La Cassazione ribadisce l’assenza di effetto sospensivo delle impugnazioni nella procedura di prevenzione

La Suprema Corte torna ad occuparsi delle misure praeter delictum, spesso oggetto di cronaca per gli strali provenienti da Strasburgo, a causa della loro stessa fisionomia, difficilmente comprensibile a livello sovranazionale, per l’anticipazione della soglia di intervento afflittivo e, non di meno, i meccanismi presuntivi intrinsecamente connessi alle decisioni della Magistratura.

In proposito, chiamata a pronunciarsi sulla sospensione dei provvedimenti impugnati, conferma la compatibilità degli istituti esaminati con i principi stabiliti dalle fonti apicali del nostro ordinamento sentenza n. 49675/19 depositata il 6 dicembre . Il caso. Il giudizio a quo scaturisce dal rigetto, da parte della Corte d’Appello di Roma, dell’istanza proposta da due prevenuti, attinti, in base a indizi di pericolosità emersi sin dal 1985, dalla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e dalla confisca di una serie di beni le difese avevano domandato di sospendere la procedura in corso e l’esecutività delle misure, per la pendenza della quaestio pervenuta al Giudice delle leggi dopo la nota sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo de Tommaso Corte EDU, Grande Camera, 23.2.2017, de Tommaso v. Italia . Ad avviso dei Giudici distrettuali, tuttavia da un lato, in assenza di un intervento della Consulta non potevano ancora trarsi conclusioni sulla costituzionalità delle disposizioni invocate dall’altro, premesso che le doglianze difensive erano mera riproduzione delle censure mosse nei confronti del decreto applicativo, non v’era comunque luogo a provvedere, mancando il presupposto giuridico per inibire gli effetti di una decisione non ancora irrevocabile. Entrambi i proposti ricorrevano per Cassazione, tramite i rispettivi difensori di fiducia, lamentando con atti particolarmente articolati violazione dell’art. 670, comma 2, c.p.p. – anche in relazione all’art. 13, comma 2, Cost. – derivante da carenza assoluta di motivazione, poiché i Giudici di prevenzione non avevano mutuato l’impostazione, prevista da norma generale, che consente di sospendere l’esecuzione dei provvedimenti di merito né spiegato perché non l’avessero fatto , limitandosi ad applicare il c.d. codice antimafia ulteriori carenze motivazionali circa la richiesta di decadenza del vincolo reale erronea applicazione dell’esegesi costituzionalmente orientata degli artt. 20 e 24 d.lgs. n. 159/2011, per l’intervenuta confisca su beni oggetto di decreto di sequestro che con sentenza del Supremo Collegio era stato dichiarato non congruamente motivato ignorando così il vincolo logico-giuridico che lega i due provvedimenti violazione di legge sostanziale, per aver trascurato l’abrogazione, ad opera della sentenza n. 24/2019 della Corte Costituzionale, della parte in cui l’art. 4, comma 1, lett. c , d.lgs. n. 159/2011, stabilisce che sequestro e confisca possano applicarsi anche per beni intestati a soggetti caratterizzati dalla c.d. pericolosità comune. Con l’atto introduttivo, si introducevano anche le questioni di legittimità costituzionale ed europea delle norme applicate. Le ragioni delle difese erano state perorate, peraltro, anche con memorie depositate nei termini di rito, anche in replica a quanto sostenuto nella requisitoria scritta depositata dal Pubblico Ministero. La sentenza. La Sezione I – su parere conforme del Procuratore generale – dichiara inammissibili i ricorsi, condannando i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno, ravvisando colpa nelle impugnazioni, a versare € 3.000 alla Cassa delle ammende. L’iter motivo si presenta consistente, seppur non prolisso, dovendo passare in rassegna – per escluderne la fondatezza – le tante e complesse criticità dedotte dai ricorrenti. L’Estensore tratta al termine della motivazione, per giovarsi delle argomentazioni già spese e non considerandola tra le tematiche principali, la compatibilità con le Carte delle peculiarità procedurali di questa materia. La legittimità costituzionale ed europea del procedimento di prevenzione. Ed infatti, in poche righe, il Collegio rigetta entrambe le richieste, sottolineando la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, posto che la possibilità per l’Accusa di richiedere la sospensione della revoca del sequestro – ossia degli effetti della decisione di gravame – non concreterebbe una disparità di trattamento con la difesa l’inammissibilità della pregiudiziale europea, per l’inconferenza del principio di presunzione di innocenza, che non rileva in un ambito nel quale il giudizio prognostico sulla pericolosità dei proposti attiene alle circostanze idonee a predire la futura commissione di condotte criminose, a prescindere dal fatto che si siano tradotte in condanne irrevocabili. L’assenza di effetto sospensivo delle impugnazioni. Il tema centrale è, invece, se il Giudice della prevenzione possa sospendere l’esecutività di un provvedimento impugnato. Ad avviso degli Ermellini, si tratta di una facoltà – concessa dal legislatore in casi tassativi – qui radicalmente preclusa, poiché da un lato, le misure reali divengono esecutive solo con la definitività dei relativi provvedimenti, mentre, per quelle personali, questa eventualità è testualmente esclusa ex art. 11, comma 3, d.lgs. n. 159/2011 dall’altro, si tratta di una scelta che trova adeguato bilanciamento nel regime accelerato di simili procedimenti, oltre che nella possibilità, per l’interessato, di proporre revoca o modifica della misura – con effetti certamente più favorevoli della sospensione – quando mutino le circostanze che l’hanno fondata. Non può trovare applicazione, infine, la disposizione, nata per regolare un differente contesto, che disciplina le sorti dei titoli esecutivi, posto che, nella fattispecie, ci si trova di fronte ad un decreto solo provvisoriamente esecutivo. Conclusioni. La sentenza in commento giunge a statuire il principio di diritto per il quale la Corte d’Appello che giudichi del gravame avverso il decreto applicativo di misura di prevenzione personale non ha il potere di disporne le sospensione, non potendo neppure applicare analogicamente l’art. 670 c.p.p Sebbene fondata su assunti processuali, nel nostro sistema, ineccepibili, la lettura lascia sopravvivere un dubbio qual è il grado di garanzia, dinanzi ad una pur provvisoria limitazione di diritti individuali, offerto da un rimedio – istanza di sospensione o modifica della misura – che deve essere sottoposto a chi ha avallato, talvolta mediante presunzioni logiche, i presupposti del provvedimento originario?

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 11 luglio – 6 dicembre 2019, n. 49675 Presidente Tardio – Relatore Boni Ritenuto in fatto 1.Con ordinanza in data 21 febbraio 2019 la Corte di appello di Roma, sezione misure di prevenzione, rigettava l’istanza, proposta da S.N. e T.G. , volta ad ottenere la sospensione, sia del procedimento di prevenzione in corso di celebrazione, sia delle misure di prevenzione personali e patrimoniali applicate a loro carico. 1.1 A fondamento della decisione rilevava che, stante il richiamo da parte degli interessati dei principi affermati dalla sentenza della Corte EDU De Tommaso contro Italia, a seguito della quale era stata sollevata questione di illegittimità costituzionale, al momento non ancora risolta, sul punto era opportuno attendere l’esito del giudizio di costituzionalità quanto al merito dell’istanza, riscontrava la deduzione delle medesime questioni sollevate con l’appello proposto avverso il decreto applicativo delle misure prevenzionali, ma negava di poter intervenire, disponendone la sospensione, per l’assenza di una norma espressa che consentisse di paralizzare gli effetti di una decisione non ancora definitiva in materia. 1.2 Avverso tale provvedimento hanno proposto separati ricorsi a mezzo dei loro rispettivi difensori lo S. e la T. . 1.2.1 T.G. , per il tramite degli avv.ti Marcello Gallo e Guido Camera, ha dedotto a Violazione di legge conseguente alla carenza assoluta di motivazione ed in relazione all’art. 670 c.p.p., comma 2. Nelle note presentate alla Corte di appello in occasione dell’udienza del 14 febbraio 2019 la difesa aveva richiamato i vincolanti principi, formulati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di esperibilità dell’incidente di esecuzione ex art. 666 c.p.p. per contestare i provvedimenti di reiezione delle istanze di revoca del sequestro, formulate nel corso della procedura di prevenzione e di sottoposizione del procedimento prevenzionale ai principi ed agli istituti tipici del processo penale, sicché proprio l’art. 670 c.p.p., comma 2, era stato individuato quale disposizione processuale, applicabile al caso di specie per decidere sulle istanze di sospensione delle misure di prevenzione applicate nei confronti dei ricorrenti. La Corte di Appello non ha replicato alle argomentazioni difensive ed è incorsa nel difetto di motivazione che si traduce nella violazione di legge inoltre, non ha considerato che, poiché il Tribunale di Roma, -cui era stata rivolta l’opposizione al rigetto dell’istanza di revoca del sequestro, dopo l’annullamento di precedente decisione reiettiva da parte della Corte di cassazione con la sentenza n. 1950/2018-, nel giudizio di rinvio aveva dichiarato non luogo a provvedere per l’intervenuta decisione di confisca, oggetto di appello da parte del proposto e del terzo intervenuto, era investita della questione in conformità a quanto disposto dall’art. 670 c.p.p., comma 2, laddove stabilisce che quando è proposta impugnazione od opposizione, il giudice dell’esecuzione, dopo avere provveduto sulla richiesta dell’interessato, trasmette gli atti al giudice di cognizione , che, per essere norma generale e per prevedere la possibilità di disporre la sospensione del titolo esecutivo, è applicabile in via diretta ed immediata anche alle misure di prevenzione. Qualora non si ritenesse di aderire a tale prospettazione, la disparità di condizioni tra accusa e difesa rispetto alla facoltà di chiedere la sospensione degli effetti del provvedimento di prevenzione disposto dal Tribunale o dalla Corte di appello prima della decisione di merito comporta l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 27, commi 3 e 3-bis, per violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost b Assoluta mancanza di motivazione in relazione alla richiesta difensiva, formulata all’udienza del 14 febbraio 2019, di dichiarare la decadenza della misura di prevenzione reale per violazione del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 24, comma 2. La Corte d’Appello ha totalmente omesso di pronunciarsi in ordine alla istanza di decadenza del vincolo reale sul presupposto dell’avvenuto decorso di oltre diciotto mesi tra la data di esecuzione del provvedimento di sequestro del 16 marzo 2016 e la confisca, disposta il 18 settembre 2018. Nonostante la proroga di sei mesi, disposta in data 22 maggio 2017 dal Tribunale di Roma, la relativa motivazione è di stile e quindi apparente sulla complessità del procedimento e delle indagini patrimoniali, in violazione degli obblighi giustificativi, affermati dalla Corte di cassazione sentenza n. 7884/2018 in una fattispecie concreta in cui la motivazione della proroga era stata articolata in termini corrispondenti e ritenuti non realmente significativi della necessità del prolungamento, tanto più che nel caso non era stata svolta nessuna istruttoria o indagine patrimoniale. 1.2.2 S.N. a mezzo del difensore, avv.to Saverio Cosi, ha lamentato a Inosservanza dell’art. 670 c.p.p., applicabile in via analogica, e violazione dell’art. 13 Cost., comma 2. Benché il Tribunale non avesse adottato i provvedimenti richiesti all’esito della sentenza di annullamento con rinvio n. 57096/2018 ed avesse rimesso gli atti al giudice dell’impugnazione, la Corte di appello, limitandosi alla sola lettura del testo del D.Lgs. n. 159 del 2011, ha ritenuto insussistente norma che la abiliti all’emissione di provvedimenti urgenti in materia di libertà personale, violando il giudicato interno, formatosi con la sentenza della Corte di cassazione n. 45561/2017 che aveva dichiarato applicabile l’incidente di esecuzione nell’ambito della procedura di prevenzione e che aveva determinato il primo annullamento dell’ordinanza reiettiva dell’istanza di revoca del sequestro, emessa dal Tribunale di Roma il 19 maggio 2016. Si segnala la perfetta coincidenza di argomenti, dai quali si è desunta la pericolosità sociale, enunciati nel decreto di sequestro ed in quello applicativo delle misure di prevenzione personali e patrimoniali del 18 settembre 2018. In realtà, la sentenza della Suprema Corte, rilevando l’omessa motivazione del decreto di sequestro, ha determinato il venir meno del titolo esecutivo, per cui, in forza del combinato disposto degli artt. 666 e 670 c.p.p., il Giudice della cognizione avrebbe dovuto verificare l’eventuale assenza o non esecutività del titolo. b Inosservanza del D.Lgs. n. 159 del 2011, artt. 20 e 24 nella lettura costituzionalmente orientata offertane dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione nella sentenza n. 4880/14. Stante il vincolo logico-giuridico esistente tra sequestro e confisca, se il sequestro non è congruamente motivato, come riconosciuto dalla Corte di cassazione con la pronuncia n. 57096/2018, il vizio si ripercuote sulla stessa confisca, che deve riguardare beni acquisiti nell’arco temporale di manifestazione della pericolosità sociale, indicato nel sequestro al contrario, il Tribunale di Roma, senza attendere gli esiti del giudizio di legittimità, ha disposto la confisca in riferimento allo stesso arco temporale compreso tra il 1985 ed il 2016, indicato nel sequestro, nonostante il difetto di motivazione quanto all’individuazione del momento iniziale avesse privato di valenza giuridica l’intero ragionamento sotteso alla decisione. c Illegittimità dell’ordinanza impugnata a ragione della pronuncia della Corte Costituzionale n. 24/19 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 4, comma 1, lett. c , nella parte in cui stabilisce che i provvedimenti previsti dal capo II si applicano anche ai soggetti indicati nell’art. 1 lett. a e del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 16, nella parte in cui stabilisce che le misure di prevenzione del sequestro e della confisca, disciplinate dagli artt. 20 e 24, si applichino anche ai soggetti indicati nell’art. 1, comma 1, lett. a . Il decreto del Tribunale di Roma ha disposto le misure di prevenzione personali e reali ad entrambi i proposti in applicazione delle norme dichiarate incostituzionali sul presupposto che essi fossero soggetti abitualmente dediti a traffici delittuosi, associandosi anche con altri soggetti, al fine di commettere una serie di gravissimi delitti contro la P.A. . Da ciò discende la necessità di annullare senza rinvio entrambi i provvedimenti ablatori inflitti perché emessi in forza del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 1, comma a , al momento non più vigente. d Inosservanza del D.Lgs. n. 159 del 2011, artt. 20 e 24, artt. 125, 666 e 670 c.p.p La Corte di appello ha omesso di pronunciarsi in ordine alla istanza di decadenza del sequestro per tardiva adozione della decisione di confisca, intervenuta dopo una proroga del termine di legge di sei mesi, adottata con motivazione apparente, che non tiene conto del reale andamento del procedimento, nel quale non era stata espletata consulenza, nè erano state condotte indagini patrimoniali e dopo un periodo di sospensione di soli mesi cinque e giorni ventiquattro dipeso dalla proposizione di istanze di ricusazione da parte dei proposti. 1.3 Con requisitoria scritta, il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, Dott.ssa Paola Filippi, ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi. 1.4 in data 21 giugno 2019 i difensori della T. hanno depositato memoria, con la quale hanno replicato alla requisitoria del Procuratore Generale, assumendo che le argomentazioni ivi esposte non sarebbero aderenti ai contenuti del ricorso e nemmeno sarebbero rispettose dei principi sul giusto processo che vanno osservati anche nel processo di prevenzione. Il rinvio alle disposizioni del codice di procedura penale ed al criterio di interpretazione di cui all’art. 12 preleggi consente al giudice dell’impugnazione di eliminare situazioni lesive dei diritti costituzionalmente garantiti della persona anche al di fuori dei momenti procedurali delineati dal D.Lgs. n. 159 del 2011, che rinvia in più parti al procedimento di esecuzione penale. Inoltre, il P.G. non ha considerato che il proposto sottoposto a misura di prevenzione in base a provvedimento illegittimo verte nella stessa situazione del condannato in base ad un giudicato penale illegittimo, dovendo in entrambi i casi attendere tempi lunghi per il riconoscimento delle proprie ragioni rimedio a tale inconveniente è apprestato dall’art. 670 c.p.p., la cui applicazione avrebbe dovuto condurre alla sospensione soprattutto della misura di prevenzione personale, che risulta molto afflittiva. 1.5 In data 21 giugno 2019 anche il difensore dello S. ha depositato memoria per controdedurre alle conclusioni del P.G. assume al riguardo che nella requisitoria non si è tenuto conto delle più recenti pronunce della Suprema Corte, nè della sentenza n. 57096 del 2018, che sino ad oggi è rimasta non ineseguita. Nel caso di specie avrebbero dovuto trovare applicazione i principi affermati dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 51407/2018 circa l’obbligo di valutazione della pericolosità sociale due volte, al momento di imposizione della misura di prevenzione ed in quella della sua esecuzione. Tale rivalutazione avrebbe dovuto essere condotta anche nei riguardi del ricorrente da un qualunque giudice interessato al procedimento, posto che la sua pericolosità sociale è stata riconosciuta in base a norma dichiarata incostituzionale. Una lettura costituzionalmente orientata del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 27, come operata anche dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 20215 del 2017, avrebbe consentito di sospendere gli effetti di misure di prevenzione illegittime. In caso di dissenso da tale impostazione, s’impone la necessità di sollevare questione di incostituzionalità del citato art. 27. Considerato in diritto I ricorsi vanno dichiarati inammissibili. 1. Dalla prospettazione dei ricorrenti e dagli atti del procedimento emergono i seguenti antecedenti di fatto delle questioni rimesse al giudizio di questa Corte - S.N. e T.G. sono destinatari del decreto del 18 settembre 2018, col quale il Tribunale di Roma li ha sottoposti alla sorveglianza speciale di p.s. per la durata di anni tre e ha disposto la confisca del loro patrimonio, avverso il quale decreto hanno proposto appello ed il relativo procedimento è pendente innanzi alla Corte di appello di Roma - alla prima udienza del 14 febbraio 2019 costoro hanno chiesto al giudice di appello di sospendere gli effetti delle misure e lo stesso procedimento sulla scorta di quanto nel frattempo stabilito dalla Corte di cassazione, investita del tema del diniego di revoca del sequestro, disposto nel corso del giudizio di primo grado -la Suprema Corte con una prima pronuncia, la n. 45561 del 7 giugno 2017 della prima sezione penale, aveva annullato con rinvio il provvedimento di rigetto dell’opposizione proposta avverso il rigetto dell’istanza di revoca parziale del sequestro, perché adottato de plano in assenza di contraddittorio ed in violazione del disposto dell’art. 666 c.p.p. -il Tribunale di Roma con ordinanza del 15 gennaio 2018 aveva nuovamente respinto l’opposizione, ritenendo dimostrata, sia pure in via incidentale, la pericolosità sociale dei proposti dal 1985 sino al momento di esecuzione del sequestro e con decreto del 18 settembre 2018 a definizione del procedimento, nella pendenza del ricorso per cassazione proposto avverso detta decisione, aveva emesso il decreto applicativo delle misure personali e reali la Corte di cassazione con sentenza n. 57096 del 27 settembre 2018 della quinta sezione penale aveva annullato con rinvio anche il secondo provvedimento interinale di conferma del sequestro sulla base del rilievo della carente motivazione quanto al periodo di manifestazione della pericolosità sociale dello S. e dell’omessa motivazione quanto al ruolo svolto nelle vicende dalla T. , estranea ai fatti per cui era intervenuta la condanna dell’altro proposto nel secondo giudizio di rinvio il Tribunale di Roma aveva poi emesso l’ordinanza del 3 gennaio 2019, con la quale aveva stabilito di non poter provvedere, dal momento che era pendente il giudizio di appello. Preso atto di tali provvedimenti, i proposti appellanti hanno quindi devoluto alla Corte di appello due tematiche afferenti a alla richiesta di immediata sospensione dei provvedimenti limitativi della libertà personale adottati con decreto, perché affetto dallo stesso vizio di motivazione, riscontrato dalla Corte di legittimità nella sentenza n. 57096/2018 b alla dedotta decadenza del provvedimento di confisca, rilevabile d’ufficio, perché adottato oltre il termine di legge. 2. Tanto premesso, il provvedimento impugnato ha respinto entrambe le richieste difensive con argomentazioni, che, seppur sintetiche, meritano adesione. 2.1 In primo luogo, i ricorsi non paiono contrastare la decisione di non sospendere il corso del procedimento di cognizione in grado di appello, ma soltanto di differire ad altre date le udienze destinate alle attività processuali, in attesa della pronuncia della Corte costituzionale sulle norme che definiscono la pericolosità sociale. 2.2 Quanto alla prima tematica affrontata, l’argomentazione cui la Corte distrettuale ha fatto ricorso, ossia l’assenza nel sistema normativo che regola il procedimento di prevenzione di disposizioni che consentano di sospendere in via interinale l’efficacia del decreto applicativo della misura di prevenzione personale, per sua natura immediatamente esecutivo, viene censurata con osservazioni infondate. 2.2.1 È giuridicamente corretto il rilievo, basato sull’analisi testuale delle norme, che riscontra la tassatività dei casi per i quali il legislatore ha stabilito la possibilità di sospensione degli effetti di una decisione non definitiva si tratta dell’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 27, comma 3, in ordine alla facoltà per il pubblico ministero di chiedere la sospensione degli effetti della revoca del sequestro disposta dal Tribunale e di quella di cui al comma 3-bis della stessa disposizione, che attribuisce al procuratore generale presso la corte di appello la possibilità di chiedere la sospensione dei provvedimenti della corte di appello che, in riforma del decreto di confisca emesso dal tribunale, dispongono la revoca del sequestro. Le previsioni citate costituiscono eccezione alla regola generale, dettata dal D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 10, commi 2 e 3, che, nel disciplinare il sistema impugnatorio in materia di misure di prevenzione personale, nega effetto sospensivo all’appello ed al ricorso per cassazione proposti rispettivamente avverso la decisione del Tribunale e della Corte di appello ed al comma 4 prevede salvo quanto stabilito nel presente decreto, per la proposizione e la decisione dei ricorsi, si osservano in quanto applicabili, le norme del codice di procedura penale riguardanti la proposizione e la decisione dei ricorsi relativi all’applicazione delle misure di sicurezza . Viene così riprodotta la previsione già contenuta nella L. n. 1423 del 1956, art. 4, commi 8, 9 e 10. Non deve poi ignorarsi che, a norma del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 11, comma 3, anche il ricorso proposto avverso provvedimento di revoca o modifica del decreto impositivo della misura personale non produce effetto sospensivo. Il tenore letterale dell’art. 10 autorizza a ritenere che in linea generale le impugnazioni dei provvedimenti che riguardano misure di prevenzione non producono effetto sospensivo, per quelle personali perché testualmente escluso, per quelle reali perché i relativi provvedimenti non sono immediatamente esecutivi, sicché le previsioni del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 27, -parzialmente riproduttive del testo della L. n. 575 del 1965, art. 3-ter, comma 3, per il quale, in caso di revoca del sequestro, al pubblico ministero è consentito di chiedere alla corte d’appello, entro dieci dalla comunicazione del provvedimento, la sua sospensione-, costituiscono un’eccezione di portata molto limitata, perché riguardanti soltanto i casi di revoca del sequestro già disposto e non il suo diniego e non riferibili alle misure personali, e, come tali, sono insuscettibili di interpretazione estensiva o analogica. Del resto le disposizioni dell’art. 27 citato si collocano nell’ambito di una regolamentazione diversificata, dedicata alle misure reali il suo comma 2 richiama l’art. 10 quanto al sistema di impugnazione, ma poi specifica che la confisca dei beni sequestrati, la confisca della cauzione e l’esecuzione sui beni costituiti in garanzia divengono esecutivi con la definitività delle relative pronunce . La considerazione della natura derogatoria della disciplina dell’art. 27 è già sufficiente per escluderne la possibilità di un’applicazione analogica alle impugnazioni avverso decisioni dispositive di misure di prevenzione personali sulla scorta del criterio dettato dall’art. 14 preleggi, che rende impraticabile la soluzione suggerita dalla difesa della ricorrente T. ai sensi dell’art. 12 delle stesse preleggi. A ben vedere il tema della impossibile inibitoria dell’esecuzione delle misure personali applicate all’esito del giudizio di primo o di secondo grado non rivela un difetto di previsione, una lacuna normativa da colmare a tutela della parte proposta, facendo ricorso a disposizione dettata per un caso analogo al contrario, il legislatore ha scelto di escludere testualmente la possibilità di sospendere gli effetti della statuizione applicativa, sicché l’operazione esegetica sollecitata dalle difese si traduce in una non consentita disapplicazione della norma. Tanto rende anche inconferente il richiamo alla soluzione interpretativa adottata nella sentenza delle Sezioni Unite n. 20215 del 27/04/2017, Yang, rv. 269590, che ha individuato la possibilità di sanare il lacunoso testo normativo sull’appellabilità da parte del pubblico ministero della sola revoca del sequestro, non del rigetto della proposta per l’applicazione della confisca, mediante una lettura che vi attribuisce il più esteso significato logico, comprendente tutti i casi di diniego della confisca ma ha provveduto in tal senso solo perché il D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 27 non contiene previsione esplicita circa l’impugnabilità mediante appello da parte del pubblico ministero della decisione di rigetto della proposta di confisca, anche non preceduta da sequestro, situazione totalmente differente dall’esigenza di aggirare una chiara disposizione in senso sfavorevole al proposto. 2.2.2 È altrettanto infondata la pretesa di riferire alle impugnazioni delineate per il processo prevenzionale la regolamentazione dettata per il processo penale di cognizione. Vi si oppone l’ostacolo testuale della formulazione dell’art. 10 sopra citato, il quale, oltre a contenere l’espressa preferenza per l’applicazione delle specifiche norme introdotte dallo stesso testo di legge, rimanda solo parzialmente a quelle valevoli per le misure di sicurezza, limitando il rinvio a quelle attinenti alla proposizione e decisione. Come già osservato da precedente pronuncia di legittimità sez. 1, n. 26639 del 10/06/2008, Buono, rv. 240871 vedi altresì sez. 5, n. 10520 del 10/02/2018, Orvati, rv. 272562 in modo del tutto condiviso da questo Collegio la sospensione del provvedimento impugnato è istituto processuale che non rientra nell’ambito della proposizione del ricorso, che è definito dall’atto introduttivo e dalle sue modalità, nè in quello della decisione , che riguarda l’atto conclusivo e definitorio della fase. Pertanto, in conseguenza del limitato richiamo operato dal D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 10, non può nemmeno ritenersi riferibile alle misure di prevenzione personali il disposto dell’art. 680 c.p.p., comma 3, il quale, pur rinviando alle disposizioni generali sulle impugnazioni, deroga espressamente al disposto dell’art. 588 c.p.p., secondo il quale, durante il termine per impugnare e sino all’esito del giudizio di impugnazione, l’esecuzione del provvedimento impugnato è sospesa. L’art. 680, infatti, stabilisce che l’appello non ha effetto sospensivo, salvo che il tribunale non disponga diversamente , ma siffatta previsione deve ritenersi non richiamata dall’art. 10 sopra citato perché afferente ad istituti processuali diversi dalla presentazione e decisione del mezzo di gravame e perché delinea la sospensione quale eccezione alla regola generale, cosa che non ne consente l’applicazione in via analogica. Oltre a tali considerazioni già in sé dirimenti, va condiviso il rilievo della sentenza Buono, secondo la quale l’opposta soluzione comporterebbe esiti contraddittori ed irrazionali, poiché, da un lato, la disciplina specifica del processo prevenzionale nega alle impugnazioni effetto sospensivo, dall’altro, in modo soltanto residuale e per rinvio consentirebbe la sospensione in via di eccezione, non testualmente contemplata. Tale opzione, foriera di inconciliabilità logica, per la sua irragionevolezza ed asistematicità deve essere respinta. Inoltre, l’impossibilità di inibire l’immediata esecuzione dei provvedimenti trova giustificazione coerente con un diverso ed accelerato regime di termini, che sono molto più brevi, sia per la introduzione del ricorso, che per la decisione, rispetto a quelli del processo penale ordinario, il che implica anche una minore protrazione del sacrificio della libertà personale in attesa della pronuncia del giudice di grado superiore sull’impugnazione, fermo restando che la parte che non può ottenere l’inibitoria non resta priva di strumenti di tutela. L’ordinamento le consente di proporre istanza di revoca o modifica del provvedimento applicativo, secondo la previsione del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 11, quando sia cessata o mutata la causa che lo ha determinato . In tal modo il legislatore, ricalcando l’abrogata L. n. 1423 del 1956, art. 7, comma 2, ha introdotto un rimedio per far valere elementi sopravvenuti o comunque mutamenti della situazione giustificativa considerata nella decisione iniziale, che permette di conseguire anche risultati più ampi e favorevoli rispetto alla non consentita sospensione. 2.2.3 Venendo poi a considerare la natura del processo di prevenzione, finalizzato a contenere la pericolosità individuale mediante imposizione di limitazioni della libertà personale ed a colpire l’accumulo di forme di ricchezza illegalmente acquisita mediante la sottrazione ai loro titolari, secondo l’interpretazione ormai consolidata della giurisprudenza costituzionale e sovranazionale, non è discutibile che si tratti di procedimento giurisdizionale, sottoposto al rispetto di principi fondamentali del processo penale. Resta dunque qualificato come tale dall’intervento decisionale di autorità giudicante terza rispetto alle parti, dalla contestazione di una forma specifica di pericolosità e dalla formulazione di precisa proposta nel rispetto dei principi di legalità e tassatività della stessa e delle misure da applicarsi, dal contraddittorio in tutte le fasi procedimentali, dall’inviolabilità del diritto di difesa, dal doppio grado di giurisdizione di merito e dalla possibilità di esperire mezzi d’impugnazione per ottenere la revisione della decisione denunciata come ingiusta o illegittima. Tuttavia, la pretesa assimilazione di disciplina non è completa e nemmeno generalizzata, poiché le peculiarità di determinazioni adottabili e le autonome finalità del sistema prevenzionale danno conto di uno schema procedurale con caratteri propri ed originali. In tal senso non paiono al Collegio decisive le osservazioni esposte nella sentenza di questa Corte, sez. 1, n. 28651 del 2017, così come in altre, citate dalla difesa della ricorrente T. , che hanno riconosciuto la soggezione anche del processo di prevenzione ad alcuni circoscritti istituti del processo penale di cognizione, ma previa positiva verifica della loro compatibilità, requisito che non ricorre quanto alla negazione dell’effetto sospensivo dell’impugnazione. 2.2.4 Sulla base di tali constatazioni la giurisprudenza di legittimità sez. 1, n. 1034 del 19/02/1998, Pg in proc. Coraglia ed altro, rv. 210116 ha già escluso la possibilità per il pubblico ministero di chiedere la sospensione del provvedimento di revoca della confisca, adottato dalla corte di appello nelle more della decisione sul ricorso per cassazione. Le indicazioni ermeneutiche offerte dalla pronuncia citata, pur riferite ad una diversa tipologia di decisione e ad un diverso quadro legislativo di riferimento, conservano validità anche se considerate nel contesto normativo introdotto dal c.d. codice antimafia. Il D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 7, che delinea il procedimento applicativo in tema di misure di prevenzione personali, richiama la previgente disposizione della L. n. 1423 del 1956, art. 4 e al comma 9 prevede che per quanto non espressamente previsto dal presente decreto, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni contenute nell’art. 666 c.p.p. a sua volta per le misure patrimoniali l’art. 23, comma 1, dello stesso decreto rinvia, in quanto compatibili e fatta salva una diversa specifica regolamentazione, alle disposizioni dettate dal titolo I, capo II, sezione I . Tra le norme richiamate è inclusa quella di cui all’art. 666 c.p.p., comma 7, per la quale il ricorso non sospende l’esecuzione dell’ordinanza, a meno che il giudice che l’ha emessa disponga diversamente , che però riguarda il solo ricorso per cassazione proposto avverso l’ordinanza emessa dal giudice dell’esecuzione. Il presupposto di operatività dell’intervento sospensivo così previsto differisce nettamente dalla situazione posta dal presente procedimento, perché riguarda un intervento successivo alla formazione del giudicato dopo l’esaurimento del processo di cognizione. Inoltre, sarebbe incoerente e illogico applicare l’art. 666 c.p.p. per ammettere la sospensione degli effetti della decisione di prime grado applicativa della misura di prevenzione personale in contraddizione con la regola generale del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 10 che la vieta. 2.2.5 Per le medesime ragioni non ritiene il Collegio che possa condividersi nemmeno la soluzione auspicata dalle difese, che indicano nell’art. 670 c.p.p., comma 2, lo strumento per conferire al giudice dell’impugnazione il potere di sospendere il decreto applicativo. È noto che la norma, sotto la rubrica questioni sul titolo esecutivo , è collocata nel titolo III del libro X, che nel codice di procedura penale è dedicato all’esecuzione penale al suo comma 2 stabilisce che quando è proposta impugnazione o opposizione, il giudice dell’esecuzione, dopo avere provveduto sulla richiesta dell’interessato, trasmette gli atti al giudice di cognizione competente. La decisione del giudice dell’esecuzione non pregiudica quella del giudice dell’impugnazione o dell’opposizione, il quale, se ritiene ammissibile il gravame, sospende con ordinanza l’esecuzione che non sia già stata sospesa . Al fine di evitare possibili contrasti e difficoltà interpretative si è in tal modo inteso stabilire i reciproci effetti delle decisioni adottabili dal giudice dell’esecuzione, chiamato a verificare l’esistenza e l’esecutività del provvedimento di condanna, costituente il titolo esecutivo, e da quello di cognizione, competente a conoscere l’impugnazione tardiva avverso il medesimo provvedimento, questione risolta mediante l’attribuzione a quest’ultimo della competenza per entrambi i procedimenti ed al giudice dell’esecuzione per l’adozione delle determinazioni sulla libertà personale. Non soltanto nessuna previsione normativa estende questo meccanismo ai poteri del giudice dell’impugnazione del processo di prevenzione, ma la sollecitata interpretazione analogica non è consentita dal differente contesto procedimentale, posto che l’art. 670, comma 2, si colloca nella fase di esecuzione e postula la formale esistenza di un titolo esecutivo, ossia di una determinazione giudiziale divenuta irrevocabile per mancato esperimento dei rimedi impugnatori o per il loro esito negativo, decisione presupposta che è ben diversa dal decreto immediatamente, ma provvisoriamente, esecutivo, e dalle sue sorti nelle more della pronuncia del giudice cui è rivolto l’appello o il ricorso per cassazione. In forza di tale considerazione non ha fondamento giuridico nemmeno la pretesa che la Corte di appello si pronunci sull’opposizione avverso il rigetto dell’istanza di revoca del sequestro, quale giudice di rinvio, in luogo del Tribunale dopo la declaratoria di non luogo a provvedere non soltanto la ritenuta erroneità di tale statuizione avrebbe dovuto essere fatta valere mediante ulteriore ricorso per cassazione avverso quel provvedimento, ma si trascura che l’opposizione avverso il diniego di dissequestro, proponibile nelle forme dell’incidente di esecuzione, va rivolta allo stesso giudice che ha disposto la misura cautelare con finalità anticipatoria, autorità che resta individuata nel Tribunale, come tale indicato dal giudice di rinvio anche dalla sentenza di annullamento del giudice di legittimità sez. 2, n. 4729 del 16/01/2018, Parra, rv. 272084 sez. 2, n. 20237 del 21/04/2016, Lampada, rv. 266892 sez. 2, n. 4400 del 13/01/2015, Ambrosio, rv. 262373 . Concludendo sul punto, diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, non può predicarsi la generalizzata applicabilità al procedimento di prevenzione della disciplina dettata dal sistema codicistico per il processo penale di cognizione e in termini automatici ed indistinti nemmeno quella che regola l’applicazione delle misure di sicurezza. Può quindi formularsi il seguente principio di diritto la Corte di appello, investita dell’impugnazione avverso il decreto applicativo della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di p.s. non ha il potere di disporre la sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato per il divieto posto dal D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 10, commi 2 e 3, non superabile in via interpretativa, facendo ricorso all’applicazione analogica dell’art. 670 c.p.p. . 3. È inammissibile per manifesta infondatezza la questione di legittimità costituzionale, sollevata dalle difese. In primo luogo, per come dedotto dalla difesa del ricorrente S. , il tema non è stato ritualmente formulato perché dovrebbe investire la disciplina ex D.Lgs. n. 159 del 2011 per la verifica della sua incostituzionalità nella parte in cui, in contrasto con l’art. 670 c.p.p. e con l’art. 13 Cost., non prevede alcun rimedio nel caso in cui, come nella specie, nel corso del giudizio di prevenzione sia stata annullata una decisione incidentale per carenza di motivazione in tema di accertamento della pericolosità sociale, e ciò malgrado intervenga decreto applicativo della sorveglianza speciale pag. 5 ricorso avv.to Cosi . In tale articolazione difetta l’indicazione puntuale della disposizione denunciata di violazione dei precetti costituzionali. Quanto alla medesima deduzione riferita al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 27, commi 3 e 3-bis, come prospettata dalla difesa della T. in ricorso e da quella dello S. nella memoria, non si ravvisa la rilevanza dell’asserita disparità di trattamento tra accusa, ammessa a chiedere la sospensione interinale della revoca del sequestro, non già della misura di prevenzione applicata, e difesa, cui analoga facoltà non è riconosciuta, poiché la disposizione di legge che regola la fattispecie non è quella ritenuta incostituzionale, ma piuttosto il D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 10, che le difese mostrano di voler ignorare. Infine, anche la richiesta di rimessione alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee della questione pregiudiziale risulta inammissibile perché intesa a sottoporre il quesito sulla applicabilità del principio di presunzione di innocenza, come stabilito dalla Direttiva 2016/343/UE in tema di rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali . anche al procedimento di prevenzione quando celebrato a carico di soggetto incensurato pag. 5 memoria difensiva avv.to Cosi . Così proposto il tema non si correla e non è pertinente all’oggetto delle istanze, rivolte alla Corte di appello e decise con l’ordinanza impugnata, attinenti all’immediata esecutività delle decisioni dispositive di misure di prevenzione personali ed alla mancata revoca del sequestro autorizzato nel corso del primo grado di giudizio, rispetto alle quali il profilo dell’incensuratezza o meno del soggetto che le ha subite non assume un rilievo dirimente, ben potendo la sottesa valutazione della pericolosità sociale essere alimentata da elementi indicativi della possibilità di futura commissione di condotte criminose non tradottisi in una pregressa pronuncia di condanna irrevocabile. Non sussiste dunque l’obbligo di rimettere in via pregiudiziale la questione alla Corte di giustizia, perché superflua ed inconferente ai fini dell’adozione della decisione che spetta a questa Corte. 4. Resta da esaminare l’altro aspetto della variamente dedotta illegittimità delle misure applicate in danno dei ricorrenti al riguardo la Corte di appello, preso atto che le deduzioni difensive attengono al merito delle questioni devolutele con l’atto di gravame, ha ritenuto opportuno rinviarne la disamina alla decisione finale senza dunque esprimere nessun tipo di valutazione. Tra le tematiche sollevate dalle difese rientra anche il profilo dell’intervenuta decadenza della confisca per la tardiva pronuncia del provvedimento che l’ha disposta rispetto al momento di esecuzione del sequestro. Per quanto effettivamente l’ordinanza in verifica non presenti nessuna osservazione sul punto, deve ritenersi che l’argomentazione citata sia riferibile anche al profilo della decadenza della confisca. In ogni caso, nel rinvio della decisione alla conclusione del procedimento non è dato rinvenire la violazione di norme processuali o sostanziali riguardanti il sistema prevenzionale, mentre il legittimo interesse dei ricorrenti ad una rapida definizione del processo deve trovare riconoscimento da parte dello stesso giudice di appello, cui vanno rivolte istanze in tal senso. Per tutte le considerazioni svolte i ricorsi, manifestamente infondati in tutte le loro deduzioni, devono essere dichiarati inammissibili con la conseguente condanna dei proponenti al pagamento delle spese processuali e, a ragione dei profili di colpa, insiti nella presentazione di tali impugnazioni, anche al versamento di sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, che si reputa equo determinare in Euro 3.000,00 a carico di ciascuno. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento di Euro 3.000,00 alla Cassa delle ammende.