Lettura delle dichiarazioni del testimone irreperibile solo se è accertata l’impossibilità oggettiva a presenziare in dibattimento

Non può darsi lettura di una dichiarazione assunta in fasi antecedenti il dibattimento ed in assenza di contraddittorio quando l’irreperibilità sopravvenuta del dichiarante dipenda da una libera e volontaria scelta del medesimo. In siffatta ipotesi, difatti, la soggettività della mancata ripetizione dell’atto integra una violazione del diritto al confronto contemplata dall’art. 111, comma 5, Cost., che, dinanzi a un tale contesto, richiede l’acclarata impossibilità oggettiva di ripetizione dibattimentale dell’atto dichiarativo.

I Giudici della Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 49426/19, depositata il 5 dicembre u.s., sono chiamati a decidere in ordine al regime di ripetizione dibattimentale di atti dichiarativi in caso di irrepetibilità del dichiarante. La quaestio. Tre soggetti accusati del reato di lesioni personali venivano condannati in primo ed in secondo grado alla pena ritenuta di giustizia. Avverso la sentenza doppia conforme pronunciata dalla Corte d’Appello di Trento ricorre per Cassazione il comune difensore di tutti e tre gli imputati, mediante l’articolazione di una serie di motivi di doglianza. In particolare, la difesa lumeggia la violazione di legge con riferimento agli artt. 512 e 512- bis c.p., deducendo l’inutilizzabilità delle dichiarazioni della querelante che era stata ritenuta irreperibile, con conseguente acquisizione degli atti a sua firma resi in fase di indagine. Le ricerche della teste, in primo grado, erano state affidate alla polizia giudiziaria che aveva fornito notizie apodittiche su un presunto trasferimento della querelante dalla Spagna in Tunisia. Ritiene, pertanto, il difensore dei ricorrenti che, ex articolo 512- bis c.p., alla luce dei principi del giusto processo di cui all’articolo 111 Cost., il Tribunale avrebbe dovuto disporre ricerche più rigorose ed accurate. Il ricorso è fondato. Gli Ermellini della Quinta Sezione accolgono la doglianza proposta con l’atto di gravame innanzi esplicata, ritenendola assorbente rispetto a tutti gli altri motivi. Più segnatamente, nella pronuncia in commento, la Corte di legittimità – richiamando altri precedenti arresti in subiecta materia – ha evidenziato che ai fini dell’acquisizione mediante lettura dibattimentale delle dichiarazioni rese in fase di indagini preliminari dalla persona residente all’estero, occorre che l’impossibilità di assumere in dibattimento il teste sia assoluta, oggettiva e non determinata da una qualsiasi libera scelta del dichiarante, in sintonia col dettato costituzionale di cui all’articolo 111 Cost., comma 5, che parla espressamente di accertata impossibilità di natura oggettiva” in tal senso, SS.UU. n. 27918/11 . Nella sentenza in disamina, in conclusione, viene ribadito il principio secondo il quale non può darsi lettura di una dichiarazione assunta in fasi antecedenti il dibattimento ed in assenza di contraddittorio quando l’irreperibilità sopravvenuta del dichiarante dipenda da una libera e volontaria scelta del medesimo. In siffatta ipotesi, difatti, la soggettività della mancata ripetizione dell’atto integra una violazione del diritto al confronto contemplata dall’articolo 111, comma 5, Cost., che, dinanzi a un tale contesto, richiede l’acclarata impossibilità oggettiva di ripetizione dibattimentale dell’atto dichiarativo. Sulla scorta di siffatti rilievi, la Corte di Cassazione annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte d’Appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 3 giugno – 5 dicembre 2019, n. 49426 Presidente Palla – Relatore Micheli Ritenuto in fatto Il comune difensore dei soggetti indicati in epigrafe, con atto unico curato nell’interesse di tutti gli assistiti, ricorre per cassazione avverso la sentenza emessa nei confronti degli stessi imputati, il 18/04/2018, dalla Corte di appello di Trento. La declaratoria di penale responsabilità dei ricorrenti, affermata in primo grado dal Tribunale di Trento e ribadita in appello, riguarda un addebito di lesioni personali secondo l’assunto accusatorio, i tre avrebbero colpito con calci e pugni D.D. , mentre costei stava cercando di proteggere il proprio compagno - di origine tunisina - da un’aggressione portatagli da vari uomini di colore. In particolare, si riteneva accertato che il 22/07/2012 vi fossero stati vari focolai di rissa nel centro storico della città, che aveva visto contrapposti nordafricani e centrafricani in quel contesto, alcuni di questi ultimi avevano avvistato il compagno della D. ed avevano cominciato a percuoterlo, indirizzando la condotta violenta anche in danno della ragazza che poi aveva riconosciuto in fotografia gli odierni imputati come facenti parte del gruppo degli aggressori . La difesa lamenta violazione di legge processuale in ordine alla mancata acquisizione di certificazioni mediche attestanti le patologie di rilievo psichiatrico che affliggevano la persona offesa. La relativa istanza di produzione era stata avanzata solo nel giudizio di secondo grado e, trattandosi di documenti risalenti al 2004, la Corte territoriale ha segnalato che la parte interessata ben avrebbe potuto attivarsi in precedenza in ogni caso, non risulta motivato perché tale prova nuova non sarebbe ammissibile ex art. 603 c.p.p., commi 1 e 3, essendo certamente suscettibile di confutare le argomentazioni poste dal Tribunale di Trento a sostegno della ritenuta credibilità della D. . Stando alla motivazione del giudice di primo grado, infatti, la vittima delle presunte lesioni era da considerare attendibile proprio perché - malgrado un contegno indicativo di irritabilità ed ansia - immune da vere e proprie patologie psichiatriche al contrario, la già datata diagnosi di disturbo di personalità, con lieve ritardo intellettivo, avrebbe dovuto imporre conclusioni ben diverse. Un ulteriore profilo di violazione di legge riguarda, secondo le doglianze difensive, l’intervenuta revoca dell’ordinanza ammissiva di un testimone della difesa P.L. , considerata dai Tribunale non necessaria e sovrabbondante rispetto alle prove già assunte, proprio perché altri soggetti avevano comunque deposto sulla personalità della parte offesa, fornendo un quadro univoco di attendibilità della stessa il giudice di primo grado, tuttavia, non si era avveduto che, fra i vari testi indicati come già escussi, alcuni avevano riferito su tutt’altro ed uno - operatore di una comunità - aveva sostenuto di nulla sapere sulla situazione della D. , indicando appunto la P. come teste di riferimento. La difesa deduce quindi l’inutilizzabilità delle dichiarazioni della stessa D. , per violazione degli artt. 512 e 512-bis c.p.p. ciò in quanto la querelante era stata considerata irreperibile, con conseguente acquisizione degli atti a sua firma, curati nel corso delle indagini preliminari. In particolare, era emerso come la donna non abitasse più presso la propria residenza in omissis , essendosi trasferita in Tunisia e la Polizia giudiziaria incaricata delle ricerche aveva curato un’ultima relazione dove la notizia del trasferimento in Tunisia era priva di specificazioni ulteriori che secondo i giudici di merito superava una precedente nota dello stesso ufficio, attestante il dato che la D. si era recata in quel paese per rendere visita alla futura suocera. Quest’ultima considerazione è tuttavia apodittica, giacché le due indicazioni venivano palesemente a collimare, nulla autorizzando l’ipotesi che la donna - andata inizialmente in Tunisia a trovare i familiari del compagno - si fosse poi stabilita in un luogo diverso, all’interno dei confini della stessa nazione od altrove. Richiamando i principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte, la difesa reputa quindi che vi fossero gli estremi per ritenere che la D. dimorasse all’estero in un luogo determinato, con conseguente necessità di applicazione dell’art. 512-bis c.p.p. e di ricerche da compiersi con il dovuto rigore. In ogni caso, pur inquadrando la fattispecie nell’alveo del precedente art. 512, sarebbe stato pur sempre indispensabile escludere che il presupposto della sopravvenuta impossibilità della persona offesa di rendere testimonianza dipendesse da una sua volontaria irreperibilità requisito, questo, certamente non ricorrente nel caso in esame, in cui la D. era stata descritta dagli organi incaricati delle ricerche come una italiana convertita alla religione islamica e convinta praticante, integratasi con la famiglia di un imam di omissis e poi partita per la Tunisia. Infine, sulla individuazione degli imputati quali partecipi dell’aggressione sopra ricordata, la difesa lamenta carenze motivazionali della pronuncia impugnata con riguardo alla ritenuta convergenza delle dichiarazioni della D. rispetto ad altri elementi di riscontro da un lato, non è corretto affermare, come si legge in sentenza, che la donna riconobbe con certezza l’abbigliamento indossato dal K. il vestiario di uno degli autori delle condotte violente fu da lei riconosciuto solo quanto ad altro soggetto, mentre l’abbigliamento dell’imputato fu indicato dalla D. solo dopo averne visto la foto su un giornale locale dall’altro, il certificato medico richiamato dalla Corte territoriale può attestare solo che la querelante riportò lesioni, ma non la genuinità del narrato di costei su come ebbe a procurarsele. Considerato in diritto Il ricorso, relativamente all’assorbente profilo in rito sulla sopravvenuta irreperibilità della D. presupposto della conseguente lettura delle dichiarazioni rese dalla stessa in assenza di contraddittorio , appare fondato. Come emerge dall’esame degli atti, consentito a questa Corte di legittimità in ragione della natura processuale del vizio dedotto, risulta che la persona offesa fu, il 07/04/2015, indicata dal Commissariato di P.S. di omissis come residente in quella località omissis ed inserita nello stato di famiglia dell’imam del Centro di culto islamico della città tuttavia, da circa due mesi ella si era recata a rendere visita alla madre del compagno, in Tunisia la circostanza era stata riferita, a personale dell’ufficio incaricato di notificare alla D. la citazione a rendere testimonianza nel presente processo, da una donna coabitante nel suddetto indirizzo, non resasi disponibile a ricevere la notifica de qua . Il 20/04/2015, il Tribunale di Trento rinviava la trattazione del giudizio al successivo 17 giugno, mandando alla Cancelleria di richiedere allo stesso Commissariato se la teste fosse inserita nello stato di famiglia del soggetto di cui sopra in Tunisia od in Italia. In pari data, l’ufficio di p.g. chiariva che la D. era perfettamente integrata con la famiglia del suddetto imam, residente appunto in omissis si era trasferita presso quel recapito a seguito dell’arresto del proprio convivente G.M. , nato a omissis ed allo stato ristretto presso la Casa circondariale di omissis aveva comunque continuato ad avere rapporti con il compagno. Ne derivava, pertanto, una obiettiva possibilità di rintraccio della teste, atteso che le informazioni fornite con la nota del 7 aprile secondo cui ella si trovava in Tunisia, presso la madre dell’uomo che intendeva sposare e con il quale manteneva la relazione affettiva, vale a dire il M. apparivano in linea con i dati successivamente acquisiti, non essendo mai stato attestato che la donna si trovasse genericamente all’estero, in località ignota ergo, sarebbe stato praticabile un tentativo di accertare le compiute generalità della madre del detenuto ed il domicilio di costei nel paese di origine. Ciò, quanto meno, al fine di acquisire decisivi elementi di valutazione sulle determinazioni che avevano portato la D. a trasferirsi all’estero, definitivamente o meno, e soprattutto di escludere - ove si fosse accertato l’eventuale programma della suddetta di rientrare in Italia in tempi più o meno brevi - che la sua scelta di allontanarsi fosse stata dettata dal proposito di sottrarsi alla prospettiva di rendere testimonianza. La giurisprudenza di questa Corte, infatti, ha già chiarito che l’utilizzazione, previa lettura, delle dichiarazioni predibattimentali di un soggetto divenuto successivamente irreperibile, in funzione di provare la colpevolezza dell’imputato presuppone, da parte del giudice, un rigoroso accertamento sulla causa dell’irreperibilità, in modo da escludere che essa dipenda dalla volontà di sottrarsi all’esame dibattimentale Cass., Sez. V, n. 12374 dell’11/02/2013, Tiani, Rv 255390 occorre, pertanto, individuare con certezza la sussistenza di una causa oggettiva impediente la dichiarazione in contraddittorio, in vista del recupero di dichiarazioni predibattimentali ai sensi del citato art. 512 e della necessità di offrirne una lettura coerente ai principi costituzionali e sovranazionali. Come più diffusamente illustrato nella pronuncia richiamata dalla difesa nei corpo dell’odierno ricorso, deve ritenersi che l’imprevedibilità dell’esame testimoniale di persona residente in Italia, sopravvenuta alle iniziali dichiarazioni rese dalla stessa senza contraddittorio con l’imputato, non possa essere ravvisata nella sua volontaria irreperibilità, poiché il requisito dell’imprevedibilità deve essere inteso in senso oggettivo e assoluto, come postula il rispetto dell’art. 111 Cost. e dell’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo , fondanti il divieto posto dall’art. 526 c.p.p., comma 1-bis, nella cui cornice deve essere, quindi, interpretato l’art. 512 c.p.p., comma 1, in tema di lettura di atti per sopravvenuta impossibilità di ripetizione. Il quadro normativo costituzionale, convenzionale e procedurale converge, invero, sull’esigenza che il presupposto legittimante la lettura, ai sensi dell’art. 512 c.p.p., e, dunque, il recupero della dichiarazione costituita in assenza di contraddittorio, sia accertato e che la ragione della irripetibilità dell’atto sia oggettiva quanto al primo, l’accertamento deve svolgersi in modo completo ed esaustivo, restando escluso un metodo puramente presuntivo quanto al secondo, è importante verificare che la causa impediente la reiterazione dichiarativa sia oggettiva , vale a dire legata a fatti materiali e non riconducibile alla libera volontà del soggetto dichiarante. Il quadro normativo di riferimento include, innanzitutto, l’art. 111 Cost., comma 4, interamente riformulato dalla L. Cost. 23 novembre 1999, n. 2, di inserimento dei principi del giusto processo nella Costituzione, secondo il quale la colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni accusatorie rese da un soggetto che, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore , e tale principio è testualmente ripreso dall’art. 526 c.p.p., comma 1-bis . Entrambe le norme suddette circoscrivono l’ambito di operatività dell’art. 512 c.p.p., comma 1, nel senso che non può darsi lettura di una dichiarazione assunta in fasi antecedenti il dibattimento ed in assenza di contraddittorio, quando l’irripetibilità sopravvenuta dipenda da una libera e volontaria scelta del dichiarante. In tal caso, la soggettività della mancata ripetizione dell’atto integra una violazione del diritto al confronto fin dal momento della formazione della prova. Affinché il dettato costituzionale trovi realizzazione sotto il profilo della oggettività è necessario, dunque, che alla base dell’impossibilità di ripetere la dichiarazione in dibattimento non vi sia una scelta soggettiva del dichiarante . E può considerarsi pertinente al tema trattato - benché specificamente riguardante la fattispecie dell’art. 512-bis c.p.p. - anche la sentenza di questa Corte nella sua più autorevole composizione Sez. U, n. 27918/2011 del 25/11/2010, ric. De Francesco , la quale ha stabilito che, ai fini dell’acquisizione mediante lettura dibattimentale, delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini da persona residente all’estero, occorre che l’impossibilità di assumere in dibattimento il teste sia assoluta ed oggettiva e non determinata da una qualsiasi libera scelta del testimone, in sintonia con l’art. 111 Cost., comma 5, che parla di accertata impossibilità di natura oggettiva . Tale impossibilità, oltre ad essere assoluta , deve avere dunque natura oggettiva , sicché non può dipendere esclusivamente da un elemento soggettivo, quale la volontà del testimone di non realizzare il contraddittorio. Le uniche deroghe al contraddittorio ora consentite – ha precisato la Corte nella medesima sentenza a Sezioni unite - sono quelle enucleate dall’art. 111 Cost., comma 5, e sono evidentemente tassative e non suscettibili di una interpretazione estensiva. Ne consegue che una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 512-bis c.p.p., non può che ricondurre l’assoluta impossibilità dell’esame di cui esso parla - ma lo stesso vale per la impossibilità richiesta dall’art. 512 c.p.p., che qui rileva - alla accertata impossibilità oggettiva , prevista quale deroga costituzionale al contraddittorio dall’art. 111 Cost., comma 5 Cass., Sez. I, n. 34603 del 19/04/2013, Lugonja . Si impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio alla competente Corte di merito per una compiuta verifica dell’effettiva ed obiettiva impossibilità della D. di deporre quale testimone nel processo a carico degli odierni ricorrenti. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano.