Ergastolo ostativo e permessi premio: lo scudo della Costituzione contro i mal di pancia della politica

Il Presidente della Corte Costituzionale, Giorgio Lattanzi, è intervenuto di recente presso il dipartimento della facoltà di giurisprudenza dell’Università degli studi di Catania, raccogliendo l’invito del Prof. Fabrizio Siracusano, titolare della cattedra di diritto penitenziario dopo la proiezione dell’emozionante film Viaggio in Italia la Corte Costituzionale nelle carceri”, dove sette giudici della Corte Costituzionale hanno incontrato i detenuti di sette Istituti penitenziari italiani Rebibbia a Roma, San Vittore a Milano, il carcere minorile di Nisida, Sollicciano a Firenze, Marassi a Genova, Terni, Lecce sezione femminile.

La recente sentenza della Consulta in attesa delle motivazioni . L’occasione è stata propizia per tornare sulla discussa sentenza pronunciata dalla Corte costituzionale il 23 ottobre, di cui si attendono le motivazioni, che ha dichiarato parzialmente illegittimo l’art. 4 ord. pen. laddove non consente all’ergastolano ostativo di usufruire dei permessi premio se non collabora con la giustizia e questa non è diventata impossibile . Si è così superata la presunzione assoluta per la quale in assenza di collaborazione possa ritenersi avviato un percorso rieducativo. Lattanzi ha sostanzialmente anticipato i percorsi e i pilastri argomentativi sui quali si sono mossi i giudici delle leggi e che troveremo appena verranno depositate le motivazioni. E – lo si anticipa fin da subito – di tratta di passaggi di altissima civiltà giuridica che hanno come punto di riferimento sempre e soltanto la Costituzione, quale baluardo inamovibile della salvaguardia di tutti gli individui, cittadini e non, liberi e soprattutto detenuti. Scollamento tra il faro della Costituzione e la sua scarsa condivisione. Contro la pronuncia si è sollevato senza peraltro ancora conoscere le argomentazioni a sostegno della stessa un enorme muro mediatico, sbandierando gli slogan facciamoli marcire in carcere”, buttiamo la chiave”, tornando così indietro nel tempo – sono le stesse parole di Lattanzi – a periodi pregressi rispetto all’avvento della Carta Costituzionale. Quella Costituzione che funziona – ha continuato il Presidente della Consulta – sia pure con qualche zona d’ombra, sia pure vi sia oggi una scarsa condivisione sociale dei valori in essa sanciti, cavalcata da spinte politiche che dietro la malcelata sete di sicurezza divulgano le suindicate frasi-slogan, assolutamente prive di senso in quanto ha ricordato Lattanzi dal carcere normalmente si esce e tutti desideriamo che il condannato non torni a delinquere. Mai negare la speranza. La Corte Costituzionale ha un faro la Costituzione e deve andare oltre gli umori del momento. Lattanzi ha definito eccessive e sconcertanti le reazioni alla soluzione adottata spiegando con parole semplici al folto uditorio che la Costituzione è lo scudo contro il rischio di pericolose derive del momento. Senza speranza non c’è possibilità di risocializzazione ha ribadito Lattanzi, la rieducazione, che trova il suo alcove nell’art. 27, comma 3, Cost., deve avere la speranza di tornare nella società civile e l’ergastolo ostativo nega questa speranza perché la presunzione assoluta nega questa prospettiva di vedere aperte un giorno le porte del carcere . Distorsioni della comunicazione”. Tali critiche sono ancora più gravi, nonostante gli sforzi della Corte Costituzionale di curare l’aspetto relativo alla comunicazione” anche con l’avvento dei comunicati stampa delle decisioni dei giudici delle leggi . Basti pensare al substrato fattuale distorto sul quale si sono poggiate le obiezioni alla decisione della Consulta pure da parte di qualche magistrato . Si è detto infatti che la pronuncia ha riguardato l’ergastolo ostativo, peraltro recentemente dichiarato dalla Corte di Strasburgo in contrasto con l’art. 3 Cedu nella sentenza, ormai definitiva, Viola contro Italia in quanto contrastante col divieto di trattamenti inumani e degradanti. Falso. La sentenza riguarda l’istituto dei permessi premio e la presunzione di applicarli all’ergastolano ostativo solo qualora collabori con la giustizia. Si è detto altresì che la sentenza ha eliminato tale presunzione. Falso. La sentenza ha soltanto trasformato da assoluta” a relativa” tale presunzione. Bilanciamento di valori reale” e non ipotetico”. Il Presidente ha anche spiegato il ragionamento posto a fondamento della sua decisione, ripercorrendo la precedente giurisprudenza costituzionale, per cui l’ergastolo non si pone in contrasto con la Costituzione solo nella misura in cui non neghi la prospettiva di uscire dal carcere. Ha ribadito che le norme penali e dell’ordinamento penitenziario che prevedono la perdurante pericolosità” di alcune categorie di condannati negando consequentur l’accesso alla liberazione condizionale e ai benefici penitenziari extramurari sono norme derogatorie”. Per cui in un’ottica di corretto bilanciamento di contrapposti valori costituzionali la rieducazione del condannato da un lato e la tutela della sicurezza pubblica dall’altro , la perdurante pericolosità di certi condannati deve essere reale e non presunta”. Ed è quello che ha ribadito in tale pronuncia la Corte Costituzionale, eliminando anche tale altro automatismo la presunzione di perdurante pericolosità resta nell’ordinamento, ma è suscettibile di prova contraria. La dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 4- bis ci dice chiaramente che il sacrificio al principio costituzionale per cui la pena deve tendere alla rieducazione del condannato non può essere bilanciato da un valore che rimanga allo stato ipotetico. Cavalcando le argomentazioni della sentenza Viola n. 2 della Cedu La pronuncia della Corte Costituzionale si pone sulla stessa lunghezza d’onda della Corte EDU che, nel dichiarare l’ergastolo ostativo italiano contrario all’art. 3 della Cedu, ha scardinato il meccanismo della necessaria collaborazione quale condicio sine qua non per l’accesso alle misure penitenziarie extramurarie. Meccanismo che riguarda anche, e soprattutto, l’ostatività dei delitti di prima fascia, prevista dall’articolo 4- bis l. n. 354/1975, ed estesa di recente dalla legge n. 3/2019 c.d. spazzacorrotti pure ai delitti contro la pubblica amministrazione dopo le emergenze mafiose” e terroristiche” degli anni novanta e duemila , per i quali non è possibile la sospensione dell’ordine di carcerazione e scatta invece l’assaggio di pena detentiva. All’uopo sono piovute le questioni di legittimità costituzione dell’implementazione di nuovo conio e si è in attesa anche in tale affine ambito della pronuncia della Consulta. Superare l’endiadi collaborazione=rieducazione. Come i giudici europei, anche per quelli della Consulta occorre superare la forma mentis ormai cristallizzata nell’ordinamento italiano riassumibile nell’endiadi collaborazione uguale rieducazione, riconoscendo che il meccanismo della collaborazione ex art. 58- ter ord. penit. risulta irrazionale se inserito nella dinamica delle misure penitenziarie, poiché non configura una valutazione sul percorso di riabilitazione del detenuto, potendo rappresentare la collaborazione soltanto uno degli elementi” sui quali saggiare l’avviato percorso risocializzante. Anche perché, come ha ricordato la pronuncia Viola n. 2 del 13 giugno 2019, la scelta di non collaborare può dipendere dal timore di mettere a repentaglio la propria vita e quella dei prossimi congiunti. Di conseguenza la mancata collaborazione non deriverebbe sempre da una scelta e volontaria di adesione ai valori criminali e di mantenimento di legami con l’organizzazione di appartenenza. Viceversa, la collaborazione potrebbe essere legata a finalità puramente opportunistiche per superare il muro all’accesso dei benefici penitenziari ciò non rifletterebbe la scelta di dissociarsi effettivamente dal sodalizio. Il diritto al silenzio non può essere punito. Ponendosi in tale solco convenzionale, Lattanzi ricorda pure che l’associazione criminale potrebbe non più esistere ed il detenuto ergastolano che non ha collaborato deve continuare a stare in carcere. Inoltre, in chiave sistemica sviluppa un interessante percorso per cui il diritto al silenzio non può essere punito. Pertanto tra le regole che aggravano” le condizioni del detenuto non può esservi il suo diritto al silenzio. Ciò rappresenta una proiezione del nemo tenetur se detegere processuale” ed il detenuto può continuare ad esercitarlo e decidere di restare in silenzio e non collaborare magari perché vi sono rischi concreti per la sua incolumità e quella dei suoi cari , senza che ciò comporti automatiche preclusioni all’accesso ai benefici penitenziari. Abbandonare la cultura del marcire in carcere”. Sollecitato dalla domanda di uno studente il quale chiedeva se la pronuncia della Corte Costituzionale possa rappresentare un volano culturale all’art. 27, comma 3, Cost. , il Presidente Lattanzi, rispondendo a certi mal di pancia provenienti dal mondo politico, ribadisce che la cultura del marcire in carcere” non è funzionale e non serve a creare una comunità più sicura, ma finisce solo per essere dannosa e pericolosa, come testimonia la circostanza che sembra ultimamente irrigidirsi il sistema carcerario. E non è questa la soluzione. Lo stesso Lattanzi ha preso atto che dopo una prima sconcertante reazione, c’è stata nei commenti alla pronuncia della Corte costituzionale una messa a punto una reazione diversa, ciò a conferma che affermare o riaffermare i principi costituzionali paga! Il comunicato della Magistratura di sorveglianza. Lattanzi ricorda infine che, avverso una delle critiche più feroci – quella di scaricare sulla magistratura di sorveglianza una responsabilità troppa ampia decidere se aprire le porte del carcere a detenuti di elevate fasce di pericolosità mentre invece la presunzione assoluta sancita nel 4- bis era una garanzia per la stessa – è stato lo stesso Coordinamento nazionale dei magistrati di sorveglianza che in un comunicato stampa si è detto ben pronto ad affrontare questo rischio, ribadendo che l’esercizio del potere discrezionale costituisce un connotato essenziale della giurisdizione rieducativa ed è patrimonio storico della Magistratura di sorveglianza fin dalla sua istituzione . Anche perché – chiosa Lattanzi – il giudice di sorveglianza non rischia alla stessa stregua di un GIP che deve decidere se applicare una misura cautelare, o come un giudice di merito che deve decidere se condannare, e condannare all’ergastolo un imputato? Allineare il condivisibile” e il condiviso”. In un momento storico di scarsa condivisione sociale dei principi costituzionali, essendosi venuta a creare una pericolosa frattura – per utilizzare le parole del Prof. Fabrizio Siracusano – tra il condivisibile ed il condiviso”, la Corte Costituzionale non sembra voler cedere a certe correnti politiche e sociali che prediligono percorsi diversi. Per questo è importante andare nelle scuole o nelle carceri come ha fatto per la prima volta la Corte Costituzionale e divulgare la cultura del condivisibile” facendola divenire condivisa”. Il faro che ci illumina, all’orizzonte, è, e deve essere sempre, la Costituzione.

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