soggetti che, legittimamente o meno, entrassero nel sito protetto. Conclusioni. La decisione qui esaminata compendia sinteticamente i molti profili giuridici coinvolti nella trattazione del caso. Malgrado ribadisca limiti rituali e principi di diritto già espressi – per certi versi, consolidati – potrà essere un efficace strumento per chi si trovi a valutare la fattibilità o la fondatezza di un gravame basato su argomentazioni analoghe.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 27 novembre – 19 dicembre 2019, n. 51150 Presidente Menichetti – Relatore Pezzella Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Napoli, pronunciando nei confronti degli odierni ricorrenti C.A. e P.R. , con sentenza del 27/2/2019 confermava la sentenza emessa in data 31/5/2013 dal Tribunale di Benevento, con condanna al pagamento delle spese di lite in favore della parte civile costituita. Il Tribunale di Benevento, all’esito di giudizio ordinario, aveva condannato C.A. e P.R. , per omicidio colposo in violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro alla pena, ciascuno, di anni uno e mesi quattro di reclusione riconosciute le circostanze attenuanti generiche con sospensione della pena. Gli imputati venivano inoltre condannati al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile costituita. La contestazione riguardava il delitto previsto e punito dall’art. 81 c.p., parte prima e artt. 113, 40 cpv. e 589 cpv c.p. perché per violazione delle disposizioni concernenti la prevenzione degli infortuni sul lavoro e, quindi per colpa specifica, rispettivamente, il C. , per la violazione di quanto già previsto dal D.P.R. n. 547 del 1955, art. 374 ed il P. per quanto già statuito dal D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, commi 1 e 2 e comma 4, lett. a e c e art. 11, non impedivano un evento che avevano l’obbligo giuridico di impedire, concorrendo a cagionarlo. Accadeva, difatti che, T.M. , dipendente della F. Ecologia S.r.l., con mansioni di conducente, recandosi al sito di stoccaggio del Comune di omissis , in località omissis , veniva trafitto, mentre era alla guida del furgoncino Piaggio targa della nettezza urbana, dalla sbarra di ferro posto a protezione dell’ingresso che lo penetrava dall’ipocondrio sinistro e gli trapassava il tronco. Il C. , in particolare, ometteva di far possedere alla barriera, metallica di accesso al sito i necessari requisiti di resistenza e di idoneità, non possedendo la sbarra un dispositivo di sicurezza idoneo a assicurarle, in fase di apertura, la stabilità. Il P. , dal suo canto, ometteva di valutare lo specifico rischio insito nel prestare attività lavorativa nel sito di stoccaggio assicurato con la detta sbarra, non fornendo alcun presidio al malcapitato e tollerando che la situazione permanesse con il pericolo concreto di cagionare infortuni come quello mortale in effetti verificatosi. Entrambi, pertanto, con condotte separate ma cooperanti, cagionavano la morte di T.M. . ndr ho un pò aggiustato l’italiano in queste ultime due frasi . Il tutto accertato in omissis . 2. Avverso tale provvedimento hanno proposto ricorso per Cassazione, ciascuno a mezzo del proprio difensore di fiducia, C.A. e P.R. , deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1 C.A. Con un primo motivo deduce violazione di legge in relazione agi artt. 81, 113, 40 cpv. e 589 cpv. c.p. e art. 192 c.p.p., comma 1 e vizio motivazionale in relazione all’affermazione di penale responsabilità dell’imputato. Ci si duole della ritenuta responsabilità penale, nonostante dagli atti processuali fosse emerso chiaramente che l’apposizione della sbarra metallica era avvenuta unicamente per impedire, in periodo di emergenza rifiuti, sversamenti incontrollati da parte di terzi ed impedire l’accesso quando il sito non era utilizzato. La corte di appello avrebbe motivato in maniera inadeguata rispetto agli elementi emersi in dibattimento e richiamati nei motivi di appello, che escludevano la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta del C. e la morte del T. . In particolare, il ricorrente ritiene illogica la motivazione della Corte napoletana, in quanto la finalità di installazione della sbarra era stata unicamente quella di impedire l’accesso all’area, utilizzabile solo in caso di emergenza trattandosi di un sito di stoccaggio provvisorio, quando la stessa non era utilizzata e, pertanto, non poteva costituire pericolo per l’incolumità di coloro che si avvicinassero al sito. Inoltre, la decisione di apporre la sbarra risaliva ad epoca precedente alla Delib. 2 gennaio 2008, con cui si autorizzava la F. srl, alle cui dipendenze lavorava la vittima, a sversare colà i rifiuti. Pertanto, sarebbe illogico sostenere la consapevolezza della destinazione del sito, come luogo dell’attività di raccolta della F. srl, al momento di installazione della sbarra, avvenuta sei mesi prima dell’ordinanza autorizzativa. Il C. ritiene che l’impugnata sentenza sia incorsa nel vizio di travisamento della prova, laddove, per la prima volta in appello, attribuisce, erroneamente, allo stesso ricorrente il ruolo di committente dei lavori eseguiti con il contratto di appalto stipulato con la F. . In realtà, secondo la tesi proposta in ricorso, il contratto di appalto, relativo alla raccolta e gestione dei rifiuti, veniva stipulato il omissis tra il Comune di omissis , in persona del geom. M.C. , Responsabile dell’Area Tecnica-Manutentiva e F.P. , amministratore unico della Ecologia F. srl. Entrambi i giudici di merito non avrebbero tenuto in conto che tutte le decisioni riguardanti la gestione del sito di stoccaggio erano di competenza di altri organi comunali, tra cui in particolare l’Ufficio tecnico manutentivo. Viene ulteriormente precisato che la realizzazione del sito di stoccaggio è stata seguita dall’Area Tecnica Manutentiva fin dal 2004 così come tutti i lavori effettuati nel sito, come dimostrato dalle delibere della Giunta Comunale prodotte, che vengono richiamate singolarmente. Viene rilevato, altresì, che l’impugnato provvedimento non offre alcuna motivazione sulla circostanza che tutte le delibere -e anche il progetto per la realizzazione del sito erano state sottoscritte dal geom. M. , che era il committente dei lavori e interloquiva con la ditta F. . Il C. riporta, quindi, la deposizione testimoniale dell’ing. D.S. , al fine di evidenziare tale ultimo assunto. Lamentando, poi, da parte della Corte distrettuale, la valutazione del solo dato formale dell’assenza di documentazione attestante l’espletamento di una procedura amministrativa per l’installazione della sbarra metallica, vengono riportate le dichiarazioni dei testi in relazione ai motivi di urgenza e necessità di isolare il sito in un momento di emergenza rifiuti. Si evidenzia che, dalla documentazione acquisita, risulta il coinvolgimento dell’ufficio competente e che, pertanto, la ritenuta attribuzione della qualifica di committente in capo al C. risulterebbe inadeguatamente motivata, perché in contrasto con le deposizioni testimoniali e priva di riscontro nella documentazione acquisita. L’ordinanza del Sindaco n. 1 del 2/1/2008, che ordinava alla ditta F. l’utilizzo provvisorio del sito in via di urgenza, era notificata sia alla ditta F. che all’ufficio tecnico competente. Tale comunicazione escluderebbe qualsiasi responsabilità del sindaco, essendo stati investiti i soggetti firmatari del contratto di appalto cui vanno ricollegate le responsabilità della stipula dello stesso. In ogni caso, poi, il C. rileva che la Corte napoletana avrebbe dovuto valutare se l’obbligo di garantire la sicurezza dei lavoratori gravasse sull’esecutore dei lavori o anche sul committente, identificato nel geom. M.C. , responsabile dell’area tecnico-manutentiva. A tal fine viene integralmente riportato un ampio stralcio del contratto di appalto, relativamente alla responsabilità per la sicurezza che veniva assunta esclusivamente dall’impresa affidataria dell’esecuzione delle opere. Il ricorrente lamenta, ancora una volta, l’errata identificazione della figura del committente delle opere nella persona del sindaco, evidenziando che la mera indicazione del sito da utilizzare non può ritenersi equivalente ad una indicazione data dal committente, che, nel caso che ci occupa, andava identificato, come già detto nel responsabile dell’ufficio tecnico, firmatario del contratto di appalto. L’assunto della sentenza impugnata viene, inoltre, ritenuto contraddittorio laddove individua l’insorgere di una posizione di responsabilità e garanzia a carico del coimputato P.R. a seguito della notifica della, sopra richiamata, ordinanza sindacale del 2/1/2008, a differenza di quanto ritenuto nei confronti dell’altro destinatario della stessa ordinanza, il dirigente dell’Area tecnica del Comune. In ogni caso, si aggiunge in ricorso, in conformità ai richiamati principi stabiliti da questa Corte di legittimità in tema di responsabilità del committente, che, nel caso in esame, una volta affidata la gestione della raccolta dei rifiuti alla F. Ecologia, ditta esperta e competente, dotata di un’articolata struttura aziendale, nessun rimprovero può muoversi, anche a titolo colposo, allo stesso committente. La Corte distrettuale non avrebbe considerato la mancanza di prova di una concreta ingerenza del committente nell’esecuzione dei lavori e, di conseguenza, della immeditata percepibilità da parte dello stesso committente di una situazione di potenziale pericolo. Il ricorrente evidenzia, ancora, che il decesso del lavoratore sarebbe avvenuto a seguito di un evento eccezionale, rappresentato dall’impatto del veicolo condotto dallo stesso lavoratore con la sbarra metallica che trapassava la lamiera del veicolo e il corpo del T. . Pertanto, dalla dinamica del fatto si evincerebbe che la mancata previsione di un dispositivo per garantire la stabilità della sbarra durante l’apertura appare poco percepibile come situazione di pericolo per il lavoratore tanto dal committente quanto dalla ditta esecutrice dei lavori. Le dimensioni e caratteristiche della sbarra, come riportate anche nell’impugnata sentenza, sarebbero tali, per dimensioni e peso, da indurre anche successivamente all’incidente a non considerarla una fonte di pericolo e a non ipotizzare che potesse richiudersi su se stessa. Tanto più in considerazione che vi era un addetto, anche se in assenza di un formale atto amministrativo, all’apertura e chiusura della sbarra. Sul punto vengono riportate le deposizioni testimoniali, al fine di evidenziare la non corretta valutazione della sentenza di appello, che attribuiva allo stesso addetto la funzione di sorveglianza perché i cittadini non utilizzassero il sito. La stessa sentenza avrebbe genericamente rigettato lo specifico motivo di appello affermando che il Viscusi, soggetto preposto al controllo degli accessi, non aveva competenza tecnica in tema di sicurezza. Con un secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio motivazionale in relazione all’art. 45 c.p Ci si duole dell’inadeguata motivazione dell’impugnata sentenza sull’esclusione dell’esimente di cui all’art. 45 c.p La Corte distrettuale non avrebbe tenuto in considerazione che il giorno dell’incidente l’imprevedibile spostamento della sbarra fu causato dalla presenza di un forte ed eccezionale vento, che ha rappresentato una circostanza imprevedibile e improvvisa, tale da interrompere il nesso di causalità. Tale circostanza sarebbe emersa senza ombra di dubbio dalle deposizioni testimoniali e dalla consulenza tecnica del Dott. D.r. , acquisita agli atti. Anche in questo caso vengono riportate le dichiarazioni testimoniali e le conclusioni del consulente per evidenziare l’illogicità della motivazione laddove considera il vento un evento assolutamente prevedibile. Con un terzo motivo si deduce violazione di legge e vizio motivazionale in relazione all’art. 589 c.p., comma 2 e art. 62 bis c.p Ci si duole della mancata esclusione dell’aggravante contestata di cui all’art. 589 cpv. c.p. e dalla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza rispetto all’aggravante. Sul punto mancherebbe ogni motivazione, evidenziando, ancora una volta, che il C. non può considerarsi committente dei lavori. Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata. P.R. Con un unico motivo deduce violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 626 del 1994 e all’art. 40 cpv c.p. e vizio di motivazione. Il ricorrente riporta la motivazione della sentenza impugnata per evidenziare l’assoluta mancanza di riferimento alla doglianza difensiva, contenuta nei motivi di appello, sull’applicabilità della L. n. 626 del 1994 all’epoca dei fatti, avvenuti nel febbraio 2008, pochi mesi prima dell’entrata in vigore della L. n. 81 del 2008. Si riporta anche lo stralcio delle dichiarazioni del consulente della difesa, rese sul punto specifico, contenute nei motivi di appello per evidenziare che all’epoca dei fatti non era in vigore l’obbligo di redigere un POS, nè vi erano altri obblighi per la ditta appaltatrice, gravando gli stessi unicamente sul committente. Inoltre la ditta Ecologia F. , di cui il P. è legale rappresentante, non aveva la gestione del sito, che era affidata al proprietario, il quale aveva incaricato un proprio dipendente di aprire e chiudere la sbarra di accesso. Il P. riporta le deposizione testimoniale di A.I. , responsabile della sicurezza per la Ecologia F. al fine di evidenziare che l’obbligo di elaborare il piano di sicurezza, all’epoca della L. n. 626, esisteva solo nei siti di proprietà della ditta, mentre allorquando sversavano i rifiuti negli impianti di CDR, erano gli impianti a predisporre e comunicare il proprio piano di sicurezza. Il sito della località O missis era un sito straordinario dove, a seguito dell’ordinanza del 2/1/2008, venivano effettuati gli sversamenti accedendo all’impianto unitamente ad un addetto responsabile che accompagnava gli operai indicandogli anche se vi erano pericoli imminenti. Tali doglianze sarebbero rimaste prive di riscontro. Si rileva, infine, l’errata applicazione di legge in quanto l’imputazione contesta al P. l’omessa valutazione dello specifico rischio insito nel prestare attività lavorativa nel sito di stoccaggio assicurato da detta sbarra, ma obietta il ricorrente, l’obbligo di redigere il piano di sicurezza gravava sul committente trattandosi di sito di stoccaggio provvisorio, nella disponibilità del Comune. La contravvenzione di omessa elaborazione del documento di valutazione dei rischi da interferenze, previsto dal D.Lgs. 17 settembre 1994, n. 626, art. 7, a seguito della sua riconfigurazione operata dal D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 26, sanziona un reato proprio del committente ossia di colui che detiene la disponibilità giuridica dei luoghi dove si svolgono i lavori in appalto. Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata, con o senza rinvio. Considerato in diritto 1. I motivi sopra illustrati appaiono infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato. 2. Sul punto va ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti tra le varie, cfr. vedasi Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009 n. 12110 e n. 23528 del 6.6.2006 . Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l’illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento Sez. 3, n. 35397 del 20/6/2007 Sez. Unite n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794 . Più di recentemente, è stato ancora ribadito come ai sensi di quanto disposto dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e , il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene nè alla ricostruzione dei fatti nè all’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile a l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato b l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento Sez. 2, n. 21644 del 13.2.2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542 . 3. Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto. Non c’è, in altri termini, come di fatto richiesto nel presente ricorso, la possibilità di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. E ciò anche alla luce del vigente testo dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46. Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito. I ricorrenti non possono, come nel caso che ci occupa limitarsi a fornire una versione alternativa del fatto, senza indicare specificamente quale sia il punto della motivazione che appare viziato dalla supposta manifesta illogicità e, in concreto, da cosa tale illogicità vada desunta. Com’è stato rilevato nella citata sentenza 21644/13 di questa Corte la sentenza deve essere logica rispetto a sé stessa , cioè rispetto agli atti processuali citati. In tal senso la novellata previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche da altri atti del processo , purché specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, che rimane giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto. 4. La premessa di cui sopra serve a meglio comprendere come il travisamento della prova sia altro rispetto a quello che si indica nel presente ricorso. Avere introdotto la possibilità di valutare i vizi della motivazione anche attraverso gli atti del processo costituisce invero il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto travisamento della prova che è quel vizio in forza del quale il giudice di legittimità, lungi dal procedere ad una inammissibile rivalutazione del fatto e del contenuto delle prove , prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto è stato o meno trasfuso e valutato, senza travisamenti, all’interno della decisione. In altri termini, vi sarà stato travisamento della prova qualora il giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste ad esempio, un documento o un testimone che in realtà non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale alla disposta perizia è risultato che lo stupefacente non fosse tale ovvero che la firma apocrifa fosse dell’imputato . Oppure dovrà essere valutato se c’erano altri elementi di prova inopinatamente o ingiustamente trascurati o fraintesi. Ma occorrerà ancora ribadirlo – non spetta comunque a questa Corte Suprema rivalutare il modo con cui quello specifico mezzo di prova è stato apprezzato dal giudice di merito, giacché attraverso la verifica del travisamento della prova. Per esserci stato travisamento della prova occorre che sia stata inserita nel processo un’informazione rilevante che invece non esiste nel processo oppure si sia omesso di valutare una prova decisiva ai fini della pronunzia. In tal caso, però, al fine di consentire di verificare la correttezza della motivazione, va indicato specificamente nel ricorso per Cassazione quale sia l’atto che contiene la prova travisata o omessa. Il mezzo di prova che si assume travisato od omesso deve inoltre avere carattere di decisività. Diversamente, infatti, si chiederebbe al giudice di legittimità una rivalutazione complessiva delle prove che, come più volte detto, sconfinerebbe nel merito. 5. Se questa, dunque, è la prospettiva ermeneutica cui è tenuta questa Suprema Corte, le censure che il ricorrente C.A. rivolge al provvedimento impugnato si palesano manifestamente infondate, non apprezzandosi nella motivazione della sentenza della Corte d’Appello di Napoli alcuna illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva. Il ricorrente peraltro riproponendo in gran parte i motivi, già proposti in appello, sui quali la Corte distrettuale ha ampiamente e congruamente motivato non contesta il travisamento di una specifica prova, ma sollecita a questa Corte una diversa lettura dei dati processuali non consentito in questa sede di legittimità. Per contro, è stata ampiamente argomentata nel provvedimento impugnato la motivazione per cui il Sindaco è stato ritenuto responsabile, avendo incaricato direttamente e personalmente il fabbro dell’opera di apposizione della sbarra che, di grosse e notevoli dimensioni, era priva di un sistema di blocco. E sempre il Sindaco ha individuato l’area da destinarsi a sito di stoccaggio provvisorio dei rifiuti. Differentemente che in casi analoghi a quello che ci occupa, in questo non si pone alcun problema di individuazione del soggetti su cui gravasse l’obbligo di garanzia rispetto all’incolumità del lavoratore. L’uno, come si dirà in seguito per il P. , ne era il datore di lavoro. E l’altro, il C. , Sindaco del piccolo comune di cui ci si occupa, aveva personalmente curato, senza premunirsi che non potesse costituire un pericolo per i terzi, che venisse installata la sbarra di ferro posta a protezione del sito. Correttamente la Corte distrettuale rammenta che il principio di colpevolezza richiede sempre la previa verifica, in concreto, sia della sussistenza della violazione da parte del garante di una regola cautelare generica o specifica , sia della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso, che la regola cautelare violata mirava a prevenire c.d. concretizzazione del rischio , sia la sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento dannoso conferente in tal senso è il richiamo a Sez. 4 n. 24462 dei 6/5/2015 ibidem n. 5404 dell’08/01/2015, n. 1819 del 03/10/2014, n. 49707 del 04/11/2014 . Inoltre, il giudizio sulla prevedibilità, per valutare l’imputazione soggettiva dell’evento, deve necessariamente riferirsi alla classe di eventi in cui si colloca quello oggetto del processo, senza potersi richiedere una specifica e dettagliata configurazione del fatto oggetto del processo. Sez. Un. 38343/2014 . Nel solco di tali principi, quanto al C. , pertanto, la decisione di apporre la sbarra avrebbe dovuto essere presa nella consapevolezza che la stessa non avrebbe dovuto mettere mai in pericolo l’incolumità di alcuno dei soggetti che, legittimamente o meno, fossero entrati nel sito. E al riguardo appare accertato che proprio C. abbia ritenuto necessario apporre un sistema di chiusura al sito di versamento nel quale, trattandosi di un periodo di emergenza per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, i cittadini andavano a sversare in maniera incontrollata spazzatura, senza autorizzazione. Per tale esigenza lo stesso si rivolse al fabbro P. , incaricandolo di fabbricare la sbarra. Sul thema decidendi non influisce la circostanza del se la decisione di apporre la sbarra da parte del Sindaco sia avvenuta prima o dopo l’indicazione alla F. Ecologia srl di utilizzare quel sito per stoccarvi i rifiuti. È pacifico, infatti, che per quel sito andasse garantito quanto specificato dalla norma prevenzionale contestata al C. il D.P.R. n. 547 del 1955, art. 374 secondo cui gli edifici, le opere destinate ad ambienti o posti di lavoro, compresi i servizi accessori, devono essere costruiti e mantenuti in buono stato di stabilità, di conservazione e di efficienza in relazione alle condizioni di uso e alle necessità della sicurezza del lavoro. Gli impianti, le macchine, gli apparecchi, le attrezzature, gli utensili, gli strumenti, compresi gli apprestamenti di difesa, devono possedere, in relazione alle necessità della sicurezza del lavoro, i necessari requisiti di resistenza e di idoneità ed essere mantenuti in buono stato di conservazione e di efficienza . 6. È fuori discussione, in altri termini, come correttamente ritenuto dalla Corte distrettuale, che l’avvenuta apposizione della sbarra non poteva prescindere dall’adozione di un idoneo sistema di sicurezza per chiunque accedesse al sito, a prescindere dalla legittimità o meno di tale accesso. Poca rilevanza assume la circostanza che il sito fosse utilizzato solo momentaneamente per l’emergenza rifiuti e che la sbarra fosse stata apposta solo per impedire l’accesso indiscriminato di persone non autorizzate. Infondata è anche la doglianza che vorrebbe attribuire il ruolo di committente al responsabile dell’Ufficio tecnico firmatario del contratto con la ditta F. . Come correttamente osservato, nella sentenza impugnata, non è stata rinvenuta alcuna delega di incarico inoltre, lo si ripete, l’individuazione del sito e la decisione di apposizione della sbarra per regolare l’unica via di accesso al sito è riconducibile unicamente al Sindaco. Nè può ritenersi fondato il motivo di ricorso che invoca l’interruzione del nesso causale per l’imprevedibilità del forte vento. Il caso fortuito consiste, infatti, in quell’avvenimento imprevisto e imprevedibile che si inserisce d’improvviso nell’azione del soggetto e non può in alcun modo, nemmeno a titolo di colpa, farsi risalire all’attività psichica dell’agente conferente è il richiamo che viene operato alla sentenza n. 6982/2013 . Va peraltro rilevato che, in tema di causalità, la causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento ex art. 41 c.p., comma 2 può configurarsi anche nel caso di un processo non completamente avulso dall’antecedente, ma caratterizzato da un percorso causale completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale, ossia di un evento che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta. Per contro, come correttamente osservato dalla Corte partenopea non può definirsi imprevedibile la presenza di forte vento in aperta campagna e nel periodo invernale. Nè può condividersi secondo la logica motivazione dei giudici del gravame del merito l’osservazione difensiva fondata sulle notevoli dimensioni della sbarra che, a causa delle stesse, sarebbe stata particolarmente stabile. Proprio le dimensioni della sbarra richiedevano, invece, un idoneo sistema di bloccaggio, essendo del tutto prevedibile che una sbarra di tali dimensioni non potesse venire bloccata manualmente dall’addetto. 7. Adeguatamente motivata appare l’impugnata sentenza anche in relazione al trattamento sanzionatorio. La corte di appello rileva l’adeguatezza della sanzione irrogata anche alla luce dell’avvenuta concessione delle circostanze attenuanti generiche. La pena base è stata peraltro calcolata in misura inferiore al c.d. medio edittale e questa Corte di legittimità ha chiarito che la determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra, tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso in cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 c.p. così questa Sez. 4, n. 46412 del 5/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283 Sez. 4, n. 21294 del 20/3/2013, Serratore, Rv. 256197 conf. Sez. 2, n. 28852 de11118/5/2013, Taurasi e altro, Rv. 256464 Sez. 3, n. 10095 del 10/1/2013, Monterosso, Rv. 255153 Sez. 2, n. 36245 del 26/6/2009, Denaro, Rv. 245596 . E ancora di recente, è stato ribadito che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 c.p. con espressioni del tipo pena congrua , pena equa o congruo aumento , come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale Sez. 2, n. 36104 del 27/4/2017, Mastro ed altro, Rv. 271243 . È stato altresì sottolineato, ancora di recente, che in tema di determinazione della pena, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, se il parametro valutativo è desumibile dal testo della sentenza nel suo complesso argomentativo e non necessariamente solo dalla parte destinata alla quantificazione della pena. Sez. 3, n. 38251 del 15/6/2016, Rignanese, Rv. 267949 . 8. Infondate appaiono le doglianze mosse da P.R. , datore di lavoro della vittima correttamente è stato ritenuto l’obbligo di redazione del piano di sicurezza previsto, tra l’altro, nel contratto di appalto sottoscritto dalle parti nè può ritenersi del tutto occasionale l’avvenuto sversamento nel sito. Al momento dell’incidente gli sversamenti avvenivano già da tempo e l’imputato era ben a conoscenza dei luoghi dove dovevano essere eseguite le prestazioni oggetto del contratto di appalto. Nè esclude la responsabilità del datore di lavoro, la circostanza che l’accesso veniva consentito da un addetto del comune. Con motivazione logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto, perché opera un buon governo dei principi sopra richiamati, i giudici del gravame del merito evidenziano che nel caso di specie la responsabilità del datore di lavoro sorgeva nel momento in cui P. riceveva, senza contestarla, l’indicazione di lavorare nel sito OMISSIS . Da quell’attimo il P. avrebbe dovuto verificare se il luogo fosse adeguato a consentire che i suoi operai svolgessero l’attività adempitiva delle obbligazioni assunte alla stipula dell’appalto, in condizioni di sicurezza certamente, non poteva dirsi assicurata in maniera idonea a prevenire incidenti la sbarra in parola, che era basculante e non aveva e questo è accertato perché mai messo in dubbio un blocco che ne consentisse il fermo in posizione di apertura. La predisposizione di un sistema di bloccaggio era caratteristica necessaria, individuabile secondo un giudizio ex ante come imprescindibile dotazione, considerate le due circostanze già esposte in precedenza ovvero che la sbarra dovesse impedire l’ingresso abusivo di cittadini e anche permettere l’ingresso questa volta legittimo dei dipendenti addetti al trasporto raccolta solidi urbani, motivi per cui doveva essere istallato un dispositivo che non mettesse in pericolo la sicurezza delle due categorie di soggetti interessati a diverso titolo all’accesso. Tanto più che la sbarra era molto pesante, essendo un tubolare di circa 50 & lt 50 CM. Pienamente integrati si palesano, pertanto, i profili di colpa specifica contestati al datore di lavoro D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, commi 1 e 2, comma 4, lett. a e c e comma 11 . L’art. 4 della legge citata, rubricato obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto prevede, infatti, che 1. Il datore di lavoro, in relazione alla natura dell’attività dell’azienda ovvero dell’unità produttiva, valuta, nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché, nella sistemazione dei luoghi di lavoro, i rischi per la sicurezza e per la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari. 2. All’esito della valutazione di cui al comma 1, il datore di lavoro elabora un documento contenente a una relazione sulla valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro, nella quale sono specificati i criteri adottati per la valutazione stessa b l’individuazione delle misure di prevenzione e di protezione e dei dispositivi di protezione individuale, conseguente alla valutazione di cui alla lettera a c il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza. 4. Il datore di lavoro a designa il responsabile del servizio di prevenzione e protezione interno o esterno all’azienda secondo le regole di cui all’art. 8 c nomina, nei casi previsti dall’art. 16, il medico competente . A sua volta l’art. 11 Riunione periodica di prevenzione e protezione dai rischi prevede che 1. Nelle aziende, ovvero unità produttive, che occupano più di 15 dipendenti, il datore di lavoro, direttamente o tramite il servizio di prevenzione e protezione dai rischi, indìce almeno una volta all’anno una riunione cui partecipano a il datore di lavoro o un suo rappresentante b il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi c il medico competente ove previsto d il rappresentante per la sicurezza. 2. Nel corso della riunione il datore di lavoro sottopone all’esame dei partecipanti a il documento, di cui all’art. 4, commi 2 e 3 b l’idoneità dei mezzi di protezione individuale c i programmi di informazione e formazione dei lavoratori ai fini della sicurezza e della protezione della loro salute. 3. La riunione ha altresì luogo in occasione di eventuali significative variazioni delle condizioni di esposizione al rischio, compresa la programmazione e l’introduzione di nuove tecnologie che hanno riflessi sulla sicurezza e salute dei lavoratori. 4. Nelle aziende, ovvero unità produttive, che occupano fino a 15 dipendenti, nelle ipotesi di cui al comma 3, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza può chiedere la convocazione di una apposita riunione. 5. Il datore di lavoro, anche tramite il servizio di prevenzione e protezione dai rischi, provvede alla redazione del verbale della riunione che è tenuto a disposizione dei partecipanti per la sua consultazione . Ebbene, a nessuno di tali obblighi il datore di lavoro aveva adempiuto. 9. Nessun dubbio sussiste secondo la motivazione priva di aporie logiche e corretta in punto di diritto del provvedimento impugnato, che pertanto si sottrae alle proposte censure di legittimità che sul P. gravassero in toto tutti gli obblighi in materia prevenzionale del datore di lavoro, che, in quanto tale, è il garante primario della sicurezza del lavoratore, in quanto titolare di un rapporto di lavoro o comunque dominus di fatto dell’organizzazione dell’attività lavorativa. In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza, ha l’obbligo non solo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all’art. 2087 c.c., egli è costituito garante dell’incolumità fisica dei prestatori di lavoro Sez. 4, n. 4361 del 21/10/2014 dep. il 2015, Ottino, Rv. 263200 . E, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell’obbligo di tutela impostogli dalla legge fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia, per cui l’omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione così Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253850 in una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto la responsabilità del datore di lavoro per il reato di lesioni colpose nonostante fosse stata dedotta l’esistenza di un preposto di fatto . 10. Al rigetto dei ricorsi consegue, ex lege, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.