Il legittimo impedimento dell’imputato ai domiciliari per altra causa

La restrizione agli arresti domiciliari per altra causa, sopravvenuta nel corso del processo e comunicata solo in udienza, integra un’ipotesi di legittimo impedimento dell’imputato a comparire e preclude la celebrazione del giudizio in contumacia, anche laddove risulti che l’imputato avrebbe potuto informare il giudice in tempo utile per la sua traduzione, in quanto non è configurabile a suo carico, a differenza del difensore, alcun onere di tempestiva comunicazione dell’impedimento.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 47048/19, depositata il 20 novembre. Il caso. La Corte d’Appello di Potenza confermava la sentenza emessa dal Tribunale per i minorenni che aveva condannato l’imputato, all’epoca appunto minorenne, per il reato di tentato furto in abitazione aggravato dalla violenza sulle cose. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato dolendosi, per quanto d’interesse, della violazione degli artt. 178, comma 1, lett. c e 179 c.p.p Afferma il ricorso che il Tribunale ha indebitamente disatteso la richiesta di rinvio dell’udienza per sopravvenuto stato di detenzione dell’imputato ai domiciliari per altra causa, motivo disatteso anche dai giudici dell’appello. Legittimo impedimento. La giurisprudenza SS.UU. n. 35399/10 ha affermato che la detenzione dell’imputato per altra causa, sopravvenuta nel corso del processo e comunicata solo in udienza, integra un’ipotesi di legittimo impedimento a comparire e impedisce la celebrazione del giudizio in contumacia, anche se risulti che l’imputato avrebbe potuto informare il giudice in tempo utile per la traduzione. Non è infatti configurabile a carico dell’imputato – a differenza del difensore – alcun onere di tempestiva comunicazione dell’impedimento. Inoltre, se nel giudizio ordinario deve essere sempre assicurata, in mancanza di inequivoco rifiuto, la presenza dell’imputato anche tramite rinvio d’ufficio dell’udienza a fronte dell’assenza di quest’ultimo, la giurisprudenza ha chiarito che nel giudizio camerale d’appello vige la regola che l’imputato detenuto non ha alcun onere di comunicare al giudice il suo stato di detenzione, ma deve comunicare la sua volontà a comparire non essendo la sua presenza necessaria. Pertanto, nel giudizio camerale il legittimo impedimento, compreso quello costituito dallo stato di detenzione, è irrilevante e non produce alcun effetto se l’imputato non ha comunicato al giudice la sua volontà di essere presente e, appunto, l’impedimento. E’ stato poi affermato che, sebbene nel rito camerale d’appello la manifestazione di volontà dell’imputato detenuto non è soggetta a limiti temporali rigidi, deve comunque essere considerata tardiva ed inefficacia se effettuata in un momento in cui non vi sia più la possibilità di effettuare la traduzione in udienza. In conclusione, pur dando atto di differenti posizioni giurisprudenziali, il Collegio ritiene di condividere i suddetti principi e affermando che non sia possibile subordinare l’esercizio di un diritto fondamentale, come quello di partecipare al processo, ad oneri che non siano espressamente previsti da una disposizione legislativa e che, nei casi di restrizione della libertà personale diversa dalla detenzione in carcere, afferma sussista ugualmente un legittimo impedimento, giuridico se non materiale, che non si differenzia dall’impedimento costituito dalla detenzione in carcere . In conclusione, la sentenza impugnata viene cassata senza rinvio.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 12 luglio – 20 novembre 2019, n. 47048 Presidente Catena – Relatore Brancaccio Ritenuto in fatto 1. Con la decisione in epigrafe, la Corte d’Appello di Potenza, Sezione Minorenni, ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale per i minorenni di Potenza il 25.1.2017 con cui F.P. , all’epoca minorenne, è stato condannato alla pena di mesi due di reclusione ed Euro 50 di multa per il reato di tentato furto in abitazione, aggravato dalla violenza sulle cose e commesso in concorso con M.A. , maggiorenne e giudicato separatamente. L’azione delittuosa veniva interrotta prima della sua consumazione per l’intervento della vittima, proprietario della suddetta abitazione, D.G. . 2. Avverso la sentenza d’appello propone ricorso l’imputato, tramite il difensore avv. Plaitano, deducendo due motivi. 2.1. Il primo argomento difensivo eccepisce violazione di legge per inosservanza delle norme di cui all’art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c e art. 179 c.p.p La difesa rileva che il Tribunale ha indebitamente disatteso la richiesta di rinvio dell’udienza avanzata in data 25.1.2017, in ragione del sopravvenuto stato di detenzione agli arresti domiciliari dell’imputato per altra causa e che il relativo motivo d’appello è stato disatteso dai giudici di secondo grado adducendo l’erronea motivazione basata sul fatto che questi avrebbe avuto l’onere di richiedere tempestivamente l’autorizzazione a comparire in udienza, onere che, se non osservato, determina l’insussistenza del legittimo impedimento a comparire e delle ragioni giustificatrici di rinvio. Ed invece, la Corte di cassazione ha riconosciuto in casi analoghi la sussistenza del legittimo impedimento a comparire, poiché non incombe alcun onere sull’imputato. Inoltre, l’obbligo di disporre la traduzione, sanzionato a pena di nullità assoluta, sussisteva nel caso di specie proprio in capo al Tribunale ai cui atti già era presente, prima dell’udienza citata, l’attestazione dello stato di detenzione dell’imputato, inglobata nella relazione di aggiornamento dei servizi sociali tale documento si allega al ricorso. 2.2. Il secondo argomento di censura attiene alla violazione dell’art. 512 c.p.p. e art. 6 CEDU, nonché al vizio di motivazione mancante o manifestamente illogica quanto alla acquisizione delle dichiarazioni rese in denuncia dalla persona offesa, ritenuta in avanzato stato d’età e affetta da grave patologia oculare, sicché non in grado di svolgere un riconoscimento in aula durante il processo. Tali circostanze erano già note precedentemente al giudizio, tanto da far ritenere prevedibile la non ripetibilità delle citate dichiarazioni rese in denuncia e, pertanto, necessario ricorrere all’incidente probatorio già in fase di indagini. Ciò non è stato fatto ed al ricorrente è stato precluso l’ascolto in dibattimento del teste d’accusa con violazione dei diritti di difesa. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato quanto al primo motivo, che attiene ad un profilo preliminare ed assorbente. 2. La difesa ha eccepito esattamente la mancata traduzione dell’imputato, nonostante la rappresentazione del suo stato di sottoposizione agli arresti domiciliari, risultante dagli atti, e, comunque, l’espressa volontà del ricorrente, manifestata all’udienza del 25.1.2017 tramite il difensore, di partecipare al processo personalmente nonostante la sua condizione detentiva. 2.1. Sul tema, una pronuncia delle Sezioni Unite e una parte degli orientamenti di legittimità ritengono, condivisibilmente, che la restrizione dell’imputato agli arresti domiciliari per altra causa, sopravvenuta nel corso del processo e comunicata solo in udienza, integra un’ipotesi di legittimo impedimento a comparire e preclude la celebrazione del giudizio in contumacia, anche quando risulti che l’imputato medesimo avrebbe potuto informare il giudice del sopravvenuto stato di detenzione in tempo utile per la traduzione, in quanto non è configurabile a suo carico, a differenza di quanto accade per il difensore, alcun onere di tempestiva comunicazione dell’impedimento Sez. 4, n. 18455 del 30/1/2014, P., Rv. 261562 . Le Sezioni Unite, dal canto loro, si sono pronunciate sul tema sia nell’ambito del giudizio dibattimentale che in materia di rito camerale d’appello nell’impugnazione instauratasi su un giudizio svoltosi con rito abbreviato. La pronuncia Sez. U, n. 37483 del 26/9/2006, Arena, Rv. 234600, cui sostanzialmente si conforma la giurisprudenza delle Sezioni semplici poc’anzi richiamata, ha espressamente stabilito che la detenzione dell’imputato per altra causa nel caso di specie si trattava di detenzione carceraria, ma la pronuncia non fa distinzione del caso degli arresti domiciliari , che sia sopravvenuta nel corso del processo e comunicata solo in udienza, integra un’ipotesi di legittimo impedimento a comparire e preclude la celebrazione del giudizio in contumacia, anche quando risulti che l’imputato medesimo avrebbe potuto informare il giudice del sopravvenuto stato di detenzione in tempo utile per la traduzione, in quanto non è configurabile a suo carico, a differenza di quanto accade per il difensore, alcun onere di tempestiva comunicazione dell’impedimento successivamente conformi, tra le altre, Sez. 6, n. 2300 del 10/12/2013, dep. 2014, Deda, Rv. 258246 Sez. 4, n. 19130 del 14/10/2014, dep. 2015, Di Rocco, Rv. 263490 Sez. 2, n. 8098 del 10/2/2016, Moccia, Rv. 266217 Sez. 4, n. 1871 del 3/10/2013, dep. 2014, Santamaria, Rv. 258177 cfr. anche Sez. 5, n. 48911 del 1/10/2018, N., Rv. 274160 che, aderendo al principio enunciato dalle Sezioni Unite Arena, ha precisato, tuttavia, che può legittimamente procedersi in contumacia dell’imputato -detenuto agli arresti domiciliari per altra causa quando tale condizione non emerga dagli atti e l’imputato, o il suo difensore, non si siano diligentemente attivati per darne comunicazione all’autorità giudiziaria procedente, che, dunque, sia ignara dello status conforme in precedenza Sez. 5, n. 42888 del 5/6/2014, S., Rv. 260677 . La seconda sentenza del massimo collegio di legittimità, intervenuta sul tema generale dell’impedimento dell’imputato a comparire in ragione del sopravvenuto stato detentivo nella specie si trattava di un soggetto agli arresti domiciliari per altra causa, proprio come nell’ipotesi sottoposta al Collegio con riferimento al giudizio camerale d’appello su impugnazione di una pronuncia emessa con rito abbreviato, ha operato una distinzione, secondo che si verta in una ipotesi di tal fatta rispetto al caso in cui l’impedimento dell’imputato, per il sopravvenire dello stato detentivo, attenga al giudizio ordinario cfr. Sez. U, n. 35399 del 24/6/2010, F., Rv. 247835 . Nel giudizio ordinario, secondo la motivazione della sentenza n. 35399 del 2010, deve sempre essere assicurata, in mancanza di un inequivoco rifiuto, la presenza dell’imputato quindi, in virtù della norma generale fissata dall’art. 420-ter c.p.p., qualora l’imputato non si presenti, e in qualunque modo risulti o appaia probabile che l’assenza è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento, spetta al giudice disporre, anche d’ufficio, il rinvio ad una nuova udienza, senza che sia necessaria una qualche richiesta dell’imputato in tal senso. Pertanto, qualora l’imputato sia detenuto o agli arresti domiciliari o comunque sottoposto a limitazione della libertà personale che non gli consente la presenza in udienza, poiché in tali casi è in re ipsa la presenza di un legittimo impedimento, il giudice, in qualunque modo e in qualunque tempo venga a conoscenza dello stato di restrizione della libertà, anche senza una richiesta dell’imputato, deve d’ufficio, rinviare il processo ad una nuova udienza e disporre la traduzione dell’imputato, a meno che, ovviamente, non vi sia stato un rifiuto dell’imputato stesso di assistere all’udienza art. 420-quinquies . Ciò perché, specialmente in un processo a carattere accusatorio, la partecipazione dell’imputato al processo è condizione indefettibile per il regolare esercizio della giurisdizione, afferendo al fondamentale diritto di difesa, che può solo essere oggetto di una rinuncia da parte del suo titolare attraverso una non equivoca manifestazione di volontà abdicativa in tale senso. Nel giudizio camerale di appello, invece, non vige la regola che l’imputato detenuto non ha alcun onere di comunicare al giudice il suo stato di detenzione sicché, se tale stato di per sé comunque risulti o appaia probabile , ciò determina l’obbligo del giudice di rinviare l’udienza e di disporre la traduzione, salvo esplicita rinunzia a comparire bensì vige proprio la regola opposta, ossia che l’imputato detenuto ha l’onere di comunicare al giudice di appello la sua volontà di comparire. Nel giudizio ordinario, va sempre assicurata la presenza dell’imputato, salvo che questi inequivocamente vi rinunzi, mentre nel giudizio camerale di appello la presenza dell’imputato non è necessaria e va quindi assicurata soltanto se questi manifesti la volontà di voler comparire, potendo altrimenti presumersi la sua rinunzia ad essere presente cfr. Corte EDU, Grande Camera, 18.10.2006, Hemii c. Italia . Nel giudizio camerale, pertanto, il legittimo impedimento, ivi compreso quello costituito dallo stato di detenzione, è irrilevante e non produce effetti se l’imputato non adempia l’onere legislativamente impostogli di comunicare al giudice il suo impedimento e la sua volontà di essere presente. Se questa è la regola generale, tuttavia le Sezioni Unite hanno aggiunto che, nell’ipotesi del rito camerale d’appello, la manifestazione di volontà dell’imputato detenuto non è soggetta ad alcun limite temporale rigido e prefissato, ma deve, comunque, essere considerata tardiva e non efficace quando sia stata fatta in un momento tale che, nel singolo caso concreto, non vi sia più possibilità di effettuare la traduzione per l’udienza. In tal caso, invero, può ritenersi che l’onere di comunicare la volontà di comparire non sia stato validamente adempiuto e che, pertanto, difetti il presupposto necessario perché abbia rilievo l’impedimento dell’imputato e perché il giudice abbia l’obbligo di assicurarne la presenza. Non potrebbe invece, riscontrarsi un inadempimento dell’onere con le dette conseguenze allorché vi sia stata una oggettiva impossibilità di effettuare prima la comunicazione come, ad esempio, quando la detenzione intervenga nell’immediata prossimità dell’udienza . In questo caso, così come in quello in cui la traduzione, pur oggettivamente possibile, non è avvenuta per disguidi o ritardi dell’amministrazione, dovrà essere disposta la traduzione per una successiva udienza. La sentenza in esame precisa ancora, infine, che, dato il diritto fondamentale dell’imputato detenuto di essere presente nell’udienza in cui si decide della sua responsabilità e del trattamento sanzionatorio, i principi enunciati devono essere interpretati ed applicati in modo rigido, sia nel senso che la richiesta potrà ritenersi tardiva soltanto allorché, in concreto, non vi sia possibilità pratica di assicurare la presenza in udienza dell’appellante, sia nel senso che il giudice, qualora ritenga intempestiva la richiesta, deve dar conto, con adeguata e congrua motivazione, delle specifiche ragioni per le quali, in quel determinato caso non era possibile effettuare la traduzione dell’imputato in udienza, prendendo in considerazione tutte le specifiche circostanze del caso concreto, quali, ad esempio, il tipo di limitazione della libertà personale, il luogo in cui l’imputato si trova ristretto, e così via ad esempio, le Sezioni Unite evidenziano come diverso è il caso in cui l’imputato sia detenuto in carcere in un’altra città da quello in cui sia agli arresti domiciliari nella stessa città, sicché diversa deve essere la valutazione circa la eventuale tardività della richiesta . 2.2. Il Collegio non ignora che, con riferimento alla fattispecie in esame, analoga, come detto, a quella esaminata dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 35399 del 2010, benché afferente, a differenza di quest’ultima, ad un giudizio dibattimentale, esiste una diversa opzione, enunciata anche di recente da alcune sentenze della Corte di cassazione, secondo cui sussisterebbe un onere dell’imputato, sottoposto agli arresti domiciliari per altra causa di chiedere tempestivamente l’autorizzazione ad allontanarsi dal domicilio per il tempo necessario Sez. 5, n. 6540 del 10/12/2018, D., Rv. 275498 Sez. 2, n. 7286 del 15/11/2018, Traini, Rv. 275608 Sez. 5, n. 30825 del 1/7/2014, Mondolo, Rv. 262402 Sez. 6, n. 36384 del 25/6/2014, B., Rv. 260620 in precedenza, Sez. 2, n. 21529 del 24/4/2008, Rosato, Rv. 240107 Sez. 5, n. 44922 del 14/11/2007, Gentile, Rv. 238505 Sez. 4, n. 28558 del 13/5/2005, Bruschi, Rv. 232436 Sez. 5, n. 7369 del 15/11/2002, dep. 2003, Giannone, Rv. 224859 Sez. 5, n. 13184 del 2/2/2001, Piemonte, Rv. 218391 Sez. 6, n. 7319 del 30/4/1997, Prinno, Rv. 209739 Sez. 1, n. 5606 del 22/5/1996, Mannino, Rv. 204859 . A sostegno di questa tesi si è affermato, nel corso degli anni e nelle diverse pronunce, che gli arresti domiciliari o altre limitazioni della libertà non costituirebbero una situazione di assoluta impossibilità di comparire perché l’imputato potrebbe chiedere al giudice competente la rimozione dell’impedimento ed avrebbe, quindi, l’onere di rivolgersi a tale giudice e che, ai sensi dell’art. 22 disp. att. c.p.p., comma 1, è il giudice della cautela o il magistrato di sorveglianza ad avere il potere di autorizzare l’allontanamento o disporre l’accompagnamento o la traduzione, mentre il giudice che procede non ha la disponibilità dello stato di libertà del soggetto. Inoltre, si sostiene che i principi enunciati dalle Sezioni Unite nella pronuncia Arena del 2006 valgono per lo stato di detenzione ordinaria ma non per gli arresti domiciliari, in relazione ai quali non è configurabile un obbligo dell’autorità giudiziaria di disporre la traduzione cfr. sentenza n. 36384 del 2014 . Tuttavia, le più recenti pronunce, successive alla sentenza delle Sezioni Unite n. 35399 del 2010, non si sono confrontate con gli argomenti ed i principi enunciati dal massimo collegio nomofilattico nella motivazione di tale decisione, che ha chiaramente affermato come la suddetta opzione giurisprudenziale non possa essere condivisa e collida con i principi generali enunciati sul tema della Sezioni Unite nella sentenza Arena del 2006 che ha escluso nel giudizio ordinario che l’imputato detenuto abbia un onere di chiedere al giudice competente la rimozione dell’impedimento o di comunicare al giudice che procede la sua volontà di essere presente, avendo rilievo soltanto il fatto che il giudice abbia comunque conoscenza di una obiettiva situazione di impedimento e la mancanza di una esplicita rinunzia a comparire . Ebbene, a giudizio del Collegio, è del tutto condivisibile l’affermazione delle Sezioni Unite del 2010, che ritiene non sia possibile subordinare l’esercizio di un diritto fondamentale, come quello di partecipare al processo, ad oneri che non siano espressamente previsti da una disposizione legislativa e che, nei casi di restrizione della libertà personale diversi dalla detenzione in carcere, afferma sussista ugualmente un legittimo impedimento, giuridico se non materiale, che non si differenzia dall’impedimento costituito dalla detenzione in carcere. Nè può ritenersi che, in tal caso, l’impedimento non sarebbe più legittimo ed assoluto solo perché l’imputato potrebbe chiedere l’autorizzazione o l’accompagnamento o la traduzione al giudice competente. Chi viene ammesso al regime degli arresti domiciliari, infatti, si trova, pur sempre, in stato di detenzione, cioè di privazione della libertà personale e può lasciare il luogo di arresto domiciliare solo previa autorizzazione del magistrato competente o per disposizione dello stesso che deve, in tal caso, ordinarne la traduzione. Pertanto, se il giudice ha tempestiva conoscenza del fatto che l’imputato trovasi per altro procedimento penale in stato di arresti domiciliari, non può dichiararne la contumacia, ma deve disporne la traduzione in aula Sez. U, n. 35399 del 2010, par. 10 Sez. 1, n. 5164 del 5/3/1990, Tortora, Rv. 183950 vedi anche, sul tema della conoscenza aliunde dello stato detentivo da parte del giudice che fonda la necessità di disporre la traduzione dell’imputato, Sez. 1, n. 13593 del 13/2/2001, Mormone, Rv. 218806 Sez. 2, n. 41252 del 7/11/2002, Vallese, Rv. 223498 Sez. 4, n. 5834 del 14/2/1991, Mereu, Rv. 187279 . I suddetti principi valgono sia nel caso si verta in tema di giudizio ordinario che per il giudizio camerale di appello ex art. 599 c.p.p 2.3. Nella fattispecie sottoposta al Collegio, applicando i principi appena ripercorsi, il Tribunale per i minorenni di Potenza aveva avuto cognizione dello stato di sopravvenuta sottoposizione dell’imputato agli arresti domiciliari, in virtù dell’espressa indicazione del difensore in tal senso fornita all’udienza dibattimentale del 25.1.2017 ed a prescindere dall’eventuale conoscenza di tale dato già in atti da parte del Tribunale, come sostenuto dalla difesa , e avrebbe potuto disporne la traduzione o l’autorizzazione a recarsi in udienza, stante la manifestata volontà di partecipazione. Deve ribadirsi, pertanto, che la restrizione dell’imputato agli arresti domiciliari per altra causa, sopravvenuta nel corso del processo e comunicata solo in udienza, integra un’ipotesi di legittimo impedimento a comparire e preclude la celebrazione del giudizio in contumacia, anche quando risulti che l’imputato medesimo avrebbe potuto informare il giudice del sopravvenuto stato di detenzione in tempo utile per la traduzione, in quanto non è configurabile a suo carico, a differenza di quanto accade per il difensore, alcun onere di tempestiva comunicazione dell’impedimento. 3. La sentenza impugnata, dunque, essendo stata pronunciata in adesione all’orientamento di legittimità che il Collegio non condivide perché configgente con il percorso ricostruttivo operato sulla base delle pronunce delle Sezioni Unite già richiamate, deve essere annullata senza rinvio in accoglimento del primo motivo di ricorso, in cui rimane assorbito il secondo argomento difensivo dovrà essere disposto, altresì, l’annullamento anche della sentenza di primo grado, con trasmissione degli atti al Tribunale per i Minorenni di Potenza, essendosi determinata una nullità assoluta del giudizio in quella fase. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza di appello e la sentenza emessa dal Tribunale per i Minorenni di Potenza e dispone la trasmissione degli atti a quest’ultimo per il giudizio. Motivazione semplificata.