L’ammissibilità dell’impugnazione della parte civile

La parte civile costituita è legittimata a proporre impugnazione ai sensi dell’art. 576 c.p.p. avverso la sentenza di primo grado di assoluzione dell’imputato pronunciata ex art. 129, comma 2, c.p.c., in relazione al reato a quella data prescritto, ma al solo scopo di rimuoverne l’efficacia di giudicato nell’azione di danno nei suoi confronti.

Sul tema la Corte di Cassazione con sentenza n. 49110/19, depositata il 3 dicembre. La vicenda. La Corte d’Appello, confermando la decisione di primo grado, assolveva l’imputato dal reato di truffa aggravata perché il fatto non sussiste, stante la sola natura civilistica dell’inadempimento contrattuale qualificato dal PM come delitto. Avverso tale decisione la parte civile propone ricorso per cassazione sostenendo che dovevano essere notati gli artifizi e i raggiri nella condotta dell’imputato, qualificando il fatto come reato. Tutela degli interessi civili. Innanzitutto, occorre ricordare che la parte civile può impugnare la sentenza di assoluzione, sebbene ai soli effetti della responsabilità civile, anche in assenza di gravame da parte del PM. Quindi il vigente codice di rito esclude che possa essere l’intaccato l’accertamento penale in mancanza di impugnazione del PM, ma non esclude che, in accoglimento del ricorso della sola parte civile, si rinnovi l’accertamento dei fatti posti alla base della decisione assolutoria, per valutare la sussistenza di una responsabilità per fatto illecito. Pertanto, si può dire che l’impugnazione proposta i soli effetti civili non può incidere sulla decisione del giudice del grado precedente in merito alla responsabilità penale dell’imputato, ma il giudice dell’impugnazione può, seppur in via incidentale, statuire in modo difforme sul fatto oggetto dell’imputazione, ritenendolo ascrivibile al soggetto prosciolto. La parte civile è legittimata non solo a proporre impugnazione avverso la sentenza di proscioglimento ma anche a chiedere al giudice dell’impugnazione, per l’accoglimento della propria domanda di risarcimento, di affermare, anche se incidentalmente, la responsabilità penale dell’imputato ai soli effetti civili, decidendo in modo difforme rispetto al precedente giudizio sul medesimo fatto oggetto dell’imputazione e sulla sua attribuzione al soggetto prosciolto. Nel caso in esame, dunque, il ricorrente censura la lettura prettamente civilistica dell’inadempimento deliberato dalla Corte d’Appello, poiché l’atteggiamento contrattuale tenuto dall’imputato non può considerarsi sorretto da mera razionalità commerciale. Configurabile è il delitto di truffa in forma contrattuale, essendo stati posti in essere artifici e raggiri al momento del negozio giuridico. Per questi motivi esposti, la sentenza impugnata che dei suddetti principi non ha tenuto conto nel confermare l’assoluzione pronunciata in primo grado e censurata in appello, va annullata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado d’appello.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 26 novembre – 3 dicembre 2019, n. 49110 Presidente Gallo – Relatore Perrotti Ritenuto in fatto 1. Con la - sentenza impugnata la Corte di appello di Genova ha confermato - la sentenza emessa dal tribunale dello stesso capoluogo, in data 28 aprile 2015, che aveva assolto l’imputato dal reato di truffa aggravata a lui ascritto, perché il fatto non sussiste, stante la natura solo civilistica dell’inadempimento contrattuale qualificato dal pubblico ministero come delitto, non riconoscendo nella condotta dell’imputato gli artifizi e raggiri volti ad indurre in errore l’acquirente nel versare la somma di 32.000 Euro in correspettivo dell’acquisto di una vettura Porsche, mai consegnata. 2. Avverso tale sentenza la parte civile propone ricorso ai soli effetti civili art. 576 c.p.p., comma 1 , con atto sottoscritto dal difensore e procuratore speciale, articolando in unico punto i motivi di doglianza, rappresentando difetto, illogicità manifesta e contraddittorietà della motivazione nel mancato riconoscimento di artifizi e raggiri nella condotta tenuta dall’imputato, che, facendo leva sul buon fine delle precedenti trattative tra le parti, ed inducendo in errore l’acquirente sulla reale disponibilità della vettura promessa in vendita, si faceva consegnare la somma di Euro 32.000 a titolo di acconto sull’acquisto senza mai più consegnare la vettura ed adducendo in proposito vizi meccanici del veicolo promesso in vendita. Argomenti dai quali la Corte avrebbe dovuto con certezza trarre elementi di sicura responsabilità in capo all’imputato, artefice del raggiro contrattuale consumato ai danni della parte civile. Considerato in diritto 1. Il ricorso, volto alla tutela dei soli interessi civili, è fondato e va accolto. 2. Va preliminarmente affrontato il tema dei poteri della parte civile a fronte di sentenze di assoluzione - perché il fatto non sussiste - emesse all’esito di un giudizio avente ad oggetto fatti comunque già prescritti febbraio 2019 . Il legislatore del 1989 ha optato per una scelta del tutto differente rispetto a quella eletta nel vigore del codice di rito previgente, intesa a rafforzare i poteri di impugnazione della vittima del reato, atteso che la parte civile oltre che impugnare contro i capi della sentenza di condanna che riguardano l’azione civile, ex art. 576 c.p.p., comma 1, prima parte può impugnare la sentenza di assoluzione, sebbene ai soli effetti della responsabilità civile, anche in assenza di gravame da parte del P.M., ex art. 576 c.p.p., comma 1, seconda parte. Il vigente codice di rito, quindi, esclude che possa essere intaccato l’accertamento penale, in mancanza di impugnazione del P.M. a patto che sussista un concreto interesse punitivo , ma non esclude che, in accoglimento del ricorso della sola parte civile, si rinnovi l’accertamento dei fatti posti a base della decisione assolutoria, al fine di valutare la sussistenza di una responsabilità per fatto iHecito e di ottenere un diverso accertamento che rimuova quello preclusivo del successivo esercizio dell’azione civile o, comunque, pregiudizievole per i suoi interessi civili e ciò all’evidente fine di rendere effettivi i diritti della vittima del reato anche in fase di impugnazione. Va, tuttavia, precisato che la suddetta impugnazione, sebbene presupponga l’accertamento della responsabilità penale dell’imputato, quale logico presupposto della sua condanna alle restituzioni e al risarcimento del danno, non può condurre, ove accolta, ad una modifica della decisione penale, sulla quale si è formato il giudicato. Si può, quindi, affermare che la normativa processuale vigente ha scelto l’autonomia dei giudizi sui due profili di responsabilità, civile e penale l’impugnazione proposta ai soli effetti civili non può incidere sulla decisione del giudice del grado precedente in merito alla responsabilità penale del reo, ma il giudice dell’impugnazione, dovendo decidere su una domanda civile necessariamente dipendente da un accertamento sul fatto di reato, e dunque sulla responsabilità dell’autore dell’illecito extracontrattuale, può, seppure in via incidentale, statuire in modo difforme sul fatto oggetto dell’imputazione, ritenendolo ascrivibile al soggetto prosciolto. Sul tema dei poteri di impugnazione della parte civile si segnalano plurimi interventi di questa Corte che hanno affermato il diritto della parte civile ad ottenere attraverso l’appello l’eliminazione di conseguenze giuridiche negative per la propria posizione pur nell’impossibilità di una statuizione di condanna. Con una prima pronuncia si è affermato che non è inammissibile l’impugnazione della parte civile avverso la sentenza di assoluzione nella specie perché il fatto non sussiste - non impugnata dal P.M. - anche se sia rilevata l’estinzione del reato per prescrizione alla data della sentenza di primo grado, in quanto nella specie si applica la previsione di cui all’art. 576 c.p.p., che conferisce al giudice penale dell’impugnazione il potere di decidere sulla domanda di risarcimento, ancorché in mancanza di una precedente statuizione sul punto detta previsione introduce una deroga all’art. 538 c.p.p., legittimando la parte civile non soltanto a proporre impugnazione contro la sentenza di proscioglimento ma anche a chiedere al giudice dell’impugnazione, ai fini dell’accoglimento della propria domanda di risarcimento, di affermare, sia pure incidentalmente, la responsabilità penale dell’imputato ai soli effetti civili, statuendo in modo difforme, rispetto al precedente giudizio, sul medesimo fatto oggetto dell’imputazione e sulla sua attribuzione al soggetto prosciolto. Pertanto, in tal caso, non sussiste un difetto di giurisdizione civile del giudice penale dell’impugnazione perché, diversamente dall’art. 578 c.p.p. - che presuppone la dichiarazione di responsabilità dell’imputato e la sua condanna, anche generica, al risarcimento del danno - l’art. 576 c.p.p. presuppone una sentenza di proscioglimento Sez. 5, n. 36-70 del 27/10/2010, Rv 249698 . Il suddetto principio è stato ribadito da altra affermazione di questa Corte, secondo cui la parte civile costituita è legittimata a proporre impugnazione ai sensi dell’art. 576 c.p.p., avverso la sentenza di primo grado di assoluzione dell’imputato pronunciata ex art. 129, comma 2, stesso codice, in relazione a reato a quella data già prescritto, ma al solo scopo di rimuoverne l’efficacia di giudicato nell’azione di danno nei suoi confronti Sez. 1, n. 13941 del 08/01/2015, Rv. 263065 . I suddetti arresti giurisprudenziali sono del tutto condivisibili a parere del Collegio sulla base della fondamentale considerazione che l’inequivocabile disposto dell’art. 576 c.p.p., legittima la proposizione dell’appello della parte civile in tutti i casi di proscioglimento, con qualunque formula esso sia stato adottato, ai soli effetti della responsabilità civile da ultimo sul punto, v. Sez. U. n. 28911, del 28/3/2019, Rv. 275953 . Del resto non può ritenersi che a fronte di una pronuncia di assoluzione per non aver commesso il fatto, alla parte civile sia negato il diritto all’impugnazione sol perché il reato era già estinto per prescrizione, ove si abbia anche riguardo al disposto dell’art. 652 c.p.p., secondo cui una tale pronuncia ha efficacia di giudicato anche in sede civile ne consegue che necessariamente deve essere riconosciuto il potere di proporre impugnazione, ma solo in quanto funzionale alla eliminazione degli effetti preclusivi del giudicato di sul fatto. In questo senso va circoscritto l’oggetto del presente giudizio nei termini Sez. 1, 13941, del 8/1/2015, Rv. 263065 . 2.1. Ciò posto, il ricorrente censura la lettura eminentemente civilistica dell’inadempimento delibato dalla Corte territoriale, in quanto l’atteggiamento contrattuale complessivamente tenuto dall’imputato non può dirsi sorretto da alcuna razionalità commerciale. Appare pertanto manifestamente illogico, oltre che contraddittorio, ritenere che l’acquirente si fosse spontaneamente determinato all’acquisto ed al versamento della quasi totalità della somma pattuita, senza essere stato indotto in errore circa l’affidabilità dell’alienante dal buon fine raggiunto da precedenti negozi conclusi con la stessa parte, oltre che dalle promesse di costui in ordine alla pronta disponibilità della vettura e della imminente consegna. Invero non v’è logica alternativa alla ipotesi del raggiro indotto dagli artifizi argomentativi, giacché l’ipotesi difensiva sposata dal giudice del merito, oltre a non essere dimostrata confligge con il divenire del rapporto contrattuale concluso. 2.2. Il delitto di truffa, nella forma cosiddetta contrattuale, si configura allorché l’agente pone in essere artifici e raggiri al momento della conclusione del negozio giuridico, traendo in inganno il soggetto passivo che viene indotto a prestare un consenso che altrimenti non sarebbe stato dato Cass. n. 3538/1980 Rv. 148455 Cass. 47623/2008 Rv. 242296 . Nella truffa contrattuale l’elemento che imprime al fatto della inadempienza il carattere di reato è costituito dal dolo iniziale, quello cioè che, influendo sulla volontà negoziale di uno dei contraenti falsandone, quindi, il processo volitivo avendolo determinato alla stipulazione del negozio in virtù dell’errore in lui generato mediante artifici o raggiri rivela nel contratto la sua intima natura di finalità ingannatoria Cass. n. 7066/1981 Rv. 149803 - Cass. 4423/1983 Rv. 164164 . Sussistono gli artifici e raggiri, idonei ad integrare il delitto di truffa, nell’ipotesi in cui l’imputato, prima della conclusione di un contratto di compravendita, al fine di indurre in errore la persona offesa sulla sua solvibilità, faccia leva sul precedente buon fine di pregresse trattative Cass. 532/1981 Rv. 151705 . L’ingiusto profitto, con correlativo danno del soggetto passivo, consiste essenzialmente nel fatto costituito dalla stipulazione del contratto di conseguenza, ai fini della sussistenza del suddetto elemento materiale diventa del tutto irrilevante che le prestazioni siano state equilibrate ossia che si sia pagato il giusto corrispettivo della controprestazione effettivamente fornita Cass. 7193/2006 Rv. 233633 Cass. 47623/2008 Rv. 242296 . Nella forma cosiddetta contrattuale, il delitto di truffa si consuma non al momento in cui il soggetto passivo, per effetto degli artifici o raggiri, assume l’obbligazione della dazione di un bene economico, ma al momento in cui si realizza il conseguimento del bene da parte dell’agente con la conseguente perdita dello stesso da parte della persona offesa Sez. U. 18/2000, rv 216429 Cass. 31044/2008 Rv. 240659 Cass. 49932/2012 rv. 254110 Cass. 18859/2012 Rv. 252821 . Tali principi si riferiscono alle ipotesi in cui i raggiri o gli artifizi vengano posti in essere nella fase precontrattuale al fine di convincere la vittima a stipulare un contratto che, senza quegli artifizi, non avrebbe stipulato. Gli artifizi e raggiri, però, possono essere posti in essere da uno dei contraenti a danno dell’altro anche in una fase successiva alla stipula del contratto in tale ipotesi, occorre porsi il problema del se e in che termini sia configurabile il reato di truffa. Questa Corte ha affermato il principio secondo il quale in materia di truffa contrattuale il mancato rispetto da parte di uno dei contraenti delle modalità di esecuzione del contratto, rispetto a quelle inizialmente concordate con l’altra parte, con condotte artificiose idonee a generare un danno con correlativo ingiusto profitto, integra l’elemento degli artifici e raggiri richiesti per la sussistenza del reato di cui all’art. 640 c.p. Cass. 41073/2004 Rv. 230689 . A ben vedere, dunque, se la dinamica negoziale vive anche della sua esecuzione, è difficile postulare per essa una sorta di insensibilità a qualsiasi condotta artificiosa che generi danno con correlativo ingiusto profitto. Nella fattispecie, la Corte di merito non ha tenuto conto del fatto che l’attività decettiva artifizi e raggiri anche successivi alla formazione del consenso non si è limitata solo a tranquillizzare - il creditore del bene acquistato, ma si è concretizzata anche in ulteriori attività quali l’accampare scuse ingiustificate per il ritardo nella consegna. È evidente che, tale ulteriore attività giuridica, ove sia indotta dall’agente con artifizi e raggiri, configura il reato di truffa proprio perché l’agente induce la vittima a compiere un’attività giuridica che non avrebbe compiuto senza quella condotta decettiva. In tali casi, quindi, per questa ulteriore e differente condotta, è ipotizzabile senz’altro il reato di truffa. La sentenza impugnata che di tali principi di diritto non ha punto tenuto conto nel confermare l’assoluzione pronunciata in primo grado e censurata con adeguati motivi di appello, va annullata, con rinvio al giudice civile competente in grado di appello. 3. Le spese della presente fase del giudizio Euro 3510,00 andranno liquidate dal giudice del rinvio in sede di definizione del giudizio, che provvederà anche sulla domanda di provvisionale impropriamente rivolta a questa Corte. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado d’appello. Spese al definitivo.